venerdì 29 novembre 2013

Il non-senso della vita

Attenzione! questo post contiene noiose spiegazioni copiate da wikipedia.


In un bosco innevato, di notte, arrivi presso una grande quercia. Ti volti: non c'è nessuno.
Sopra, solo buio e gelo. Tutt'intorno, freddo. Sul bosco, sul tuo bosco, solo neve. E un vento che prova a spegnerti.

Ha un senso la vita?
Intanto però, cosa vuol dire senso?

La parola senso in filosofia ha una lunga storia che parte dalla αίσθησις di Aristotele, a indicare la facoltà di "sentire", cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso. Questa tipica definizione sensistica viene ripresa in vario modo in seguito, ma è solo nei tempi moderni, con Locke prima e poi specialmente con Kant, che la parola senso assume il significato di sentire insieme alla consapevolezza di ciò che avviene sentendo.

Insomma, significa sentire, percepire. È chiaro che la vita la sentiamo, quindi domandarselo è inutile. O forse solo sbagliato.
Nel senso che, sì, invero, ciò che comunemente si intende è se la vita ha un suo fine, uno scopo ultimo.
Ok.
Lo ha? Ha un fine ultimo, uno scopo?
Intanto, per i credenti, lo ha.
I credenti, infatti - a qualsiasi religione essi appartengano -, credono in un dopo-vita. Qualsiasi esso sia. Per farla breve dopo la vita biologica ce n'è un'altra spirituale, o un'altra biologica ancora. Dipende dal credo.
No, non è molto chiaro come ciò possa avvenire.
Comunque per loro il fine, ma chiamiamolo pure senso come nell'accezione comune, c'è.
Si sbagliano? si illudono?
Hum... non ci interessa. Ma ci interessa sapere che se anche si sbagliassero non cambierebbe poi molto, perché...
Perché, invece, l'ateo non dà alcun senso alla vita. All'ateo manca il fine ultimo.
Ma allora, direte voi, è un nichilista.
Dal wikizionario
nichilismo
  1. (filos.) dottrina che nega in modo assoluto qualunque valore della società.
  2. (psic.) condizione per la quale si è portati a negare l'esistenza di tutto.
  3. (stor.) ideologia sviluppatasi in russia intorno al 1850, che si proponeva come obiettivo la distruzione dell'ordinamento sociale e politico esistente.


In realtà vuol dire, molto più semplicemente, non credere a niente. infatti ... [...] (dal latino classico nihil e dal latino medievale nichil, "nulla"), è la dottrina filosofica che suggerisce la negazione di uno o più aspetti putativamente significativi della vita, da cui il mondo, l'esistenza umana in particolare, è privo di senso, scopo, valore etico, e la verità è incomprensibile; se inteso in forma di nichilismo esistenziale, la vita stessa è senza senso, obiettivo e valore intrinseco.


Sono degli animali. Solo che l'animale non sa di non crederci, vive la sua apparente inutilità avvertendosi come il senso egli stesso. Cosa cambia, allora, a parte la consapevolezza?
Il nichilista, c'è scritto lì - e badate che ogni ateo lo è -, non crede a niente, non riconosce alcuna verità, è alla deriva nel più totale relativismo, ossia il non avere certezze per cui tutto è relativo A, e non dà valore a nulla, neanche alla vita.
Praticamente, per spiegarmi, se si trovasse - il nichilista - all'inizio di questo mio post, in quel bosco, e trovasse, da un lato, una casetta invitante, con dentro un camino, e magari del buon cibo, bene, alla casetta, al camino caldo, al cibo, non darebbe alcun valore. Certo, li userebbe, ne trarrebbe calore, nutrimento e del buon sonno: ma non significherebbero nulla per lui. Nulla che non sia la normale prosecuzione della sua vita biologica.
Ora, sapendoci atei, o intimamente laici - poiché tutti intimamente lo siamo -, come possiamo anche solo sperare di creare una società che funzioni se è l'uomo stesso in presenza delle sue capacità mentali a non funzionare senza l'astrazione mistica?
Non solo, ma: solo col fardello di Dio l'uomo può seguire una morale?
Inoltre, per dire, sono l'unico che si chiede queste cose?
Probabilmente sono l'unico che se le chiede e poi, dopo essersele chieste, si aspetta una risposta. Uno sciocco insomma.
Ma dicevo: ha un senso, la vita, che vada oltre la sfera mistica?
Lì, abbiamo capito/deciso, non c'è trippa per gatti.
A proposito, sapete perché si dice "non c'è trippa per gatti"? Io sì. Non uso mai parole o modi di dire di cui non conosca il significato. Non avrebbe senso, no?
Comunque, nel comune di Roma, c'erano i gatti. Li lasciavano lì per i topi. E gli davano da mangiare la trippa, cioè la carne meno costosa che c'era.
Poi, con la guerra, se la mangiavano i soldati, e così non c'era più trippa per gatti.
Chiarito ciò, ribadisco: ha un senso la vita che non sia la sua sfera mistica?



Ne butto lì uno: la gratificazione.
Cose come divertirsi, o esibirsi, o vantarsi, cose così insomma, che ci gratificano. Anche una pizza.
Siamo sempre più narcisi, in effetti.
No, no mio padre no. Neanche mio nonno.
No, io non ho riferimenti patriarcali. Non ne ha più nessuno.
Se ho detto gratificazione è perché già appartengo a una società diversa, una società narcisistica. Anche il sentire, il sapere, passano in questo tipo di società attraverso il narcisismo, la vanità.
Ma saperlo ha senso? Non sappiano troppe cose che non ci servono, che per noi non hanno alcun senso?
Non ne hanno più della vita, che però trova il suo senso nella vita stessa, nell'essere, o meglio, nell'esistere. E così criticare il proprio spazio sociale, analizzarlo, trova il suo senso nella critica stessa. E la pizza, la pizza ha senso mentre la mangi. O se ti piace farla mentre la fai.
Allora forse il senso, il fine di ogni cosa, è nella cosa stessa.
Le cose, si potrebbe quasi dire, vivono a parte. Ogni cosa vive a se e si da un senso d'immanenza.
Ma così, scusate, non avrebbe senso. Mancherebbe quel qualcosa alla fine che...
No, e non lo avrà mai, è chiaro che ognuno di noi si aspetta sempre l'infinito, l'eternità, e questo perché a spingerci avanti sono l'infinito del nostro desiderare - difatti noi siamo solo se desideriamo -, e l'eterno affisso alla nostra temporalità, poiché la nostra mente temporale è propensa a pensarsi come senza-fine nel tempo che essa stessa costruisce.

Non so voi, ma a me, dopo aver scritto queste cose - che badate non sono cultura, no, sono decadenza! -, è venuta voglia di bere.
Ma come la faranno questa birra?
Ha senso chiederselo?
Per il credente: sì. Lui ha tempo per le cazzate (sebbene il sapere come si fa la birra non sia proprio una cazzata, del resto era un esempio)
Per l'ateo: no. Non ha tempo per niente che non sia vivere, se stesso, e vivere se stesso.
Giustamente.
Il credente, per assioma, è sciocco.
L'ateo invece ha capito tutto.
Però il credente è l'unico che, dando un senso alla vita, la solleva dalla sua inutilità. Almeno mentre la vive!
Allora forse, rimanendo fedeli che non c'è bene e non c'è male, e quindi non c'è lo sciocco e non c'è l'intelligente, forse il credente ha ragione.
Forse dobbiamo credere di credere in qualcosa, e darci delle ali per planare dolcemente, invece che cadere, sui ruvidi scogli dell'esistere.
Il mare del nulla ci avrà comunque, ma sarà stato più piacevole. No?

O ci avrà il bosco, colmo di neve e gelido.

(Ah comunque quella casa, col camino acceso, nel bosco, non esiste.)


Ma che senso ha, invece, il mio chiedermi, il mio seguire tracce sulla neve, il mio voler sapere se le cose, bene o male, hanno un senso?
A me sembra un po' come quando nel bosco, d'inverno, sotto la neve, la volpe esce dalla tana - la furbissima volpe -, si ferma, annusa l'aria, gira la testa, la rigira, annusa ancora. E poi decide dove andare.
E decide totalmente a caso.


A destra o a sinistra?
Di qua o di là?
Magari me ne sto qui ferma, tanto che cazzo cambia.
E pensare che mi credevo furba.

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