lunedì 30 ottobre 2017

Aria gelida





Mattino presto, nebbia, aria fredda. E davanti un lago enorme, senza confini, praticamente un mare, ma fermo, completamente ghiacciato. Lo guardo dagli scogli neri che come ossa maldisposte emergono dalle sue rive. Le lontananze sono confuse, l'aria carica di umidità dona a tutto l'imprecisione del sogno. Mi siedo e aspetto.
Pensare indurisce la pelle del mio viso, mi fa lacrimare gli occhi. Lascio che si arrossiscano, che la vista divenga indecisa. A parte questa roccia nera tutto il resto si confonde; il cielo, l'orizzonte invisibile, il lago, tutto è uguale, tutto è vago, indeciso. La superfice del lago è ghiacciata come il mio viso. Ci tiro un sasso, poi un altro. Non si rompe. L'anima mi pesa ma vado.
Lentamente, mi incammino sul ghiaccio, la roccia nera si allontana dietro di me, davanti non si avvicina nulla, la nebbia fluttua spettrale, dopo un po' è come se fossi venuto dal nulla, andando verso un altro nulla, da un nulla all'altro. C'era qualcosa, prima, o è sempre stato tutto così? lascio che il tempo mi avvolga, mi penetri, e ora non c'è più neanche il tempo, tutto è fermo; io attraverso questo vuoto e me ne lascio attraversare. Una maledizione antica e terribile mi logora.
Mi sembra di scorgere qualcosa un poco più avanti, come un isolotto. Un'isola in mezzo a questo nulla? questi sono i confini del niente, le marche senza regno dove finiscono i sospiri; sopra l'isola si ergono delle propaggini nere, contorte; pietre aguzze e un albero morto. Enorme, teso verso il cielo sconosciuto. E sopra dei corvi scuri come la notte, incubi rossi negli occhi. Un dominio di abissi e gelide ombre. Il silenzio è assoluto, non odo neanche il rumore dei miei passi. Il ghiaccio è spesso. Ghiaccio? dal terreno si alza una bruma che impedisce di vedere su cosa cammino, non so più su cosa cammino. Del resto, è uguale. Non so dove vado, da dove vengo, non sapere su cosa sto camminando è ininfluente. L'albero nero mostruoso e abrupto e già alle spalle, neanche uno sguardo resta a seguirmi. Nuovamente, il tempo sembra sospeso. Nuovamente mi sembra di non essere mai vissuto in nessun'altro luogo, di aver sempre camminato su questo lago di ghiaccio dentro questa fitta nebbia, senza poter vedere, senza poter mai arrivare.
Un gracchiare distorto dallo spazio mi avverte che i corvi sono lontani, l'eco si sparge come una meteora sonora ancora e ancora. Per un attimo mi strappa ai pensieri. Ma quali pensieri? non stavo pensando a niente, e poi è meglio non pensare. Meglio non pensare. Qui mi riesce bene non pensare. Eppure... eppure dev'esserci una fine. Se continuo ad andare sempre avanti arriverò da qualche parte.
Quello che ho lasciato dietro di me è perduto; davanti a me c'è un luogo in cui finirò per perdermi.
Il tempo e lo spazio non esistono, siamo il sogno di uno spettro. Diecimila anni valgono quanto un istante. Ma l'eternità non vale un rimpianto. Rimpianto che ora, lontano da tutto, mi pare quasi tollerabile, e confuso... per quello devo essermi incamminato, ma ora... ora, qui, fa meno male, in mezzo a questa nebbia che ha la vaghezza dei ricordi. Mi siedo e aspetto. Poi mi sdraio e mi addormento.
Sogno un bacio sotto le stelle, un bacio di mille secoli fa. Ma so di sognare, e che al risveglio non vedrò che nebbie.
Una volta rialzatomi continuo ad andare avanti. Il cielo è ancora coperto, neanche una stella per orientarmi. Sotto di me la superficie inizia a scricchiolare.

mercoledì 25 ottobre 2017

Per una ragazza

Ciao *****, oggi ti scrivo come se fossi un libro, nient'affatto idealizzandoti, ma con la premura che si usa per le cose amate. Mi chiedevo cosa stessi facendo, ti immaginavo ricostruire forme e figure da sogno mentre osservi il cielo, o mentre con le tue movenze incerte ma eleganti fai la più banale delle cose, come preparare un caffè, o camminare in un viale denso di persone.
A volte, mentre cammini, guardi di lato, o un po' in alto, e quello sguardo è insostenibile e dentro c'è l'inferno. Mi ha sempre ricordato Lucifero e una rabbia più antica dell'uomo. Non a caso a ripensarci mi sento precipitare nella sua stessa perdizione. A volte mentre parli formi un beccuccio col labbro superiore e vederlo mi è sempre stato caro. Altre volte ancora giri su te stessa ed è come se le stagioni scorressero rapide, e luce e ombra si mescolassero infrante.
Mi sono venuti in mente dei versi di Poe che ora non starò a ricopiare. Parlavano di una fanciulla il cui nome era... e poi lui, Poe, si trova in un mondo dove quella fanciulla non è più. Non ricordo come finissero i versi, o forse era un racconto, ma quel mondo lo sto vedendo ora, dalla finestra, con ampio sole, ma è buio, e vasto cielo, che mi opprime. Un gatto passa qui sotto, si guarda in giro scaltro e poi avanza. Vorrei essere quel gatto e avanzare sicuro in avanti senza curarmi di versi e fanciulle. Ma io sono io, facile no?
Dicono che i sogni del mattino si realizzino, ed è meglio che non ti dica chi è a dirlo. Stamattina in un breve sonno ti ho vista ridere e cantare. Ed eri felice. Ed eri bella. Il tuo danzare confondeva le cose tutt'intorno, ma anche io ero felice e ridevo, e questo non era confuso, ma chiaro come il risveglio che poco dopo mi ha colto impreparato, spietato come ricordavo di averlo lasciato la sera prima, quando mi ero addormentato sperando di trovarti da qualche parte in quel vasto mare che si spalanca quando chiudono gli occhi.
Sinceramente, spero che la vita ti sia cara, le tue giornate liete, la solitudine appagante e che la compagnia ti arricchisca. La febbre del poeta, quel nulla ammantato di calore che soffia parole sulle cose mutandole in mondi e universi, io, francamente, non l'ho; dicono poi che si debba soffrire per scrivere versi, e che più si soffre meglio questi verranno. Anche a questo, ti dirò, non credo molto. La poesia è una predisposizione dell'anima, non ci si può improvvisare acrobati dell'infinito solo con la tristezza. O no? Ma questa è pur sempre una lettera a te, e qualcosa di interessante te lo devo pur scrivere. Ma cosa può interessarti ormai?
Sai, c'è una vecchia leggenda - ora, intendiamoci, non ha nessun secondo fine, te la racconto così, come si racconta una fiaba a un bimbo per catturarne l'attenzione - che parlava di due grandi amanti, un principe e la sua concubina. La sua favorita, se preferisci. Lei gli fu sottratta e d'improvviso sparì.
Lui, non potendosi rassegnare, lasciò il suo regno cercandola per tutto il mondo, girando per città, fiere, villaggi, mercati e i più lontani porti, usando così la sua vita, senza darsi pace, incapace di ritrovarla.
Un giorno si fermò in riva al mare nero della sera e una luce gli venne incontro. L'uomo che guidava quella luce ebbe parole di insperata felicità: "so chi cerchi e ti condurrò da lei".
Il viaggio in barca fu lungo e pieno di pensieri strazianti: chi l'ha presa, come starà ora, e se non mi amasse più? Ma anche quel viaggio finì e il principe, che nel frattempo non era più nulla, avendo egli perso tutto per rincorrere la sua amata, si ritrovò davanti la fanciulla, in piedi, come viva... ma morta. Annegata in quello stesso mare, e ora per sempre intrappolata in una negromanzia senza fine. Il suo corpo freddo, la sua mente cancellata. Davanti a tanto sgomento il pover'uomo non seppe cosa fare e chiese al negromante di poter raggiungere la sua donna nella morte, dove entrambi avrebbero potuto amarsi per sempre in quel nulla senz'anima che era pur sempre meglio del vivere senza di lei. E così fecero, uniti per assenza, nel buio oltre la vita.
Non so perché mi sia venuta in mente questa storia. Io, al contrario, ti immagino, ti so, pazza di vita e forte nel pensiero, e nell'anima, e ho già chiesto a uno stregone - che non è un negromante - di rendermi tale, per poterti riavvicinare.
Ci sono momenti in cui persino io credo alla magia, sai?
Dicono, poi, che per capire il vero valore delle cose bisogna perderle. Tuttavia mi chiedo: come capirlo senza esserci prima passati? Forse anche in quel caso bisogna essere un po' maghi. L'esperienza in questi casi non aiuta, e il passato ci aiuta debolmente, vacillando.
Hai mai notato come certe case, con dentro persone, siano abitate da quadri senza che esse se ne accorgano, ereditati o appesi nel più totale caso, oppure lì da sempre, come fossero assiomi della materia a cui neanche si bada più, ma la cui banalità, e spesso bruttezza, ci inquinano ugualmente, giorno dopo giorno, abbruttendoci un po' alla volta?
Quando mi capita di imbattermi in certi luoghi mi chiedo cosa ne penserebbe *****, cosa ne penseresti tu. A dire il vero, sempre più spesso mi capita di chiedere a me stesso cosa penseresti tu di questa o quest'altra cosa. Intendiamoci, se provo a fare una lavatrice, non è a te che penso. E neanche se devo scacciare un gatto in amore sotto la finestra. Ma forse un po' sì.
Stamattina ho visto degli aquiloni in spiaggia volare più alti dei palazzi, il vento li accarezzava come si accarezzano due amanti, con dolcezza, senza scossoni, adagio, quasi li cullasse, e loro in lui trovavano stimolo e riposo. Naufraghi incantati del cielo, si adoravano. La mente in certi casi è una severa tiranna, e a certi pensieri non ci si può sottrarre se non per ritrovarli dietro la prossima curva, rapida a giungere, dove ci attendono scalpitanti, trovandoci con gli occhi spalancati.
Ma io, del resto, sto divagando. Qualcuno ha detto che la vita è una divagazione della materia, sai? ma io penso che dietro ci sia dell'altro, sono stufo di banalizzarmi. Di banalizzare la vita. Come esercizio, dopo un po' si rivela sterile. Ma questo tu già lo sai.
Tuttavia, fa lo stesso. Dove ti trovi fanciulla, cosa fai? Io scrivo parole al vento, e non mi stimo superiore a quegli aquiloni che in esso fluttuano, ché come loro non sono padrone del mio fato, ma è una forza superiore ora a muovermi, che a seconda di dove gira mi fa vedere l'alba, o il tramonto. Il giorno o la notte. Notte che mi è cara, e in cui ora vago, come quelle ombre che supponevano gli antichi si muovessero presso il rivo tenebroso che ha nome Stige, a cui solo resta il ricordo di una vita passata, dei profumi, dei colori, condannate in un grigiore senza fine, a straziarsi.
Tu, alba dei miei pensieri, sogno e colore, guarda verso il sole, e ridigli contro. Il vento ti muova i capelli, e il sole vi indugi a lungo, così che vi si possa ritrovare, in quella trama cangiante, e darsi pace, dopo tanto risplendere su cose che non meritano la sua luce, e il suo calore.

Scritto un po' di fretta

Alex