mercoledì 16 dicembre 2015

Il divano



A volte dormo su un piccolo divano. Così, perché non posso permettermi di meglio. No, che avete capito, un letto ce l'ho, sono le droghe che non posso comprare. E il divano, il piccolo divano, è un buon sostitutivo.
Non è mai vero sonno, diciamo piuttosto una parvenza, leggero, quasi a occhi aperti. L'impossibilità di allungare le gambe, di girarsi a piacimento, crea una buona incubatrice per allucinazioni d'ogni tipo. La più comune è quella dove si ha la sensazione di non potersi muovere né respirare, il che avviene generalmente in modo cosciente, avvertendo cioè la propria condizione come se si fosse svegli. Dura un po', poi con uno sforzo si riesce a vincere la propria pietrificazione, la si spezza per ritrovarsi poco più in là, ancora parzialmente immobilizzati; qui si sente ogni sorta di stramberia, voci lontane, urla da profondità non ben definite - e ti puoi trovare ad attaccar rissa con un cinese di due metri o ad osservare in una metropolitana delle vecchie islamiche che entrano in galleria per non si sa dove; insomma, tutto è, prima ancora che incubo, opprimente, intrappolato. Dopotutto è il corpo stesso a non potersi muovere. Le esperienze si risolvono in breve, nessuna di esse dura il tempo di svilupparsi, e a un certo punto, non saprei spiegare come, entrano dei ragazzini in stanza e fanno un gran casino. Sì, vorrei scacciarli, vorrei ma non posso. Sono di nuovo bloccato e non mi riesce manco di respirare, e questa volta, beh...prima ne avevo paura, ma ormai sono sicuro: sto morendo. Il cuore si fermerà, mi troveranno qui, tutto irrigidito, duro come un marmo. Provo a scuotermi ma è impossibile, allora cosa fare?
Quand'è così, tanto vale raccontarsi qualcosa. Allora mi parlo mentalmente e chissà che non lo faccia a voce alta. Mi racconto quello che sta succedendo, me lo ripeto, così da poterlo poi trascrivere, farci un racconto, ma quel che mi dico non è quanto sta accadendo ma tutt'altro. In quello che dico ci sono due soldati condannati a morte per tradimento che cercano di salvarsi, nevica e fa un freddo cane, uno dice che non era pronto a morire per la causa, l'altro prova a dire qualcosa ma ha troppa paura per ragionare, d'un tratto prova a divincolarsi, vuole fuggire via. Che spettacolo mostruoso, e ora anch'io ho freddo, ma sono nel bagno di mia nonna, sporco e illuminato al neon, e mi lavo i denti che cadono uno ad uno e appena mi sono in mano diventano pezzi di cardo bollito, e così come se ne vanno si infilano nello scarico. Nonostante tutto ricrescono a velocità sorprendente e me ne compiaccio.
D'un tratto sono sveglio. Sono le cinque e trenta del mattino. Mi serve del bicarbonato, non dovevo mangiare quelle lenticchie prima di coricarmi in questo maledetto divano.
Rutto sonoramente e mi pare d'essermi tolto un peso. Ora va meglio, leggo qualcosa e posso riaddormentarmi. Roba di poco che già spengo e rieccomi a pensare a cose assurde, forse sto già sognando. C'è una donna provocante che mi si para davanti, non distinguo il suo viso, dapprima è sfocato, poi indossa una maschera che non somiglia a niente. Non so cosa fare, intanto qualcuno cammina con grossi tacchi nella sala accanto, sbraita qualcosa e si lamenta che nulla funziona. Nessuno, nessuno mi aiuta, dice.
Vedo in giro gente che non incontro da anni, chissà se questi incontri valgono o, se quando mi sarò svegliato, saranno comunque anni che non li vedo. Chissà, ad ogni modo non parlo con nessuno, ed ecco che ancora mi sento immobilizzato, spalanco la bocca per respirare e urlare in un sol spasmo: non succede nulla. Non si muove niente.
La realtà precipita ed esplode e finalmente mi sveglio. Sono storto, ammucchiato, sudaticcio e mi sembra anche di puzzare. Vedo che fuori c'è luce e allora basta, mi alzo e finalmente vado a letto.
Oh sì, ora posso distendere il mio corpo, piano piano mi spengo, scivolo nelle ombre.
E sogno ancora di essere paralizzato, soffoco, una ragazza che conoscevo mi vede, ride, e mi lascia in preda all'orrore. Mentre se ne va sbatte i tacchi.




martedì 17 novembre 2015

Post d'autunno inoltrato




L'idea di scrivere qualcosa di anche solo lontanamente utile, ormai, me la sono tolta. Da un pezzo. E così com'è come non è me ne stavo in questo cimitero pieno di statue e colonne e l'unica cosa a cui pensavo era fottere una donna. Qualsiasi cosa mi fosse passata davanti l'avrei sbattuta su una lapide e me la sarei fottuta lì. Se si potesse farlo, cristo, lo avrei fatto quindici, venti volte. Chissà.
Intendiamoci, i cimiteri mi fanno impazzire, ma nella gerarchia vengono subito dopo l'alcol. Al primo posto ci sono le ragazze con un bel visino. Che secondo me è tutto; una può anche avere un culo e due tette da infarto, bene, ma la faccia conta più del resto. Sicché da bere non ne avevo, e in quel posto il cervello mi si incasinava sempre di più: ero nel luogo che preferisco senza niente che mi piacesse. Che senso ha?
Pensavo che se avessi rimediato immediatamente una fica e della vodka lì potevo anche morirci. Lì, nel cimitero. Cazzo, devo dire che mi sembrava un piano dannatamente geniale. Solo che mancavano figa e vodka. C'era solo la morte. Allora me ne sono stato un pomeriggio a passeggiare tra i morti sotto statue disperate, tra penombre sospette. E alla fine ho deciso: fanculo tutto.
Ho deciso solo che tutto doveva andare a fanculo, mica altro. Però, già mi sembrava un buon inizio.
A casa poi c'ho riflettuto ancora, mentre bevevo. Mi sono fatto una sega su un porno ma non riuscivo a venire, così ho pensato a una tizia che conosco e al cimitero. E poi mi sono rimesso a pensare che tutto deve decisamente andare a fanculo.
Un tizio che conosco e con cui ho parlato di questa e altre cose non mi ha saputo dare risposte precise, però dice che nella vita ci vuole sempre moderazione. Bella risposta davvero. Mica c'ha le coltellate in testa lui, le ho io. Cheppoi moderarsi, io dico, se c'è un modo di rompersi i coglioni è quello. S'è mai sentito di qualcuno che è morto di moderazione?
Quella sorca a cui penso ogni tanto se ne sbuca fuori mentre sono in giro o faccio cose e allora è tutto un far finta che sia lì e mi veda dicendo o pensando cose, o roba del genere; non è manco sempre la stessa: è una, una che ha tante facce quante ne so io. Ma ovviamente non c'è mica nessuno, ovvio che no. Solo merda che ho in testa. Merda piacevole dopotutto, non ci si annoia mai, e per fortuna non me ne frega un cazzo di niente, altrimenti me ne dovrei preoccupare. Ma a me fotte cazzo.
So tante cose ma agli altri è come se non avessi più nulla da dire: anche a questa sorcona qui, mettiamo caso mi capitasse davanti, non saprei proprio cosa dirle. Di come sta mi interesserebbe anche, ma dopo un pompino. Prima perché dovrei volerlo sapere, che cristo! Almeno prima succhiamelo. Oppure che ne so, può anche darsi che mi interessi prima, o durante. Ma gliene frega mai niente a nessuno di qualcosa che non sia il proprio orgasmo?
In una apocalisse zombie sarei un pazzo che uccide tutti, ammazzerei pure i morti. Poi mi innamorerei di una venticinquenne che ha fame. E da lei prima o poi mi farei ammazzare.
No, nelle apocalissi zombie va avanti chi non si innamora; o chi dopo non gliene frega più un cazzo.
A me, devo dire, non me ne importa un cazzo. Ma nel caso di una apocalisse zombie mi importerebbe. O forse no. Per definizione è la materia più satura di teorie non esperibili.
Ad ogni modo mica posso campare immaginandomi pezzi di figa che mi seguono per strada, così ho deciso di trovarmi una brava ragazza. Mi va bene anche una troia. Trovarne nei cimiteri mi pare ardito, ma voglio dire, ci saranno anche altri posti. Ci sono. Solo che, nei bar, a me non mi piace mica d'andarci, ho sempre avuto problemi coi bar, le feste poi le odio, e chi cazzo mi inviterebbe mai a una festa, insomma, a guardarmi faccio schifo, sui miei vestiti c'è scritto dappertutto "pezzo di merda", e per risultare un minimo interessante devo bere. A forza di bere m'è venuta una pancia che sembro incinto, e anche l'intestino, ormai... cago solo una specie di merda liquida nerastra e non digerisco più niente. Senza bicarbonato manco l'acqua digerisco, ogni volta devo stapparmi manco fossi una fogna. Trasandato poi non ne parliamo. Se le donne fossero attratte dalla rovina io non farei altro che fottere e succhiare tette. Invece col cazzo, manco per il cazzo guarda, tutto il contrario.
Da quando ho memoria, cioè tipo 20 anni, l'unico progetto che ho fatto è stato quello di ammazzarmi. Ora, per Dio, manco d'ammazzarmi mi riesce. Allora vado in giro per cimiteri tra i morti, guardando culi, e niente, è un cerchio chiuso. Mi pare ci sia poco da fare. Voi cosa fareste?
Ora stappo una birra e mi guardo dei cartoni animati. Al diavolo tutte le donne.
Che poi è una bella giornata d'autunno, né calda né fredda. Sono quelle in cui il profumo delle donne si sente meglio, te ne passa una accanto e pare che col suo odore voglia ammazzarti. Meglio uscire, una scia di figa posso sempre trovarla, e male che vada mi ubriaco.

Scritto da Xelandros il pagano.



sabato 3 ottobre 2015

La danza degli spettri




Siamo tutti malati. A chi fan male l'ossa, a chi i reni; certuni si fiaccano per una data ernia che ne piega i movimenti. Altri, ben eretti, hanno una tregenda nel cervello. Alcuni si sciolgono in pianto davanti agli altari del nulla. Certi altri si piangono dentro, inondandosi di disperazione.
Chi passa per strada ha un tumore che dorme tra il collo e il cuore. La signora affacciata alla finestra invidia la libertà degli uccelli, il loro morire quand'è ora. Quel diciottenne ha il fegato a pezzi e lo sguardo da camposanto.
Vicino alla fontanella si abbevera un giovincello in brachette corte e pallone in mano: lo attende un auto e il suo cervello sull'asfalto. E anche la rondine che vola, vola in alto presto non saprà più farlo, prenderà come ultima casa una siepe, un cantuccio ben riparato, e lì stropicciando gli occhi si stuferà di vivere. Il vecchietto che passa col bastone sta già cadendo per le scale coi femori al vento e lo sguardo insanguinato; sua moglie si piegherà di dolore: morirà due anni dopo davanti a una televisione, senza i piedi, divorati dal diabete.
Il grasso pizzicagnolo porta su e giù i sacchi della spesa per i borghesi del rione; ha già il cuore stanco, gli esploderà per una partita di pallone. Ma c'è di peggio! conosco un tizio che per un nonnulla, la perdita di un amore, s'è lasciato andare e l'hanno trovato impiccato a un chiodo.
Quella stessa mattina poi morì il prete del villaggio. Non fu trovato genuflesso davanti all'altare, ma ancora dritto sul gabinetto e lo sforzo fatale dipinto in volto. La sua perpetua lo seguì da lì a breve, incancrenita dal bere.
Il signorotto del luogo, cogli occhi galleggianti nel grasso, non sarà il corpo a tradirlo, ma un vaso caduto in basso. Incredula la vedova non può darsi pace: quale avverso destino!, griderà, ereditando soldi e casa; ma se li godrà poco, tra un amante e l'altro mentre si pettinava le restò una ciocca di capelli in mano, da lì a pochi giorni stringendo le coperte sbarrò gli occhi e rese l'anima al cuscino. Strane malattie guatano l'essere umano.
Sotto gli alberi del Pincio passeggia mano dietro la schiena la bella figura di un giovanotto, ma ahimè, qualcosa lo divora da dentro, come uno squalo nel ventre di una balena. Sul letto di morte ne rimarrà sì e no lo scheletro, la lucina sul comodino proietterà sul muro l'ombra di un cadavere mal sepolto. I suoi amici strappandosi i capelli si dispereranno, ambendo tutti al titolo di più addolorato: se solo sapesse quello che più urla che il motorino lo porterà a torcersi il collo da lì a un anno, farebbe altrimenti. Se ne andrebbe stizzito.
Passa la domenica mattina l'arrotino ad affilare lame e lucidare metalli; ma le curve per il borgo sono ardue, e rovesciandosi diventerà tutt'uno coi suoi strumenti. A vederne la scena, meravigliato, un contadino tornerà a casa scrollando la testa senza sapere neanche lui perché: il ritmo delle stagioni lo ha troppo ipnotizzato. La morte verrà a coglierlo in un letto ormai troppo stanco per rendersene conto, e tutti diranno: lui si che era buono! Il più convinto di tutti la sera torna a casa e mette la mano sulla figlioletta mentre dorme; ma sua moglie che gli vive accanto lo sa, e così un bel giorno un incendio divampa e fa di tutti e tre delle cosine nere e striminzite, che persino a metterle nelle bare sembra di fare un danno: il becchino, calandoli nella fossa si ripete da sempre: a me quando?
Lì a fianco nella cappella una turba di anziani ha lo sguardo fisso verso una salvezza a portata di mano - dice il prete -, di fuori un ragazzino urla "non ha senso un cazzo!".
Dentro si ripete, giaculatoria del vuoto: gloria al padre e al figlio, e allo spirito santo, com'è ora e in principio, nei secoli dei secoli amen. Poi escono e in lugubre fila ognuno di loro getta uno sguardo nostalgico all'eterno riposo che dorme lì accanto, domandandosi: perché sono invecchiato?
A pochi metri il becchino getta l'ultima spalata di terra. Poi apre il fiaschetto di vodka e se ne concede un sorso abbondante. Tra sei mesi sentirà un dolorino insistente al fianco: non c'è niente da fare - gli diranno - tre mesi al massimo. Allora giù altra vodka, fino a dimenticarsi di esistere: fino a dimenticare persino la morte. Ecco, il nirvana, la pienezza del vuoto, il fondersi con le stelle.
È morto ubriaco, dirà l'infermiere diurno che lo ha trovato. Lo coprirà con un velo. Poi uscendo si porterà via la sua fiaschetta mezza vuota di vodka.
I pazzi - che troppo pensano - stanno a guardare, prendono nota. Loro sembra non debbano mai morire. Al mondo, sono già morti. Per gli altri, pure. Non essendoci altro da fare che osservare il decomporsi altrui, scrivani dell'atroce, salute!





lunedì 28 settembre 2015

Ammassi stellari




Immaginatevi un rapporto sessuale promiscuo nell'Europa cristiana dei primi secoli. Certo l'uomo raggiungendo il piacere si era prefisso di pensare a Dio; la femmina probabilmente per redimersi faceva altrettanto. Quanti orgasmi raggiunti concentrandosi sul vuoto: voluttà nichilista!

Bevendo ci avviciniamo a Dio: è l'immediato che diventa eterno.

Il sistema del debito infinito su cui si reggono le economie mondiali somiglia al Dio assoluto, verso cui siamo tutti eternamente in debito.

Ai primi freddi, dopo l'estate, l'anima rinasce. Si prepara per nuove decomposizioni.

Vi fu un tempo in cui i soldi non facevano la felicità: era quello il tempo dove esistevano dei valori. Caduti questi, cancellata ogni idea, chi potrebbe oggi sostenere che i soldi non possano comprare tutto; non solo la felicità, ma anche cose molto meno importanti: ad esempio l'amore.

La felicità altrui mi ferisce e mi rasserena; ma più che altro mi sbigottisce.

Nelle vuote giaculatorie dei rosari c'è lo stesso inutile ripetersi dei cicli vitali.

L'assenza di talento è rimediabile con l'alcol, o col dolore.

Persino nel momento in cui sembro trovarmi bene con gli altri vorrei essere altrove, fuggire in un bosco. Ansia da appartenenza, vertigine di partecipare alle cose, la propensione all'eclissi trova in me l'ideale allineamento di tutti i pianeti mentali.

L'ansia immotivata è l'unica che sia nobile provare; distaccata da tutto, le basta come alimento il perpetuarsi dell'esistere.

La più grande violenza dei monoteismi è di proibire il suicidio.

Chi in guerre stellari non vorrebbe essere un Sit; nel signore degli anelli Sauron; nei racconti di Lovecraft un qualche negromante; nella bibbia Lucifero?
Il bene è un errore della natura. Il più grande dopo la vita.

Non c'è nulla di realmente bello nella natura: i fiori si prosciugheranno, il mare appassirà, tutte le creature belle o brutte che siano se le porterà via il vento; ogni intenzione si decomporrà.
Solo i ricordi che abbiano di essa ci sembrano meritevoli, ma nella tomba a chi raccontarli?

Cosa dovrei farmene della lucidità mentale?

Gli Dei non sono morti: hanno semplicemente disimparato a sopportarci.

Meglio il bacio di una sconosciuta di tutti gli imperi sognati; di ogni tesoro pensato infondo al mare.

Ho trovato più incomprensioni sul viso di una qualsiasi ragazza che in tutti gli enigmi delle stelle.

Quando passa qualche giorno dacché ho bevuto, e acquisto piena lucidità mentale, non riesco a sopportare di esistere, specie la sera quando resto solo. L'unica cosa per cui mi sembra di vivere è la prossima perdita di coscienza, il successivo vivere a malapena: attendo di tramontare dietro la ragione.

Nel Corano Allah disse al demone del fuoco Iblis: sottomettiti all'uomo poiché egli è la creatura perfetta. Offeso dal doversi piegare verso esseri fatti di fango, preferì sprofondare nei suoi vortici infiammati. Fratello in dissidenza con Lucifero, entrambi dimostrano il livello dilettantistico di Dio e il suo unico assolutismo: il cattivo gusto.

Il nirvana altro non è che la pienezza del vuoto, il tutto in uno. Come non essere tentati di fonderlo con la violenza, di raggiungerlo col suicidio?

Come non comprendere le parole del fondatore del cristianesimo, che sulla croce, al culmine della sofferenza, ebbe a dire: padre, perché mi hai abbandonato?
Solo nel tormento si rese conto della sua follia, un attimo di lucidità lo travolse incatenandolo ai secoli.

La storia non avrebbe mai dovuto essere, e con essa la civiltà. L'uomo dovrebbe vagare nudo e pulcioso per qualche millennio ancora.

La cosa migliore creata dal cristianesimo sono i camposanti. I primi cristiani credevano davvero di essere immortali: quale delusione nel vedersi morire come gli altri!
Da lì l'assurdità di conservare tutti i cadaveri in attesa della resurrezione - il giudizio si pensava imminente.
In quanto regione di confine, luogo di tormento, se ne sono interessati un po' tutti, specie chi non ha mai saputo arrendersi all'esistenza: chi non vi ha mai passeggiato piacevolmente affranto?

Gli antichi credevano che gli Dei amassero la crudeltà; per questo vi si applicavano minuziosamente. Con lo scadere dei secoli la morale trasformò questo sentore in simpatia per il dolore - senza marcire in compassione, vista come una malattia mentale - e nel diffidare dei troppo felici. Discutibile?
Eppure i cristiani seppero fare meglio: delusi dal non essere immortali com'era stato loro promesso, impararono a essere crudeli verso se stessi. Gli Dei, disgustati, se ne allontanarono. Rimasero a guardare solo demoni con il gusto dell'orrido. Il più vuoto di loro divenne l'unico Dio.

Nell'antichità il senso di comunità era molto più sviluppato; chi non rispettava la morale corrente recava danno a tutti davanti agli Dei e veniva perciò punito. Il cristianesimo, con la sua esigenza di salvarsi, sebbene non fosse sua intenzione, ci ha slegato, disunito: ognuno pensi all'anima sua, dice il cristiano. Sarà poi Dio a pensare a tutti. Ma come affidarsi a un tale sociopatico?

Le ultime parole di Socrate sono state "O Critone, noi siamo debitori di un gallo ad Asclepio: dateglielo e non dimenticatevene". Cosa? ma che forse un filosofo morente si ricorda di dovere del denaro a qualcuno? Il dubbio che ci abbia sempre preso in giro qui si rafforza, o semplicemente intende evidenziare che la vita, fino in fondo, è un vizio.

Un amico che conosce bene me e la mia vita mi dice spesso che è incredibile come non sia diventato un assassino.
Gli rispondo che, in compenso, tutti i giorni uccido me stesso.

Capita a volte, trovandosi in mezzo agli altri, di non avere più nulla da dire, niente da fare. Tutto è superfluo, lo si sente, lo si sa. Dura il tempo di riscuotersi, di rimettersi in moto. E poi tutto riprende a precipitare.

La differenza tra un cristiano e un ebreo è la stessa che c'è tra lo stoccafisso e il baccalà.

Inutile negarlo, i monoteismi offrono una salvezza alla portata di tutti, da qui il loro successo. Per Dio siamo facilmente condannabili all'eternità.

Nella Russia zarista la ricchezza si misurava in anime: quelle dei contadini. Possederne molte significava elevarsi socialmente. Dato che il censimento avveniva ogni dieci anni, era possibile una sublime forma di negromanzia: possedere l'anima dei morti! E pagarci le tasse.

Cristianesimo e Islam
L'islam, partendo dal nulla, crea una sua civiltà. Il cristianesimo, trovando una civiltà al collasso, vi si adagia sopra come un cadavere. L'islam è alba, il cristianesimo tramonto.
Eppure quali differenze nei contenuti! chi mai potrebbe non sostenere la superiorità culturale dell'Europa cristiana nei secoli a venire? E l'islam? s'è fermato al corano. Ma dopotutto, se solo nella notte ci si può illuminare, cos'è meglio, l'alba o il tramonto?

Quando mi sento spazzato via è alle galassie che penso, a tutti gli ammassi stellari. Cosa dopo di loro, e oltre l'ultimo abisso? Non saperlo è già qualcosa.








































venerdì 25 settembre 2015

Il Nulla




Meglio sciapo che salato, mi ripeto, assaggiando questo petto di pollo in padella: non sa mai di niente, qualsiasi cosa ci metta, pomodorini, alloro, rosmarino, peperoncino, curry, aglio, o qualsiasi altra diavoleria, niente, non sa mai di niente. C'è poco sale? meglio, il sale si può sempre aggiungere. Il problema è quando ce n'è troppo. Allora, in quel caso, cosa devo fare, sciacquare il cibo sotto l'acqua? Mh, sì sì, meglio sciapo. Meglio che non sappia di niente. Il sapore va bene anche posticcio.
E dunque, così, non sa proprio di niente, è sciapo, insipido, come questa giornata, come tutta la settimana. È una settimana, questa, che pare cucinata da un iperteso, e anche da un diabetico: qualsiasi gusto, ogni sapore è stato ucciso. Ci si limita a nutrirsi per restar vivi, e così questa settimana cosa ho fatto se non limitarmi a restar vivo? Come mi è venuto tutto a noia.
Perlomeno, voglio dire, perlomeno piove, il caldaccio è defunto; fa anche notte prima.
Ma che dico poi, bah, quand'è così mi pare di impazzire, ti vengono in mente le cose più strane, ma è mai possibile che me ne stia, qui, sul divano, coricato, a occhi aperti a pensare a quella cosa? proprio ora, così, dal niente, pa-ta-bum!, se n'è sbucata fuori. Dove se ne fosse stata finora non si sa, è un mistero. Eppure ora è qui, mi cammina in testa, ride di me e va su e giù, e mi dice, ecco, non tanto che io ho bisogno di lei, quanto piuttosto che così non va, che proprio ci vuole un cambiamento, e altre cose del genere. E non se ne va. Cambiare? ma che forse posso cambiare all'improvviso?
Così mi alzo e provo a far qualcosa: ma ho in mente una stregoneria e più provo a scrollarmela di dosso più mi pare d'esser scemo e stregato. "Sono qui!", mi dice, "non me ne vado!".
Senz'altro è la noia: dà strane vertigini la noia, riesuma putrefazioni mentali. Eppure no, quella lì è tutto meno che putrefatta, tutt'al più lo sono io, qui, su questo divano. E poi al diavolo, dovrei proprio buttar via tutto, ricominciare daccapo: ma che forse ci si può bloccare, così, tutto un pomeriggio, a pensare a un viso: anzi nemmanco a un viso, a un sorriso: s'era mai sentito niente di più ridicolo?
Persino un giovane Werther mi riderebbe in faccia. Mi direbbe, ecco sì, mi direbbe che debbo far qualcosa, e che proprio a vedermi così prova pena e anche un po' di.. come dire: mi darebbe un calcio, eccome se me lo darebbe.
Ma poi del resto ho già provato, leggere non mi va, studiare neanche; quand'è così, parola mia, fortunato chi gli cade un fulmine in testa, che almeno quello lo si può maledire: ma io con cosa posso prendermela?
A volte, quando ho proprio bisogno di smettere di pensare, faccio finta che un mio caro amico sia morto, e di trovarmi al suo funerale. Che dolore, e come siamo tutti commossi; ci si stringe e persino il più duro piange, e allora sì che viene tutto fuori, il pianto: quant'è liberatorio.
Ma ora, che dire, neanche di pensare a quello mi riesce. Niente, quand'è così c'è solo da bere. Ma stasera manco se ne parla, e anzi: prima di parecchi giorni niente da fare.
E allora eccoci qui, io e lui (lui il mio pensiero, s'intende): modo di evaderlo non c'è, qualcosa da fare non ce l'ho. Soluzioni? Nessuna.
Ma sì! mi ammazzo! Così poi non ci penso più. Nel senso che non penso proprio più a niente... no, no, neanche uccidersi si può. Vediamo di sopportarlo, e parimenti di sopportarmi. A che pro deprimersi, ossessionarsi, dopotutto?

Lei è sempre lì che mi sorride e passa e ride e a un certo punto passa e neppure mi guarda più ma io so che ride, non la vedo in viso ma ride. E Lei è ovunque, è dappertutto, e che io me ne stia qui a marcire o che me ne vada in mezzo ai venti Lei mi seguirà, perché è dentro di me. Oh suvvia poi, nulla di quello che scrivo è vero, sono solo stanco e impressionabile, e rimescolo inopportunamente i ricordi. Se solo potessi resettare il mio cervello e non conoscere più nessuno, se solo potessi farlo, non mi seguirebbero più, non mi sveglierei pensando a nessuno, non sarei distratto in nulla da un bel niente. Via via, sono solo impressioni di una persona annoiata, pensieri insipidi. Che sarà mai.
Mi ripeto, dico a me stesso: non è niente. Niente. Questo niente non lo conosco, in realtà nulla conosco.
Lei mi abita dentro, mi percorre senza pietà. Un giorno mi schiaccerà del tutto senza accorgersene, e finalmente potrò cadere senza fine. Ora ha quel volto, prima ne aveva un altro, domani ancora lo sa il diavolo con quale volto verrà a trovarmi, ma sotto la sua bella pelle, sotto quel sorriso che t'innamora, c'è un mostro che squarta e fa a pezzi, che si è messo in testa di suicidarmi per disperazione. Ma perché non può uccidermi adesso, ora?! È  necessaria quest'agonia?
Ma dopotutto è solo noia, noia e tristezza; qualche ferita al cervello che non si rimargina. Non è niente, assolutamente niente. È niente, un niente che divora.

lunedì 31 agosto 2015

Vaneggiamenti sul dolore




Se la vita fosse un prodotto consumabile vi sarebbe scritto sul retro "composta al 95% di dolore"; in realtà si tratterebbe di un eufemismo: essa ne è composta interamente.
Ciò su cui spesso mi trovo a ragionare è l'inutilità di questo soffrire, esso infatti non porta a nulla se non a una maggiore predisposizione al tormentarsi nel profondo. Se il cristianesimo lo ha immaginato come mezzo per accedere al suo regno a venire lo ha fatto per un quantomai azzeccato affarismo d'intuizione. Avventuratosi come un becchino su questa promessa di salvezza mediante l'atroce vi si è ossessionato fino allo sfinimento, fino al completo esaurirsi di ogni compromesso col dolore visto ormai come inutile fardello; cessata questa spinta oggi preferisce agitarsi nella banalità dell'entusiasmo per Dio. Di certo più funzionale in questi tempi carnevaleschi, ma non altrettanto a buon mercato né accessibile. L'apologia del terribile resta confinata nelle chiese-ospedale dirette dalle madonne.
Incalzati dalla morbosità del patetico, sott'assedio da una felicità-infelice sempre a portata di mercato, come pensare anche solo di dedicarsi a ciò che è spirituale - non è sufficiente l'ottusità della fede? -, a qualsiasi cosa abbia maggior profondità di una insulsaggine ma non sia necessariamente contorta e malata?

Per quello che mi riguarda, invece, quando credevo che in fatto di dolore nulla potesse battere il mal di denti ho scoperto le emorroidi. Sofferenze collocate in luoghi opposti ben si intendono in crudeltà raffinate: orrori meticolosi nelle notti passate in bianco. Notti in cui se mai vi è stato qualcosa di trascendentale e tremendo io l'ho sfidato a sopportare altrettanto.
Il dolore fisico, diversamente da quello emotivo, più che a una profondità del pensiero sfocia in malattia mentale: a lungo andare, chiunque sia tormentato da dolori fisici cronici, non può che impazzire. Nei periodi in cui mi trovo a soffrire per alcuni giorni purtroppo non faccio in tempo a diventare matto, ma ce n'è abbastanza da rendermi odiosa la vita e il genere umano: inimicatomi tutto e tutti dalla mia immobilità sul divano, le mie maledizioni spaziano su qualsiasi argomento lasciandosi dietro macerie fumanti e ceneri nere. Il malato, si sa, odia i sani, così come i sani diffidano dei malati. Questo per quanto riguarda gli altri, per me non è così. Io, malato, non riconosco più nei sani dei miei simili: essi divengono per me alieni o mutanti, come avessero due teste o delle antenne parlanti; per contro, sano non sono mai, per cui il malato, fisico o di mente, mi è sempre caro, e mai mi viene a noia.
Stanotte ascoltavo dei bambini piangere. Qui, in questa zona, basta che se ne svegli uno, che subito tutti fanno altrettanto. Diventeranno tutti dei piccoli stronzetti, dei giovani sciocchi, degli adulti infelici; anche a loro verrà il mal di denti, e se berranno troppo si piglieranno pure le emorroidi  - ma infondo sono pensieri sciocchi, privi di costrutto. Ora torno indietro, torno a stanotte. Sono sul divano, dicevo, a leggere, con le gambe leggermente alzate, un paio di cuscini intorno, tutte le cose di cui ho bisogno a portata di mano. Doversi alzare significa essere dilaniati dal dolore; un'infermiera scollata mi darebbe sollievo, però sento che un vecchio monaco seduto al mio fianco me ne darebbe altrettanto. Non so perché penso questa cosa ma so che è così. Infondo le donne non possono mai davvero capirci, che sciocchezza le infermiere donne: chiunque si occupi del dolore umano dovrebbe essere maschio. Bevo molta acqua come da consiglio, il che vuol dire che, ahimè, prima o poi dovrò fare pipì. Sento già lo stimolo ma ho deciso di alzarmi solo a vescica straripante. Intanto leggo questo nichilista austriaco capace a raccontare solo storie di pazzi e malati, un Cechov tedesco - ma l'Austria degli anni 60 non è la Russia dell'800, e i suoi scritti ne risentono. Io, appena sento puzza di 900, in letteratura, storco il naso. Se, per dire, leggendo un libro, sento parlare di automobili, grattacieli, aerei o cose del genere non riesco più a leggere, mi sento affine solo con l'antico. Ad ogni modo stavo leggendo, e ovviamente ascoltavo Bach, che è meglio dell'infermiera scollata e del vecchio monaco messi assieme. Sudo tantissimo, non è tanto il caldo quanto il fatto che probabilmente ho un po' di febbre. Finora mi sono astenuto dal farlo visto che ieri ho bevuto molto, ma ora devo prendere un brufen. Il fegato reggerà. Prendo appunti mentalmente, la prossima volta che mi alzo: pipì, brufen... e mi cambio queste mutande. Non vado in bagno da più di 24 ore eppure tutto sembra odorare di feci e sangue misto a feci. Che razza di abominazione sono mai queste emorroidi? Dico io, ma come potrebbe persino un santo o un angelo stesso credere alla bontà del creatore vedendone una?! Quale malvagio demiurgo può averle pensate? Il solo immaginarmi un Dio del genere mi atterrisce, fa di me istantaneamente un luciferino; certo pensare che è tutto un caso, che la vita, i pianeti, le specie, tutto, dalla prima scintilla a me che me ne sto qui sul divano è un caso, non è meno avvilente. Avvilente non è la parola giusta, credo sia meglio definibile come straziante. Ma io ormai, bah, non sto neanche più a pensarci. Via, mi alzo. Dolore incredibile, come possono fare così male? Mi sento Budda fuori dal palazzo, Gesù nel deserto; sono prometeo divorato... dagli squali! Faccio subito quello che devo fare e poi me ne torno sdraiato. Ecco, camminare, se fatto come si deve, lo si può anche sopportare, ma  è l'atto di piegarsi che appare insostenibile: del resto l'alcol ha gonfiato tutto, ha combinato un gran casino. Ora spengo la musica, aggiusto il cuscino. Silenzio.
Anzi non del tutto, silenzio e dolore, e il dolore, vedete, per chi vi ha dimestichezza, ha un suo suono, che somiglia, se vogliamo, a una linea viola elettrica che pulsa assieme ad esso ed emette un ronzio vertiginoso, a tratti strangolato. Ora siamo io e questo suono terrificante. Fuori, nessuno passa.
Provo a girarmi di fianco e a dormire. Ah, se solo notti come queste valessero a conquistare qualcosa come un paradiso o una vita ulteriore. Ma non c'è premio per i viventi, neanche la consolazione di aver partecipato.

È il giorno dopo e sto meglio, la febbre è passata. Ho scritto tutto su carte e cartine da ricopiare, certe cose sono completamente deliranti. Incredibile, persino le emorroidi mi danno il delirio. Mi sono svegliato, mi sono alzato, e ho iniziato a parlare da solo: mi raccontavo, ridendo, di quanto faccia schifo questa casa, proprio come lo si racconterebbe a un turista in visita: prego, venga, ecco qui le foto sfocate, noti pure le cornici troppo grandi e il fastidioso bordo bianco che emerge sotto; qui può ammirare il divano sfondato e qua la libreria fatiscente; se vuole seguirmi le mostro l'angolo delle icone religiose, lì c'è proprio da sbellicarsi.
Basta, era un attimo di buonumore da sfruttare, quei primi 20 minuti appena sveglio la mattina. Se non c'è nessuno in qualche modo devo sfruttarli: poi è tutto un calo di energie. Mi sono divertito però.
Ora torno serio, mi lavo e prendo le medicine. La nottata non è stata così male, e poi ci tengo a conservare memoria delle mie notti più terribili. Di tutte no, sarebbe impossibile.

mercoledì 26 agosto 2015

Sto impazzendo


Io in un momento di serenità mentale
Da qualche giorno mi pare di star diventando pazzo. Vedo ombre fuggirmi accanto, macchie nel cielo; rumori graffianti si insidiano nei miei orecchi.
Oggi me ne stavo tutto ben tranquillo in cucina, per dire, dato che mi pare significativo, pulivo e rassettavo, così, senza niente di particolare in testa, e com'è come non è mi viene in mente un tale che conosco, e subito me lo immagino nell'atto di provocarmi; allorché, badate bene, sempre mentalmente, mi figuro a tenergli testa, e in men che non si dica giù schiaffoni e promesse di morte, tanto che alla fine volevo tagliargli la gola - e a occhi sgranati fisso i piatti, i piatti! Il tizio non c'era, ma era come se ci fosse, anzi, se ci fosse stato. La rabbia in corpo era tale da immobilizzarmi, sicché mi chiesi: cos'è stato? e già ero lì a immaginarmi dell'altro, in un giorno passato, dove col tizio c'erano altri figuri, e mi vedo pur io, così arrossato e nervoso da tremare in ogni parte del corpo, e dico: tu cosa? tu cosa fai?! E lui: io faccio questo e quello e non mi sta bene!
Non ti sta bene cosa non ti sta bene, eh? cosa?!
Quello lì e pure quell'altro, mi dice.
Ma allora io ti ammazzo a te! guarda che ora ti ammazzo sul serio!!
E tremo tutto, anche ora tremo. Mi incazzo da solo immaginando situazioni che richiedono una violenza inimmaginabile, in testa ho solo minacce di morte.
E la ragazza che vedo passare tutti i giorni? Ah sì, quella lì, si capisce, non vede l'ora di venir legata e portata in cantina. Le si legge in faccia che vorrebbe proprio una brandina nella grotta di tufo, tra le conserve e la birra. Ma guarda un po', vuole vivere con me, la tipa. Vediamo cosa potrei farle...
Sul collare mi pare ci sia poco da tergiversare, e anche una veste da camera le ci vuole. Una veste da grotta. Il tufo non regge molto, la catena sarà bene fissarla su qualche roccia. Che prenda o meno a volermi bene, col tempo si vedrà; ad ogni modo bisogna che la faccia mangiar bene, una donna anemica perde facilmente l'umorismo. Nei primi tempi potrebbe aver nostalgia dei suoi amici e parenti, per quanto la cosa mi paia oltremodo assurda. Sarebbe il caso che la distragga con qualcosa da leggere di modo che non stia troppo a pensarci. Per lavarla poi non so, a dirla tutta potrebbe vivere così poco da non esserci nemmeno il bisogno di portarle dell'acqua. Chissà come finisce, è talmente un'incognita che finché non ci provo non lo saprò mai. Certo che se becco quel tizio, ah! mi vuol proprio provocare quello, tanghero che non è altro, ma se lo piglio... Sarà meglio che non mi si ponga più davanti.
Ancora non mi conosce quello, ah sì non sa chi sono.
A proposito di non sapere, ho smarrito una certa cosa, una robina piccola ma di ottima fattura che porto sempre con me. Non serve a nulla in particolare, almeno così mi pare. Non ricordo esattamente cosa sia, mi pare una chiave o una qualche cosa che luccica.
Comunque non importa... non... ci vorrebbe qualcosa da bere. O magari un ghiacciolo, sì, un bel gelato freddo, rinfrescante, corroborante; meglio ancora sarebbe un liquorino, una vodcuccia. Oibò, mi andrebbe proprio, ora che ci penso, di ubriacarmi; non di bere così tanto per, un sorsetto e via, no, bere fino a non capire più niente, finché non viaggio attraverso la materia, e tutto gira, gira, colori non ce ne sono più, e si preeecipita verso il nulla, come da una stella all'altra, e voci sommesse danzano all'intorno, voci che diventano piste di preferenza da seguire, e poi lucine, lucine etiliche nell'aria, come magie preziose, gemme incastonate nel nero che si spalanca sul baratro. Una cosina così, per rilassarsi. Una sborniuccia...
Un'abominazione della mente, diecimila eoni di sbornia! Salute Vodka! Ave Fernet! Yog Whisky! Heil gin! Un pantheon di alcolici, una cosmogonia etilica sognata in un collasso.
Dicono che l'alcol fa male ma sapete una cosa? non è vero niente. In realtà la maggior parte delle cose indicate come dannose fanno un gran bene. Perdere ad esempio, o venire umiliati. Io, parola mia, nell'umiliazione, nell'apparire completamente sputtanato provo un piacere ditirambico, l'esaltazione nel non essere riuscito e dell'aver deluso: che grande gioia deludere gli altri, che piacere indignare gli altrui schemi mentali. Alfiere di tutte le sconfitte, prodromo della mia sventura, quale gioia mi reca farmi esempio vivente dell'imperfezione del creato. Epicentro di ogni errore, buco nero per i raggi di una vita migliore, assorbo e trasformo le sterili visioni altrui per risorgerle sotto forma di lutti tarati sul mio cadavere metafisico.
Ma via, fa lo stesso. Ho chiesto a una ragazza di farmi un quadro da appendere in camera sopra il letto. Il soggetto è la morte. Ci metterà un paio di settimane ma a quanto vedo i risultati sono già discreti. Ecco cosa mi serve: un approdo eventuale. Qualcosa a cui correre incontro nel tempo che giustifichi l'andare avanti - o in qualsiasi direzione vada il tempo.
Per dire - si fa sempre per dire, eh - ma che forse ci si può invaghire di una donna, del suo bel viso, di tutte le sue cosine apposto? Innamorarsi di un carnaio, di un ossario vagante? Eppure eccomi lì, già mi vedo: che belle labbra che hai, che bei dentini: vorrei un bacino! Puah, mi faccio pena da solo, eppure... Del resto non ho il fanatismo dei santi né l'esaltazione degli idealisti: m'è toccata solo la lucidità dei dannati, senza nemmanco la compagnia di qualche demonio ad arrostirmi il muso.

No, no, non ci siamo. Mi pare, ecco sì, mi pare di star bene - ma per bene intendo altro, intendo come non esserci - solo quando ascolto Bach. I suoi concerti per clavicembalo sono la cosa che più somiglia alla complessa solitudine di Dio, al pulsare impazzito della vita: un supremo atto d'amore senza amante. Una benedizione giunta dal vuoto. L'approvazione delle galassie.
Tutto il resto mi annoia. Anche il lavoro manuale, che molti dicono sia rilassante, mi stufa e m'innervosisce. Allora mi siedo e guardo i cadaveri passare, loculi su loculi di foto illuminate al lucore di lucine esangui. Cimiteri andanti. La decomposizione è l'unica visione dell'avvenire che non mi strangoli: qualsiasi altra mi pare assurda, come a dire che vedremo dei draghi volare. Il programmare, poi, cos'è se non una scommessa contro l'evidenza delle cose, un azzardo senza carte in mano? Solo le religioni e il nichilismo mi smuovono quel tanto che basta da avere la forza di farli scontrare. Naturalmente non arriverò mai a niente, ma a cos'altro, realisticamente, dovrei aspirare?
Se solo Dio, un Dio qualsiasi esistesse! Se non fossimo soli, tutti quanti, a rimuginare, sonnambuli senza palpebre, postulanti di un tempio in fiamme. Dioniso! Apollo, dove siete?
Favore concesso ai valorosi della rinuncia, dove vai?
Il bacio di una Lamia a prosciugarmi; dolore di tutte le lacrime portami via.
Chissà poi cos'era quell'oggettino che ho perduto. Chissà.




domenica 16 agosto 2015

Se tutto andrà bene presto saremo morti



All'inizio siamo tutti allineati, non coltiviamo alcun dubbio. Prendendo confidenza col sistema iniziamo a capirne i meccanismi, sviluppando un'attitudine all'indignazione. Raccolta dalla fazione più accessibile, questa si trasforma in progressismo di rottura - partigianeria di sinistra. Dura il tempo di marcirci addosso, e subito il fetore ce ne rivela le intenzioni: creare non-morti. Nel prendervi le distanze precipiteremo un po più in là del banale, approdando a mete via via meno imbarazzanti e più sincere. Così, inferiori per eccesso, si abbraccia l'emarginazione diventando di destra. Da qui all'apocalisse il passo è breve, solo  un paio di abissi più in là.
Ma cosa abbiamo fatto, non ci siamo forse spostati di notte da un nulla all'altro?

Non mi interessa più la politica né lo studio dei problemi umani: neanche mi interesso alla scienza dello star meglio.
Solamente mi è caro definirmi all'interno del dolore, e condannare qualsiasi illusione di felicità.

Non c'è nulla di peggio della compagnia di chi non sa bere. Inadatti al controllo delle profondità, la minima quantità di alcol ne fa emergere il lato ancestrale: quello delle scimmie.

L'uomo non accetta che la sua volontà, slegata dal corpo, non abbia alcun potere. Per questo si affida alla preghiera dandole chissà quale forza, per questo ama fare il volere di Dio.

Il talmud dice che i sogni mattutini si avverano sempre, e stamattina ho sognato la mia città attaccata dalle milizie islamiche. Arrivavano camuffati da pacifici lavoratori per poi iniziare a sgozzare persone; nella seconda parte del sogno ero un cecchino e sparavo loro dal terrazzo.
Uno dei prigionieri dopo la cattura mi ha spiegato che "non c'entra niente la religione, noi veniamo per le vostre donne. Le nostre sono brutte, le vostre tutt'altro, e voi non le scopate più".
Poi, com'è ovvio che sia, quel prigioniero è stato ucciso.

Col pensiero siamo tutti assassini; non esiste nessuno che con magistrale cattiveria non abbia eseguito condanne a morte inaudite con la propria immaginazione. Se si traducessero in atti l'umanità svanirebbe in pochi istanti.

Quando la gente mi racconta i suoi progetti per il futuro mi sembra di ascoltare storie fantastiche su draghi e altre creature magiche. Non capirò mai come si possa credere in certe cose.

Ho dei ricordi meravigliosi dei miei viaggi in montagna da bambino; eppure, più che la maestosità delle alture, o la vastità degli spazi, a tormentarmi sono le immagini dei girini schiacciati in un lago, gli uccelli morti di freddo, e le farfalle, che vivevano solo un giorno, e poi sparivano, e non capivo come facessero.

La narrativa fantastica è una delle poche cose che riesca a darmi conforto; in un racconto di Conan mi sento vivo e pronto ad affrontare qualsiasi orrore. Del resto, non posso dire lo stesso di questa vita qui, la quale acquista senso solo nel momento in cui la si evade o la si rifiuta.

Basta vedere una cartina dell'universo per risolvere qualsiasi problema.

Per gli orientali il cristianesimo è fatto solo di vampiri, castelli gotici e demoni in armatura. Decisamente lo sopravvalutano.

Il mio animale totem dev'essere certo un gufo: stare fermo ad osservare dal buio mi riesce benissimo.

Il Nietzsche profeta della volontà di potenza mi annoia; avrebbe dovuto scrivere maggiormente della sua solitudine invece di infestarla col fantasma della vitalità.

Per quanto lo abbia compreso intimamente e sia in contatto con persone che lo aborriscono, non riesco del tutto a disprezzare il cristianesimo.
Fratello minore del buddismo, incapace di immaginare un'esistenza al di là del dolore, la sua specialità è di crogiolarvisi dentro, di immaginare un'esistenza al di qua dell'umano.
Fallimento senza eguali nella storia umana, utopia anti-vita, le mie simpatie non potrebbero non andare a questo culto disperato, a una così grande esegesi dell'infelicità.

Gli unici sogni lucidi che faccio sono terrificanti apocalissi piene di zombie. Se solo potessi farne a mio piacimento non farei altro che dormire.

Per quanto mi sia lambiccato a trovarne di nuove trovo che la paura che viene dall'incubo-trauma sia la più completa emozione umana: in essa si concentra tutta la terrificante esperienza del vivere fino ad affacciarsi un tantino oltre la morte. Il risveglio è sempre una delusione.

Tutti soffrono, nessuno vive bene. La vita è una maledizione. Eppure è anche qualcosa di unico e irripetibile; vivono, in ogni attimo, tramonto e alba, felicità e dannazione. Dilaniati dall'evidenza che toglie il respiro, avrebbe forse più senso perdersi nel sorriso di una ragazza, nel gioco di un momento.
Quale liberazione sapersi niente. Non resta poi che fingersi qualcosa.

Grazie a Pessoa ho scoperto la metafisica quotidiana, la prosopopea del banale. Più che scoprirla ho capito che poteva essere interessante.

Quale enormità saper scrivere e regalare immensità a chi legge; e pensare che chiunque potrebbe farlo, e se non tutti molti: bisogna solo avere voglia di contribuire alle cose. Aver voglia di disperarle.

Le stelle sopra di me; l'abisso dentro di me.

Basta pensare di dover morire, che non esisteremo mai più in tutti i prossimi universi, e subito passa la voglia di fare alcunché, soprattutto di farci del male.

Sento già l'inverno che viene, le desolazioni e la solitudine delle cose. Covo in me un gelido vento, e l'immobilità di chi muore di freddo.

Tutto esiste solo nel nostro cranio, al di fuori solo buio. Ecco perché i teschi sono così evocativi: vederne uno è come guardare tutti i mondi.

Ma io sto solo sognando, in questo eterno dipanarsi di sciocchezze e reazioni atomiche.

Se mia moglie fosse una strega saprebbe tutto, anche come morirei. Glielo chiederei subito, e poi attenderei bevendo.

Tutti gli orrori nascono in casa, tra la famiglia. Quanto vorrei essere nato nella tana di una talpa, a scavare, scavare, scavare fino a perdermi nella terra.

La poesia è la misura delle nostre malattie; più siamo poeti, più la vita non fa per noi. Il vivere, discesa nell'immediato, non si addice alle cospirazioni dell'animo in tormento.

Morire non fa male se ci facciamo nave, e l'infinito si riassume in tanti porti, franchi, dove anche il più maledetto può approdare.

Cantano le rane, borbottano i rospi; sviolina la natura, crea sinfonie di libellule e liane, radici e insetti: lungo il fiume si fa della grande musica.

Nel massacro dei popoli europei, la prima guerra mondiale, per infondere coraggio ai soldati davano loro un bicchiere colmo di grappa. Capaci in tale modo di farsi dilaniare in un grido di battaglia, non si capisce perché lo stesso trattamento non venga usato oggi per chiunque si diriga verso il moderno squartamento quotidiano.

Domani morirò, oggi vivo: che senso ha questo andazzo, questa corrente vitale?
Andiamo in guerra, odiamo, detestiamo qualcosa, lottiamo, fuori le spade! La vita è guerra. La pace è morte.

I pescatori notturni hanno capito tutto; essi, dagli scogli dell'esistere, cercano il tormento che abbocca. Squartatori per vocazione, attendono la loro vittima dalle onde del caso. Ma era meglio naufragare subito.

La cicala scandisce le ore del giorno; il rospo ammorbidisce quelle della notte: vorrei una bestia che ricordasse l'assurdità del tempo, e me lo rendesse più dolce; una bestia anestetizzante.

Il disgusto si porta via la mia vita, sebbene gli abbia detto che l'universo non ha fine. Non vuole sentire ragioni.

Mi addormento e sogno di non esserci, di non esistere. Poi dal sonno il mio non esserci sogna di essere, e allora mi sveglio. Persino il mio inconscio mi condanna all'esistenza.

Volammo tutti al centro dell'universo: le stelle fecero di noi una grande luce.

Vivere sapendo che non serve a niente; amare conoscendo i limiti della specie; farsi degli amici, noi, condannati alla cenere, noi che precipitiamo, noi, Icaro di un sole nero, cadiamo nel mare del mito, e che ci pensino le leggende a narrarci, sempre che qualche civiltà aliena sappia leggerle.

Ho sentito che l'universo ha iniziato una lenta vecchiaia eterna. A quanto pare le galassie vanno esaurendosi... Eppure io sento ancora il bisogno di andare su youporn.

L'amore non corrisposto è quello che più ci avvicina alla verità. Intrappolato in un tormento senza vie d'uscita ha come ovvia conclusione la riconsiderazione dell'utilità di vivere.


Ho deciso che posso benissimo perdermi le prossime eternità senza troppi rimpianti.

La vita è niente. Esiste solo il dolore. Se la sessualità è in grado di farcelo dimenticare è giusto proibirla.

Nessuno può permettersi di dare consigli se non si è mai contorto di dolore su un letto desiderando di non esistere, di non essere mai nato. E in quel caso non se ne ha più alcuna voglia.

L'unica cosa che non mi sento di criticare del cristianesimo è la sua forsennata sessuofobia.

Pur non credendo a nulla tutte le religioni mi interessano fino alla commozione. Non esiste rimpianto più grande di Dio.

Non posso fare a meno di immaginare il nirvana senza pensare a un viaggio nell'iperspazio.

Se nella vita non posso fare il negromante allora non vale la pena di fare alcunché.

Dov'è finita l'antica sapienza umana, quella dei popoli che piangevano per la nascita dei figli, e invidiavano chi era morto?























sabato 8 agosto 2015

Riccio Capriccio 1 - Strani incontri

Riccio Capriccio decide sul da farsi



Riccio Capriccio dondolava goffo verso la stradina di campagna, tagliando pigramente il campo degli ulivi secolari; e ogni tanto si guardava in giro per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Poco prima d'esser giunto all'incrocio del grande abete notò un topolino che guizzava lesto fuori e dentro della sua tana, e poi un altro, e un altro ancora, sicché parevano traslocare i loro beni dal vecchio posto al nuovo; presi com'erano non s'accorsero di Riccio, che anche se goffo ci sapeva pur fare, e dopotutto non si sopravvive centocinquanta anni in natura se non si sa badare a se stessi: tanto egli era vissuto.
Così, senza che se ne accorgesse, ne prese uno poggiandogli una zampetta scura sulla coda. Era tutto scuro Riccio Capriccio, con un muso sudaticcio e le spine dalla punta bianca; non che fosse un bel vedersi, anzi, quasi tutti lo consideravano bruttino - aveva però tutto ciò che gli serviva.
Pigramente, col fare suo un poco capriccioso, diede al topolino che teneva per la coda un morsetto in testa, si sentì un ploff e uscì qualcosa; leccò quel che colava, ed era rosa scuro, con venature nerastre già sporche di terra: gli altri topolini terrorizzati svanirono. Poi Riccio mangiò lentamente il resto, si stiracchiò un po' e prosegui il suo cammino.
Arrivò sulla stradina di campagna nell'ora più calda del giorno, col sole a raccogliere i silenzi del mondo tutt'intorno. Era troppo presto per le creature che escono dalla terra - solo alcuni topolini sciocchi saltellavano d'intorno. Con la sua andatura dondolante Riccio scese fino al fiume.
Qui ovunque erano pietre e legni sbiancati dal calore, ché di acqua ve n'era poca tutta racchiusa in piccole polle. Ogni tanto qualche grosso uccello bianco scendeva a bere; persino i gabbiani si spingevano fin lì dal mare, poiché vi erano grossi rospi succulenti e viperelle da beccare.
Prendendo la via meno ardita, evitando i perigli del campo aperto, Riccio trotterellò fin giù lo stagno denso d'ombre, dove assonnate le rane borbottavano in coro: "non c'è nessuno?", diceva il grosso Rospo, "nulla giunge dal bosco?", gli facevano eco le rane, e tra un gracidio e l'altro tenevano d'occhio le pulci d'acqua che volavano sulle acque limacciose.
Riccio Capriccio, capriccioso com'era, volle mangiarsi una rana, per cui s'ingegno a cantare lui pure; avvicinatosi un poco disse: "non c'è nessuno", e ancora: "nulla giunge dal bosco", e le rane, e pure il grasso Rospo, saltarono qui e là per afferrare una pulce da mangiare, e tanto saltarono tranquille che una finì sulle spine di Riccio e immediatamente ne fu dilaniata. Poi Riccio senza fretta prese a mangiarla, e non appena lo scorse il Rospo si sentì questo: "attenti al Riccio", e le altre rane dissero "si sta mangiando una di noi!".
La rana che veniva mangiata, ancora viva, rispose loro: "che male, che male! vorrei già esser morta!".
Poi Riccio Capriccio se ne andò via, lasciandosi dietro il coro indignato dei figli del fiume.
Il crepuscolo allungava le finora timide ombre, e nel cielo si spandeva un lucore anemico. Riccio Capriccio pensò bene di andare a prendere un po' d'aria su colle vento, giacché a quell'ora vi si poteva meditare con gran sollievo.
Ma colle vento era occupato, e un grosso micio nero come la tenebra vi era seduto proprio al centro.
- Chi sei che vieni qui a disturbarmi mentre penso alla notte che presto ci cadrà sopra? - disse il micio a Riccio.
- Sono Riccio Capriccio, ed ero giunto qui in cerca del vento fresco - rispose egli al gatto.
- E invece hai trovato la tua morte, preparati - e con un balzo gli saltò addosso.
Subito Riccio capriccio si chiuse e divenne un pugno di aghi e dolore, così stretto che nemmanco il naso gli si vedeva. Sembrava una castagna crudele.
E il gatto disse: "Ma che modi, volevo mangiarti e invece mi son punto! Potevi dirmelo che eri un riccio!".
Allora Riccio si riaprì e guardando in su gli sorrise birbo, poi disse: "andiamo nella notte, scommetto che anche tu hai un capriccio".
- Lo puoi ben dire - gli rispose il grosso gatto nero. E insieme si incamminarono sotto le prime stelle; la luce del cielo si rifletteva sulle viscere della rana, ancora appese agli aculei di Riccio.

mercoledì 22 luglio 2015

Mare

Un uomo abbronzato




Fa caldo, fa troppo caldo. Mi sveglio con la maglietta inzuppata di sudore. Non ho appetito. Non mi va di fare niente. Al pomeriggio prendo la bici e vado al mare. Anche l'acqua è calda; galleggio. Plom plom plom, faccio il morto. Tutto fluttua, gira. Quasi quasi non esco più dal mare, nuoterò verso gli scogli, mi faccio un po' le braccia. E poi cala anche la panza. Va beh, tanto pure stasera mi sfondo di birra, ma magari nuotando qualcosa smaltisco... che fatica. Le alghe puzzano, l'acqua è sporca perché troppo calma. Eccomi qui, sullo scoglio, da solo. Che palle. Ora me ne ritorno verso riva, striscio piano piano sul bagnasciuga e sto un po' a guardare le ragazze. Bah, sì, non c'è male. Quelle troppo carine mi stanno istintivamente antipatiche. Andate a fanculo.
Mi piace qualche difetto, e anche un po' di ciccia. Mi piace anche la cellulite. C'è più roba.
Certo che 'sti bambini però... che palle. C'è una bambina obesa che a 8/9 anni avrà già una seconda e non ha il costume. Ma come si fa a mandarla in giro così? Ora le butto qualcosa sopra io, è imbarazzante. E queste tre? ma guarda queste, madre e due figlie che giocano a carte sotto l'ombrellone. Età: indefinibile. Mica facile dare un'età a chi sta in costume. Direi 16, 20, 45. La sedicenne non ha preso il seno della madre, che sfigata. La ventenne, invece, ha due sfere perfette. Starebbero su allo stesso modo anche senza costume. E giocano a carte. Ma che cazzo dai.
Venite un po' in acqua. Ora le fisso. Giocano. Va beh...
Subito davanti a me c'è una signora in sovrappeso, avrà 50 anni. A occhio e croce direi che ha una settima, due tettone enormi scoperte fin quasi al capezzolo. Si vede proprio tutto, pazzesco. Ogni tanto si butta in acqua, poi esce, poi rientra. Fa così tutto il giorno.
Sugli scogli ci sono i bambini che pescano. Una volta le facevo anche io quelle cazzate, ora preferisco stare qui, fermo, immobile. Magari mi faccio un'altra nuotata.
La gente naviga sui materassini, qualche canoa si spinge fin dove l'acqua è buia. Adesso esco.
Doccia, collutorio per i punti in bocca, asciugamano e libro. Si legge bene qui, e non c'è molto casino.
Un po' di crema protettiva e via. Leggiamo. Ogni tanto detergo il sudore dagli occhi.
Al mare porto solo libri che possono essere sporcati, un po' di crema ci finisce sempre.
Ogni tanto mi guardo intorno. Toh! una senza reggiseno. Col marito e il figlio. Stranezze.
Bevo, ho l'acqua congelata, la bevo via via che si scioglie. Ah, che fresca.
Troppo fredda, mi fa sudare. Inizio a sentir caldo, finisco il capitolo e torno in acqua.
Una coppietta si bacia. Godetevelo finché dura. E dura poco, pochissimo, phuahuaha!
Ora passo e gli do un ceffone dietro la testa. Vai da un'altra parte a far finta che la tua vita abbia senso, puah! Tanghero!
Due ragazze, sui vent'anni. Una bionda alta e magra, l'altra mora, bassina, cicciotella. Mi passano vicino un paio di volte, poi si curvano sui loro cellulari. Io preferisco la mora, è più morbida, ma chissà di cosa stanno parlando tra di loro, probabilmente di cose che sono lontane da me come altre galassie, come universi irraggiungibili. Oh forse no, di certo non lo saprò oggi. La mora ha comprato un costume decisamente piccolo, o è dell'anno scorso. Sta sempre ad aggiustare, a tirare. Con un po' di fortuna qualcosa uscirà. Tanto io sto qui, non mi muovo.
E questi? eccoli qui, gli adolescenti che giocano a palla sulla riva. Ma andate a scopare porcamadonna invece ti tirarvi le pallonate, imbecilli. Che poi non si è mai divertito nessuno in quel gioco, lo fanno per adempiere a qualche strano rito sociale. Se mi arriva il pallone vicino glielo buco. Tanto sono più grosso di tutti loro messi insieme. Nuoto vah.
Bisogna che mi rinfreschi il più possibile così da essere in grado di superare la serata senza disperarmi troppo. Mi serve una scorta di fresco. Ma l'acqua è calda, a entrarci quasi non te ne accorgi. Pure quella della doccia è calda. Ecco una coppia multirazziale, lui è chiaramente nord africano, lei è bionda. Hanno anche generato un simpatico sgorbietto. Oibò, non mi va di arrabbiarmi.
Ogni tanto passano dei negroidi carichi di paccottiglie da vendere. Radioline, braccialetti, i bastoni per i selfie. Non li avevo mai visti dal vivo, allora esistono davvero.
Ai ragazzini non sembra vero di poter sentire le musiche dell'estate in spiaggia, guarda come si divertono i nuovi scemi coi prodotti dei negri.
Basta, sta cosa deve finire, ora esco e... e niente, aspetta però! la mamma con le figlie viene in acqua. Oh, bene, voglio proprio vedere. La ventenne ha un reggiseno arancione chiaro che si vede dallo spazio. Mio Dio! Mi sorprendo a essere un dilettante, non ho neanche qualcosa per fotografarle!
Sono totalmente impreparato a simili eventi, dovrò rimediare. Bon, vanno a largo, sanno nuotare. Io speravo più in una serie di saltelli nell'acqua bassa. Uff. Nulla va mai bene.
Tra l'altro sono già stanco. A dire il vero io stanco c'arrivo, farsi mezza città in bici è dura. Certe volte faccio fatica a tornare. Ma va bene così, bisogna buttare giù la panza.
Verso le sei del pomeriggio sull'acqua brillano strani codici segreti, a guardarli sembra tutto programmato. Tra un po' mi vesto e torno a casa. Non ho combinato NIENTE, nulla di nulla. Ho preso del sole, ho nuotato. Ho guardato. E basta.
Vale davvero la pena di venire qui tutti i pomeriggi? di certo in casa con questo caldo non si può stare, e poi, a dirla tutta, non ho di meglio da fare.
E quando uno non ha di meglio da fare, va al mare.


domenica 14 giugno 2015

Non essere mai nati




Indubbiamente sarebbe stato molto meglio non essere nati. Ricevuta questa disgrazia, non resta che sperare di morire bambini. Ancora inconsapevoli, la morte potrebbe somigliare a un gioco. Se invece il fato si accanisce ulteriormente e si continua a vivere, allora è bene rimanere nella più totale ignoranza. Da contadini devoti di Dio non avremo che da temere le stagioni e che il raccolto sia soddisfacente. Una sera la Morte verrà a cogliere noi entro quattro mura semplici, in un letto di paglia. E saremo troppo stanchi per lamentarcene.


A Delfi, sul tempio di Apollo, era così scritto: conosci te stesso. I greci ne fecero il loro emblema. Ma che disperazione capire cosa siamo: beate le bestie, esse si ignorano.

I campanili, attici di un Dio guardone, ci tormentano con la loro mania dell'alto. Meglio sarebbe essere circondati da neri monoliti riverberanti caos. Avremmo allora la scusa per massacrarci a vicenda senza più alcuna reticenza, così che finalmente Dio abbia qualcosa cui interessarsi.

Incredibile che le persone non inizino a massacrarsi a vicenda per il semplice fatto di trovarsi l'una davanti all'altra. Se qualcosa ci salva dal massacro definitivo è certo il non essere all'altezza del nostro odio.

Pare sensato credere che Dio, inizialmente, creò l'uomo per vederlo combattersi. Appassionato di massacri, feticista dell'orrido, quale delusione deve aver provato nell'essere frainteso dai suoi stessi servi. Nessuna empietà fu mai più grande di quella dei pacifisti.

Appare chiaro come la conoscenza dell'interiorità umana di Cristo fosse raffazzonata. Nel suo esortarci a non fare agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi egli ignora completamente il piacere che prova l'uomo nel farsi del male. Creatore di fraintendimenti, seminatore di dubbi, non fece altro che confondere le idee a tutti. Persino il silenzio di Dio gli è preferibile.

Quel matto di Odino aveva certo capito tutto: barba lunga e vedere da un occhio solo. La prospettiva dell'ubriaco.

Stephan Vladimirovic si uccideva ogni sera con la vodka. Ne beveva fino a svenirne, a riconoscere nel buio le lucine etiliche. Tutto il genio russo vortica intorno alla perdizione. Un paese così vasto e rarefatto non può che agognare l'annullamento. Per questo diedero tanta importanza a Dio. Per questo sono un popolo eternamente giovane.

In realtà nella civiltà non troveremo mai alcun senso. Per quanto si cerchi, l'unica verità è nella barbarie. Libertà assoluta.

Questi valori europei, questa propensione alla tolleranza, all'accoglienza, all'elargire diritti umani, non li sento, li vivo come una resa, una sconfitta, una sorta di: non siamo più potenza economica, non abbiamo supremazia militare, tanto vale diventare tutti pretini sciocchi, umanisti sconsiderati. Altruisti per necessità, panrazziali per sfinimento, pur di giustificare la nostra disfatta ci divincoliamo nei ragionamenti del terribile.
Resi anemici dall'agonia del cristo, impoveriti da una società intrappolata nell'immediato, sarebbe invece necessario ritrovare una cocciutaggine inaudita davanti alla storia. Il coraggio di riscoprirsi apertamente feroci.

Duemila anni di crocefissi addolorati hanno prodotto l'elogio della sofferenza nella cultura popolare. Incapaci di superare la dimensione umana vi siamo annegati dentro.

Invece che Dio, demone del deserto, pazzo di tutte le perversioni della sabbia, è Lucifero che dovremmo seguire. Il nostro fato brucia allo stesso modo: da un paradiso perduto entrambi cadiamo verso l'inferno dell'avvenire.

C'è un momento in cui sono felice. I primi venti minuti quando mi alzo la mattina. Il sonno ancora appeso alla testa mi impedisce di vedere chiaramente la vita.

A chi mi dice: "non sai vivere", io rispondo così: forse che c'è un modo migliore degli altri?

In generale non accetto consigli da nessuno che veda più di un'ora di televisione al giorno.

Quando i gatti dormono al sole è a Dio che pensano?

Se non fossi nato, invece che in un cimitero, avrei la mia tomba nell'infinito: in tutto ciò che come me non sarebbe mai stato.

Precipitando verso l'ultimo gorgo ci rendiamo conto che è lo stesso da cui uscimmo alla nascita.

Dacché ho ricordi non mi sovviene alcuna esplosione di felicità che non fosse legata a oggetti materiali. Persino le mie emozioni diffidano del prossimo.

Il più buon profumo del mondo è la pelle abbronzata delle ragazze. Gliela vorrei strappare.

Come barche nella notte ci sfioriamo senza riuscire a vederci. In compenso si sente benissimo che tutto scricchiola e traballa.

Il saggio dice che c'è più saggezza in una bottiglia di vino che in tutti i libri di filosofia. Nella vodka dev'esserci certo il segreto per viaggiare tra i mondi.

Siamo solo all'inizio della storia. Ci sarà di certo dopo chissà cosa, tra migliaia di anni saremo noi il mondo antico. Ci studieranno come reperti del passato, ma non avranno capito nulla in più di noi. Ogni loro risata noi l'avremo già condannata e resa vana.

In chi fa colazione con pasta e cappuccino c'è qualcosa di nauseabondo e sconfitto: essi sono gli omosessuali delle abitudini...

Fumare al mattino mette addosso una strana acidità, ma io ho smesso, ora mi alzo dopo mezzogiorno.

Bere attorno al fuoco ha un effetto benefico. Ci si dimentica di stare bruciando noi stessi.

C'è più armonia in un gatto che in tutta la storia umana.

Se Gesù Cristo avesse intuito cosa sarebbe divenuta la sua chiesa avrebbe forse accettato le lusinghe di Lucifero nel deserto. Sarebbe allora divenuto un Cristo Nero, l'oscuro signore di cui ha bisogno il mondo.

Vedo i parrocchiani cercare una forma di unione nel loro culto, un'aggregazione cameratesca, e dico a me stesso: non erano meglio le SS?

Chi battezza il proprio figlio è complice di san paolo, il pazzo che voleva insegnare la tragedia ai greci.

Sapendo benissimo cosa sono le donne, seguitiamo a paragonare l'incontrarle per caso a esplosioni solari, a nebulose che si incendiano di viola: che stupidità cosmica.

Come doveva sentirsi bene Galileo il giorno in cui ha capito che la terra gira intorno al sole. Mostruosa intuizione la sua, quella d'aver capito che tutto è alla deriva. Galileo patrono dei naufraghi.

Gli autori morti sono sempre preferibili. Naturalmente si tratta di una scorciatoia psicologica. A nessuno piace adorare un proprio simile, facendolo si finisce per provare una specie di odio verso l'oggetto della propria ammirazione, una sorta di: mi fai sentire inferiore! Se è morto, invece, nulla importa. È come un personaggio dei suoi libri ormai.

Sento una vicinanza verso gli ultimi, gli estromessi da ogni avvenire, che fa di me un possibile cristiano. Abbagliato dal vuoto idolatro ogni perdizione.

Cristo fu il profeta di tutte le sconfitte. Il padre di ogni rinuncia. Senz'altro il primo nichilista della storia.

A cosa credere ancora dopo che ogni cosa buona e giusta in questo mondo è stata sconfitta? L'eroina sarebbe forse una divinità accettabile.

Nulla è più salvifico davanti alla vita che dare e ricevere qualche cazzotto. Questo Socrate non l'aveva detto.

Quando sarò morto non io ma il mio dolore avrà un suo fantasma, esso sarà esistito tanto più intensamente di me da perdurare al mondo.

Dovremmo tutti adottare un cadavere e osservarlo almeno due ore al giorno. Dalle serafiche putrescenze iniziali sino al consumarsi dell'ultimo osso impareremmo a comprenderci meglio: una comprensione definitiva.

Quasi senz'altro, tranne per alcune preziose eccezioni, sarebbe meglio non esser nati. Tuttavia il potersene lamentare attenua inspiegabilmente il senso di quest'orrore, lo mitiga in stoicismo. Ci salva dallo strapparci via. Se per maleficio divenissimo tutti muti, incapaci di comunicare, l'umanità sparirebbe in pochi attimi di disperata ferocia. O soffocherebbe silenziosamente nel gorgo della propria indicibilità.


























mercoledì 10 giugno 2015

I cattivi

La mia giornata tipo



A me sono sempre piaciuti i cattivi, in ogni situazione ho voluto che vincessero. A volte ho creduto che i buoni, in film, libri, cartoni e altre cose varie, esistessero solo allo scopo di essermi personalmente antipatici.
Sinceramente angosciato dal pressoché sistematico trionfo dei buoni, nasceva in me un'incredulità infastidita davanti a sconfitte che sentivo mie.
Irretito fino allo spasmo dalla caduta di tutti i miei eroi neri, finivo per disinteressarmi a qualsivoglia trama nel momento in cui ai buoni si spalancava la vittoria. Che tale meccanismo nascesse in giovane età da alcune preferenze estetiche proprie del male (maschere, mantelli oscuri, sembianze mostruose) viene logico pensarlo. Tuttavia, per quel che riguarda l'oggi, niente affatto sopita la mia antipatia per chi fa le parti del bene, è l'assurdità davanti a questi due ruoli a sconvolgermi. L'inconsistenza di bene e male ha ormai ai miei occhi qualcosa di tragicomico e pestilenziale. Abbandonata ogni velleità distintiva delle varie essenze, disilluso dal vuoto di ogni intenzione, non comprendo a quale scopo insistere ancora in questo gioco delle improbabili parti.
A oggi ancora non mi sovviene un solo cattivo la cui malvagità fosse assoluta, né un buono la cui bontà possa in qualche modo dirsi più sensata del suo contrario.
Che questo valga anche fuori da ogni rappresentazione umana, volendo considerare la vita di tutti i giorni come qualcosa di autentico, appare indubbio. Costretti ormai a basarci per le nostre decisioni solo su assiomi sociali e convenienze personali, abbiamo smarrito qualsiasi riferimento di eternità.
Sarei lieto di dare un premio a chi sapesse indicarmi un cattivo assoluto, ossia un cattivo i cui scopi e le cui motivazioni sono totalmente insensate. Volendo considerare il male come un concetto contrario a qualsiasi patto tra uomini o forma di vita, fallendo di trovare il suddetto cattivo stabiliremmo l'assenza del male. Da lì alla scomparsa di ogni bene il passo è breve, appena un abisso più in là.
Manichei per abitudine, detrattori del nemico di volta in volta indicato, incapaci persino di discernere la realtà fittizia di un film, come potremmo comprendere quella insipida e spietata del mondo "reale", anch'esso col suo gioco di buoni e cattivi per raccomandazione?
Quale mutamento nel comprendere che non vi è maggior cattiveria in san francesco che in Sauron di Mordor, e che entrambi rispondevano semplicemente ai loro stimoli primordiali - ritorno al vangelo del primo, ritorno alla tenebra primordiale per l'altro.
E forse che in un Lucifero precipitato può esservi più cattiveria che nei fedeli riuniti in chiesa?
Cacciatori di sensazioni col vizio dell'esasperazione delle parti, elargiamo sfondi di paradiso o di inferno a seconda del contesto in cui essi vengono fabbricati; ma quale delusione concludere che né l'uno né altro consistono in nulla più che la sterile pretesa di aver capito l'universo, di essere giunti alle conclusioni siderali della ragione.
Allora nel momento dello smarrimento giunge in nostro aiuto l'istinto dei primi anni di vita, a ricordarci che un mostro, o un signore mascherato, o un guerriero coperto di nero, sono - esteticamente - i cattivi perché diversi, e ogni buono che ci somiglia non può che esser tale.
Torniamo a vivere in uno specchio dagli strani riflessi, dove ciò che ha senso riflette un'immagine similare alla nostra, in opposizione a loro, i diversi. Specchio che per me ha sempre funzionato al contrario.
Bene e male esistono: il male è ciò che nuoce a noi, mentre il bene è ciò che non ci nuoce.
Ma sarà così?

Ora poniamo il caso che voi facciate qualcosa che possa essere tacciato per cattivo, come ad esempio toccare il sedere a una ragazza, rubare un portafoglio o, perché no, dar fuoco a un ospedale. Bene, cosa avrete fatto alla fin fine? Certo, in nome di un qualche codice redatto da umani vi si potrebbe condannare, senz'altro; ma davanti all'universo? Come avere colpe dinnanzi a questa immensità così ostile e imperfetta a ospitare la vita?
Parola mia che nessuno, per qualsiasi cosa voi facciate, può davvero definirvi in colpa. Lo dicevo prima, che forse Sauron era colpevole? No, voleva distruggere tutto ma coi suoi bei motivi.
Ecco io penso che la colpa si possa definire tale solo nel caso in cui sia puramente casuale e senza intenzione alcuna. Poniamo che ora senza motivo mi alzo e sgozzo la mia ragazza. Bene, chi ne ha tratto giovamento, e v'era forse un motivo? Allora sono colpevole: assolto per vacuità dell'atto. Dio finalmente applaude.
Anche qui niente da fare. Come si vede colpevoli non se ne trova mai.
E così eccoci qua vivi e coscienti: e la colpa di questo di chi è? Scagionato da tutto e pur tuttavia auto condannatosi al silenzio eterno, non sarà con Dio che ce la prenderemo, né col tempo che certo non ha reclamato la nostra presenza. Che sia dell'ozio disteso a guardare il cielo o di una ricerca ossessiva per sviluppare il riflesso perfetto? coscienza ne abbiamo e l'eventuale colpa sarebbe troppo dilatata nelle generazioni per focalizzarsi in un'accusa diretta. Della vita qualcuno possiamo incolpare, ma a questo giudizio retroattivo vi sarebbe mai fine? Per non sorprenderci nel gesto di voltarci e additare chi ci ha messo al mondo in un riverbero infinito da qui all'inizio del tempo, soprassediamo a questa colpa rinunciando a darle un volto ultimo - che mai troveremmo.
Quale virtù nel merito, o colpa nell'errore. Tutto è uguale.
Andando alla deriva nello spazio sino alla sua ultima disintegrazione, questo pianeta si farà tomba di tutte le nostre polveri, ivi comprese quelle balenate dalle menti.
Se un qualche essere dovesse per caso passare e dare un'occhiata alla landa prosciugata di ogni vita, a questa necropoli smisurata, come potrebbe pensare che un tempo ci furono creature dedite al metafisico e al bestiale. Certo passerebbe oltre, senza però che il fato manchi di riservargli un brivido di smarrimento. E in ciò risiederebbe il nostro senso.



venerdì 5 giugno 2015

Esercizi di ammirazione

Kit per i viaggi


Intervista ad: Alex
Domande di: Xela


Iniziamo. Cosa fai ora nella vita?
Leggo Cioran e bevo amaro falcone.

Cos'è l'amaro falcone?
In pratica un fernet falso. Ma costa poco e va bene così.

E Cioran ti fa stare meglio?
Mi trascina via.

Inizia l'estate, come ti senti?
Vorrei andare in coma e risvegliarmi a ottobre.

Però in spiaggia è pieno di belle ragazze.
E con questo? non capisco cosa c'entri.

Beh.. lasciamo stare. Mare o montagna?
No senti, se fai domande del genere me ne vado.

Bene. Bene... come ti collochi politicamente.
Appena un po' a destra di Hitler. E non amo il popolo.

E filosoficamente?
La filosofia mi ha stufato. Non serve a niente. Dopo Eraclito hanno detto tutti le stesse cose.

Avrai un tuo modo di pensare, non lo hai?
Certo, ma non la chiamo filosofia, la definirei piuttosto reazione vitale.

Spiegati meglio.
Osservo e adatto il mio pensiero a ciò che ritengo opportuno.

Quindi sei un razionalista?
Per niente, spesso sono tutt'altro. La razionalità è sopravvalutata. Ho delle necessità nefaste.

Il tuo paese come lo vedi?
Da lontano, possibilmente me ne sto in collina.

Va bene, cambiamo argomento. Segui qualche sport?
No.

Giochi a qualcosa?
Sì ma non mi va di parlarne.

L'amore come va?
No comment.

Ammiri qualcuno?
Beh, certo.

Chi?
Alcuni scrittori, ma anche gli ubriaconi per strada. I malati in generale.

Cosa ti piace dei malati?
Il loro non essere sani.

Hai qualcosa contro i sani?
Fondamentalmente sono inutili, come non esistessero.

E gli anziani, loro ti piacciono?
Ma sì, perché no. Anche se di per se invecchiare è assurdo.

Ti senti ancora giovane?
Sinceramente no.

Quando te ne sei accorto?
Quando ho iniziato a odiare i ventenni. A vent'anni.

Hai molti amici?
Dipende. A volte sì, altre no.

Qualcosa per cui vale la pena vivere?
Bella domanda.

Qualcosa che detesti?
Innumerevoli.

Dimmene una.
Bah... dai ma che ne so. Ora non mi viene.

Una qualsiasi.
Boh, in questo momento detesto un cinghiale che urla qua fuori. Non ho capito cosa vuole.

Va bene, e di internet cosa ne pensi?
Cosa dovrei pensarne scusa, ma che domanda è?

Lo trovi positivo?
Dai. Senti, mi hai rotto le palle. Ora vado.

Aspetta: tette o culo?
Non lo so neanche io guarda, in realtà non c'è una risposta. Credo sia più facile sondare il pozzo di Democrito.

Possibile? devi avere una preferenza.
No. Cioè, sì. Ma dipende. Lasciamo stare su.

Ti piace viaggiare?
Se ho il fernet vado ovunque.

Hai preferenze?
Assolutamente no.

Che tipo di ragazze ti piacciono?
Ma non lo so, boh. Sono domande inutili.

Il tuo paese preferito?
La Russia. Sono tutti pazzi.

E quello che detesti? se ce n'è uno.
Direi gli USA ma in realtà non è vero. Non c'è un paese che detesto completamente.

Come ti senti ora?
Ho caldo e vorrei bere.

Cosa farai appena finita l'intervista?
Berrò.

Progetti per il futuro?
Ma quando mai.

Abbiamo finito, ciao e grazie.
Ciao.

Ancora una cosa: vuoi lasciarci con una frase in particolare?
Non mi viene in mente nulla.

Puoi pensarci qualche secondo, se vuoi.
Se mi fai bere tene dico quante vuoi.

Cosa gradisci?
Un bicchierino di fernet. Facciamo tre.

X3


Meglio?
Non esiste il meglio per me. Solo gradi di tolleranza alla realtà. Ora tollerò di più.

Questa frase?
Ma che frase, per piacere. Piuttosto andiamo avanti con l'intervista.

Dunque vediamo... prima le ho chiesto se ha progetti per il futuro. Le è venuto in mente niente?
Ah, se bevo mi dai del lei. Bene. Mi piacerebbe ammazzare qualcuno. Penso non ci sia altro modo di sfogarsi davvero in questo mondo. Siamo tutti guerrieri mancati.

Qualcuno in particolare?
No uno qualsiasi, fa lo stesso.

E in quale modo?
Non lo so. Sono cose che se inizio a pensarci seriamente poi le faccio. Meglio rimangano vaghe.

E sulle ragazze cosa mi dici? Schiarito le idee?
Guarda le ragazze mi hanno proprio rotto. Lo sai cosa vorrei? castrarmi. Non lo faccio perché quindici anni fa ho visto un film di eunuchi che cantavano, e tutti si lamentavano di essere divenuti troppo apatici. A me dell'apatia non fregherebbe neanche poi tanto, è solo che il ricordo di quel film mi frena. Non so neanche come si chiamasse. La sessualità umana è una maledizione.

Capisco. Ma sui gusti...?
Questo davvero mi sembra poco interessante. Poi più passa il tempo meno sono convinto di avere dei gusti sessuali.

E di internet?
Ora sono fissato con Putin. Leggo qualsiasi articolo sulla Russia, pure quelli del più infimo quotidiano online. E anche i commenti. Terrificante. Internet ingrandisce ogni mania.

Cosa ne pensi?
Mah, è difficile. In definitiva penso che chi guarda il TG5 campa meglio.

Ora una domanda, per così dire, classica: come ti vedi tra dieci anni?
Morto.

Così giovane?
Dato che non ho avuto la fortuna di morire bambino, almeno voglio evitarmi di invecchiare.

Hai paura di invecchiare?
Non è paura. Più che altro lo trovo inutile.

Taluni dicono che si inizia a vivere a sessant'anni.
No comment.

Come pensi di morire?
Mi ammazzerò, che domande. Il suicidio è l'unico atto di libertà possibile.

Hai già in testa come farlo?
Mi piacerebbe uccidere trenta o quaranta persone con un mitra e poi spararmi. Ma sarà difficile trovare le armi.

Ti piace la pubblicità?
Sì, la trovo fantastica. Non è neanche luglio e ti fanno credere che tra poco sarà natale. L'uomo di oggi non si merita di meglio.

Te l'ho chiesto perché in fondo, un'intervista come questa, è un po' come farsi pubblicità.
Credo sia più uno sfogo. Dopotutto la realtà non è stata distorta.

Qual è il significato della vita?
A parte giocare tutti i Castlevania?

A parte quello.
Allora è senz'altro arrivare a vedere le cose per quello che sono. Ma non sono sicurissimo. A volte credo sia più giusto non capire una puttanamadonna di niente e guardare i quiz televisivi. Voglio dire... se parti dal presupposto che la vita è un qualcosa di cui sbarazzarsi, fuori dal suicidio, una cosa vale l'altra, no?

Quindi il senso della vita è uccidersi?
Sì, ma solo se sei al culmine della disperazione e inizi a vedere la realtà come un lampo viola. Altrimenti non vale, conta come ritiro.

Ci vai al mare?
Ci vado solo in Liguria, perché è bello e ci sono i bunker tedeschi. Sull'adriatico non serve a niente, tanto più che in spiaggia le donne sono tutte sfocate. E il sole tramonta dalla parte sbagliata.

La chiudiamo qui?
Ma sì. Magari prima mi farei un altro sorso.

Meglio?
No, ti ho detto che non va mai meglio. Sopporto solo di più

Credi ai fantasmi?
Credo agli uomini-fantasma.

E ai mostri in generale?
Sempre limitati alla sfera umana. Ma quando leggo un libro ci credo.

Cosa stai leggendo?
L'etichetta del fernet.

Intendo come libro...
Ah. Diverse cose. Inizio a pensare che la lettura sia uno sbaglio. Voglio dire, non mi sembra di stare meglio; non è una parvenza di felicità che inseguiamo? Forse la risposta è nelle droghe. Ma poi non è neanche vero, non so perché ho risposto così.

Ti droghi?
No, niente.

Ah, e come mai?
Mah, sai com'è... amicizie sbagliate.

La terra tra un milione di anni?
Macerie. E vermi delle macerie.

Dove vorresti essere ora?
In una stanza buia a spingere la faccia contro un angolo.

Piuttosto inquietante. Piangi mai?
Raramente. L'anno scorso mi è morto un gattino e ho pianto. Ma in un certo senso è come se lo stessi facendo anche adesso, senza lacrime né sconvolgimenti facciali. Se il mio viso facesse trasparire quello che provo al posto della faccia avrei un buco nero.

Direi che con questa seconda intervista abbiamo concluso. Un'ultima cosa: sei invidioso di qualcuno?
Difficile. La gelosia è scatenata dalla bramosia di qualcosa, e per desiderare con tale intensità è necessaria una vitalità esplosiva. Io vivo a malapena, in un distacco crescente fatto di note lugubri.

Esiste una salvezza metafisica per l'uomo?
Penso esista. Tuttavia è necessario ritenerla incompiuta sino a un attimo prima di morire. Ma per dire... ieri sera ero in un bosco pieno di lucciole. Un bosco stellato. Lì, per un attimo, ho avvertito una salvezza metafisica, un balenio frizzante. Ma sono solo attimi nell'eternità. A sommarli tutti, dall'inizio della specie a oggi, si arriva ad assemblare, forse, lo spazio di una vita, tanto essi sono rari e inafferrabili. Ma non fraintendermi, non ci trovo niente di bello. Anzi, trovo questa cosa terrificante.

Buon tutto, Alex.
Ciao Xela.


Aspetta! Una cosa che ti ha fatto ridere di recente?
Mhh.. questa.








giovedì 14 maggio 2015

Il tempo e altre infinità

Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell'aurora?


Ricordo di un barbone davanti al quale mi trovai un giorno. Camminava portandosi appresso una logora bicicletta. Trovatosi davanti a me sembrò non vedermi, e mi venne addosso. Alle mie rimostranze reagiva continuando ad avanzare come se non ci fossi. Dovetti scansarmi perché non mi franasse addosso.
Come niente fosse continuò ad avanzare. Incurante di tutto.
Quel barbone era caduto dal tempo.

L'esperienza umana del tempo è caratterizzata dal sentirsi profondamente dentro di esso e quindi appartenenti a qualcosa che avanza e in cui sperare, dall'appartenenza alla storia, dal riuscire a programmarsi nella temporalità. Io non ho più nulla di tutto ciò, sono sceso dal tempo.

I ricordi sono la somma di tutti gli orrori inflitti dal tempo, abdicarli significa non solo rinunciare all'eternità posteriore, ma anche ritrovare una genuina leggerezza e una libertà d'azione che sembrava perduta per sempre.

Il rapporto delle religioni col tempo si basa sul suo totale controllo. Loro pretendono che Dio vi sia da sempre. Eppure dev'esserci stata in precedenza una solitudine più profonda di quella di Dio, che somigli alla mia. Alla nostra.

Dio ci ha scagliati nel tempo per intrattenersi con le nostre bizzarre contorsioni. Spettatore per assenza, non partecipa al precipitare delle cose. Finora non sono giunti applausi.

Quando vedo un anziano non provo l'immediato senso di rispetto che la nostra società vorrebbe impormi, ma pena per il suo lungo incedere nel tempo. Trafitti dalla speranza che ci consuma illudendoci siamo capaci di tutto, persino di invecchiare.

Quando Dio ci avrà per sempre abbandonato per tornare nelle sue remote solitudini saremo costretti a farci un'idea oggettiva del tempo, un'idea che non sia incastonata nei disegni del divino. Allora ci estingueremo per disperazione.

A chi mi chiede cosa ne sarà di noi dopo la morte dico di pensare a cos'eravamo prima di nascere.

A volte mi chiedo se l'essere umano non sia nato proprio per far questo, soffrire nel tempo.

La vista di uno scheletro umano provoca in molti un senso di paura, la stessa paura che si prova quando ci si trova davanti a una verità essenziale. Rifuggiamo ciò davanti a cui non si può mentire.

La Chiesa non più come fede ma come intenzione, si sta ritagliando un suo posto nella modernità ambendo allo stato di forza buona e giusta. Tra cinquant'anni sarà possibile aderirvi pienamente dimentichi di Dio. Una chiesa marxista.

Vi è qualcosa nelle lacrime che ci riunisce a Dio, come un'aspirazione al nulla.

Qualcuno scrisse che Dio creò l'uomo per far sì che esso vedesse le bellezze del creato. Bene, le ho viste. E sono in lutto per l'universo.

Dostoevskij ha scritto che se Dio non esiste possiamo fare qualsiasi cosa. A quale scopo?

La caduta di Satana è forse l'unico momento che riesca a coinvolgermi nella sterile e bruciata dal sole mitologia cristiana. Egli è certo caduto dal tempo. È caduto nel tempo.

C'è qualcosa nel volto provato di Fabrizio De André, nel suo canto abissale, che mi ricorda Dio e la sua tragedia. Entrambi sfiniti da tutto paiono sul punto di frantumarsi in pianto.

Dove vanno le persone che incontro per strada? Esse cadono altrove, come lamenti dimenticati.

Se potessi parlare con Dio avrei tutto il diritto di lamentarmi di una creazione così imperfetta. Eppure forse non direi nulla, afflitto come sarei dalla sua disperazione.

Un qualche scrittore francese, ora non ricordo chi fosse, disse che per essere felici bisogna avere tre caratteristiche: stupidità, egoismo, salute. Sulle prime due non ho nulla da dire, ma sulla salute come requisito fondamentale per divenire felici non sono molto d'accordo. Solo nel tormento si può trovare Dio.

L'assoluto ha bisogno di una solida base da cui essere contemplato. La bara resta un punto di osservazione ideale.

Dicono che i condannati a morte raggiungano vette di disperazione e di sconvolgimento emotivo inarrivabili. Ma non lo siamo tutti?

Dimenticando di dover morire, dimentichiamo d'esser nati.

L'Egitto antico, accecato dal sole e dalla morte, seminò il deserto coi suoi cadaveri eterni. Ne fiorirono sepolcri gonfi d'incenso. Soglia del regno dei morti, avrebbe potuto a latitudini meno solari diventare la necropoli di ogni disfatta umana. Immaginatevi quella civiltà sulle rive del baltico!
Il sole ne devio le intenzioni, facendo sì che partorissero il Dio vuoto. Il Dio solitario. Padre di tutti i deserti.

Schiacciati tra due eternità, vivi solo nell'attimo presente, abbiamo bisogno di qualcosa che giustifichi il nostro procedere nel tempo, da un nulla all'altro. Emancipati da Dio troviamo un vago sollievo nell'effimero che rispecchia il nostro stato. Fisico e spirituale.

Come condannare la ricerca del piacere immediato, della poca profondità, della scarsità di pensiero di questa nostra civiltà dei consumi? Come farlo senza vergognarsi almeno un po' di cosa si sta difendendo: la cultura! Puttana di tutte le disperazioni!

Dicono che tutti i popoli del mondo debbano saper leggere e scrivere. Lo chiamano progresso. Io la chiamo maledizione. Quanto doveva essere bello il pensiero dei nostri avi non ancora rovinato dalla parola: melodie ancestrali.

Il pensiero prima dell'alfabetizzazione era certo una melodia, un suono della mente. La musica è nata allo scopo di poter riascoltare quei suoni, ritrovare la giovinezza della specie.

Non esiste una forma d'arte che non nasca dal dolore e dalla sofferenza interiore. Nessuna persona felice potrebbe mai produrre alcunché di artistico. L'arte è dolore, per questo si è così ben intesa con Dio.

C'è più splendore tra le fronde di una quercia che in tutte le navate gotiche del nord Europa.

L'architettura dalla Grecia in poi è solo il tentativo di tornare a vivere nei boschi. Cosa sono le nostre chiese, i nostri palazzi se non il rimpianto delle foreste perdute?

La cacciata dal paradiso terrestre altro non è che il passaggio da bestie a esseri umani. Perduta l'innocenza di quei giorni, maledetti dalla coscienza, ci è stato possibile sopportare la vita solo perdendoci in Dio. Ora che Dio si è perso in noi, cosa giustificherà il nostro esistere?
Alle spalle abbiamo un paradiso, e se dinnanzi a noi ci fosse l'inferno, se la storia umana non fosse altro che il passaggio dal paradiso all'inferno?
Noi cadiamo con Lucifero, unico vero Dio di noialtri. L'altro, quello senza voce, sociopatico eterno, non dà segni di voler evadere dal proprio monastero di silenzi. Cadremo dunque nel tempo col solo conforto della sua guida. Moltitudine di angeli maledetti.

Nella bibbia Dio dice che il peccato più grande è l'omicidio. Perché questo non causa solo una morte, ma tutte le morti dei figli, delle generazioni future che a causa di quell'omicidio non vedranno la luce.
Il pianto di tutte quelle generazioni che non potranno nascere.
Suvvia, non è forse il gesto più misericordioso che si possa compiere? Impedire la nascita di un individuo, c'è qualcosa di più alto? Forse, segretamente, persino Dio lo approva.
Così ogni guerra lenisce il mondo, e per milioni di morti miliardi non nasceranno. E allora, solo in quell'annientamento, le cose paiono trovare un loro senso, una salvezza nel nulla.
Nel mai più. Dio.

Viviamo per ammazzare il tempo, cronofagi che precipitano. Ma io sono sceso, il tempo non può più trascinarmi con se. Sono fuori dalla speranza, dalla storia. Chiuso nella mia solitudine sfido quella di Dio.