giovedì 17 luglio 2014

La Merda



Mi interesso sempre meno della realtà. Stamattina appena alzato, ma dovevano essere già le 2, ho acceso un momento la tv e ho messo su un tg. Avevo come l'impressione che il politico parlante non emettesse suoni né spiegasse concetti, ma che si limitasse solamente a vomitare merda.
Era lì a bocca spalancata e vomitava merda, e tutto quello che diceva era inutile, puzzolente: era fetida merda.
Ho provato a cambiar canale, a trovare qualcosa nell'attesa che iniziassero i simpson, ma chiunque vedessi vomitava merda. Avevo la sensazione di trovarmi in un episodio di south park.
Poi, stravolto, ho spento la tv. Ma sentivo ancora un forte odore di merda.
Mi sono messo a cucinare per non pensarci, ma in testa avevo scolpita nel granito questa scritta, una scritta anche vagamente luminosa, lampeggiante, e la scritta era:

La realtà è una merda!

Ma non la realtà tutta. Solo questa, questa che abbiamo creato. La mia, la tua.
Tutto ciò che facciamo anche quando va bene ha un certo sapore di merda.
Io..io ero esterrefatto.
Succede, ogni tanto, che ci sia possibile vedere oltre, analizzare le cose con vera oggettività, per come sono, senza preconcetti o i filtri mentali dell'abitudine: e allora te ne rendi conto. Sì, certo, capisci che niente ha senso. Insomma, cosa fa la specie fin dagli albori del tempo?
Crea. E cosa crea?
Crea nuovi modi per capire, per dare un senso a questa vita che, semplicemente, a parte il trasmettere geni ai figli, manca di un fine ultimo. La vita è un correre avanti verso una meta sconosciuta.
Non si arriva mai, ma sempre si prova a far arrivare qualcun'altro che non possiamo essere noi.
E così si è giustamente pensato di inondare di merda la nostra esistenza per provare a darle un qualche senso. Ce la siamo creata da soli questa montagna di merda che è il modo d'oggi, l'abbiamo creata per riempire il vuoto che abbiamo dentro: ci siamo riempiti di merda e ora ci sta uccidendo.
Pensavo a questa e ad altre cose, e come spesso succede nel pensarle, o nel viverle, ci si trova ad avere a che fare con individui che paiono come usciti da strani film dell'orrore, che sembra abbiano il preciso scopo di ignorare quello che pensi, di non riuscire a pensarlo. Ci si mettono davanti, ci parlano ma non dicono niente, aprono solo la bocca e iniziano a vomitare merda, tutto quello che dicono o fanno è merda. Cercano di annegarci con le loro merdate, di soffocarci nella merda.
Ora, non voglio parlare di niente, né religione, né politica, niente.
Mi sono stufato anche di esprimere idee, tanto a chi cazzo gliene frega niente di quello che penso, e poi sono solo perifrasi psichiche, emanazioni iperboliche, la verità è che oggi fa tutto schifo, è tutto una merda, la vita è una gigantesca fogna piena di topi divoratori di merda. Piove merda e la gente spalanca la bocca e la inghiotte, e a tutti piace la merda.
Ho visto persone farsi cagare in faccia ed essere felici; ne ho viste altre succhiare merda con una cannuccia e ridere.
Anche in questo momento, mentre scrivo, sento un costante odore di merda, un odore così forte che è quasi tangibile.
Fanculo la filosofia, come si può filosofare oggi?
In quale modo è possibile esprimersi ed essere ascoltati, oggi, che non sia un modo banale, mediocre?
Ancora: è possibile oggi elevarsi dalla merda che ci circonda senza passare per matti?

MERDA MERDA MERDA

Dice: devi essere felice!
Ma io non voglio essere felice, la felicità è una merda, e più si cerca di essere felici più ci si scava dentro. Io voglio essere infelice, perché in un mondo come questo essere infelici è un DOVERE, è una necessità, serve a non sporcarsi di merda.
Un mare, un oceano di merda, e tutti che ci nuotano felici, ogni tanto qualcuno annega ma fotte un cazzo a nessuno.
In questa palla di merda che è diventato il mondo.
Ci vorrebbe una catastrofe. Ma tanto la merda ci ha già invaso, e prima o poi ci sommergerà, e la merda è tutto, è quello che compriamo, quello che facciamo, quello che diciamo e quello che pensiamo. Non si salva nessuno, prima o poi tutti si mettono a mangiare merda, a parlare di merda, a nuotarci dentro come chiaviche.
Le nostre emozioni sono ormai merda, e tutta la merda che c'è si vende, si compra, si baratta per altra merda. La nostra società è una cagata pazzesca. 

martedì 15 luglio 2014

Apologia del razzismo



Molti si lamentano, ma diciamo pure un po' tutti, che l'italiano medio sia razzista.
Mi fermo un attimo: che vuol dire razzista?
Vuol dire il riconoscere la specie umana come divisa in razze, sub razze, ecc ecc.
Ovviamente l'idea di razzismo è incasinatissima, per cui questo assume un significato cattivo e disprezzabile, tanto che il razzista spesso viene isolato e considerato un malato della società. Vado avanti.
Se ne lamentano proprio come un prete potrebbe lamentarsi della mancanza di fede. Infatti, in italia, per non essere razzisti, ci vuole fede.
Mi spiego meglio.
Assistiamo quotidianamente a messaggi molto chiari e semplici dove si ribadisce con forza che essere razzisti è da imbecilli; certe volte lo si accosta - il razzismo - a una vera e propria malattia mentale.
Perché?

Ora, per dire, se io dovessi spiegare a una persona che essere razzisti è sbagliato, userei senz'altro un argomento esistenzialista. Siamo tutti umani, nasciamo per caso, viviamo poco, soffriamo molto, e poi si muore. Dopo la morte non c'è nulla. A che pro odiarsi tra razze diverse? (beninteso che qui la parola razzismo ha assunto il significato percepito nella società, ossia di suprematismo razziale)
Davanti a simili verità in pochi avrebbero ancora voglia di odiare qualcuno.
Eppure ciò non avviene, spesso le motivazioni che si danno all'antirazzismo sono mere sciocchezze sociologiche, del tipo che ormai l'Europa è multietnica, che la globalizzazione ha abbattuto le frontiere, che il concetto di popolo che avevano i nostri antenati è troppo debole per vivere nel mondo odierno.
Insomma ti dicono che non devi essere razzista perché per i razzisti non c'è salvezza. Proprio come un prete direbbe - lo dicevo prima - che senza il suo Dio non c'è salvezza.
Ma cos'è, una minaccia? O al massimo, a essere buoni, è un ricatto.
No, secondo me è il solito modo che ha chi ci governa, ma diciamo pure chi impera, di farci passare per degli idioti.
Infatti un discorso esistenzialista, una dialettica che andasse a scavare nel senso della vita umana, darebbe troppo da pensare. Ricordarci quanto sia esile e sfuggente la vita, e che passarla odiandoci sia - quello si - davvero da imbecilli, necessiterebbe un drastico ritorno alla realtà. La cosa si allargherebbe per forza al consumismo, ai falsi miti che eleggiamo a modelli, a tutta quella superficialità comportamentale che aleggia in ogni sfera umana. Ma francamente tornare alla realtà in questo tipo di civiltà non è più possibile a meno di una drastica rivoluzione culturale.
E così si usa la sociologia, perfettamente coerente col nostro modello economico, e il non essere razzisti diventa un dogma sociale.
Sei razzista? Allora non sei compatibile col nostro modello di sviluppo.
Per avere un ruolo in questo mondo devi ignorare e superare tutte le differenze. Perché? Perché le differenze identificano, e non vi vogliamo con una identità ben definita: voi dovete essere vaghi e sfumati come le leggi del mercato, e senza credere in nulla consumare.

Così il razzismo diventa un gesto politico prima che antropologico, infatti stabilire quali sono le differenza tra le varie culture umane, creare o ricreare un rapporto con la propria razza, o semplicemente conoscere cosa davvero siamo, ci permette di essere pienamente, di rivederci in qualcosa, di avere quelle radici indispensabili per resistere al vento del tutto-uguale.
O se non altro è una buona base di partenza.

Inoltre, a parte questo, trovo insopportabile che il razzista, persino il suprematista, non possa esprimere liberamente le sue idee.
Non ha nessun senso proibire, non è mai stato un valido ostacolo per niente, e in una civiltà dove ci si può sbiancare l'ano, o si comprano cagnolini per non fare figli, è mai possibile vietare un'idea così centrale per l'essere umano?
Chi sono i veri malati?


lunedì 14 luglio 2014

L'importanza dello sport organizzato

Sono lì per intrattenerci. Per trattenerci dal resto.



Oggi stavo pranzando con degli spaghetti alla salsiccia. Niente di eccelso, ho soffritto con aglio e peperoncino due salsicce industriali, quelle color capillare esploso che non sanno di niente e sembrano macellate dieci minuti prima, c'ho messo del prezzemolo, del vino bianco, ho mantecato la pasta e via. Un primo senza infamia e senza lode.
Mangio e, ahimè, mi tocca vedere la tv, che se non altro ha il pregio di evitare fastidiose discussioni, sebbene a volte le crei dal nulla, e tra una mostruosità e un abominio capita di vedere la pubblicità.
Non me ne intendo molto di pay tv, ma c'era questo spot sulla stagione calcistica che sta per iniziare, e in particolare su questo pacchetto che, a detta del tizio, ti permette di non perderti neanche una partita. Incredibile.
Cioè, in pratica, te le vedi tutte. Oh, tutte!
Ora, voglio dire... a parte che i mondiali sono finiti ieri e la gente si sarà forse un po' stufata, no?
No.
Si ricomincia subito. Che poi, insomma, quante partite ci sono in un anno?
300?
400?
Parliamo di una partita al giorno come minimo, ormai è così. Ma come può mai stare uno che se le vede tutte? Eppure se lo spot promette di poterle vedere tutte vuol dire che più d'uno che ha quell'intenzione c'è.
Come si riduce una persona che vede 300 partite all'anno? Che ne resta del suo cervello esposto così lungamente a un intrattenimento privo di qualsiasi stimolo che non va oltre al seguire una palla che rotola? Persino i nostri animali domestici, giocando, imparano di più
Ma non importa, perché di secondo c'è il merluzzo sottolio, con limone e sale. Che schifo.
Più che altro perché dopo la salsiccia... mamma mia. Incredibile.
Va be, mangiamo. Che poi, mh, a cos'è che pensavo?
Ah, già. Il mondiale.
Anche quello strumentalizzato. C'era gente che tifava contro la Germania perché, santiddio, ci sono economicamente avversi. Ma questi che seguono il calcio, parola mia, non se lo sanno neanche godere, devono sempre metterci qualche cazzata in mezzo che non c'entra niente.
Comunque il pesce è orribile, devono aver usato dell'olio scadente e ora ha un sapore di scarpa vecchia.
E niente, in pratica deve esserci sempre una partita da vedere, in qualsiasi momento dell'anno. Così mi sembra di aver capito.
Le persone non vanno mai lasciate da sole coi propri pensieri; nessuno dev'essere messo in condizione di riflettere. Sempre deve esserci la distrazione, lì, a portata di mano. Tutti i giorni. Tutto l'anno.
Una volta i romani avevano le arene. Il popolino, chi era fuori dal giro che conta, andava gratis, si sfogava, e sfogandosi gli passava la voglia di spaccare tutto. I romani sapevano bene l'utilità dei giochi, e ogni città aveva la sua arena.
Oggi per distrarci ci fanno pagare, ci sono riusciti! e i gladiatori che vediamo sono milionari arroganti, circondati da cartelloni pubblicitari. Incredibile.
Tutto è organizzato come si organizzerebbe una religione, e fin da piccoli si sceglie una squadra, si imparano i nomi dei calciatori, li si colleziona, si viene indotti a pensare che i nostri eroi sono infallibili, tanto che da grandi, pur percependo che evidentemente qualcosa non va, che quello che continuiamo a fare è sciocco, non ci si può esimere dal continuare a farlo. Da una parte unisce nella "fede" in una squadra, dall'altra divide. Ma divide a metà, perché oltre la fede nella squadra c'è la grande fede nel calcio tutto.
Una specie di politeismo con al centro un culto solare.

Che poi nelle arene romane cosa accadeva precisamente?
C'era uno scimmiottamento pilotato della vita quotidiana, dove uomini combattevano contro altri uomini per aver salva la vita, specchio di una società più violenta. Poi, col tempo, si è arrivati all'oggi, dove le guerre sono lontane, e la lotta per la sopravvivenza è resa artificiale dall'assurdo mondo che abitiamo. Così, essendo impossibile ricreare il legame fatto di rispetto e fiducia che forgiava gli uomini in guerra, questo ruolo è passato allo sport.
Giocare, fare parte di una squadra, insegnava e trasmetteva quei valori che una volta si imparavano in guerra. Ma ormai, manco a dirlo, a quel ruolo lo sport ha abdicato, e anzi, sempre più diffusamente gli atleti di oggi riflettono l'ignoranza e l'individualismo imperanti.
E così resta solo l'intrattenimento, fine a se stesso per chi lo segue, e affine al sistema che lo vuole, che ne ha bisogno per avere a disposizione individui acritici e abitudinari.

Ad ogni modo io bisogna che la finisca di torturarmi anche mentre pranzo. Sì, e del resto non importa, cosa volete che sia. È solo questione di abitudine, eppure nonostante vada per i 30 a me sembra tutto così assurdo, così dannatamente assurdo, che ancora non riesco a crederci.
Ho come l'impressione che non ci crederò mai. Come uno che stia sempre per risvegliarsi da un sogno.
Forse la vita è tutta un sogno. Incredibile.



lunedì 7 luglio 2014

Materialismo trascendentale





Vi sono, inutile negarlo, intere esistenze che gravitano attorno al materialismo. Ma questo non è per tutti uguale.
C'è ad esempio il ragazzotto, quello un po' scemo, che proprio deve comprarsi l'auto che dice lui, metterci un televisore, un frigo, un lettore dvd, dei cerchi in lega, delle lucine colorate e quant'altro, così che l'auto somigli non più a un mezzo per spostarsi dal punto A al punto B, cioè un veicolo per gli spostamenti, bensì diventi un vero e proprio feticcio consumistico, del quale vantarsi con altre persone, e col quale provare a incrementare le proprie chance sessuali verso le femmine più sciocche.
L'auto diviene così interamente materiale, senz'anima. Mi spiego meglio: l'auto c'è, esiste, ma date le sue funzioni totalmente immanenti, esistenti solo nell'auto stessa e negli usi che se ne fanno, l'auto esiste qui e basta. Risponde a dei bisogni che sono anch'essi qui, come mangiare, scopare, spostarsi, e non ha un suo corrispettivo nel mondo delle idee.
Ma forse sono poco chiaro, e così per spiegarmi meglio farò un esempio opposto.

C'è ad esempio una persona, né scema né eccellente, ma per così dire sconosciuta, che ha bisogno anch'essa di ottenere un bene materiale. Della stessa tangibilità dell'auto.
Questo bene può assumere varie forme, e del resto tutti consumiamo materia, ma diamogli le sembianze che ora mi vengono in mente, e diciamo che potrebbe essere un album di musica - cd o vinile, fate voi - o un libro.
Questa persona otterrà quindi, proprio come il suddetto ragazzotto, il possesso di un bene materiale, il quale però ha diversa funzione. Esso infatti è, libro o album che sia, non solo qui, ma anche altrove, poiché trascende a una dimensione ulteriore, dove la sua parte tangibile, la materia, serve da vettore che dalla sua fisicità spalanca orizzonti metafisici sul mondo delle idee.
Mi spiego meglio perché so di essere contorto.
L'oggetto, libro o album che sia, è qui, ma lo si vive altrove: poiché la lettura, o l'ascolto della musica, necessitano di essere interpretate e capite in un luogo diverso dal mondo materiale; hanno bisogno per penetrare pienamente nei nostri pensieri di spostarsi in una sfera dell'esistenza diversissima e lontanissima dalla nostra.

Insomma, è quella una forma di materialismo non fine al possesso della materia stessa, ma che si fa ponte per l'altrove, portale per ascendere a regioni iperboliche, varco spazio-temporale per viaggiare e viaggiarsi lontano. Un luogo dove ci si abita interiormente e, per estensione o similitudine, si è ovunque.
Questa poi è, in definitiva, l'apologia della letteratura e della musica, superbi mezzi di evasione verso regioni di eterna bellezza: come tutte le cose intrappolate in un guscio di materia ma con l'anima altrove.

E così diciamo insieme:
Comprare un libro e volerlo possedere non è materialismo
Comprare un album musicale e volerlo possedere non è materialismo



Ho dato questi due esempi, senz'altro ve ne sono altri.
E le donne? Com'è possedere una donna?
E la donna dove si trova, qui e qui soltanto, o vive anche altrove?
Dipende. Si insomma, dipende cosa ci fai. Se te la scopi - vale anche l'opposto per gli uomini - e basta, allora forse si trova solo qui. Almeno per te. Se invece c'è dell'altro forse esiste anche altrove. Difficile da dirlo, perché... perché dipende. E forse, forse, è così per tutto.

venerdì 4 luglio 2014

Spazzare via i monoteismi

La rovina del mondo in tre simboli



A volte capita mi chiedano se amo gli animali.
A volte, con lo stesso tono, mi si chiede se amo gli altri esseri umani.
A volte poi mi trovo in presenza di individui i quali, senza alcun dubbio, si definiscono generosi verso il prossimo, siano costoro cristiani o meno, e disponibili ad aiutare tutto e tutti.
Poi, altre volte ancora, questo accade per gli animali, ossia ci si trova davanti a persone che con passione indefessa si dedicano alle altre specie che abitano il pianeta. E le amano tutte. Tutte.
Così può capitare che ci si trovi invischiati in discussioni dove l'interlocutore sciorina questa o quella massima cristiana, questa o quella sconcezza filosofica rubata in un bar, dove si afferma che, in poche parole, bisogna che ci amiamo tutti, ci vogliamo bene, ci diamo da fare come comunità, mettiamo da parte l'individualismo, l'ego, e ci compattiamo in nome dell'amore.
Capita poi che, talvolta, chi dice tali cose ci creda davvero.
Ma si può mettere da parte l'individualismo?
Io, davvero, non so. Credo però che qualsiasi cosa buona, o bella, o semplicemente godibile, venga dall'individualismo. Io credo che anche il messaggio che dice di rinunciare all'individualismo sia individuale, perché transita per la gloria di chi lo annuncia.
Si è mai visto un progresso culturale, un'opera, un capolavoro, che non fossero individuali?
La specie stessa, nel suo vagare tra le ere, si tramanda per via individuale.
Questo, si capisce, questa cosa della rinuncia all'individualità, diviene col tempo un abominio anti-umano, un suicidio della specie: un tentativo evidente di ostacolare la natura. Questo è l'anti-uomo, e in quanto messaggio negatore delle meccaniche umane si fa anche anti-storia.
E l'amare tutti?
Amare tutti è come non amare nessuno. Proprio come taluni individui che, non appena ti conoscono, o semplicemente si avvicinano e hanno modo di scambiare due parole, ti stimano.
Non di rado accade, con esclamazioni tipiche, come "stima fratè" o "non sono d'accordo ma ti stimo"; che ti viene da dire: ma come osi darmi la tua stima? Non sai che è una cosa seria, la stima?
Si dà in cambio del rispetto, del riconoscimento di alcuni meriti, e tu la regali così, come se fosse tolleranza?
Cosa può mai valere la stima di costoro che non sia comprabile in un centro commerciale?
E così è per l'amore cristiano, se rendo l'idea. Quell'amore che, siccome è per tutti, nulla vale, e diventa per nessuno.
Provate un po' ad amare tutti, provateci. Non fa schifo?
Non è come prostituirsi la coscienza?
I cristiani sono le puttane dell'emotività. Quelli veri.
Quelli falsi sono le troie della retorica. Entrambi striscianti, entrambi da evitare.

Io ho due gattini. Non sono animalista ma ho due gattini.
Amo tutti gli animali? Certo non li odio, ma in particolare mi prendo cura di loro due. Perché così ho scelto. Non posso salvare tutti gli animali, non posso salvare neanche me stesso: figuriamoci gli altri.
Posso però almeno pretendere che qualcuno ci salvi dai cristiani, dai figli di abramo, dalla retorica del politicamente corretto e, in generale, dal deserto emotivo che viviamo fuori e dentro.
Dal quale sempre più spesso ci si salva fuggendo altrove, in un libro o dentro una bottiglia, con i farmaci o cavalcando un'utopia.
La felicità non esiste: io personalmente evito le persone felici. La felicità è sorella dell'idiozia.
Se qualcuno vi dice che ha trovato la sua felicità in cristo, o in qualsiasi altro feticcio basato sulla commiserazione umana, sapete chi avete davanti: il nulla.


No, io preferisco Cthulhu, preferisco la verità, il sapere che non c'è speranza, né salvezza, e godermi la vita per quello che è, senza le grandi menzogne, le degenerazioni monoteiste.
Per dire...


Fhtagn!

giovedì 3 luglio 2014

Spezzatino con due punti




Questo è un post, ma diciamo pure uno scritto, dove senza alcun nesso logico o programma io, semplicemente, scrivo, e scrivo finché non mi stufo di scrivere, o me lo impediscono, o che so, si guasta il pc, o muoio: ecco, scrivo fino alla morte, ma così, tutto d'un fiato, senza punti, infatti mi concederò, al massimo, uno o due punti in tutto lo scritto, del quale non ho stabilito la lunghezza, e per cui questa sarà variabile in base a quanto mi andrà di scrivere, a quanto avrò da dire, e da altre cose ancora, tutte più o meno ignorabili o miserrime: MISERABILI, infatti cos'è uno spunto se non un attimo di noia deformato nel tempo? O giù di lì, e del resto non è che avessi di meglio da fare, cosa volete; sì, prima cercavo su ebay, sempre stato un gran cercatore di ebay, e del resto come potrei fare altrimenti, voglio dire... tutto quello che mi interessa nella vita, a parte il cibo, non è in vendita nei negozi: oh, non lo vende nessuno, nossignore, e così per le cose che amo, che poi sono poche e frutto di anni di misantropia, cerco su ebay, e cerco giornalmente questo o quel libro, questa o quella carta, e così via, tanto che da un anno circa, da quando vendo e compro su ebay, non ho più acquistato in un negozio, a parte alcuni bazar che vendono anch'essi usato, e sinceramente non mi ricorderei neanche più come si fa, e anche ora che scrivo questo post sto pensando a come condurre altre ricerche; [Ma posso anche fare a meno delle virgole?] infatti bisogna saper cercare e saper cercare bene se si vuole ottenere una manciata di risultati utili alla cerca e poter così individuare in fretta l'oggetto del desiderio tanto a lungo cercato: ovviamente sono un po' ladri e girano libri che sfiorano o superano il centinaio di euro; gli stessi libri che in un mercatino prenderesti a 1 o 2 euro - ma ormai è raro trovare anche i mercatini - e che invece su ebay... Va be, che palle: è così, c'è poco da fare, sono maniacale, e fissato, e pure noioso perché, alla fine, a chi gliene frega un cazzo delle mie ricerche su ebay, no? E sì, effettivamente avrei di meglio da dire, non so,magari lo spezzatino che ho non-cucinato stasera, per cui sarà il caso di arrivare al primo punto.

In pratica, seguendo una ricetta del satrapo culinario Mimmo Corcione, m'ero messo in testa di fare uno spezzatino un po' diverso dal solito, in cui ad esempio avrei usato strutto, guanciale, farina, molta più cipolla del solito, ecc ecc, se non che, una signora di cui non farò il nome, ha avuto l'ardire, la faccia tosta, di fare questa richiesta: le patate, le patate! perché senza patate non gli piace lo spezzatino, e poi ci voleva pure le zucchine, ma pensa tu, ma allora ti faccio un minestrone, no? forse è meglio un minestrone, che comunque le zucchine in qualche modo bisogna usarle, l'orto ne produce un'enormità e certe sono così grandi da essere difficilmente lavorabili; ma è proprio per questo, per evitare di mettere le zucchine nello spezzatino che mi ero dato precedentemente da fare, difatti ne ho prese tre, tre enormi, le ho affettate, fritte, e una metà condite con aceto, olio, sale, menta, basilico e aglio, l'altra metà farcite col parmigiano: ecco qui! le zucchine le ho fatte in questi due modi, così anche oggi abbiamo mangiato la nostra dose di zucchine e l'universo può continuare a vorticare nel buio, ma ahimè non è bastato, perché a quanto pare bisognava proprio metterle anche nello spezzatino; e così non l'ho cucinato, ho preferito non fare niente, farlo cucinare a un altro, e dirò di più: non l'ho neanche mangiato; perché? per dispetto, ecco perché, infatti è avanzato, ne è avanzato molto, e spero marcisca, spero che faccia i vermi, così tutti diranno: che grande spreco! di chi è la colpa? la colpa è di chi ha voluto metterci le dannate zucchine, senz'altro qualche pazzo, e allora tutti indicheranno chi le ha volute, facendolo arrossire di vergogna, così finalmente avrò la mia vendetta, una vendetta puerile e proprio per questo più vera: perché infondo la vendetta non è mai una cosa seria, è sempre il gioco di un bambino, come questo scritto, per altro ignorabile, e che non mi degnerò neanche di rileggere.

mercoledì 2 luglio 2014

Il post che non c'è




C'ho l'ansia. Che ansia.
Avrò fatto abbastanza bene?
Sarò riuscito ad avere dei meriti?
Quante colpe ho?
(parlo come se dovessi morire tra 1 ora)
Ora sto scrivendo, ma se morissi, se morissi proprio ora!... Oppure ora! Morto.
Ecco, c'ero, non ci sono più. Dove sono? Dove sono finito?
Da nessuna parte. Svanito come il fumo al vento. Come il canto di un grillo nella notte. Come il volo di un gabbiano verso l'oceano. Addio, goodbye. Aurevua.. aurevor... va be, il francese non lo so.
AUTFIDERSEN!
No, non so neanche il tedesco. Ma tanto sono morto. Potrei aver saputo tutto e comunque non saprei più niente. E sarebbe come non aver mai saputo nulla.
So solo che non ci sarei più, e saluti in tutte le lingue del mondo. Pure quelle morte. Solo che le lingue morte ci sono ancora. Io, se muoio, no.
Avrò avuto dei meriti, vivendo?
Hum...
Colpe?
Hum...
Mi sono sempre chiesto cosa sia esattamente il merito. Tu fai una cosa, alla quale sei stato istruito o indotto, e la fai a seconda di come ti è parso giusto farla, o a seconda di come ti hanno detto che è giusto farla, il che dipende dalla tua cultura personale, dalla loro, e dalla, diciamo così, aura psichica che emani, e niente, la fai e ti prendi il merito. Ma alla fine cosa hai fatto?
Per dire, non so... mettiamo che scrivi un libro, un successo mondiale. Ok?
Come ci sei arrivato a scriverlo?
Intanto avrai imparato, da giovane, a leggere e a scrivere. E va be, tu neanche volevi, preferivi tirare la palla al muro. Poi avrai letto. Bisogna leggere molto per sapere scrivere. Del resto non avevi di meglio da fare, o semplicemente ti piaceva. E ti piaceva perché forse sei adatto a un'attività di quel tipo. Perché? Perché il tuo cervello funziona così. Perché? Stimoli, influenze. Del tutto casuali, per altro. Perché? perché tutto è casuale. Allora hai letto per caso, e per caso hai provato a scrivere. E t'è riuscito. Perché? Ma perché, boh, probabilmente il tuo cervello lavora molto sottobanco, così elabori pensieri e li trasformi in lingua più velocemente. Perché? un po' di genetica, un po' di fantasia, un po' di quello che vuoi che sia. Tendenzialmente anche qui è tutto casuale.
Quindi bravo, sei un grande scrittore. Ma è un caso.
Come? la perseveranza?
Ma la perseveranza è come un bel culo. Che differenza c'è? Il culo te lo puoi scegliere?
Forse, nel senso che se vai in palestra...
Stessa cosa la perseveranza. La ottieni culturalmente, nelle sfide che ti pone la vita, che sono casuali, anche lì un po' di geni, casuali... ecc ecc Tutto casuale. O quasi casuale. Ma sempre caso è.
Insomma, non ci trovo un merito vero e proprio nello scrivere un libro di successo. Ma cos'è, il merito?
Un attimo che non mi si carica wikipedia...
Ok, allora qui dice che, letteralmente, il merito è il diritto alla stima, alla riconoscenza altrui, alla giusta ricompensa, e che si acquisisce in virtù delle proprie capacità.
Quindi si acquisisce del tutto casualmente tanto che, a essere onesti, quando si ha un "merito" si dovrebbe, come minimo, fare finta di niente. Che si fa più bella figura. Per non parlare della virtù: mai capito cosa sia. Credo sia la somma delle morali comuni adattate al contesto storico. O qualcosa del genere.
 E la colpa?
Stessa cosa. Perché, ecco, mettiamo che io vengo lì e do un cazzottone a te che leggi. Mh?
Di chi è la colpa?
Intanto, non è mia. Se l'ho fatto avevo un motivo.
Del tuo sistema nervoso che ti fa percepire il dolore? Forse.
Allora sarà tua che mi hai provocato. Magari non te ne sei accorto ma lo hai fatto.
Non hai fatto niente? Bene, allora potevi fare qualcosa. Odio gli inattivi.
Ma forse la colpa è dell'odio. E chi lo istiga?
Tutto, anche lì cultura, genetica, spazio sociale, ecc ecc
Insomma, la colpa a ben vedere non è di nessuno. La colpa è della colpa. Che vive laggiù, oltre il visibile, e fondamentalmente va e viene a seconda di come tira il vento.
Colpa e merito vivono insieme, appartati. Ogni tanto - anzi spesso - qualcuno li evoca, li tira in ballo. Ma ben vedere sono davvero di un altro mondo, sono fantasmi senza reali applicazioni nel mondo dei vivi.
Così oltre all'ansia del crepare scivolando nel nulla mi tocca anche sopportare la pressoché assenza di meriti, e di colpe.
Ma quindi io cosa posso davvero fare? Ci sarà qualcosa che posso fare o no?
Il bene, neanche a parlarne. Bene e male sono troppo soggettivi. Ogni cultura umana se ne fa un'idea sua, e finirei per non sapere più cosa sto facendo.
Potrei darmi delle certezze, ma quali?
Le idee sono morte. Dio anche. Un hobby? Sì, una volta collezionavo, dipingevo. Ma che senso ha?
Non è come ubriacarsi e pisciare al vento?
Amare, magari. Ma come, in che senso?
Che vuol dire amare? Ci sono troppi tipi di amore, a ben vedere non significa niente. E poi in quanto umano sarei del tutto incoerente nell'amare, che sia amore erotico, cristiano, disinteressato o quel che vi pare. No, penso sia una di quelle cose, l'amore, da farsi, sì, ma su cui non costruire un vero e proprio senso. Troppo vago, influenzabile persino dal clima; è un umore, l'amore.
No, no forse... ???
Tutto molto anarchico.
Forse mi scavo troppo dentro, cercando una risposta che, semplicemente... non c'è.

Mi sono spesso immaginato, o ho provato a farlo, un modo per evitare di torturarsi in quel breve tragitto dalla culla alla tomba. Ed è viaggiare.
Si, non stare mai fermi aiuta. Certo, è solo un altro modo di fuggire, ma che importa.
Ma non in Egitto, o in Norvegia, o in Giappone. No, intendo viaggiare nello spazio. senza limiti, senza confini, con davanti, dietro, tutto intorno l'infinito, e decidere dove andare. Non si arriva mai da nessuna parte, l'orlo dello spazio è irraggiungibile. Però ti illudi, proprio perché non c'è fine, di poterci arrivare. Muori, ma eri impegnato a proiettarti nell'infinito, non a cercare dentro te stesso, per cui non te ne accorgi. E vinci. Vinci perché non ti ricordi mai che stai per morire.
Ma tanto io sono morto. Stecchito all'inizio del post.
Che non è mai stato scritto. Che non c'è. Non ci sarà mai.
Fine.


martedì 1 luglio 2014

Frammenti di inutilità

-Antologia di scritti effimeri e ignorabili- N°1
Senz’alcuna pretesa, qui, non c’è niente di buono.


Insonnia
Riesco ad indovinare il buio,
ecco che se ne va il silenzio
con un rumore indistinto
che orrore! Arrivano  i ricordi;
mi scruta dall’abisso un occhio di tenebra:
Malosguardo!





L’essere me
Ma dov’è che sono,
mi sembra di non essere in nessun posto;
forse mi sono perso in qualche strano non essere,
da nessuna parte, nelle distanze del mai più.





Notte senza requie
Nella notte
senza fuochi in mano
né luci da seguire in lontananza.
Soli, nella notte, con un vento ignoto sul viso,
e tutti i colori che vivono nel buio.
Quanti mondi non comprendiamo, quanti universi abissali risucchiano il nostro vano essere.
Buio.


Tramontando altrove

Stasera credo mi farò una salsiccia in padella, con del pane scaldato al forno.
Oppure mi farò un buco nel cuore.
I gatti dormono. Anche il mondo dorme.
Le cose si riposano nel languore di un pomeriggio assente
dove terra e cielo sfumano
in nebbie che paiono sognate
e la terra si distende
muta
come un ricordo
muto
e di freddo si accendono le stelle


Luci nell’eternità
Pazzo della luna, sotto l’arco atomico delle stelle,
fai una danza immobile, e viaggia lo sguardo tuo;
e se non guarisci oggi, con intorno l’alba universale,
guarirai domani, nell’eterno tramontare di queste luci crudeli.
Perché, se esiste una fine, o qualcosa che vi somiglia,

essa è nelle stelle, e se non guarisci oggi, guarirai domani,
in qualche non essere,
tra miliardi di non esseri,
tra le sospese rimanenze delle luci che furono.






Ciambellone Proibito
3 uova
zucchero
olio
latte
-
limone – vaniglia – cacao . vanillina
Burro; Mescolare tutto; aggiungere cacao; in forno a 180°: mezz’ora
(meglio forno ventilato)

ps: Spalmare burro sulla pentola, mettere zucchero sopra per crosta.  Oppure, sadico, mettici un gatto, dentro al forno; vedrai come urla.







L’armata
Emergendo dai loro sepolcri vanno,
le ossa stanche, la terra a frugare
in cerca di urla, dei sentieri perduti.
Le sbiadite spade, fredde sotto la luna;
le armature scurite dalla terra sepolcrale:
che guerra combatteranno stanotte?
Avanzando nel crepuscolo, come chi ebbe ad essere,
inseguono glorie che furono,
dietro lo stendardo del mai più essere.
Anche tu ti arruolerai?






I figli del mare
Nei fatui fuochi dei campi di guerra
scalzi e infreddoliti, vanno
gli esuli dal mare, nell’intento
appena umano dei cadaveri frugare,
per riportare alle loro terre salate
un po’ di carne ben vestita, non di squame,
e con le dita: da intrecciare in collane ogni estremo
per poi sfamarsi col ripieno,
e con i vestiti lugubri aquiloni fare:
voleranno sulle vedove affrante,
anch’esse da sbranare.















Lettera alla morte
Cara signora di lutto vestita
sono proprio io, il tuo consigliere
dove porre il tuo sguardo e sfiorar con le dita
te lo propongo ora, con piacere.

I miei vicini più fastidiosi
ti raccomando per triste sorte
bambini e cani, così rumorosi!
chi entra, chi esce, chi sbatte le porte.
E a quelli che mentre sono triste
parlano e ridono di ore liete
dalli al terrore che spettri fuggiste
così che sia silenzio e venga quiete
Alla gente lontana, e d’ogni sorta
oh, nera regina, flagello dell’uomo
di loro, in realtà: nulla m’importa
prendili tutti, v'è nulla di buono
Infine ti lancio nel mio soffrire
un ultimo sfogo che ora m'è sorto
i bimbi non nati, l’uomo a venire
mietili tutti: gioca d'aborto.







Addio

Perdonami la tetraggine

ma mi viene da piangere
e lo so che guardi altrove
un po' più al largo del dolore