mercoledì 5 luglio 2017

Sul Metal




Io ascolto quasi solo Death/Doom, ma la riflessione è generale e, ovviamente, non vale un cazzo, o vale per quel che la mia povera mente ha potuto osservare. Potreste già smettere di leggere. L'ho messa su basandomi sull'ascolto della musica metal, e sulla frequentazione di autentici metallari, cosa che io non sono.


Pensieri sparsi e aforismi sul Metal e i metallari

Il Metal è irreversibile. Una volta allineatisi con esso non si può più ascoltare altro. Se lo si fa è solo per spirito di contraddizione. O per una momentanea necessità di ristorarsi tra le braccia di una donna. Donna è tutta la musica che non sia metal.

Il Metal è il più efficace sostitutivo del bisogno umano di fare la guerra. Il metal è guerra.

Gli individui più sani e vitali vengono istintivamente attratti dal metal, sentendo essi che l'enormità delle loro energie vengono lentamente soffocate e uccise da una società intorpidita e sbadigliante. Il metal salva queste energie e impedisce che si tramutino in suicidi interiori e nell'adesione alla banalità pressante che assedia l'uomo moderno.

Il Death metal è l'elaborazione e l'adorazione di un lutto incommensurabile, a morire è la nostra civiltà. A morire è tutto!

Quando si emargina un certo modo di pensare, tutti gli emarginati lo sentono proprio. Il metal non è necessariamente per emarginati, ma dà voce all'emarginazione in quanto distante da tutto ed essendo simile per collocazione all'erigersi fra le macerie di un mondo diroccato. Macerie invero affascinanti.

Certi concetti non possono essere soppressi nella coscienza collettiva. La Morte, l'Inferno, la Dannazione, la Sofferenza più brutale. Tutte queste cose non sono compatibili col modello di sviluppo fondamentalmente ottimista che ci siamo dati. Il metal le ristabilisce quali verità insopprimibili. Le impone con la violenza che gli è propria. Rinvigorendole ed elevandole al rango di dogma.

Parrebbe che il non-ascoltatore del metal sia soddisfatto del proprio mondo. Cos'è quindi costui se non un collaborazionista dello sfacelo, un amatore della profumata putrescenza del Corretto?

Il metal politicizzato asseconda un bisogno naturale e quasi perduto: l'estremismo! Stanchi dell'imperio della moderazione, sarà il metal a frantumarlo. Foss'anche per un attimo.

Se siamo morti dentro abbiamo bisogno di melodie che confermino la nostra decomposizione. Allora poche cose riescono a farcela sentire con la potenza che merita. Il metal può questo.

Riguardo al fatto che molti metallari siano incolti e poco intelligenti. Il metallaro ha scatenato una rottura tra sé e il mondo. Basta, non ne vuole più sapere. La realtà con i suoi orpelli vergognosi lo ha disgustato una volta per tutte. La sua non è ignoranza, è distacco da tutto. Non è scarsa intelligenza, è abdicazione del pensiero. Fino a un mondo migliore, fino alla catastrofe definitiva che sola può ripararlo.

I metallari si ubriacano come zombie e danzano macabramente al suono dell'apocalisse. Perché la realtà è morta e ne celebrano la perpetua impossibilità a risorgere.

Nel metal non c'è, a mio parere, spazio per la malinconia. Essa è ampiamente celebrata in ogni dove, non le è concesso di violare questo oscuro spazio. Nel metal c'è spazio solo per odio guerra e morte. Perché odio guerra e morte artisticamente, oggi, non trovano spazio se non nel metal.

La morte è la parte predominante nel Metal, perché l'alienazione scatenata dal suo ascolto predispone a una agognata morte sociale, e prepara per quella fisica che nella necropoli del metal viene sublimata fino a unico valore.

L'odio sta al metal come l'eroina alla perdizione. Un metal pacifico è un paradosso, un ossimoro. Non è metal bensì una sua corruzione ripugnante.

Le radici culturali del metal sono ciò che di meglio ha prodotto la letteratura del 900: orrore e fantasie macabre. È il naturale prodotto di una civiltà che non vuole specchiarsi e rifugge ogni analisi oggettiva di sé. Il metal è dunque il reale prodotto del nostro vivere da settanta anni a questa parte.

Spesso i metallari tendono all'autodistruzione. Ma ciò non avviene a causa del metal, questo sentimento di inadeguatezza e relativa frustrazione esistenziale era già presente sin dai primi vagiti. In questi individui la coscienza di un'esistenza inutile e senza appigli è maggiore che in altri. Qualcosa li ha costretti a guardare senza illusioni la vita, e il metal è per costoro l'estremo grido di rabbia, è un lamento urlato che travalica i secoli.

Non ho ben chiaro il meccanismo che porta le donne ad accostarsi al metal. L'emulazione del maschio resta l'ipotesi più probabile.

È possibile che in certe ragazze pensiero negativo e percezione cimiteriale dell'esistere emergano oltre le loro naturali caratteristiche femminili. In questo caso appare chiaro il loro appartenere alle orde nefaste degli ascoltatori di metal.

Si può ascoltare metal anche essendo persone equilibrate. Tuttavia è del tutto inutile.

Esiste un rapporto strettissimo tra metal e droga: entrambi alienano e promettono una via di fuga dal mondo. Quasi inevitabilmente le due cose finiscono per sommarsi, di modo da fuggire ancora più veloci, e sempre più lontano.

Il metallaro è un postulante dell'abisso, vi gira attorno cercando viepiù di spiarne le profondità. Di raggiungerle. Questo perché non ha altra speranza che cadervi definitivamente, bruciando l'attesa nella celebrazione del nulla che lo sovrasta.

In un mondo che rigetta persino il dover morire, dove tombe colorate stabiliscono che anche la morte è una grottesca buffoneria, solo un certo tipo di metal spalanca gli occhi sulla catastrofe, ridando credibilità alle cose. Frantumando le ridicolaggini dell'ottimismo.

Non mi riesce di trovare alcuno nesso tra metal e sessualità. Qualcosa però mi suggerisce che le due cose non andrebbero mischiate.

Il metal epico mette una toppa a ciò che nel nostro vivere manca totalmente: l'epicità. Ma chi lo ha detto che siamo nati per consumare? noi siamo nati per correre combattere e morire come scintille nella notte. Io lo mastico poco, problemi miei. Ma il metal epico è il D'annunzio di fine secolo.

Difficilmente si può apprezzare pienamente la musica metal senza averne svelate le radici letterarie. Trovo imbarazzante un metallaro che non abbia mai letto Tolkien, Howard, Lovecraft, Ashton Smith... eccetera eccetera eccetera

Svuotati da un mondo senza religione, il metal ce ne fornisce un'altra. Diviene così culto nero e fede a denti stretti. Monoteismo della distruzione, deve distruggere tutti gli altri. Per liberare il suo Dio assoluto: la Tenebra.

Nauseati da una sessualità dirompente la cui manifestazione è ovunque, e il cui obbligo ad aderirla dà la vertigine, il metal ci sbarazza da questa infestazione della carne: la sacrifica su un tetro altare dove i genitali sono solo carne da macello e l'istinto sessuale un capriccio di Satana.

Il metal è un cimitero di tombe esplose.

Quando i nostri antenati vedevano un fulmine, pensavano già al metal.

Il "pogare" dei metallari, quel rito per cui ci si dimena sotto al palco scontrandosi l'un l'altro, è assieme un atto guerresco e sessuale. Della guerra ha l'intenzione di distruggere e deflagrare, del sesso la promiscuità dei corpi che pur scontrandosi non si danneggiano. Solo per questo secondo motivo l'ho sempre evitato.
Avrei potuto usare la metafora dello sport, ma lo sport mi fa schifo e non ne voglio parlare.

Ho notato che il metal fornisce alcune soluzioni al relativismo morale, infatti, seppur forse a livello inconscio, possiede una propria morale. Questa si compone di visioni altamente spirituali che riuniscono l'individuo al mostruoso pantehon che sentiamo fin dall'alba del mondo di dover adorare e dal quale ineluttabilmente lasciarci divorare.
Riguardo l'etica comportamentale, essa si basa perlopiù su una tacita assistenza mossa dalla consapevolezza di essere tutti su un baratro, con la musica che ci spinge sempre più forte oltre quell'ultimo bordo.

Essenzialmente il metal è come fare a botte. Una scazzottata inelegante e violenta. Poi ci si sente come liberati da una mansuetudine che sentiamo esserci stata imposta da qualcuno o qualcosa di vago, ma che così facendo abbiamo interrotto. Fino alla prossima scazzottata. Fino al prossimo ascolto.

Il metal è la reazione più naturale all'aver accettato miseramente un microcosmo fatto di madonne piangenti e santi dorati. Una reazione, giustamente, col martello in mano.

Torno sulle donne metallare.
La loro adesione raramente è totale. Esse paiono vivere il metal come una divagazione fra le tante, senza coglierne assiomi e simboli. Vi si trastullano per profitto, la loro partecipazione è sterile e non dà frutti. Il metal per loro? uno spazio sociale in cui esibirsi. Un palcoscenico provocante.

I metallari hanno fabbricato una loro estetica dell'annullarsi, fonte di vanto e talvolta di competizione. Questo bisogno risponde all'esigenza del metallaro di rigettare il mondo in sé. Il metal è l'unico movimento che abbia una sua forma di esistenzialismo radicale e avanzata. Ferocemente in contrapposizione ad altri ambienti nei quali si è smarrita persino ogni consapevolezza di esistere.

I metallari hanno tutti alle spalle storie difficili? non è un caso che siano proprio le difficoltà, nella vita, a fornire un punto di osservazione privilegiato, senza il rimbambimento del benessere.
È però falso che i metallari siano tutti disadattati. Più esatto sarebbe dire che ogni disagio interiore necessita di forme espressive di rottura. Il metal è la rottura definitiva con la perpetuazione di schemi mentali morti e maleodoranti. È la manifestazione di un rifiuto definitivo.
Un rifiuto da fine del mondo.

Riguardo la musica commerciale.
C'è qualcosa nella musica commerciale che svilisce e mortifica l'individuo senza che esso se ne accorga. In qualche modo fin troppo ovvio da indovinare egli retrocede a una totale ignavia di sé e del mondo non significando nulla per lui ciò che fa e ascolta.
Viene annullato entro schemi preconfezionati che comprende appena e nei quali non ha modo di rivedersi se non marginalmente e con spirito di omologazione.
Il metallaro, per solito, gli è superiore intellettualmente, essendo egli un tutt'uno con musica e ontologia della sua musica. È insomma un individuo che sovrasta tutti gli altri avendo cessato di umiliarsi con l'offerta commerciale che svuota e avvilisce interiormente.
L'elemento guerriero in tutto ciò? disprezzare senza limiti il nemico. Il mercato è il nemico; la guerra dichiarata. Lo scontro immane.

Un altro appunto sull'intelligenza dei metallari. Molti sostengono che siano tutti stupidi. Questo ho potuto constatare non essere vero nel più assoluto dei modi. Vi è una differenza siderale tra l'esser sciocchi e il fare gli sciocchi. Il metallaro ha intuito la finitezza illusoria del mondo in cui vive, ed ha perciò perduto ogni superstizione ottimistica sulla propria preservazione. È una posizione filosofica vicina al nichilismo, ma al contrario di questo ha saputo creare una propria estetica precisa e riconoscibile. È quindi un nichilista, ma guerriero. Vive intensamente l'attimo presente diffidando di un futuro poco promettente e supponendo che il passato sia inutile rimuginarlo. Il suo è un logos da mondo antico, da uomo classico.
Se questa posizione può essere giudicata infantile, è solo per scarsa lungimiranza. Un mondo marcio necessita ricominciare dalle basi. Il metallaro, spesso inconsapevolmente, è l'uomo della rinascita.

Nonostante non ricerchi Malinconia o sua sorella matura, Tristezza, nel metal, quando accade trovo che si sia raggiunta una certa perfezione. La nostalgia di un odio antico. Tristezza sì, ma armata.

Questa riflessione poteva essere calibrata anche su altri tipi di musica pesante che i giovani, e non solo, usano per scardinare un'esistenza che li strangola.
Ho preferito farlo col metal perché, come detto, l'elemento Morte in esso è dominante, e ho potuto per questo sentirmi più a mio agio. Mi sono sentito come a casa.
Va da sé che nell'ambiente, come ovunque, ci sono anche dei coglioni. Ma su quelli non ho nulla da dire.


- Aggiunte -

Con l'ausilio della sua musica e di altre magie arcane, il metallaro scende fino all'inferno. È da quelle profondità che poi, esausto e sgomento persino da una dannazione a lungo rincorsa, cerca un modo per tornare fra gli altri mortali. Ha bisogno di toccare il fondo con le proprie mani, di immergersi in un limbo sconsiderato, per trovare la forza, una volta riemerso, di sopportare gli altri.

Ombra tra le ombre, il metallaro non ne proietta di proprie; al sole oppone un'anima quasi del tutto sbiadita che non ne interrompe la luce. Fantasma di una realtà al di là della nostra, non è in questo mondo che gli preme di lasciare un segno. Piuttosto in un altro, regno di strane eclissi, dove idealmente risiede ciò che in egli veramente vive, e al quale sempre, in un modo o nell'altro, torna. E tornerà.

Le messe nere, il diavolo, i bafometti, le croci capovolte, i 666 e tutto il resto, sono solo abbreviazioni di un dissenso dai toni blasfemi. Non rappresentano assolutamente la spiritualità dei metallari, bensì la loro opposizione a quella spiritualità semita e desertica che avvertono come innaturale e oltraggiosa. Se si deve attribuire loro una spiritualità, è senz'altro nel politeismo e nei culti innominabili che essa va ricercata. Cristo è per loro nient'altro che un bersaglio a cui tirare freccette nei momenti di noia.

Sulla malinconia nel Metal.
Vi è già tutta una serie di generi musicali che ascolto per, e quasi esclusivamente, trarne malinconia. Dagli adagi di Bach alle sconfinate cavalcate del prog, assorbo e rubo mari e oceani di malinconia. La scarsa sensibilità da me dimostrata verso la componente malinconica di alcuni tipi di metal è dovuta essenzialmente a due cose: da una parte nei gruppi che ascolto è praticamente assente. Dall'altra parte, si trova infine questa motivazione, che precisamente è il mio grande legame con tutti gli spettri della tristezza, sentimento in me dominante. Ciò fa sì che, e lo rendo con un esempio folgorante, dopo un adagio di Bach, mi sia difficile ritrovare una così vasta tristezza in qualsiasi altro genere, specie nelle energie spesso avventate del metal. Quello che cerco è un'esaltazione negativa, che invece di elevare, sotterri, che non velocizzi la realtà ma la rallenti a cadenze cimiteriali. Seppure talvolta questo induca alla tristezza, subito questa si trasforma nella mia mente in una negromanzia forsennata, nella più oscura e disarmante delle stregonerie. E ciò mi appaga talmente che essere triste non è possibile. Un'avventura, il metal, per me mai triste, tutt'al più nostalgica. Mondi perduti, mondi mai avverati. Ma la nostalgia di incubi sciagurati e sogni mancati invece di abbattermi mi rinforza, ed è una forza che sento venire come da una mausoleo titanico e monumentale. Quando ascolto metal, non sono gruppi quelli che ascolto, non sono persone. Ho smesso di credere che quei suoni vengano da esseri umani. Non voglio più crederci.
Il tutto arriva direttamente dall'inferno o da qualsiasi altra terribile catastrofe preferiate, da valli di tumoli anneriti dagli eoni e agglomerati di carnai in putrefazione, alle soglie di un mondo tenebroso governato da incantatori e negromanti... come rattristarsene?

Il Metal è politica. Appropriandosene, si rinnega tutto il resto. Cosa si ottiene in cambio? la più radicale forma di dissenso verso la nostra attuale civiltà che la musica possa dare. Abdicato anche l'ultimo brandello dello sfacelo generale in cui la realtà sembra essersi impantanata, il mondo è per sempre esiliato, si trova ora al di là di confini dimenticati. Sarà un nuovo regno di scintillante tetraggine a contenere le nostre agognate disfatte, i nostri gemiti tuonati.
Parte attiva in tutto ciò, il metal è anche Isolarsi. Cittadini di un'oscurità altisonante, folgorati dal buio, la separazione da chi rantola sotto la luce si rende necessaria. Come frequentare la fastidiosa luminosità degli altri, degli inespressi, dei vaghi?

I metallari sono gli ultimi appassionati di un mondo che ha scelto la casualità.

lunedì 3 luglio 2017

La giornata ideale

Giornata ideale




Volevo solo dirvi qual è la mia giornata ideale. Sono un tipo che ha poche pretese, e quelle poche mi sembrano anche troppe.
Dunque, ecco... cominciamo proprio dall'inizio, dal risveglio. Per cui, mi sveglio. Accidenti, un altro risveglio. Svegliarsi è come nascere già compromessi, senza le prospettive dalla nascita originale, quella dove, giustamente, essendo nato piangi, e se non lo fai ti picchiano, perché devi fin da subito piangere. E quindi mi sveglio, mi muovo un po', non ho fame, ho molta sete, di alzarmi non mi va, perché poi dovrebbe? Ma come gli uccelli migrano al sud d'inverno, un istinto di corrotta preservazione mi spinge a scollarmi dalle lenzuola amaramente sudate e penzolante deambulare in cucina. Preparo la moka del caffè, vi accendo sotto un incendio, piscio davanti allo specchio - che faccia, sempre peggio -, e appena sento il borbottio spengo, verso, mescolo, bevo, ah!, i polmoni si dilatano, il cuore pompa più forte, riacquisto lucidità, dopodiché mi siedo sul divano, e, da sotto, nascosto tra i pioli, tiro fuori una scatola né grande né piccola, ma notevole, di legno lucido il quale ha sempre una gran classe; me la metto sulle gambe ancora nude perché ero e resto in mutande, e con un click la apro. Dentro c'è un congegno magico. Ma no, non magico come Merlino o Sauron, magico nel senso che... non so come funziona. Come il computer dal quale sto scrivendo: lo so come funziona? no. Ne ho una vaga idea? no. Quindi è magia, funziona così, dopotutto, nevvero?
Bene, come dicevo tiro fuori questo congegno che, non sapendo come funziona, per me è magico, ma del quale conosco la funzione, che è semplice e terribile assieme, ed è questa: la fine del mondo.
Sì signori, difatti al centro del congegno c'è un pulsante rosso acceso, e sotto una breve scritta: premere per far finire il mondo.
All'inizio non ci credevo, figurati se basta premere un pulsante per far finire il mondo, sarà una baggianata; stai a vedere che basta premere qui e pam! tutti scheletri, tutti putrefatti. Anche i bambini e le donne, s'intende, e forse loro per primi. Ma tant'è che non ci vedevo chiaro. Come funziona questa cosa? mi chiedevo. È come quella poesia di baudelaire dove lui vede una carogna in decomposizione e subito si immagina l'intera umanità in putrefazione e nella sua mente ciò si avvera?
Non lo so e non posso saperlo: dopotutto si tratta di magia. Un breve foglietto inserito per istruire l'utilizzatore, dice così: al momento dell'attivazione, tutti diverranno istantaneamente degli scheletri lì dove si trovano, secchi secchi, schiantandosi al suolo in tanti pezzetti. Le tombe esploderanno, il cielo romberà tuoni e cannoni senza che una goccia di pioggia sappia cadere, le strade si storceranno tutte senza portare più in nessun luogo, le bestie si faranno timide andando a morire dietro dei grandi massi, gli alberi s'illumineranno in grandi incendi spontanei, tutte le costruzioni dell'uomo pensate per durare nei secoli sbricioleranno come pane secco, le città si apriranno in bocche nella terra spalancate di denti immani, le grandi vette si livelleranno, i mari sbiadiranno mutando vari colori fermandosi a un rosso acceso, e subito bolliranno facendo di tutta la vita che custodivano un gigantesco lesso maleodorante; gli uccelli si faranno di pietra cadendo, quelli sfuggiti alla maledizione voleranno fino allo stremo per ricadere con rumori imbarazzanti: poi il cielo barcollerà, le stelle si spegneranno, tutti i libri prenderanno fuoco come giustamente sarebbe dovuto accadere da quando furono inventati, i fiumi esonderanno prosciugandosi, la stirpe dei rettili si seccherà al sole, e il sole stesso dopo aver cotto ben bene tutto ciò che restava da cuocere prenderà un colorito rosso scuro, poi blu, infine senza tanti rimpianti si spegnerà come un tizzone bagnato, dimenticando alla luce questo angolo di spazio tormentato. Nel buio totale venti dal cosmo faranno polvere di quel che resta. Da ultimo questo gran polverone che era la terra e la vita e tutto quello per cui avevamo ansie e paure e speranze verrà soffiato nel buio verso altre disgregazioni e peregrinazioni millenarie.
E in questa giornata ideale, finito di leggere le istruzioni sotto al grane pulsante rosso, depresso, stanco, scoraggiato, triste, mezzo morto di paura, starò lì lì per premere il bottone rosso, il bottone di nessun giudizio universale, l'interruttore che accelera il nulla delle cose e le fa scadere prima, prima di quella sciocchezza di tempo che qualche dio/fabbrica ha impresso sulla loro data di conservazione.
E vorrei davvero premerlo, e poi che mi importa, e poi che mi cambia? Lo premo e via, dai! giornata ideale, la fine di tutto, l'inizio di un Niente perpetuo, un Vuoto inarrestabile.
E poi vedo che sotto quel bottone ce n'è un altro, e c'è scritto così: se premi qui muori solo tu. Esplodi come nello spazio.
Ah! solo io? troppo facile, e gli altri, e tutto quell'ammasso di materia di 'sta palla vergognosa che orbita ostaggio del sole dovrebbe andare avanti?
È nero questo bottone. L'altro è rosso, questo nero. Ma io voglio sinceramente la fine di tutto. Che nausea, che mal di stomaco, di testa, di reni, di fegato. Il mondo mi fa male agli organi, i miei organi soffrono il mondo. Ma poi, mi dico, se muoio io, e se muore tutto, non è lo stesso? se sono morto è finita e non mi rendo più conto che c'è ancora un mondo, un sistema, un universo. È proprio la stessa cosa, e allora... faccio a caso, nero o rosso, rosso o nero, vediamo cosa esce... Rosso!
La fine di tutto, ora premo e tra un attimo non c'è più niente, e tutti quegli esseri viventi che strisciavano sudavano rantolavano e soffrivano sulla superficie di questo satellite orbitante e di chissà quanti altri smetteranno di farlo.
E tutti quegli esseri viventi che strisciavano sudavano rantolavano e soffrivano sulla superficie di questo satellite orbitante e di chissà quanti altri smetteranno di farlo....
E tutti quegli esseri viventi che strisciavano sudavano rantolavano e soffrivano.... ennò, troppo comodo.
Alla fine la giornata ideale è quella in cui io muoio, e voi tutti quanti e tutto il resto rimane, continua a vivere, a dimenarsi disperato in questa assurdità che l'universo stregato ha creato e a cui diamo il nome vita.
E allora pulsante Nero. Premuto! Oh, ci siamo, mi sento morire da solo. Che giornata ideale!


- scritto di getto -