domenica 1 dicembre 2013

Il signor F, un borghese qualunque



 Certamente chi si appresta a dormire non sta troppo a pensare a come si sveglierà fisicamente, se avrà ancora un naso, le orecchie o tutti gli arti. Rifletterà, eventualmente, al da farsi poi, anche se più spesso a quanto fatto; come dire, e cosa, in situazioni del tutto ipotetiche, nel domani, logicamente se tende all’ansia.
 Ma sovente rimbalza su quanto detto nel giorno trascorso, come una palla matta, nel normale essere schiacciati dalle relazioni umane. Su questo, poi, ne avrei da dire, eccome!, e certe persone, non ci si spiega come – ma chi sa spiegarsi qualcosa – conservano un ricordo opaco, un alone spettrale, di spettri  impazziti, per ogni contatto umano. Menti come contenitori di orrori visivi. Ma, su quanto detto dianzi, e sul risveglio e sull’immaginarselo, mai si pensa, tenendo a mente le solite possibili eccezioni , a un mutamento esteriore , un cambiamento vertiginoso e irreversibile.
 Ad esempio, e per dire ciò potrei citare, non so, un qualche mago del sonno, che non mi risulta esistere, e che quindi non citerò, ad esempio, dicevo appunto, si da per scontato lo svegliarsi dove ci si addormenta, piuttosto che su un monte, e se ci si addormenta su un monte piuttosto che al mare, o ai piedi del monte, morti. Oppure dopo un trascorso temporale fisso, mentre magari, per motivi validissimi, ma che, sai che noia!, non starò qui a spiegare, ti svegli dopo due anni.
 E che, non ho ragione?
 E allora cosa, mi si verrà mica a dire, mi si verrà, che s’è mai visto qualcuno, o s’è sentito, magari attraverso un muro, di un assonnato terrorizzato di svegliarsi vecchio? Ebbene: no. E un no più fermo va posto davanti a quell’idea, sublime allegoria dell’orrido, del tornare al mondo della veglia diversi, seppur sempre se stessi, ma con, come dire… un corpo? Sì, un corpo diverso. Ponendo per assurdo che è cosa assunta a routine, e di fatto nella routine aspettativa inattesa, volare nel noumeno del sollievo emotivo, e svegliarsi assieme al sole magri, se ci si addormenta rosei e carnosi, per poi biecamente sostituire il tutto con la speranza di svegliarsi con il letto apparecchiato , che la fame, e la voracità dei grassi, non se ne vanno col sonno; oppure scampare all’armata dei dormienti belli, bellissimi, quando ci si era arruolati mostruosi e tristi; e ancora, vediamo… alti, altissimi, se tra i fiori, fino al giorno prima, il nostro olfatto era più vicino a qualche avvenuto processo digerente spalmato in terra che alle corolle floreali profumate.
 Ma via! Da parte questi narcisismi, e poi non sapremo mai cosa desiderasse il nostro amico. Si vada quindi al mistero che va rivelandosi, che come ciò che pensiamo, in presenza di lui, o di lei, non rivelerò del tutto; i misteri, in fin dei conti, vanno pur preservati, misera è l’esistenza senza contemplazione del mistero. Questa narrazione, poiché si narra, e questa fantasia, non certo perché sia fantastica, ha, e sfido tutti a negarlo, ignaro protagonista un esimio collaboratore di, stimato moltissimo da, attivissimo nel, convinto credente del dio assegnato al suo luogo di nascita, ben avviato nel suo mestiere e, anche se non nella descrizione in corso, felicemente sposato, ma se ne ignorano i motivi, con sua moglie.
 Dicevasi appunto…dicevamossi… dicend..vosi… vi dicevo, or dunque, a notte sveglia, nella casa prossima ad assopirsi, si recava nel suo letto stopposo il Sig. Franco Nonpagodazio, impigiamato per il sonno e impomatato per dispetto al tempo che avanza; e già ne era passata di acqua sotto ai ponti, di neve sopra ai campi, o qualsiasi altra metafora patetica, patetica!, dia il senso del suo tempo trascorso: lui già aveva, il Sig. Nonpagodazio…bè, più di cinquant’anni, o poco meno, o , vai un po’ a saperlo, proprio cinquanta.

Il suo pensiero, l’estremo atto mentale che s’antepone al sonno, era un bel ricordo, assai confuso e scoordinato, dove, innumerevole tempo prima, oziava da una finestra, e nel non fare niente aveva indovinato diverse verità, - e sia chiaro che solo nel non far niente si può indovinare qualcosa, perché solo in quel contesto se ne ha voglia – poi aveva annusato l’aria umida, trovandovi  una calma dimenticata, mischiando tutto con sensazioni antiche, vissuti freschi e vivissime impressioni stagionali, tutto sereno, com’è proprio dei ricordi privi di altre persone. Si addormentò quindi con un espressione beata, come un desco monacale, ma senza barbe, senza pazzi; come una festa popolare, ma senza popolo, senza pazzi. Sognò di essere un Re antico, un sovrano amato e temuto, all’apogeo del suo regnare su altri uomini, saggio e forte. Poi il sogno andò svuotandosi, si fece fosco, e persone scure, davanti a un rosso fuoco salutavano stando immobili, confondendosi nella luce sempre più fioca, svanendo. Nell’allontanarsi calò una tenebra informe.
Lui dormiva, il Nonpagodazio. Dormiva il sonno dei tutti.

ZzZzZzZzZz

Il firmamento si compone di stelle dai toni variegati, un quadro mistico dove a misurare il tempo sono i colori: bianco nova; il giallo alchemico da piena armonia atomica; il rosso antico; un viola mortifero… Oltre, senza età, il verde tra i mondi. E così, nei colori percepiti dall’occhio umano si misura la vita delle stelle, e quegli stessi colori adornano l’altro vuoto, il nero damascato elettrico che intervalla i sogni umani: fermo, immobile, piatto e curvo, la pausa ignara dell’esser pausa da qualcosa, e mentre esiste crede solo a se stesso, preparandosi in silenzio a un’eternità fluttuante. In breve, lanciato da dita invisibili, torna il sogno, e il quadro riprende vita, si mescola. Prima di svegliarsi Nonpagodazio, il Franco, si vide ancora mentre scriveva un racconto, una storia, forse questa, su di un tizio che scriveva, e pensava di comporre favole, quando in realtà altro non faceva che ripetere tre parole, dall’inizio alla fine. Su quelle tre parole, accortosi ch’erano tre, andò svegliandosi. Sogni e sfondi neri fuggirono di lato.
Si svegliò.

Se ne stette, il pacifico uomo, ma non poi tanto, con occhi semichiusi a fissare il soffitto, con lo sguardo dilaniato di chi ha visto enormi ragni, li ha dimenticati, e ora, nello squadrare lo spazio attorno, appena sveglio, cerca di ricordarli. S’era sincronizzato, assurdamente, ma come succede di frequente, con qualche rumore esterno, tipo un fischio, e ad ogni respiro credeva di fischiare col naso. Scherzi del…di cosa? Ci vogliono diversi attori per inscenare uno scherzo del genere; uno scherzo di tante cose. Tornato in se e sedutosi sul letto, di li a poco si alzò per vestirsi.


Un orrore muto, e il sig. F. si sentì spegnere, portare via da un vento vertiginoso verso fessure roboanti, così velocemente da non centrarsi coi sensi, da mancarsi prendendo coscienza, in un vedersi da fuori, dal tutto. Vedersi follemente sconosciuto allo specchio. E la realtà andò in frantumi come il vetro della finestra da cui si guarda il mondo, restando però impressa nei frammenti in caduta, crollando nel vuoto come le ore che viviamo, insieme a ogni certezza.
 L’uomo non era più, e ora, da distanze immemorabili, un immagine di qualcosa si rifletteva in quello specchio, e tornando alla vista attraversava tutte le paure che vengono dalle stelle, le nebbie della notte, e abissi d’ombre e luci balenanti nel buio. E certo non era un uomo.
 Nella stanza semibuia nudo davanti allo specchio si ergeva un’oscura mostruosità, un gigantesco Maiale antropomorfo, curvo e umidiccio, con aguzze orecchie carnose sparate ai lati della testa e un ripugnante naso porcino sopra la bocca spalancata, incorniciata da labbra distorte entro le quali denti grandi e acuminati ridevano insensibili tutta l’infelicità di quell’attimo.
 A quanto pare, per farla breve, ma non troppo breve, il signor Franco Nonpagodazio, stimato cittadino, moralissima persona, serissimo lavoratore, marito encomiabile, serafico credente e tante altre cose, tutte rette e, giustamente, etiche, sognò cose belle, e si risvegliò gigantesco maiale, un grasso e sudato Porco di un metro e ottanta, con peli durissimi su tutto il corpo e una codina riccioluta che ondulava morta ad ogni movimento. A incoronare il memorabile risveglio non si ha, non ce l’abbiamo proprio, haimè, quanto disse, e niente sarà riportato. In parte , forse, perché estraneo alla sua nuova bocca.
 Certo il fato, lo stesso che nei sogni lo mutò, pensò a ragione che una prima firma il nuovo sig. F la dovesse pur lasciare, e questa non tardò, che appena lo sguardo fu abbassato iniziò a defecare, non senza una certa puzza disgustosa, e tale fu la sorpresa per di dove usciva, o per l’odore estraneo, o, insomma, perché ritrovarsi di mattina a defecare in camera con sembianze suine può lasciare perplessi, tale fu quindi la sorpresa da farlo saltare, correre, persino arrampicarsi sui muri. E si ebbe un grosso porco e una casa alquanto smerdata.


Sua moglie lo trovò in bagno, seduto sulla tazza, col fumo che saliva dal basso e un occhio mezzo chiuso, e l’altro innaturalmente spalancato.
- No cara, è la cicca che non s’è spenta, non mi fumano i testicoli: ma poi sono un maiale ormai, posso dire i coglioni! Non tapparti il naso, sto solo pisciando, ma sai, mi siedo, così mi calmo, di la ho sbranato il cane, e ora sono un po’ stanco. Sai, pisciare, è un grande strazio, almeno mi segui?; se ti masturbi prima, poi, ti sembrerà di pisciar tra gli applausi. Ora mi vesto, andremo a messa. Mi vesto tutto di nero, tutto di nero! La messa, oink, è una cosa seria.





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