venerdì 29 novembre 2013

Il non-senso della vita

Attenzione! questo post contiene noiose spiegazioni copiate da wikipedia.


In un bosco innevato, di notte, arrivi presso una grande quercia. Ti volti: non c'è nessuno.
Sopra, solo buio e gelo. Tutt'intorno, freddo. Sul bosco, sul tuo bosco, solo neve. E un vento che prova a spegnerti.

Ha un senso la vita?
Intanto però, cosa vuol dire senso?

La parola senso in filosofia ha una lunga storia che parte dalla αίσθησις di Aristotele, a indicare la facoltà di "sentire", cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso. Questa tipica definizione sensistica viene ripresa in vario modo in seguito, ma è solo nei tempi moderni, con Locke prima e poi specialmente con Kant, che la parola senso assume il significato di sentire insieme alla consapevolezza di ciò che avviene sentendo.

Insomma, significa sentire, percepire. È chiaro che la vita la sentiamo, quindi domandarselo è inutile. O forse solo sbagliato.
Nel senso che, sì, invero, ciò che comunemente si intende è se la vita ha un suo fine, uno scopo ultimo.
Ok.
Lo ha? Ha un fine ultimo, uno scopo?
Intanto, per i credenti, lo ha.
I credenti, infatti - a qualsiasi religione essi appartengano -, credono in un dopo-vita. Qualsiasi esso sia. Per farla breve dopo la vita biologica ce n'è un'altra spirituale, o un'altra biologica ancora. Dipende dal credo.
No, non è molto chiaro come ciò possa avvenire.
Comunque per loro il fine, ma chiamiamolo pure senso come nell'accezione comune, c'è.
Si sbagliano? si illudono?
Hum... non ci interessa. Ma ci interessa sapere che se anche si sbagliassero non cambierebbe poi molto, perché...
Perché, invece, l'ateo non dà alcun senso alla vita. All'ateo manca il fine ultimo.
Ma allora, direte voi, è un nichilista.
Dal wikizionario
nichilismo
  1. (filos.) dottrina che nega in modo assoluto qualunque valore della società.
  2. (psic.) condizione per la quale si è portati a negare l'esistenza di tutto.
  3. (stor.) ideologia sviluppatasi in russia intorno al 1850, che si proponeva come obiettivo la distruzione dell'ordinamento sociale e politico esistente.


In realtà vuol dire, molto più semplicemente, non credere a niente. infatti ... [...] (dal latino classico nihil e dal latino medievale nichil, "nulla"), è la dottrina filosofica che suggerisce la negazione di uno o più aspetti putativamente significativi della vita, da cui il mondo, l'esistenza umana in particolare, è privo di senso, scopo, valore etico, e la verità è incomprensibile; se inteso in forma di nichilismo esistenziale, la vita stessa è senza senso, obiettivo e valore intrinseco.


Sono degli animali. Solo che l'animale non sa di non crederci, vive la sua apparente inutilità avvertendosi come il senso egli stesso. Cosa cambia, allora, a parte la consapevolezza?
Il nichilista, c'è scritto lì - e badate che ogni ateo lo è -, non crede a niente, non riconosce alcuna verità, è alla deriva nel più totale relativismo, ossia il non avere certezze per cui tutto è relativo A, e non dà valore a nulla, neanche alla vita.
Praticamente, per spiegarmi, se si trovasse - il nichilista - all'inizio di questo mio post, in quel bosco, e trovasse, da un lato, una casetta invitante, con dentro un camino, e magari del buon cibo, bene, alla casetta, al camino caldo, al cibo, non darebbe alcun valore. Certo, li userebbe, ne trarrebbe calore, nutrimento e del buon sonno: ma non significherebbero nulla per lui. Nulla che non sia la normale prosecuzione della sua vita biologica.
Ora, sapendoci atei, o intimamente laici - poiché tutti intimamente lo siamo -, come possiamo anche solo sperare di creare una società che funzioni se è l'uomo stesso in presenza delle sue capacità mentali a non funzionare senza l'astrazione mistica?
Non solo, ma: solo col fardello di Dio l'uomo può seguire una morale?
Inoltre, per dire, sono l'unico che si chiede queste cose?
Probabilmente sono l'unico che se le chiede e poi, dopo essersele chieste, si aspetta una risposta. Uno sciocco insomma.
Ma dicevo: ha un senso, la vita, che vada oltre la sfera mistica?
Lì, abbiamo capito/deciso, non c'è trippa per gatti.
A proposito, sapete perché si dice "non c'è trippa per gatti"? Io sì. Non uso mai parole o modi di dire di cui non conosca il significato. Non avrebbe senso, no?
Comunque, nel comune di Roma, c'erano i gatti. Li lasciavano lì per i topi. E gli davano da mangiare la trippa, cioè la carne meno costosa che c'era.
Poi, con la guerra, se la mangiavano i soldati, e così non c'era più trippa per gatti.
Chiarito ciò, ribadisco: ha un senso la vita che non sia la sua sfera mistica?



Ne butto lì uno: la gratificazione.
Cose come divertirsi, o esibirsi, o vantarsi, cose così insomma, che ci gratificano. Anche una pizza.
Siamo sempre più narcisi, in effetti.
No, no mio padre no. Neanche mio nonno.
No, io non ho riferimenti patriarcali. Non ne ha più nessuno.
Se ho detto gratificazione è perché già appartengo a una società diversa, una società narcisistica. Anche il sentire, il sapere, passano in questo tipo di società attraverso il narcisismo, la vanità.
Ma saperlo ha senso? Non sappiano troppe cose che non ci servono, che per noi non hanno alcun senso?
Non ne hanno più della vita, che però trova il suo senso nella vita stessa, nell'essere, o meglio, nell'esistere. E così criticare il proprio spazio sociale, analizzarlo, trova il suo senso nella critica stessa. E la pizza, la pizza ha senso mentre la mangi. O se ti piace farla mentre la fai.
Allora forse il senso, il fine di ogni cosa, è nella cosa stessa.
Le cose, si potrebbe quasi dire, vivono a parte. Ogni cosa vive a se e si da un senso d'immanenza.
Ma così, scusate, non avrebbe senso. Mancherebbe quel qualcosa alla fine che...
No, e non lo avrà mai, è chiaro che ognuno di noi si aspetta sempre l'infinito, l'eternità, e questo perché a spingerci avanti sono l'infinito del nostro desiderare - difatti noi siamo solo se desideriamo -, e l'eterno affisso alla nostra temporalità, poiché la nostra mente temporale è propensa a pensarsi come senza-fine nel tempo che essa stessa costruisce.

Non so voi, ma a me, dopo aver scritto queste cose - che badate non sono cultura, no, sono decadenza! -, è venuta voglia di bere.
Ma come la faranno questa birra?
Ha senso chiederselo?
Per il credente: sì. Lui ha tempo per le cazzate (sebbene il sapere come si fa la birra non sia proprio una cazzata, del resto era un esempio)
Per l'ateo: no. Non ha tempo per niente che non sia vivere, se stesso, e vivere se stesso.
Giustamente.
Il credente, per assioma, è sciocco.
L'ateo invece ha capito tutto.
Però il credente è l'unico che, dando un senso alla vita, la solleva dalla sua inutilità. Almeno mentre la vive!
Allora forse, rimanendo fedeli che non c'è bene e non c'è male, e quindi non c'è lo sciocco e non c'è l'intelligente, forse il credente ha ragione.
Forse dobbiamo credere di credere in qualcosa, e darci delle ali per planare dolcemente, invece che cadere, sui ruvidi scogli dell'esistere.
Il mare del nulla ci avrà comunque, ma sarà stato più piacevole. No?

O ci avrà il bosco, colmo di neve e gelido.

(Ah comunque quella casa, col camino acceso, nel bosco, non esiste.)


Ma che senso ha, invece, il mio chiedermi, il mio seguire tracce sulla neve, il mio voler sapere se le cose, bene o male, hanno un senso?
A me sembra un po' come quando nel bosco, d'inverno, sotto la neve, la volpe esce dalla tana - la furbissima volpe -, si ferma, annusa l'aria, gira la testa, la rigira, annusa ancora. E poi decide dove andare.
E decide totalmente a caso.


A destra o a sinistra?
Di qua o di là?
Magari me ne sto qui ferma, tanto che cazzo cambia.
E pensare che mi credevo furba.

sabato 23 novembre 2013

L'inutilità nelle società industriali

Ieri ero da una vicina di casa. C'erano un po' di persone, dei cani, un gatto, alcuni bambini giocavano fuori. Odio i bambini. C'era anche mia nonna.
Era insomma una riunione di caffè dove superare l'atrocità dell'esistere attraverso il fare due chiacchiere.
Al centro del dibattito c'era la brutta piega che ha preso il mio gatto.
Lui, Frederick Chopin, il mio gatto, ha la sciolta. Si insomma, la diarrea. Crea dei veri e propri laghi di merda ovunque si trovi dato che, per urgenza e stimolo improvviso, non riesce ad arrivare alla lettiera.
Inutile dire che questa cosa mi fa incazzare come un demone.
Sì perché di solito, per strada, andando da mia nonna, mi pregusto già una merenda, o magari un caffè o che so, un dolce. Invece no: entro e c'è puzza di merda ovunque.
Così le stavo dicendo che, praticamente, è un problema.
Ma con calma, una cosa del tipo: "vedi, devi capire che la presenza di laghi di merda gatta mi turba alquanto, specie se, dato che sei qui - eravamo dal vicino -, l'odore ha il tempo di intaccare qualsiasi oggetto impestandolo. Ora, non ti dico di monitorare Frederick giorno e notte, ma quantomeno finché ha questo disturbo lo si potrebbe lasciare in cortile."

Una argomentazione, la mia, ben esposta e ineccepibile.
La sua risposta mi ha gettato in uno sconforto abissale.
Mi ha detto, grosso modo con queste parole, che: "Ma che dici, Valeria Marini c'ha un gatto e un cagnolino piccolo e se li tiene tutti in casa. Li pettina, vedessi come li pettina. Non capisci niente di animali."
Ora io non so dove abbia preso questa informazione e rabbrividisco al solo pensarci.
Ma soprattutto: che cazzo c'entra valeria marini?
Cioè... io sono qui, parlo del gatto che sta due muri più in là, e mi dici... valeria marini?!
Qualche secondo per riprendermi...







E niente, il fatto è il seguente, cioè che ci troviamo davanti alla prima generazione che sta morendo davanti alla televisione. Un'armata di anziani che hanno ricevuto come unico stimolo durante la loro vita l'orrida presenza delle TV, e ora un po' per assenza da se stessi e un po' per disinteresse verso gli altri - anche questo portato dall'abuso televisivo - passano le loro giornate davanti a uno schermo tranne che per i rari momenti in cui riescono a partecipare umanamente a qualcosa.
Ci moriranno davanti o ne fisseranno le luci fino a quando potranno.
Anche in quel momento, ossia mentre le parlavo, e mentre altre persone le parlavano, mia nonna fissava sporadicamente lo schermo, come a cercarne il consenso per parlarci. E così l'altra anziana, e l'altra anziana ancora. Non solo, così anche la casalinga di quel salotto (ogni salotto ne ha una, no?).
Allora come stupirsi del suo tirare in ballo ciò che ha visto in tv, è perfettamente logico.
Ogni tanto per un eccesso o per l'altro la gente si perde e non sa più dove vive. E badate che succede anche ai più ricercati, anche agli intellettuali, perché se sempre parlando del gatto, ed evidenziando il succitato problema, mi fossi rivolto a un filosofo, questi avrebbe potuto dirmi, per assurdo, che Platone aveva un gatto e un cane, che li pettinava e li teneva in casa.
Certo, meglio Platone, ma non è comunque un perdere di vista la realtà?
Voglio dire, io sono qui, ti sto esponendo un problema che si trova qui anch'esso, e a meno che il tale che mi citi non venga ad asciugare il sempre succitato lago di merda il problema rimane invariato.
Invece no.
Cos'è, una forma di evasione?
O magari solo un modo per rendere più interessante un discorso che di suo, come dire, era in effetti sgradevole.
Io non lo so.
Anzi, una cosa la so, che l'uomo imita. Imita tutto. Conoscendo il nostro cervello non possiamo che stupirci di come riesca comunque a creare qualcosa pur essendo essenzialmente costruito per copiare ciò che lo circonda.
E siamo circondati da un vero e proprio, per restare in tema, lago di merda.

Questa, purtroppo, è solo la prima generazione a morire davanti alla tv; ma ce ne saranno altre. E tutte più stupide perché le prossime non avranno neanche il conforto, come gli attuali anziani, di aver vissuto una parte della loro vita, quella iniziale, fuori da questa nuova era della stupidità, e si troveranno a non avere neanche un briciolo di buon senso con cui difendersi.

Tornando al mio qui, al problema del gatto, ho detto a mia nonna, e all'altra nonnina, e alla casalinga che si erano accodate alla sua tesi, che probabilmente valeria marini non ha un bilocale, e ad ogni modo cane e gatto li avrà senz'altro affittati per quella diretta televisiva, dopo la quale deve averli rivenduti a un cinese.
Perché la tv è finzione.
Ma io sono un illuso, non vincerò mai questa battaglia. Non sono ancora riuscito dopo 15 anni di tentativi a far passare questo messaggio. Cioè che tutto in tv è finto e non va imitato, non va neanche lontanamente preso sul serio.
E a maggior ragione sono un illuso perché ostinandomi a spiegarlo non ho capito io stesso che se hai un'idea, se sei riuscito nonostante tutto a capire qualcosa che agli altri è sfuggito, non devi spiegarla loro, quel tuo pensiero non va regalato per forza al mondo: te lo puoi tenere. Forse devi! Tuo! tutto tuo!
Lo culli, lo accarezzi. E poi BAM! lo dai in testa a qualcuno, quel pensiero, e mentre è privo di sensi lo derubi. Se glielo regali non serve, non è gradito. Oddio, magari a qualcuno piace.
Ma se glielo dai in testa non sbagli mai.
Quello che avrei dovuto fare, che dovrei sempre fare, sarebbe accettare stoicamente discorsi del genere. Chiunque fa discorsi del genere. E poi BAM! usarglieli contro, o comunque a mio favore. Assecondare la loro inerzia per facilitare il mio moto.
Perché siamo onesti, non c'è altro da fare.

Poi si, per carità, è anche il ruolo degli anziani a non avere un verso, non solo quello che fanno.
A volte chiedo loro: ma i tuoi genitori, da anziani, cosa facevano, come sono morti?
La risposta è sempre la stessa. Mi dicono che hanno lavorato nei campi o nelle loro bottegucce fino a tarda età e poi, ritiratisi, continuavano in un certo modo a insegnare quello che sapevano ai più giovani, a raccontare il loro mondo, a raccontarsi, finché non sono morti.
Insomma, a tramandare oralmente il loro sapere.
Questo nella società industriale non è più possibile. Questo tipo di società, la nostra, muta giornalmente, e con queste regole invecchiare significa non più farsi custodi di un sapere, ma bensì divenire obsoleti. Inutili. Il sapere poi si acquisisce nei luoghi adibiti ad esso, qualsiasi essi siano.
Cosa può dirci, oggi, un anziano, che non sia quello che ha visto in televisione?
Insegnarci non può, se non forse qualche piccolezza.
Esserci superiore in qualcosa neanche, tranne rari casi, perché una società che continuamente supera - o crede di superare - se stessa non ha tempo per guardarsi indietro.
Allora a pensarci bene è il modello di società che è sbagliato. Se ti senti inutile, e in un certo senso lo sei, ti chiudi in te stesso, ti isoli, e finirai per occuparti solo dell'altrove. Non di qui, non di te. Di altro, tutto per non pensare, per non ricordarti di essere inutile.
Ecco da dove arriva il discorso sui cani della marini, arriva dall'essere inutile e dal non volerci pensare.
La società industriale non crea uomini, crea inutilità. O ci si sforza di rendere utile il non davvero, il non più, il non del tutto percepito come utile, oppure... oppure BAM!




venerdì 22 novembre 2013

Il mestruo





Il vino nero ardeva nella coppa finemente cesellata come un fuoco funebre dei tempi antichi, evocando con rari aromi d’oriente pensieri scultorei e vaneggianti.

 Sorso dopo sorso il tepore alle gote suggeriva sonni di giustezza, e prometteva un chiaro mattino ovunque avvenisse il risveglio. Non che in una bettola qualsiasi si possa aspirare a cambiare il mondo, specie se in tal luogo si gozzoviglia con distillati di tuberi, ma, sapete, anche immaginarsi nel bicchiere, anziché una brodaglia opaca e appiccicosa, più simile al fango fossile che vomita la terra che a un qualsiasi vino, appunto, immaginarvi il succo prelibato di una rara vendemmia d’oriente, bè, era pur meglio che guardare in faccia la realtà.
- Solo il pazzo fugge dal paradiso, e io ho perso tutto, tutto! Poveretto me, che povero - Berciava un avvinazzato che lamentava il suo aver perso tutto, senza per altro aver mai davvero avuto qualcosa.
- Lo dici a me, io ero un Re, e per tutti i diavoli, avevo ai miei piedi una mandria di regine! – Gli faceva eco un losco beone dallo sguardo vitreo e il naso gonfio per il distillato di rapa che trangugiava come manna celeste, evidentemente ignaro che certo le regine non si muovono in branchi.
 E poi un’altra pioggia di vaniloqui e bestemmie urlate ai lumi sulle pareti, ammiccamenti di puttane e, in sottofondo, come a ricordare tra i fumi alcolici che fuori ad aspettare c’era la nera vita di sempre, un cane abbaiava a non si sa cosa, ad evocare ai mistici derelitti che da qualche parte una grossa cagata attendeva i loro passi incerti nel tornare a casa.
 A questo squallore serale, piuttosto comune in ogni locanda da qui all’orizzonte, si aggiungevano poi i roboanti tuoni che agitavano i cieli a breve distanza, minacciando una pioggia tutt’altro che gradita, giusto per dare alla marmaglia avvelenata ulteriore motivo per dannarsi e maledire l’umanità intera. Nel mentre di una profonda riflessione del taverniere, che con fare affettato illustrava ai suoi astanti il modo esatto con cui bisogna usare il braccio per far abortire un cavallo, e tra un gorgoglio di risa molto prossime alla pazzia e un coro scompagnato dove ogni voce cantava una canzone diversa, ma tutte ugualmente sconce, nell’aria appestata da effluvi acidi si fece largo, entrando lentamente e in punta di piedi dal lurido ingresso, un uomo alto e deciso, come non se ne vedevano dai tempi in cui la cittadina era giovane, e i suoi abitanti non ancora resi tetri e gobbi dal vizio. 
-Non lo sapevi.. non lo sapevi tu….lo sapevi? – così un villico ormai quasi cieco per l’alcol che aveva in corpo, evidentemente intento a demolire definitivamente la lingua dei suoi padri, cercava di comunicare qualcosa al suo compagno di bevute.
 Questo stesso, reso temerario dal suo bere, notò per primo lo straniero, e in un unico pensiero, che il suo cervello emise allo stesso modo in cui una donna decide di partorire i suoi dieci figli tutti insieme, si alzò, decise cosa dire, e barcollando si diresse verso l’ingresso, giunto davanti al quale aveva già dimenticato chi fosse, così che il cervello abortito il parto d’intenzioni aveva più modestamente ripiegato per uno sputo e uno schiaffo, cosa che, a seguire la scena, fu messa in atto come il più plateale gesto di benvenuto. E se nella vita si è eternamente traditi da coloro in cui confidiamo, così l’alcolizzato vive la sua personalissima esistenza confidando nel vino, e da questo viene tradito a ogni brezza che muove le foglie. E proprio così fu tradito il villico, che muovendosi come una barca lungo delle rapide scoscese, saltellava di qua e di la, e, povero Sick – tale era il suo nome – finì per sputarsi addosso e dare uno scappellotto a una sedia, tutto per ruzzolare dabbasso le scalette della cantina e fissare dal pavimento lo straniero che aveva assistito impassibile alla sua danza alcolica.

 - Amico, se volevi invitarmi a ballare potevi risparmiarti il corteggiamento – parlò tra i denti lo straniero, accigliandosi vistosamente, e alle presenti parole l’intera casa matta esplose in un fragore di risate e imprecazioni degno della presenza di qualche grande puttana venuta dalla città.

 Con una siffatta entrata, valsa evidentemente come presentazione generale, pensò bene di mettersi sotto braccio il sempre più confuso Sick, e di sistemarsi comodamente al banco per ordinare qualcosa. Naturalmente offrendo da bere al suo nuovo amico. 
- Ebbene, lurido cane da bevuta, avevi proprio in mente una bella accoglienza, che il diavolo di trascini dentro un sacco! – e detto questo lo straniero tracannò la sua coppa di birra scura e si pulì la bocca col palmo della mano, per poi continuare – ma vedi, muso di cane, quant’è vero che mi chiamo Boccabuona sono venuto qui per la vostra specialità, non so se hai inteso - E probabilmente, nel dire questo, forse perché ansioso di spiegarsi, ignorò che Sick era sì in grado di continuare a bere, ma certo non di intendere parola, né tantomeno emetterla. Infatti, accennato un rutto mortogli sulle labbra violacee, si accasciò come un albero dopo un incendio, e per quella sera non fece altri danni.
 - Insomma! che la dannazione vi colga tutti! – urlò alla locanda Boccabuona – è così che accogliete un ospite in questa città dimenticata dal cielo?! Oste, una camera e una donna! E che sia mestruata, mi piace bere qualcosa prima di dormire!
Tutti sogghignarono.
 - Ah, lo straniero conosce la nostra specialità! – presero a dire. E poi tutto successe in breve tempo. Dalle scale venne giù una fiumara di sangue, un vero torrente, che alle lampade prendeva riflessi color bronzo e verde scuro. E nell’umido appiccicaticcio degli scalini gocciolanti venne a scendere un’affascinante figura, sebbene all’apparenza alterata, che con voce roboante si eresse alla stanza dicendo: - Stupido uomo, non vedi che sono mestruata?! Sbrigati e porta una coppa! - Era Wanda la puttana, e lo straniero, Boccabuona, per la prima volta quella sera, leccandosi le labbra, sorrise.

Esegesi di Volo Fabio

Allora ragazzi, parliamoci subito chiaro: Fabio Volo è l'incarnazione del pensiero dei nostri tempi. Con questo inizio e con ciò concluderò. Poi la domanda è: cos'è uno scrittore?
Wikipedia dice:

Uno scrittore è chiunque crei un lavoro scritto, sebbene la parola designi usualmente coloro che scrivono per professione, e chi scrive in diverse forme e generi più o meno codificati. La parola è quasi sinonimo di autore sebbene qualcuno che scrive, per esempio una lista, può essere tecnicamente chiamato uno scrittore, ma non autore. Abili scrittori possono usare il linguaggio (narrativo o meno) per esprimere idee e immagini.

Quindi il signor volo fabio (da ora non mi graverò più del peso di usargli la cortesia delle maiuscole) è uno scrittore, poiché bene o male scrive.
Chiaramente, secondo questa accezione del termine, anche mia nonna quando compila la lista della spesa diviene scrittrice.
Ma come si considera nello specifico il volo fabio? solo scrittore e basta? In realtà, io, di come si qualifichi, non ne ho idea. Non ci interessa neanche. Più esatto sarebbe chiedersi come lo identificano i suoi lettori o più comunemente chi lo conosce.
Credo che in questo caso i termini adatti siano romanziere e paroliere. Ma cosa vogliono dire queste due parole?
Allora, senza consultare wikipedia diciamo che il romanzo è narrativa in prosa. Non ha un contorno ben definito. Il confine ad esempio tra racconto lungo e romanzo breve è sottilissimo, praticamente è a discrezione del lettore. Quindi limitiamoci alla prosa e alla presenza di una storia narrata.
Il paroliere è tecnicamente chi compone un testo musicabile. Va be, ha però delle estensioni come termine.
Ossia chi ammucchia parole. Molto semplice.
Credo quindi che si possa definire il volo come uno scrittore-paroliere che si occupa di scrivere romanzi. Non solo: egli infatti è anche giornalista. Collaborando sporadicamente con alcuni quotidiani infatti ha diritto a questa definizione - che gli do volentieri, questa, tanto per quello che vale...
Ci troviamo quindi difronte uno scrittore romanziere, paroliere e giornalista.

Chiariti questi aspetti noiosi mi alzo in piedi e urlando contro il cielo lancio due domande, le domande che qualsiasi essere umano dovrebbe farsi sul volo fabio:
1 - perché ha successo con molti
2 - perché viene odiato da molti e chi è che lo odia

Chiarisco subito un punto, io non l'ho mai letto. Direte "ma allora che parli a fare, parli di uno scrittore che neanche hai letto?!"
Sì.
Io c'ho tanta, troppa roba da leggere. Ma poi voglio dire, se ad esempio guardi un film, lo guardi tutto, e quel film si rivela una schifezza, un'offesa all'arte cinematografica, per quanto sia stato doloroso vederlo, e forte sia lo sdegno, dopo qualche giorno, o già poche ore dopo, il suo ricordo si assottiglierà fino a svanire. E del film non resterà più niente.
Egualmente nell'andare a mangiare a casa di mia zia e scoprire che la sua zuppa fa schifo, e doverla mangiare per forza, farà si che in bocca mi resti per un po', diciamo mezz'ora, un saporaccio, e in testa il ricordo di quel brutto sapore. Il tutto mi porterà a diffidare un po' delle zuppe.
Ecco, leggere un brutto libro non è così semplice. Non te lo levi mica subito dalla testa. Forse non se ne va mai via. Non è un esercizio meccanico come il mangiare la zuppa di cui sopra, non usa una percentuale ridotta del cervello come il suddetto film, nein, il libro vuole attenzione, e anche il più scialbo dei testi si scava una nicchia nel nostro cervello. Ora, dato che non ripongo alcuna fiducia nel volo, e non voglio nicchie dedicate a lui nel mio cervello, non ho letto e non leggerò i suoi libri.

Chiarito questo, e se vi state annoiando, facciamo finta che il post inizi... Ora!





Intanto andiamo a vedere, per chi non lo conoscesse, la persona di cui stiamo parlando.
In questa foto possiamo vederlo mentre, dopo aver riletto un suo libro, si picchia da solo.
Che sollievo.
Almeno credo, cioè, mi viene naturale pensare che si stesse picchiando. Probabilmente cercava solo di assumere una posa da scrittore navigato.
Ora, la fisiognomica, è stato dimostrato, non è una valida teoria scientifica. Che però lui abbia una faccia da coglione non c'è nessunissimo dubbio.
Ma tornando alle due domande che erano - le ripeto - :
1 - perché ha successo con molti
2 - perché viene odiato da molti e chi è che lo odia

possiamo provare a dare delle risposte sensate.
Perché ha successo?
Mah, hum... questa è una domandona, quasi quasi inizio dalla seconda.. va be, tanto dovrei comunque tornarci. Intanto per spiegare il suo successo va capito il contesto in cui tutto ciò accade. Il mondo in cui viviamo.
Ovunque è il regno del superficiale. È vero che il nostro spazio sociale è formato da persone che per la prima volta nella nostra civiltà occidentale sono interamente alfabetizzate, ma come viene usata questa cosa?
Intanto siamo bombardati, dai media e dalla rete che bazzichiamo, di informazioni. Di ogni genere, dalle più effimere ai grandi temi, di stimoli a non finire, di mode, di tendenze, di argomenti fra i più disparati, di idee e di figure umane da osservare. Tutto ciò ci impedisce, o almeno impedisce alla maggior parte di noi, di approfondire qualsivoglia argomento. Ne risulta che in molte cose, se non tutte, ci limitiamo a scrutare la superficie.
Siamo quindi poco inclini alla profondità che viene dalla meditazione o dall'attenta valutazione di una o più realtà, e conseguenza di ciò non può che essere, nel tempo, l'attitudine al facile, al masticabile, a tutto ciò che si riduce, culturalmente parlando, al piattume.

Se sapendo ciò - e lo sappiamo, non dico niente di nuovo -, andiamo a leggere un "aforisma" del volo, possiamo facilmente scovarvi all'interno tutto il piattume di cui ho parlato, e che ne spiega facilmente il successo perché assecondante la richiesta di semplicità delle masse.



Me cojoni.
A una prima lettura, pur non conoscendo il contesto da cui è tratto, se ne ha un'impressione piacevole. Insomma, ho visto di peggio.
Poi lo rileggo. Qualcosa non mi torna. Si perché, ecco, traspare da questa frase, ma diciamo pure che si emana, una nota saccente. Il succo, il concentrato del messaggio, è che chi scrive analizza tutta una concatenazione di eventi rintracciandone la causa nel loro inizio (bé, geniale), in quello che appunto fu un errore (la causa), e proseguendo fino al risultato finale, cioè un altro errore (inoppugnabile).
Non so, sembra più che altro un esercizio semantico. Ma sarebbe offensivo persino per il volo fabio fermare la sua analisi a un aforisma pescato casualmente. Gliene concederò un altro, e per Crom sceglierò il più bello che trovo.




Ecco qui.
Qui, a parer mio, ci starebbe solo una enorme, gigantesca pernacchia. Ma poi, detto fra noi, anche questo non fa così schifo. Sì, ce n'erano di peggiori. Ma che importa. Lui descrive una normalissima meccanica ansiogena, adolescenziale ma non solo, nel rapporto tra uomo e tecnologia. Parla di un telefono ma potrebbe essere benissimo un pc. Descrive un desiderio vissuto attraverso la comunicazione contemporanea.
Niente di così aberrante.
Insomma, pur non conoscendo i contesti, e non volendone sapere niente, mi sento di dire che sì, è senz'altro un mediocre, ma ciò non motiva tutto l'odio che attira.
Ma mi chiedo: è forse possibile raccontare l'uomo di oggi senza scadere nella mediocrità?
Anche questa è una domanda da tenere in considerazione.

Ma allora, tutto questo odio - e lo odio anche io, sia chiaro - da cosa nasce?
Era la seconda domanda: 2 - perché viene odiato da molti e chi è che lo odia
Giàh, chi lo odia?

Capovolgiamo tutto e pensiamo a una persona normalissima, quindi con un livello culturale basso e un'attitudine ai piaceri immediati, che entra in libreria e cerca un libro del volo fabio. Niente di irreale.
Andando verso, boh, dov'è che li tengono i suoi libri, sopra una sedia?, bé, andando lì, passerà davanti ad altri libri, leggerà dei nomi, e magari per curiosità - perché ormai definisce sé stesso un lettore - ne prenderà in mano un paio, ne sfoglierà uno, magari leggerà qualche frase.
Prenderà magari in mano un libro di... hum... Tolstoj? Ok dai, Tolstoj, e aprendolo, a caso, potrebbe leggere una sua frase, addirittura diverse righe; oppure anche il solo retro.
Quello che proverà, non avendo avuto modo di cimentarsi in simili testi né nelle loro presentazioni, sarà un senso di avversità, di inimicizia con quanto ha in mano, scaturito dal trovarsi davanti un oggetto estraneo, percepito come troppo distante da sé.
A quel punto metterà giù tutto, compiangerà fra se lo sventurato che comprerà una copia di quel mattone innaturale, poi dopo aver preso la sua bella copia cartacea del volo fabio pagherà, butterà il tutto in macchina - o nello zaino -, e correrà verso la sua felicità immaginandosi chissà quali scenari letterari.

Detto questo, ripeto: 2 - perché viene odiato da molti e chi è che lo odia
Semplice, a odiarlo è chi, proprio come nel caso del lettore del volo, percepirà nei suoi testi un senso di avversità, di inimicizia, di estraneità perché, proprio come pensa il lettore del volo, è tutto troppo distante da quelli che sono i nostri abituali stimoli letterari. 
Insomma, se il lettore di volo odia Tolstoj perché non lo capisce, il nemico di volo lo odia perché odia i suoi lettori. Capite? Infatti si trattasse solo del volo, e questi scrivesse su un'isola deserta lasciando i suoi libri ai granchi, a nessuno verrebbe in mente di odiarlo.
A contemplare immeritati successi, in fondo, siamo abituati.
Insomma, io non odio davvero volo, io odio chi lo legge.
Perché parliamoci chiaro, come ho fatto dall'inizio; se il volo vendesse tre copie e fosse perculato anche nei più discutibili ambienti intellettuali del paese, a noi farebbe quasi pena, ci farebbe quasi simpatia. Ma così no, e che diavolo!, così è la stupidità al potere, è l'emblema e, se ce ne fosse bisogno, la conferma, che più voli basso e meglio arrivi.
O per così dire è uno dei sintomi della frattura culturale che viviamo.

Per spiegare e spiegarmi questo (perché anche io c'ho capito poco e niente eh) mi faccio, e faccio spesso, l'esempio dell'ateo e del credente.
Il credente, quello vero, abbraccia Dio. Egli vive nel suo conforto, e ogni pena gli è cara perché a essa dà un motivo. La speranza nel divenire è incrollabile o comunque riparabile, e i dogmi del suo credo creano certezze applicabili alla sua esistenza.
L'ateo no, l'ateo si porta il fardello di non aver alcuna certezza. E attacca il credente. Perché?
Non può lasciarlo nelle sue illusioni?
No, poiché l'ateo fa questo semplicissimo ragionamento: se io vivo inquieto e attraverso la mia mente sono arrivato alla conclusione che niente ha senso, e la vita è un mero processo biologico del tutto casuale, perché tu te ne stai tranquillo e beato nella tua ignoranza?
Tutto questo non è giusto! soffri pure tu!
Insomma, l'ateo vuole il mal comune per avere il suo mezzo gaudio.
Lungi da me dire se ha torto o ragione.

E, a pensarci bene, chi odia volo fa lo stesso ragionamento, che dev'essere più o meno questo: - Ma come, io che sono un lettore vero, che mi sono impegnato (per dovere o per passione) ad affrontare testi fra i più disparati, e difficili, e profondi, e astrusi, e attraverso questi ho formato una mia base culturale solida, fragile come tutti gli alambicchi della mente ma che mi rende pur sempre capace di osservare la realtà e farne un'analisi critica, e per questo ho sofferto, o quantomeno ho sudato, e posso definirmi: magari un idiota come gli altri, ma che sa pensare, ecco, io che ho fatto ciò devo poi sopportare una turba stravolta di imbecilli che dopo aver letto queste miserie letterarie, questi aborti del pensiero credono di essere lettori miei pari?

Insomma, da come si vede la questione essa è sempre la lotta tra due mondi diversi tra loro più che l'odio, o l'invidia, fate voi, verso un semplice scribacchino.
C'è poi da dire - l'ho già detto ma va ripetuto - che qualsiasi grande, enorme scrittore, e visto che prima lo abbiamo tirato in ballo diciamo Tolstoj, ma scegliete chi volete voi, se dovesse confrontarsi con la realtà di oggi, e descriverla in un libro, avrebbe il suo ben daffare per non sembrare ridicolo come il volo. Anche se venisse a farlo portato qui dal suo tempo, che almeno consentiva la formazione di acuti pensatori.
Se poi fosse cresciuto in questo mondo, nella nostra società, con quel senso di vuoto che ci annulla e le distrazioni che ci istupidiscono, forse sarebbe stato anch'egli un mediocre.
Il che è tutto dire.

Detto ciò, e chiuso per sempre l'argomento, mi rendo conto di essere stato troppo lungo - in rete è meglio essere brevi - e anche poco divertente. Di solito, infatti, scrivendo mi diverto divertendo.
Oh, a scrivere questo post non mi sono neanche divertito.
Che pena.

Anzi no, vi voglio lasciare con un sorriso. Un altro aforisma del volo.






E giustamente si prende a schiaffi.


Auguri e buona fortuna!



giovedì 21 novembre 2013

Le anime perse



Questa parodia dei Gashlycrumb Tinies la scrissi tempo fa lasciandola su fb. Ora me la ricopio qui così la trovo quando voglio e magari chi vuole può usarla come spunto. Mettete i nomi che volete, la morte che preferite, e dedicatela ai vostri cari.




A come Alice, colta dalla malattia
B per Bruno assassinato nella via
C per Carlotta, annegata dentro al fiume
la D è per Dario pendente da una fune
E sta per Elisabetta che per sorte morta nacque
F Federico che a uno squalo molto piacque
ma la G è di Giacomo, che nel vuoto limbo attende
H forse è di qualcuno: tuttavia non ne so niente
una I è per Ilaria che infelice fuggì il mondo
L a Lucio il marinaio a cui il mare mostrò il fondo
M, invece, è di Michele, che volò dentro un burrone
N a Nadia, senza Dio, arsa viva nel suo nome
L’O al principe del male, che alla morte in faccia rise
la P forse è di qualcuno, ma il dubbio, ahimè, la uccise
Q per Quentin l’ignorante la cui vita fu paura
R querula a Roberta nella sua fredda cultura
ma la S sta per Sara chiusa dentro la cantina
T a Tiziana divorata dai topi nella stiva
U per uno, o forse due, che qui non ho nominato
ma anche quelli, come gli altri, sotterrati al tetro prato
la V sta per Valentina, che ai binari cinse un treno
Z chiude, è la fine, ogni vita viene meno

Dormon tutti con i vermi
adagiati nelle fosse
Sotto terra grigi e inermi
abitanti delle ombre

mercoledì 20 novembre 2013

Costruzioni astratte

Oggi ho pranzato nel salotto della mia casa. Solo.
Non che sia un evento che io pranzi da solo. L'evento è che ho fatto pranzo. Di solito lo salto, mi nutro di caffè e poi, verso le 16, mi viene un leggero appetito. Ma ormai tanto vale aspettare la cena, no?
Bene. C'era una bistecca, così la cuocio per bene, apparecchio, quando la carne è cotta la condisco con del sale, del pepe, della salsa barbecue, me la servo, lascio che si intiepidisca un po' di modo che tagliandola non perda tutta l'anima, e dopo essermi versato della devastante coca cola e aver artigliato il telecomando mi metto prono e un po' cupo ad accendere la tv e mangiando vedere con quale schifezza posso intrattenermi.
Che schifo.
Anche questo fa schifo.
Schifo schifo schifo.
Fa tutto così schifo che... che fa schifo.
Comunque tra un po' c'è il tg su la7. Che strazio, parlano solo di politica. Anche la politica fa schifo. Hum sono le 13 e 30, il tg inizia a breve, posso lasciare sulla pubblicità intanto che finisco di sistemarmi. Mi do giusto una pettinata. Col tovagliolo.
Mi metto le brache magari. Magari no.
Mi vedo di riflesso nel vetro della credenza: bella faccia da cazzo. Come mi sono pettinato bene poi, meno male che in quel vetro i miei capelli sembrano di plastica. È tutto scuro. Ma il tg? Vediamo se...
E in quel momento avviene l'apparizione.
Appare infatti sullo schermo una bambina africana circondata da mosche e gonfia di escrescenze batteriche. Si guarda intorno, lacrima, accenna il pianto: poi piange. In questa sua disperazione sembra aver fame. Mi guarda e colgo nel suo sguardo l'intenzione di chiedermi qualcosa.
Poi vedo un numero e una voce fuori campo inizia a parlare, e mi dice che tizia, che sta in tale paese dell'africa, che ha questa malattia, ha pure quest'altra malattia, poi ovviamente ha fame, beve acqua sporca, il suo futuro non è garantito, non può essere educata, e per tutte queste cose servono soldi, che non ci sono, che chiedono a me, e intanto altre immagini di dolore e ancora questa bambina che mi piange davanti in un eterno primo piano statico dove ancora la voce narrante mi ricorda che ha la dissenteria, che non si lava, che sua madre è morta, che questo, poi quest'altro e...


..e basta. Mi ammazzo. Si si, piuttosto che rovinarmi uno dei miei rari pranzi vedendo questo abominio,  piuttosto che subire una simile violenza e allo stesso tempo manipolazione della realtà io mi sparo.
Scrivo due righe come testamento: la vita è orribile e non ci insegna niente. Pettinatemi. Addio.
Sigillo la busta. Poi mi alzo, prendo la pistola...
La pistola!
Non ho una pistola. Allora mi risiedo e continuo a mangiare. Non posso neanche ammazzarmi. Ma forse è meglio così, guarda che capelli... e che mutande. Lise come i sedili di un treno. Ma quanti anni hanno queste mutande? Le ho da sempre.
Ma quella roba lì, quella negretta di prima, cos'era?
Voglio dire... no davvero... che idea ha la gente dell'africa per proporne un'immagine simile pur di raccattare soldi?
L'italiota qualunque che idea si è fatto del continente africano?
Intanto che ci penso mastico. Come mastico male, mi do fastidio da solo.
L'idea che si è fatto è più o meno questa:

Un deserto senza acqua, cibo, ombra. Dove diciamocelo, quella bambina dello spot ci sta benissimo. Immaginatevi la bambina piangente seduta là in mezzo. L'africa!
Ora, mettiamo che l'africa sia davvero così, come la immaginano molti.
Se fosse davvero così il ragionamento più logico dovrebbe essere: cosa si riproducono a fare? si spostino in un altro continente - NON L'EUROPA - o la smettano di perpetuare la specie perché se devono vivere in un posto così, dove manca tutto, che vivono a fare?
Intanto che mastico, e mastico, e mastico ancora perché la carne è dura, penso ad altre cose, ad esempio che l'africa non è così. Non è un deserto ma bensì un continente ricchissimo.
A parte le materie prime ha enormi risorse idriche, quindi foreste, quindi vegetazione e animali che se ne nutrono, agricoltura e allevamento potrebbero - se praticati in africa - nutrire tre continenti.
Certo, il sahara è un po' diverso. Ma volendo si vive anche lì e c'è pur sempre tutto il resto del continente.
Ma poi prima come facevano? dai! gli africani hanno sempre campato benissimo senza di noi. Oddio, benissimo... diciamo che abbiamo esigenze diverse. Noi cerchiamo l'infinito. Loro più che altro si riproducono. Ma comunque campavano bene anche senza di noi.
Ecco, forse il punto è tutto qui: noi.
Si perché alla fine se gli africani non riescono neanche ad organizzarsi per mangiare la colpa è delle potenze neo-coloniali che ne sfruttano le risorse, per fare la qual cosa generano instabilità politica di modo che il paese africano non possa autodeterminarsi, e di conseguenza disordine, guerre, tumulti, fame, profughi, missionari, quella bambina lì, lo spot che ti chiede i soldi e io che impietrito assisto a tutto. In mutande.
Che tristezza l'uomo in mutande. Ma l'uomo in mutande davanti a una scena simile è addirittura straziante.
Che poi, per dire, basta vedere i confini dell'africa. Sono tutte geometrie tirate a casaccio sulla mappa.
Perché se io sono Churchill e devo gestire la decolonizzazione dell'africa occidentale, e in quelle terre ci sono 18 industrie inglesi che ne sfruttano le risorse, avrò interesse a far sì che continuino a farlo, no? Ma come assicurarmelo se sto dando loro l'indipendenza?
Semplice, do loro un'indipendenza a metà. Ossia faccio un paese dai confini totalmente campati per aria dove ci sono etnie, religioni, sub-razze diverse. Faide millenarie. Loro litigano, s'ammazzano, e io qualsiasi sia il governo - e non mi interessa che governo è - torno lì e in cambio di poco, pochissimo, giusto due soldi per armarli, continuo a sfruttare il territorio. In culo agli africani.

Ma quindi non è vero un cazzo. E perché queste cose non le dicono nello spot?
Mi viene il dubbio che non convenga a nessuno dirle.
I professionisti del dolore hanno bisogno di dolore per vivere. Le multinazionali di paesi da sfruttare. Così sono tutti contenti tranne: quella bambina che muore - io che non riesco a mangiare la mia bistecca.
Ma non perché me ne freghi qualcosa eh, no no, è solo che vederla fa schifo.
Che poi mi chiedo anche: è normale che non mi interessi nulla?

Quando ad esempio succede una qualche calamità nel mondo, tipo alluvioni o terremoti, i media seguono con apprensione e ridondanza tali avvenimenti, non tralasciando mai di ricordarci quanti italiani erano presenti sul posto. Esempio: terremoto a cuba, 97mila morti, erano presenti 3 italiani uno non s'è fatto niente gli altri due si sono sbucciati le ginocchia.
Ma perché me lo dicono? 97mila morti e mi parli proprio di quei tre italiani che tra l'altro erano andati lì solo per scopare, non si sono neanche fatti niente, e me lo dici, lo sottolinei... non ha senso.
Lo dicono per creare un legame empatico tra telespettatore e disastro. Infatti a me, a te, a tutti di base non interessa niente di sciagure dall'altra parte del mondo. Perché? ma perché sì, è ovvio, è troppo distante, è quasi inesistente. A malapena ci interessa cosa succede qui, nella nostra realtà, nel nostro spazio sociale, perché interessarsi dell'altrove distantissimo?
Mettendo degli italiani nella notizia si fa in modo che l'attenzione resti alta. Loro fanno ascolti. Tu credi che te ne freghi qualcosa. Tutti contenti.
Perché ho fatto questo esempio?
Perché lì in africa a morire di fame, e in quello spot, non ci sono bambini italiani, non sono borghesi occidentali con cui senza dimenticare le differenze possiamo vantare - o subire - una comunanza culturale, no, lì c'è una forma di vita che non sono neanche sicuro sia vita, è solo una vaghissima idea che né mi turba né mi incuriosisce. Non si tratta di assuefazione alle tragedie come molti dicono - le tragedie non ci stufano mai, chiunque conosca questo paese lo sa -, semplicemente se l'universo avesse un qualche senso una delle sue regole prime sarebbe che dei bambini che muoiono in africa non te ne deve fregare niente.
Se il figlio del mio vicino di casa sta male mi dispiace perché lo sento, ne ho un'esperienza empirica. Se un bambino in africa muore di fame, a parte indignarmi del mondo che abbiamo costruito (che hanno) che cosa posso fare? Quel bambino che muore di fame è, nella sua fisicità, metafisico, poiché impercettibile. Troppo lontano. Troppo diverso.
Se ci fosse vita su Giove (un po' difficile perché è un pianeta gassoso) e questa vita fosse, guardacaso, antropomorfa come noi, a sangue caldo, avesse una sua cultura, fosse intelligente, vivesse in società simili a quelle umane, e su Giove accadesse un evento critico, tipo un terremoto, e i piccoli "gioviani" ne patissero le conseguenze, i media nel raccontare il tutto riporterebbero, verosimilmente, quanti italiani c'erano, in un contesto che potrebbe somigliare al "terremoto su Giove, milioni di morti e di bimbi affamati. Ah, c'erano 100 italiani (ma vanno a scopare anche lì gli italiani?), tra cui molti feriti e un paio di morti". E lo direbbero perché sarebbe l'unico modo di farci interessare a qualcosa che altrimenti sarebbe troppo distante per attirare l'attenzione della nostra mente.

Sono le costruzioni astratte in cui la nostra mente si costringe a vagare avendo perso ogni punto di riferimento con la realtà. Il buonismo è decadente. Il buonismo mondialista non è buono per nessuno, né per chi lo concepisce né per chi lo subisce. Chi perde ogni senso della realtà finisce per interpretarla attraverso una logica astratta, inventata. Finta. Dannosa.

Per piacere, non fatemi più vedere africani che muoiono di fame. Non mi interessa.
Non è cattiveria, non sono una persona cattiva. È solo che non ne voglio sapere niente.
E non è un tenere il dolore lontano dagli occhi, semplicemente me ne frego.
E ora cerchiamo le brache.


martedì 19 novembre 2013

Il post allegro


Ma cos'è la morte?
Va bene cos'è lo si sa, più o meno. Quello che volevo dire era più un qualcosa tipo Come vive la morte la gente?
La gente non ci pensa. Pensa ad altro. Lo sa che deve morire, ovvio, ma non ci pensa.
Non ha tutti i torti.
Io invece... io ci penso. Non che voglia morire eh, sia chiaro. Che poi non è questine di volere o non volere, tanto cosa cambia... la paura? Irrazionale.
Oddio, non che la morte non faccia paura, però, come dire... diciamo che è morire che fa paura. Il dolore, la sofferenza. Sopra ogni altra cosa a far paura è lo starci percependo mentre moriamo e l'istinto di sopravvivenza ci tormenta nell'agonia, e qualcosa sembra voler uscire dal nostro corpo per fuggire altrove ma non può.
Ecco, quello sì che fa paura. Ma la morte no. Come si può aver paura del semplice non esserci più. Non ci sei, di cosa hai paura?
C'eri. Si ma infondo pensando di non esserci ci sono ancora. E se ci sono ho paura di non esserci, chiaro? boh
Una volta su una lapide lessi questo bellissimo epitaffio: Eravamo come voi, sarete come noi.
Belli gli epitaffi. Mi mettono allegria.
La verità è che non se ne scrivono più di epitaffi come una volta. Anzi, non si scrivono proprio.
Ora ci sono padri pii, madonne, cristi. Ho visto delle tombe colorate. Sì, tipo quei manifesti di paese dove un ciccione tiene in mano una fisarmonica e ti dice che il 22 alle 21 suonerà in piazza della madonna addolorata smutandata accompagnato dalla voce di quella chiattona che si porta dietro, coloratissimi ma contemporaneamente sbiaditi. Ecco, ho visto delle tombe del genere!

Ma c'è davvero questa roba o ti stai inventando tutto?
C'è tutto.
E poi se non ci credete andate, andate a vedere, è pieno.
Tu scegli uno sfondo, una foto, loro ti colorano il tutto, lo stampano sul marmo e tac!
Sei un coglione anche da morto. Che da vivo passi pure, ma anche da morto?!
La verità è che neanche le tombe sono più una cosa seria.
Non c'è più niente di serio.
Ma la morte?
Già, parlavo della morte. Ma come sarà morire?
Morire dev'essere orribile. Sai che stai per sparire, soffri. Dolore, angoscia, sudore.
Poi finalmente muori. Ma come sarà?
Io mi immagino la coscienza che lentamente, come un'onda che si ritira verso il mare, se ne va.
È un mare freddo, è buio. È un mare grande, enorme, infinito. È il mare del per sempre, del mai più, che non ha sponde, non ha spiagge. Non se ne esce mai.
E allora da fuori mi penso come assente. O meglio: provo a sfiorare l'idea assurda per la nostra mente di non pensarmi.
Ma come si fa?
Io non ci riesco. Ci provo, arrivo lì col pensiero e sto cercando di andare oltre il non-esserci. No, non oltre a dire il vero. Sto cercando ancora di capire il non-esserci.
Ma si può non esserci?
Intendiamoci, sono sicuro che molti pensino alla morte come a un sonno senza sogni. O come a un semplice diversivo. Ma diversivo di che?
C'è sicuramente chi pensa che sia un diversivo. Se la cosa non ha un verso qualcuno ne sarà sempre convinto. Perché sì, funziona così: inventare!
Non sai? inventi.
Puoi anche far finta di fregartene, ma delle morte come fai a fregartene?
Allora diciamo che è un diversivo. Ok è fatta.
E quel non-essere? com'è che se ci penso il cervello mi manda una scossa, come a volermi dire "sveglia!"
Forse che nel pensarlo pensa stia dormendo? o è solo un sonno della mia ragione?
Non lo so. Però so che ho visto un pozzo con delle stelle dentro, infondo, lontanissime, dei bagliori abissali. In quel pozzo non c'è vita. Quel pozzo forse è l'universo, e l'universo è ostile alla vita. C'è poco da fare. Ecco cos'è un diversivo. Ma non la morte, è la mia mente che crea diversivi per non pensare alla morte.
Allora forse dovrei smettere di indagarmi, di sondarmi la mente alla ricerca - se c'è - di quella parte del mio cervello che sa, che conosce com'è non esserci, come potrebbe essere il mai più esserci.
E quindi niente. Ora s'è messo pure a piovere.
Ho un lucernario e quando piove sembra sempre che centinaia di nanetti bussino al vetro; o che migliaia di spettri vi si infrangano contro; o che milioni di raggi solari si solidifichino... ma se piove che raggi solari ci sono?
Piove anche col sole.
Diversivi. Ma quel non-essere è sempre lì, aspetta alla fine, in un cantuccio nero. E non sogna. Non pensa.
Non è.

lunedì 18 novembre 2013

Papa Banderas

In questi giorni assisto a un fenomeno sconvolgente, un qualcosa che ci rende - se mai ce ne fosse bisogno - del tutto consci di come una buona presentazione spesso incida addirittura sul contenuto.
Mi spiego meglio.
Io mangio la pasta. La mangio proprio, voglio dire... se sto senza per, boh, tre giorni? se sto senza tre giorni mi sento male. Si può quasi dire che ne sia dipendente.
Infondo, io credo, non sono l'unico.
Ora mettiamoci d'accordo: qual è la pasta più buona?
Hummm
Hummmmmm
Cioè io.. boh cioè... cioè boh!
Non lo so. Ecco. Che grande ignoranza, eh? Ovviamente non si può sapere tutto, però... però una cosa che mangio tutti i giorni come minimo devo sapere come si fa. Perché a ben vedere non so neanche come si fa, né da cosa. C'è il grano? la cuociono per farla indurire? come la modellano?
Aoh! non so niente della pasta! Quindi di conseguenza non so neanche quale mi piaccia di più.
Si, sulle forme ho delle vaghe idee. Con le vongole gli spaghetti, col pesto le trofie, con i fagioli pipe o pipette, con la salsiccia le penne ecc ecc
Sulle forme ho, in effetti, delle idee abbastanza chiare. Nel senso che so cosa vorrei. Ma sull'impasto? ci sarà qualche differenza, no?
Mi volete dire che in italia, paese di mangiapasta, nessuno sa come si fa la pasta e qual è la più buona?
Ecco, forse su qual è la più buona qualcosa sappiamo.
Io proverei ora a fare finta di essere per strada e chiedere a un signore qualsiasi, che va a fare la spesa, quale sia la pasta più buona.

- Signore, mi scusi, secondo lei qual è la pasta più buona?
- Belluscone!
- Come signore?
- Belluscone e bonolise guardo sempre pure gioco dei pacchi
- Signore, cosa dice?
- BELLUSCONE TANTE COSSE


Hum, parlare con la gente non è stata una buona idea. Allora mi sbilancio io e dico che, almeno nella percezione, la pasta più buona è la barilla.


Ma perché?
Ma come perché, voglio dire... aò ma che me prendete in giro? me lo chiedete pure?
cioè ma dai, ma che per davvero?
Che poi, alla fine, detto fra noi: non lo so mica perché. Diciamo che... diciamo che ho sempre saputo fosse così. Ecco.
Sì, certo, la pubblicità. La famiglia, gli spot mandati in fasce studiate, anni e anni di barilla e fiducia, le scatole curate, il nome storico, i prezzi un po' alti ma abbordabili, la varietà, la pubblicità ancora e ancora, e poi sempre la storia della fiducia e l'accostamento con simboli famigliari eccetera eccetera eccetera.
Insomma io ho sempre pensato che fosse la più buona senza: un perché : un percome : un confronto : un'analisi : senza alcun verso logico.
Sì, anche altre paste si pubblicizzano ma... vedete, quando una cosa ti entra dentro, quando dai per scontato, per ovvio, quando una cosa diviene un assioma, non stai a ragionare, non ci pensi neanche per sbaglio. Prendi la barilla e la compri.
E la barilla si è fatta una buona pubblicità. Non importa che sia davvero la più buona. Se hai la migliore immagine, se il tuo modo di apparire funziona, allora vinci. E la gente ti compra.


Poi c'è un altro marchio. Un marchio antico, direi quasi... mitico. Non hanno il copyright sull'Europa però provano a fartelo credere. Del resto l'Europa è in vendita e chiunque può guadagnarci qualcosa...
Comunque è un marchio davvero vecchio. E ultimamente, per così dire, era un po' in difficoltà.
Già. La sua immagine tirava poco. Facevano diciamo così fatica a coprirsi di una veste accattivante che fosse efficace e arrivasse con forza ai consumatori - abitudinari e non.
È il marchio Chiesa


Signori: un disastro. Un vero macello. Il loro uomo immagine nella passata gestione, l'imbonitore di folle designato, era davvero pietoso. Voce fioca, movenze aristocratiche, flemma e muso arcigno: da troll. Incomprenzipile e tetesco nela parlata.
E i tedeschi stanno sul cazzo a tutti, pensa tu.
Sontuoso e opulento nel vestire, tutto doro! sempre lassù, lontano, inarrivabile, astratto, vuoto: come il Dio di cui parlava.
E qualcuno deve essersi detto: - Signori, siamo nella merda. Il prodotto non tira più, non vende! serve una nuova immagine, pubblicizzarsi diversamente o finiamo tutti a lavorare!
- Eh, fratè - deve avergli risposto un collega di rosso vestito - qui il più aggiornato piscia nel vaso, dove lo troviamo uno che ci risolleva l'immagine. Pubblicità in tv non se ne può fare. Non più di così. Opere di bene, con sta crisi, non conviene. Il nostro pubblicitario, poi, neanche crepa, ma che fare? cosa fare?!
- Sai che c'è? c'ho un'idea. Nelle pubblicità, tipo quelle della pasta, ogni tanto l'attore cambia. Oggi c'è uno, domani un altro. A seconda del messaggio che vogliono dare. E se facessimo la stessa cosa?
E piano piano, con un po' di suspense, lo hanno fatto.
Perché poi, diciamocela tutta: in italia - ma non solo - tutti mangiano una fede. Proprio non se ne può fare a meno. In qualcosa devi credere, è come la pasta.
Ma la fede più buona qual è? e come si costruisce?
Mah, grosso modo... non so come si faccia, le ho sempre trovate tutte pronte. Bastava comprarne una e via. Io però, a essere onesto, ho sempre sentito dire che quella cattolica è la migliore. Perché? Mah, che domande, come perché. Intanto sono tutti cattolici. Poi io, da che ricordi, lo sono sempre stato. Si, proprio così: cattolico apostolico e pure romano.
Com'è fatta questa religione? hum, mah, devo dire che... che io, veramente, non è che lo sappia molto bene. Si, la seguo, ma sapere com'è fatta... no, no non lo so. Ma è la migliore. DAVVERO!

Così le riunioni di marketing sono andate avanti per scegliere il nuovo volto più o meno così.

- Ci vorrebbe uno che dice le stesse cose dell'altro, del tedesco, però...
- Però?
- Ecco, però che le dica meglio. Che faccia pause. Le pause piacciono. Come Celentano. Celentano è libero?
- No, ora lavora per mediaset.
- Allora uno che parla lento ma chiaro. Che dica poche cose ma ben definite. Magari uno spagnolo, con quella loro parlata sensuale. Voce sexy, calda, morbida, con le giuste pause. Magari Banderas. Lui è libero?
- No, mulino bianco.
- Allora diciamo uno così, tipo Banderas. E che dica di voler cambiare tutto, tutto!
- Cambiare tutto?!
- Ma no, tranquillo. Cambiamo solo lui. Già me lo vedo Banderas, voglio dire il nuovo papa, parlare con gli italiani. Ma siccome a me piace Banderas mi immagino lui. Però fai conto che sia il papa. Tanto è la stessa cosa.
- Che polli.

E via che è andata così. Alla gente piace.
Alla gente piace questo nuovo papa proprio come piace loro la pasta barilla. Alla gente piace la sua religione come piace loro la pasta in generale.
La gente si mangia la barilla e il papa e non fa domande. Sanno che è la cosa migliore e basta. fine. stop.
La gente sa cosa vorrebbe, diciamo che sulle forme del credo, come in quelle della pasta, ha le idee chiare. Ma sulla marca è un casino *manata in fronte*
E dopotutto quando ti convinci che una cosa è migliore, quando ti ci fanno credere, smetti di farti domande. Lo accetti e basta.

Cheppoi io c'ho anche parlato con la gente. Si, quella normale, quella che guarda la tv, che ha riscoperto il prodotto chiesa grazie al nuovo attore: Banderas. No, non banderas, volevo dire papa bergoglio. Che a dirla tutta sarebbero anche intercambiabili ma non si può.
Vorrei qui, infine, consultare di nuovo quella che è la vera forza del nostro popolo e carpirne la saggezza, quel sentimento puro che lo porta a scegliere quale pasta mangiare, che fede avere, chi votare: parlo della gente!

-Signore? signore?! senta ma... cosa ne pensa del papa? Obiettivamente la chiesa le sembra mutata nei suoi contenuti? Ha a suo parere colmato alcune lacune morali e, soprattutto, questo nuovo papa permetterà la formazione di uno stato pienamente laico?
- EVVIVA LU PAPA EVVIVA LU PAPAAAAA


Auguri.

venerdì 15 novembre 2013

Il grande vuoto dei monoteismi

Io sono Arkoth, un guerriero della tribù norrena di Pthull. Cacciatore e guida di uomini.
Il mio Dio, Urkath dalla lancia insanguinata, guida me e veglia il mio popolo. Egli è grande fra gli Dei, e la sua cotta di maglia e la lunga barba argentea lo proteggono dalle spade degli uomini e dal freddo che soffiano i giganti del nord: cosicché egli è invulnerabile.
Come lui costruirò un'armatura per cacciare e muovere guerra; come lui lascerò che la mia barba cresca per ripararmi dal freddo. Nella mia città ho edificato un tempio a lui rendendolo sacro. In cambio proteggerà la mia città poiché ora gli è cara, e così a noi.
Gli altri Dei lo temono e noi temiamo loro. A volte ci sono guerre contro altre tribù che adorano Dei diversi perché queste invadono la nostra terra, ma la guerra ci rende forti: e ogni Dio vuole che i suoi figli siano forti.
Poi io morirò, in guerra o durante la caccia, lasciando i miei figli a continuare ciò che feci. Andrò forse alla corte di Urkath o il mio spirito guerriero si perderà nei venti nel nord, continuando a soffiare sul mondo.
Loro - i miei figli - sanno di dover difendere la terra così come il nostro tempio, ma sanno anche che Urkath ha il suo bel da fare con gli altri Dei e che qualsiasi cosa vogliano dovranno ottenerla da soli.
Questo perché anche un Dio nulla può contro il fato che regola le cose.
Ya! per la mia terra e per Urkath!

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Io sono Joasep, un pastore guerriero della tribù semita di Irak. Raccoglitore e guida di uomini.
Il mio Dio, l'unico e vero Dio, è Ipsakt dalla mano infuocata, egli guida e veglia sul mio popolo. È  l'unico Dio, sa tutto e vede tutto. Ogni cosa esista l'ha creata lui. Non so come sia poiché ogni sua riproduzione ci è vietata. Ogni luogo è il suo tempio, così dovunque siamo ci inginocchiamo per adorarlo. In cambio ci assiste e veglia su di noi.
A volte ci sono guerre contro infedeli che non si piegano al nostro Dio. Terribile sarà la punizione per chi non lo accoglie in questa vita.
Poi morirò, nei campi o in guerra, lasciando ai miei figli l'unica verità. Andrò con Irak nella beatitudine eterna. Poiché questa vita è solo un passaggio verso il suo regno infinito.
I miei figli sanno di dover difendere la verità di Ipskat e che solo in lui vi è speranza. A ogni cosa penserà il nostro Dio. Lui solo controlla il fato.
Per Ipskat signore del creato!

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Io invece sono io. Cioè Io, il tizio che scrive sul blog.
Belle storie vero?
Certo che sono proprio diversi questi Arkoth o Josep. O almeno lo erano, ora saranno morti.
Il primo, Arkoth, politeista e fiero nordico.
Il secondo, Joasep, mediorientale e monoteista.
Ma quali differenze maggiormente spiccano nelle loro due visioni del mondo?
Hummmm
Hummmmmm
Mh?


Diciamo che, humm, hanno dei riferimenti un po' diversi.
Intanto Arkoth sa cosa deve fare. Si perché, insomma, è tutto chiaro. Il suo Dio è una rappresentazione caratteriale di un guerriero nordico, forte e con le idee chiare.
Fatti i cazzi tuoi, difendi la tua terra e riproduciti - dice il suo Dio -, e sia chiaro che nulla è garantito. Vivi la tua vita e rispetta la tua gente.
 Joasep invece ha le idee un po' più confuse.
Il suo Dio dice - Solo io sono l'unico vero Dio, niente c'è al di fuori di me
- Perfetto. Come sei? - chiede Joasep
- Non lo puoi sapere
- Cosa devo fare? - chiede ancora Joasep
- Rispetta le mie leggi
- E basta?
- Persegui chi non crede in me
- Ah, sticazzi, hai detto niente
- O lo fai o ti danno per sempre
E Joasep lo fa, e chi non lo farebbe?
Inoltre Dio è lassù, tutto è sotto di lui. Così è naturale che qualcuno stia sotto, qualcuno sopra. Gerarchia. Il monoteismo prima di tutto è una gerarchia di potere.
Niente merito, così come Dio mai nacque il potere dev'essere innato. Dinastie deterranno il potere per sempre.
I politeisti, invece, non avendo questa incombenza perfetta a sovrastarli, un minimo di ricambio, di libertà o di manovra la avevano. Quando si stufavano erano botte. - E mo te ne vai, tu e le tue cazzate!


Ma il rapporto con la terra?
Arkoth crede nella sua terra così come crede al suo Dio. La sua terra, la sua polis, il suo tempio sono "da difendere", e così il suo popolo. Lui è della sua terra.
E Joasep invece?
Joasep non è che non ami la sua terra, sia chiaro, è solo che... che il suo Dio è tutto, è ovunque, allora perché legarsi a una terra. Inoltre egli è solo di passaggio.
No, la sua terra, così come ogni terra, non gli appartiene. Lui non è del mondo, ma nel mondo.

E la filosofia?
Oh, intendiamoci, la filosofia è una cosa importante. Come sarà la filosofia di Arkoth e di Joasep?

Ecco... diciamo che.. diciamo che Arkoth magari è una persona un po' semplice. Del resto il suo è un culto semplice: tutto è chiarissimo
Sa com'è il suo Dio
Sa cosa deve fare
Sa che non ha certezze perché è solo un uomo
Sa che appartiene alla sua terra

E Joasep?
Mah, Joasep.... intanto lui sa che segue l'unica verità.
Ma non gli è stata rivelata.
Sa che il suo Dio è perfetto. Ma non sa com'è
In teoria sa anche cosa deve fare. In teoria, perché diciamo che Ipskat non è che sia stato chiarissimo, ha lasciato dei concetti molto interpretabili
Tipo, secondo me, non sa come vestirsi. Non sa neanche se gli conviene andare al sud dove fa più caldo o al nord dove piove di più. Del resto non possiede una terra sacra e può andare dove gli pare.
Si perché i modelli sono importanti. - Il mio Dio è lassù - dice -, è eterno, è infinito, è... è... è vuoto. Cioè, oh, è vaghissima 'sta cosa. Mi toccherà lavorarci su, dovrò elucubrare per un bel po'. Com'è che si chiama quel filosofo greco... Platone! assomiglia un po' al suo mondo iperuranico il mio Dio. Quasi quasi mi do un aiutino con la sua filosofia.

E insomma diciamo che il monoteismo tende alla confusione.
Dirò di più: è come se nel monoteismo fosse maggiormente accettato ciò che non si capisce.
Il politeista no, il politeista è pragmatico, lo sa cosa vuole! Per dire, se gli parli di politica e usi dei paroloni incomprensibili, e ci metti altri paroloni in lingue che non conosce, e provi a convincerlo che deve avere pazienza, che è meglio per tutti stare calmi e mediare, ti da un cazzottone sul naso.
Lui non ne vuole sentire di cazzate. La sua cultura non è che abbia delle grandi certezze, però parla chiaro, e il Dio che segue, e tutti gli dei della sua gente, parlano ancora più chiaro. È una persona ragionevole.
Al monoteista invece gli puoi dire quello che vuoi. Lo puoi prendere per il culo anni, per generazioni, puoi anche fargli credere che la verità sta nella sofferenza. E lui ci crede perché, vedete, è dall'inizio che non c'ha capito niente. Ha sviluppato così tanta spiritualità che ormai è una piramide capovolta, sono più le cose che ha sopra di quelle che tocca ogni giorno. E allora crede a tutto perché tutto è possibile.
Poi il suo Dio è così inafferrabile, così distante, che pur credendoci, e credendo distaccandosi dal mondo, finisce per credere a lui solo e poi più a niente.
Il politeista no, il suo Dio è lì, lo può quasi toccare perché è come lui. E in lui si rivede. Allora crede, ma crede anche al mondo. E in se stesso.
I teologi monoteisti poi queste cose già le sanno e incoraggiano i vari culti pagani (santi, madonne, reliquie, effigi) avendo capito che un Dio vuoto non basta. Insomma, senza rinunciare alla guida già da tempo sono tornati a un politeismo mascherato.

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Avete mai visto un credulone?
Si insomma, uno che crede a tutto.
Quasi sempre ha ricevuto un'educazione monoteista. Intendiamoci, anche io, anche tu.
Però se ne può uscire, ci si può allontanare dal vuoto assoluto del Dio monoteista.
Intendiamoci, ci vogliono anni. Non che l'ateismo sia una soluzione efficace poi, anzi fa proprio schifo. Bisogna pur illudersi nella vita.
Sì, sì. Il politeismo è una soluzione valida
Oppure no?
Io questo in realtà non lo so.
So solo che, cartina dell'Europa alla mano, più un paese è cristiano e peggio funziona socialmente.



Basta vedere l'Europa.
Ovviamente chi non segue il cristianesimo, il monoteismo più diffuso in Europa, non è per forza ateo. Diciamo che può esserlo - io del resto non lo consiglio.

È anche vero, devo dirlo, che il monoteismo con i suoi sofismi spirituali ha evitato la deriva materialistica delle società pagane.
Ma ora? ecco, avendola solo ritardata ora ci siamo, consumisti materialisti. E pure monoteisti, quindi ancora più vulnerabili perché abituati a guardare sul vuoto e a essere privi di certezze.
Non ne è valsa la pena. Almeno, restando politeisti come le nostre radici, avremmo forse conservato un po' di sano buon senso.
Ora neanche quello.

giovedì 14 novembre 2013

Il desiderio nella società consumistica

Ora, io non sono un grande consumista.
Lo sono, per quanto mi è possibile, in campi particolari. Ad esempio i libri.
Alcolici.
Cose da cucinare.
In passato lo fui per altre cose, videogame compresi.
Ma io come lo compro un libro?
Vado su ebay, spulcio; quando ho trovato quello che mi serve provo a vincere l'asta. Dopodiché aspetto il postino.
Mettiamo poi che io sia un consumista di cellulari e ne cambi uno ogni due mesi.
A quel punto andrei in un sito per vedere vari modelli, dopo un attento vagliare ne sceglierei uno e appena possibile - cioè il più presto possibile - andrei dove abitualmente mi servo a comprarlo.
Ora, è chiaro che sono due tipi di acquisto diversi.
Nel primo, il libro preso su ebay, vi è un tempo medio dal momento in cui decido di comprare a quando lo ottengo di circa 10 giorni - variabili.
Nel secondo caso, quello del cellulare, il tutto è realizzabile in 24 ore.
Vivrò quindi diversamente il desiderio di queste due cose.
Ma come?
Intanto bisogna dire che io comperò libro e telefono per essere felice. All'inizio desidero, e nella spinta del desiderio vivo uno slancio emotivo. Via via il desiderio accresce e già in se stesso impariamo a trovare una parte della felicità che avremo per intero a oggetto ottenuto.
Noi infatti non-siamo se non nel desiderio.
Poi, dopo aver desiderato, e aver vissuto diversi periodi di attesa, ottengo.
Ottenere è già meno del desiderare, e in questa fase è forte solo il desiderio di conoscere meglio. Ma è già un desiderio decadente perché completamente esplorabile.
Ma nell'ottenere l'una o l'altra cosa mi sento allo stesso modo? Oh, no.
Il libro preso su ebay ha davvero stimolato il mio desiderio nell'attesa, dandomi modo di avvertire in esso - il libro - un premio e un rifugio a venire.
Col passare dell'attesa l'intensità del desiderarlo si attenua ma mi fornisce ugualmente un luogo metafisico dove abitarmi altrove: lo spazio dove ciò che desidero vive oltre ciò che realmente è.
Infine arriva, magari dopo 2 settimane, periodo in cui ho avuto modo di vivere tutte le fasi del desiderio, e nell'ottenerlo il processo mentale che unisce ciò che voglio-idealizzo e ciò che davvero ho ottenuto è consumato per intero. Entrambe le cose, fisica e metafisica, si fondono per ampliarsi in nuovi desideri.
E io mi sento così

Allungo la mano, prendo il desiderio, e ricomincio a desiderare. Sempre da capo.

Il cellulare, invece, lo prendo senza godere appieno di questo processo. Non sono neanche convinto. Lo ottengo dopo sole 24 ore dacché l'ho desiderato, lo porto a casa, lo scarto, lo monto, lo accendo.
che c'è?
è pronta la cena

Vado a cena. E quando torno è ancora lì, sul letto. Si è freddato. Ma cosa vuoi, tu, da me? Io non ti ho abbastanza desiderato. Non ti ho contemplato oltre te stesso.

Esiste un modo per annullare la pulsione a consumare che non sia ascetico ma ontologico al consumismo stesso?
In verità io dico: esiste. E in questo breve - spero non delirante - post l'ho in parte introdotto.
Non tutti possono comprenderlo poiché non è per tutti, ma riguarda una fetta specifica dei consumatori. Fetta a cui per altro appartenevo.
Riguarda il consumismo nei videogame, che a mio modestissimo parere mettono in seria crisi il capitalismo stesso. Ma mi spiego meglio.
Facciamo quindi finta che il post inizi ora.

A me piacciono i videogame. Non più come una volta. Più che altro portatili e retro-game (giochi vecchi).
Ora, questo mercato dei videogame ha una particolarità: quasi tutto il suo marketing si basa sull'attesa.
Facciamo degli esempi. Dunque, sei un appassionato di moda e compri sempre nuovi vestiti? Bene, la tua attività per soddisfare questo bisogno consumistico sarà quella di girare negozi, mercati, mercatini, ecc ecc, alla ricerca di capi vestiari che ti si addicano. Sarà una ricerca istintiva e di rapide decisioni: vedi una cosa che ti piace, la provi, se ti sta bene la compri. E via nel prossimo negozio.
Ora mettiamo che ti piaccia qualcosa di più prevedibile-organizzabile, come comprare cd e vinili. Esistendo già un vasto catalogo puoi scegliere in base ai tuoi gusti cosa ordinare. Poi ci sono i gruppi in attività e i loro nuovi album. Quando il tuo gruppo preferito, o i tuoi gruppi preferiti, incideranno un nuovo album che tu potrai comprare magari sottoforma di vinile per la tua collezione?
Boh. Nel senso che si, qualche anticipazione si può fare. Magari un mese prima. Ma in generale è sempre un grosso boh. Comprerai allora i tuoi cd e i tuoi vinili in base a come li desideri al momento. Un po' come i vestiti dopotutto.
E i videogame, invece?
Faccio una premessa: chi gioca ai videogame legge riviste sui videogame. Cartacee o online.
Ora, funziona così. Una casa che produce videogame, o videogame e console, inizia a lavorare a un progetto di gioco o di console. Quando inizia il marketing?
Nei vestiti praticamente non c'è, vai e prendi quello che ti piace.
Nei cd-vinili c'è ma varia a seconda di cosa ti piace e a che punto sono i tuoi gusti in materia.
Nei videogame inizia prima. Sì, prima che il gioco non solo sia uscito, ma quando non è ancora neanche iniziato lo sviluppo.
Inizia così: noi casa bla bla pensiamo di iniziare a lavorare a un nuovo gioco su/di bla bla
Se tutto va bene passano due anni. Dal momento in cui iniziano a girare le prime immagini passa 1 anno. Dal primo video o demo giocabile ci sono molti mesi. Il gioco è già pronto e ti fanno vedere scatola e immagine sulla cartuccia-cd, e manca ancora 1 mese.
Ci vuole davvero tanto, tantissimo perché il gioco esca. Ma tu ne conosci l'esistenza, lo percepisci, anni prima.
Ma come si vive un simile desiderio?
Un simile desiderio così protratto nel tempo ci può davvero stupire. Ma farò un esempio pratico, ossia di come ho vissuto io questo processo recentemente.
A dicembre dell'anno scorso una nota casa videoludica ha comunicato l'uscita di un gioco riguardante uno fra i suoi marchi più noti. A gennaio c'erano già le prime immagini.
Io era eccitato, non vedevo l'ora di avere quel gioco.
Passa il tempo e siamo a marzo. Il desiderio è ancora forte e già i primi video iniziano a girare. Immagino come sarà giocare, mi percepisco giocando e cerco di balzare con tutto me stesso là dove il desiderio si materializza. A maggio importanti rivelazioni e succose novità. Ma ormai quant'è che ne parlano? 5 mesi.
In piena estate altre rivelazioni, discussioni, approfondimenti ecc ecc
Non ci bado più molto, penso di sapere già tutto.
Non è così, a settembre novità scioccanti per ravvivare l'entusiasmo. Si, è deciso, ormai lo compro. Esce a metà ottobre. 1 mese prima che esca è pronta la cover, l'astuccio, la copertina. Una paio di settimane prima molto è svelato. Io invece non so più se comprarlo.
Ho l'ansia. Insomma, è davvero un gioco perfetto e se ne parla da quasi un anno ma... lo desidero ancora?
Dov'è ora il mio desiderio, può resistere così a lungo? Certo, se fosse uscito dopo due settimane, come si può aspettare per un pacco da ebay, sarebbe stato poco. Il giorno stesso neanche a parlarne, ne avrei riso. In fondo tutti i giochi hanno rampe di lancio del genere ma... ecco forse 6 mesi sarebbe stato un tempo ragionevole. Si, dopo sei mesi avrei potuto ancora astrarre, idealizzare. Ma così, così no. No basta, è come se lo avessi già avuto, desiderarlo mi ha già fatto vivere tutta la felicità del possederlo.
Eppure era marketing.
Marketing, non una pratica ascetica.
Certo, per molti ha funzionato, molti lo hanno preso.
Io no. No davvero, non aveva più senso.
Ecco, allora forse è questo un buon modo per non adornarsi di materialità, per non vivere solo in funzione del consumo: desiderare. Desiderare a lungo. Certo non funzionerà sempre, e in fondo quello era solo un gioco. E io sono io. Per tutti non vale.
Vale solo per chi ha sentito come me.
E magari per un altro gioco avrebbe funzionato. Chissà.
Di sicuro c'è solo che è il modo in cui desideriamo, e come coltiviamo i nostri desideri, a fare di noi dei consumisti - o a fare di noi dei non-consumisti.

Ma forse aspetto solo che esca usato. Ecco.