venerdì 10 ottobre 2014

Antologia di scritti inutili n°2

C'è qualcosa che mi affascina nel fuoco, un divorare divorandosi che è tipico di certe persone, della bramosia acefala di consumare. Ma non lo trovi nella fiamma dell'accendino o sul fornello in cucina, devi necessariamente ammucchiare della legna in un bosco e accenderla di notte, devi vedere la danza ancestrale delle ombre intorno al fuoco, odorare il buio ignoto che che ti cinge d'assedio, e ogni rumore non ha forma, e incute timore.
- Ma io sono una persona molto pigra e amo le comodità.
- Morirai.
- Può darsi, ma che c'entra?!
- Bhe, ti spiego...
Basta pensare alle nostre abitudini, non so: cibo, ritmi sonno/veglia, luoghi in cui mi reco ecc ecc. Pensato? ora poniti con questo bagaglio di appiattimento esistenziale davanti alla morte, ossia inizia a contemplare l'idea che potresti morire nell'immediato. Fatto ciò si accende un lumicino, niente di trascendentale per carità, ma qualcosa ti fa vedere: ti fa vedere che esiste una tua non esistenza. Davanti a tanta angoscia non si può che restare basiti, e ci si rende conto dell'importanza, dell'unicità, della storicità della nostra vita. Abbracciato questo ragionamento si può capire che l'apatia dell'abitudine non è degna di abitare nelle nostre vite in quanto uniche e irripetibili, ed è proprio l'idea della morte, l'angoscia e la reazione che ne derivano a permetterti di vivere pienamente. Quindi ti viene voglia anche di accendere un fuoco e raccontare com'è stato. Semplice.
- Ma Dio allora?
- Dio cosa? lascialo stare Dio, Dio è morto.
- Ma senti allora, se Dio è morto, perché dovrei stimolare la mia esistenza se comunque diverrò concime?
- Perché.. già, perché?
- Senti ma... quando fai il fuoco di notte, bevi?
- Beh, certo che bevo, altrimenti come farei a pensare tutte queste sciocchezze?
- Ma guarda tu, me lo potevi dire subito, no? Invece di perdere tempo con la morte e la banalità del cazzo. Andiamo a farlo, dai, bevendo posso andare ovunque.



Una tipica reazione chimica a cui sottoporre le chiese


Diario notturno

C'è un qualche uccello notturno che lancia il suo verso qui dietro, tra la notte e il bosco. Un tempo lo avrei coperto con della musica, ma negli ultimi mesi per la notte ho scelto il silenzio; così nei i primi dieci minuti era solo un verso, ma è ormai già da un'ora che sono sicuro mi stia parlando. Egli dice: "apri la porta e vieni qui, vieni a vedere cosa c'è di notte nel bosco, vieni a vederlo e poi muori."
Da pochi minuti se n'è aggiunto un altro, più stridulo e lontano. Questo mi parla al di là della notte e del bosco, come un'avanguardia del mattino, e mi dice: "non c'è nessuna notte e nessun bosco."
A breve so che arriverà il terzo, e lì smetterò di aggiornare questo diario per seguirlo nel sonno, dove senza menzogne sarò io a cantare i miei versi, e muti mi ascolteranno gli abitanti della notte, e del bosco.



I miei pensieri abituali si ritrovano qui

Sono un tipo che in casa si sente a suo agio, anche da bambino uscivo poco. Ho le mie robine, le mie cose da fare, i miei ritmi casalinghi, e anche senza uscire la noia non mi sfiora mai.
In qualsiasi posto debba andare non vorrei mai andarci, bello o brutto che sia, e questo perché sono maledettamente bravo a stare in casa e preferisco restarci.
Poi, quando esco, penso sempre a come sarà il ritorno a casa, con lo stesso slancio che avrei se fossi convinto di trovare tante schiavette nude al mio rientro.
Ma in realtà non c'è mai niente a casa, a parte le mie robine, le mie cosine da fare, e il piccolo sistema planetario intorno al mio letto, dove i mondi raccolti da me orbitano con la gravità che è propria delle cose.

Diario di un lento suicidio - Introduzione al delirio notturno [parte prima]

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Diario dal fronte, secondo giorno di ostilità contro l'estate.

Per ora le truppe sono unite e ben rifornite. Il vento soffia, la pioggia batte, la folgore sferza i boschi.
In mattinata l'odiato sole è riuscito a sfondare il fronte provocando grosse perdite di umidità fastidiosa e caldo disagio. Nel primo meriggio le forze del generale Grandine, con una sortita mirabolante, lo hanno costretto in ritirata.
Ora le divisioni Pioggerella e GranPioggia battono il campo a far fuori i feriti, mentre la divisione Tuono canta vittoria per i cieli tenebrosi.
A breve l'armata Temporale dovrebbe definitivamente ributtare le odiose forze estive dietro il confine del giorno. Fino a domani si può resistere, e tutti ringraziano.

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Diario del dolore. Marzo 2014

L'unica cosa che mi tiene ancora in vita sono i brufen e l'alcol. Non dormo da 2 giorni. Non mangio cibi solidi da 3 giorni, tenendo conto che leccare non è mangiare. Faccio fatica a bere. Non riesco neanche più a parlare. Questo però solo da oggi.
È divertente interagire con le persone senza parlare. O almeno più divertente che interagirci normalmente. Chiedi carta e penna, mugugni, usi i documenti, ecc ecc
In realtà potrei già essere pazzo. Voglio dire, hey, dopo 7 giorni di agonia, un dente del giudizio che ti perfora un nervo facciale, un ascesso grande come un mandarino sotto al collo, senza sonno e senza neanche potermi sdraiare?
Potrei benissimo già essere pazzo. Oggi volevo picchiare uno perché mi ha guardato. Il nervosismo è incontenibile.
Quindi, sono pazzo?
Prima leggevo un libro di fantascienza. Ogni tanto mi fermavo, mettevo giù il libro, e fissavo il muro. Aspettavo che passasse la fase acuta del dolore, quella in cui non riesco a concentrarmi. Ogni tanto il muro spariva; vedevo oltre. Vedevo lontano.
Più di una volta, piegando la testa di lato, e cedendo al torpore, ho sentito fermarsi il cuore, o quantomeno fare uno strano battito, come se si espandesse.
In teoria si, potrei impazzire.
Quando mi addormento, se dormire seduti è sonno, sogno il dolore. Lo sogno in vari modi, a volte è una cosa, a volte una persona. Ma è sempre lui, il dolore.
Mi do altre 48 ore di resistenza, conoscendomi è il mio limite. Poi inizio a uccidere.
Sarà divertente.

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La terra vista dalla luna


Diario di un annoiato-ato-ato
Caro diario: prima, verso le 11, ho ingurgitato dei tocchi di porchetta. Di solito, come ben sai, essendo molto condita e stratificata con tessuti molli e duri, la porchetta si vaglia: questo si, questo no, questo forse. Dopodiché ciò che rimane ce lo si sbatte in bocca con del pane.
Però questa volta, ingobbito sul lavandino nella penombra del lampione esterno, non sono mica stato a vagliare, e no. Ho buttato giù tutto un po' a casaccio. Cosicché c'era un aglio enorme, un aglio tutto intero, e me lo sono mangiato. Col pane e qualche bevanda è andato giù. Mi dicevo: "sputalo". E invece no, tutto giù, tutto giù.
Poi, com'è ovvio, ho fatto cose, ho vissuto oltre l'aver mangiato della porchetta. E qui tutto è accaduto, difatti un paio d'ore dopo è uscito un rutto che non era un rutto: era l'esplosione di un quasar a base di atomi d'aglio. Che quel maledetto, zitto zitto, deve essersi fuso con tutto ciò che ha incontrato, riuscendo poi ad espandersi con tanta efficacia non solo da farmi lacrimare, ma giurerei anche - sebbene ne avrò le prove solo domani - a mutare la mia essenza in quella di un allium nonché sbigottirmi per cinque secondi buoni, tanto che ho pensato - sono morto? - no, però forse un buco nero l'ho creato. Un vuoto d'aglio.

- Più tardi -
Nelle ombre della stanza si muovono strane creature, e tutto puzza d'aglio. O forse - e mentre scrivo rido lacrimando - sono pazzo.
Ecco che vengono a prendermi: la stirpe dell'aglio che io ho creato.
Devo fuggire, ma dove? E che odore! E come sono emaciato.
Caro diario, guardati dall'ingoiare allium.


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Diario di un annoiato
Stamattina mi sono risvegliato in uno stato totalmente confusionale e nell'alzarmi ho subito notato una sensazione letargica. La prima aria fresca guarisce lo stress estivo, il corpo brama il sonno perso.
Tant'è dovevo spedire un pacco e sono andato in posta. Ora, magari nella borghesia non si usa, ma spesso esco con la stessa roba che ho usato per dormire. Bene, certo stamattina non ero in vena di fare l'elegantone, e com'ero sono andato.
Le cordicelle che legano le penne negli uffici postali dicono molto del clima di reciproca fiducia che vige nel nostro paese, e per qualche strano processo fisico - simile a quello che intreccia i fili delle cuffie - si attorcigliano intorno alla penna, di modo che ti chiedi: "riuscirò a scrivere l'indirizzo prima che sto coso si impicchi?" E puntualmente si impicca.
L'impiegata del mio piccolo ufficio postale è gravida, e ha solo un'espressione: quella del condannato a morte, ma lo sa, sa già cosa devo fare, lo sa come è conscia che la sua gravidanza è solo un modo per liberarsi dal lavoro, una prigione per evadere da un'altra prigione, e così taglia corto: raccomandata o prioritaria.
Il tizio, le dico, ha pagato 5 euro. Bastano per la raccomandata?
Pesa il pacco.
Sono sei euro.
Allora prioritaria. La guardo meglio, perché, continuo, sai, ha pagato solo 5 euro. Attendo di scorgerle in volto un barlume di interesse. Un oceano di apatia.
Allora prioritaria. Confermo prioritaria.
Prendo il portafoglio per pagare e noto che qualcosa non va, estraggo i miei canonici 10 euro e pago. Eppure, mi dico, qualcosa non va. Pago.
Riprendo lo zaino senza sapere dove dirigermi, e poi riprendo il portafoglio, lo apro e... e questi soldi? Vediamo... XXX euro.
Hum
Non ho idea del perché ci siano quei soldi. Mi giro verso l'impiegata che mi guarda ma non mi vede neanche, fissa un punto oltre me. Speriamo non guardi mai così suo figlio. Non è il caso di chiederlo a lei perché ho questi soldi, penso.
Allora vediamo, non li ho rubati. Non li ho presi in banca. Inoltre non ho soldi in banca, il che dissipa ogni dubbio.
Non lo so. Faccio giusto in tempo a pensare che potrei spenderli e mi ricordo che sono i soldi per l'affitto. Da quanto tempo erano lì? faceva ancora caldo... Ma in posta non ci torno di sicuro, la tipa minacciava l'aborto pur di essere lasciata in pace. No, e neanche a casa. Corse delle moto. Peggio della messa live se hai voglia di dormire.
Così sono andato, caro diario, a raccogliere delle mele in campagna. E a me le mele neanche piacciono.


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Nella carbonara non ci va la cipolla


Diario Teosofico

Il cristianesimo: suicidio dell'Europa. Questa stanca giaculatoria d'intenzioni, di utopia; questo nascondersi nel buio pensando di raggiungere il giorno: questa rivelazione mai detta, questo canto stonato di verità inesistenti. Questo ebraismo rivisto, ebraismo impoverito. Emendamento giudaico. Distruttore di storia e di ragioni. Che l'uomo lo maledica e lo distrugga.
E si liberi.





Diario di un cosmonauta. 

Ho deciso che se vado sempre dritto nello spazio, a una velocità di 6/7mila anni luce al secondo - contando sul fatto che l'universo è sferico -, senza deviare minimamente dalla mia rotta, ecco, dovrei essere di nuovo qui tra un paio d'anni, proprio nello stesso punto.
Certo le radiazioni universali e la stessa luce, impattate a quella velocità, sono un problema. Bisogna che prima trovi il modo di schermarmi per bene. Inoltre non avrei riferimenti visivi, dato che sempre per via della velocità la luce delle stelle non potrebbe raggiungermi, lasciandomi al buio più tetro.
Se invece, ahimè, come alcuni pazzi sostengono, l'universo è infinito, vorrà dire che andrò sempre avanti fino a perdermi nel nulla, che è pur sempre una prospettiva migliore del vedere le orride grassone che in estate osano mettersi in costume.




Trova dio


Diario si un sopravvissuto, 9 maggio 2013

Le cipolle han messo l'erbetta dritta, le melanzane fioriscono, ma i pomodorini ancora non si capisce cosa fanno. Aspettando di allargare le nostra dieta, che da troppo tempo ristagna, oggi abbiamo finito di recintare la magione e stabilito delle zone franche dove rifugiarci in caso di bisogno.
Alle ore 15 avvistato un gruppo di erranti sulla strada provinciale, più è grande il gruppo è più sembrano intelligenti. Un po' il contrario di chi va a ballare il sabato sera, dove in un gruppo di 6 o più individui si inizia a notare un certo ritardo mentale. Approfondirò in seguito questo fenomeno, chiamandolo per ora: a ballare, se proprio devi andarci, vacci da solo.
Un membro del gruppo mi ha ricordato che a breve sarà estate. L'ho ucciso. Poi comunque ha iniziato a tirare un venticello fresco e me ne sono pentito.
A cena ci siamo riuniti al magazzino per decidere come procedere nell'esplorazione lungo il fiume, e su come regolarci verso quelle persone che, non si sa come, ancora pensano che Forum sia un tribunale vero. Ma oh! è finito il mondo e ancora credi alla tv? Vah che ti mando con gli zombie, eh.
Per il resto tutto ok, sento bussare alla finestra ma so che il vetro è robusto. Ah già, poi il tizio che credeva a Forum lo abbiamo ucciso, ma non era già morto?

ps ancora nessuna notizia di Bernardo, lo avevamo mandato a trattare con un gruppo di resistenza pacifica che non crede nella violenza contro gli zombie. Non è tornato. Forse perché è un cane. Idea del cazzo, eh? per fortuna il tizio che guardava forum non ne avrà più.



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Diario di un sopravvissuto, Mercoledì 17 aprile 2013

Nel pomeriggio ero seduto nel giardino recintato a seguire il volo di un uccello nero. È sparito, in lontananza, dietro una casa, ma non né è uscito. Mi chiedo dove sia finito.
Ho spalato un po' di erbacce, poi sono arrivati i rifornimenti dalla zona portuale. Hanno violentato Chiara 6 volte. Sono andato a vedere com'è la faccia di una che è stata coperta 6 volte; era zitta, lo sguardo basso e le guance rosse, da giovenca.
Niente carne questa volta, né la prossima. È troppo pericoloso camminare così a lungo, meglio coltivare da noi il necessario.
Al massimo ci mangiamo Chiara.
La sera mi addormento urlando dentro, la mattina mi sveglio con un urlo. Forse hanno morto Paolo, sta delirando. Sparla dell'elezione di un presidente, è ovvio che non sta bene.

Più tardi:
Abbiamo soppresso Paolo, stava violentando Chiara. Ma non per questo, no. Perché insisteva con quel Presidente del... l'ho dimenticato.
Domani ci spostiamo, andiamo a esplorare le campagne a nord. Staremo fuori tutto il giorno, che il Fato ci aiuti.





Quella troia di chiara



domenica 5 ottobre 2014

Un racconto o giù di lì



In realtà il racconto è del mio gatto.



Così inizia questo mio racconto, e come ogni inizio a fatica trova la sua via, il suo voler davvero esistere. Certo no, non è un’epica battaglia tra bene e male, benché bene e male non siano che sfumature dello stesso gioco inutile, e non è neanche uno di quei tomi con pretese filosofiche, storiche, o altre cose, tutte stoiche. A dirla tutta è anche scritto un po’ così, così come viene, e non necessariamente è piacevole da leggere.
Ora, ascoltatemi bene, mi rendo conto che scriverlo è noioso; ora mi diverto. Ora so già le prossime dieci righe; ora non so niente. Vorrei essere prosaico con eleganza; lo scriverò in versi. E poi, forse, se lo finisco, e sarà un bel racconto, il mondo diverrà un bel posto; se lo finisco, e piacerà, il mondo sarà vuota notte. O in fondo niente di ciò, e, chissà, tutto insieme. O come si dice in questi casi: val bene vedere come andrà a finire purché finisca. Seppure certo non sappia chi mai s’azzarderebbe a dire una cosa del genere.
Allora si narri questa storia e, misericordia, non se ne parli più, non se ne parli più per piacere, che si scriva e basta…e, per la maledizione di non ruotare ai lidi dell’universo, era caldo, ma non estate; poi stagioni non ce ne sono, e anche ce ne fossero la gente di questo racconto le ignorerebbe. Comunque era caldo nella zona, quel caldo umido che rende nervosi e privi di tatto, quasi bestiali durante i pasti, mostruosi nel rigirarsi nel letto umidiccio.
 Un caldo buffo, se non fosse tragico, curativo, se non uccidesse. Quel tipo di caldo che mette a dura prova qualsiasi ordine costituito.
 A proposito di ordine va detto che, se l’uomo nella sua favoletta, dalla scimmia a Dio, e poi da Dio…alla scimmia, dovesse rendere merito a qualcosa in particolare per essersi così ben evoluto, fino al punto a quanto pare imprescindibile per ogni specie di realizzarsi nell’orrore, lo deve senz’altro all’ordine. 
Strano come l’ordine porti all’orrore. 
Ordine mentale, certo, filosofico e morale, certo. Ordine nel diritto e nei percorsi umani predefiniti, senz’altro. Ma anche più modestamente l’ordine domestico, e a voler essere, e perché no!, precisi, l’ordine nelle singole stanze dove viviamo: e su tutte la camera da letto.
 Ecco, si potrebbe dire che l’umanità tutta ha il suo faro guida nel modo in cui ogni singolo individuo tiene ordinata la sua stanza. Ora, si sa, e chi non lo sa è quantomeno una persona noiosa, non sempre tale spazio si rivela lo specchio di un’anima serena, ma sovente ne è la nemesi, fino allo sfociare nel più bieco disfattismo umano, con picchi di sfacelo e miseria tali da far urlare malcapitati spettatori all’anticristo – davanti allo scempio di certe camere – o portare fisici più o meno sobri ad asserire, non senza commozione, che siffatti scenari orripilanti non possono trovarsi all’interno  del nostro continuum spazio-tempo.
 Insomma, a esser concisi, evitando per ora d’essere tetri, qualche caprone avrà già capito, e se non avrà capito, che sfacciato, sarà una capra!, che questa stanza non era, per così dire, il diritto romano, la moralità cristiana(?), o, tantomeno, la saggezza greca. Era, per Dio, un caos primevo, dove, ignorando le leggi universali, niente si trasformava, ma tutto davvero si creava dal nulla, come strani vapori, e si distruggeva per sempre, sparendo dentro pertugi dimensionali mai visti da occhio umano, come i vuoti a rendere che siamo, pieni di calzini sporchi e tutta la biancheria sporca del mondo e cicche puzzolenti e altre schifezze, tutte vecchie, tutte sporche.
 Ma chissà, chissà mai, chi ci vive in questa camera così incasinata, si starà chiedendo…tu, si chiederà tu, tu il lettore. Te lo chiedi? Ecco, caro lettore, scosta quel filino di bava dalla bocca e datti una pacca sulla schiena da parte mia – io, io che scrivo, ciao! – che stai leggendo da cinque minuti, e son sempre cinque minuti davanti allo schermo di un pc senza spulciare pornografia. E sia, ci vive, e si prova a riordinarla, una tizia, né alta né bassa, né giovane neévecchia, in un certo senso nient’affatto fuori luogo, dai modi garbati, tranne quando è sgarbata, e tutto sommato di una certa cultura, pur con una forte avversione per la cultura stessa.
 La ragazza, se vi fa piacere, s’applicava non poco per tenere in ordine la sua stanza, ma se preferite se ne fregava, tanto, per quel che ne so io, impegno o no, la stanza era un vero e proprio lebbrosario.
 Ora qui si spolvera, e dopo poco la polvere ricopriva tutto; poi qui rifacciamo il letto, e neanche si fa in tempo a girarsi che il letto si disfa; adesso riordiniamo per bene le mensole, e prim’ancora di allontanarsi per vedere l’insieme tutto s’era sparpagliato. Quella dannata camera pareva godere di vita propria, una dispettosa volontà tendente al disordine, fermamente decisa a impedire il desiderio d’ordine della ragazza.

Certo, ne converrete, ne venne fuori un bel problema. Si sta male nel disordine, se non è voluto, si sta peggio ancora nel disordine quando se non metti in ordine ti picchiano. Eh sì, perché i genitori di lei, convinti fosse tutto frutto della sua personalità eversiva, la punivano, senza troppi convenevoli, e con mano ferma, a… come renderci chiari: a calci in culo, ecco, senza disdegnare occasionali bastonate, marchiature a fuoco, e, perché no, in fondo che diavolo!, costringendola a lavare i piatti, montagne di piatti: tutti i piatti del paese, del mondo, tutti i piatti esistiti o a venire.

Davvero un bel problema, per la giovane, che senza sosta si chiedeva come venirne a capo. Come, cioè, averla vinta sulla camera balorda, che di storie non voleva sentirne, e nel suo silenzio espressivo sembrava dire: puzza e casino, polvere e folletti negli angoli! E chissà cosa negli spazi oscuri, HAHAHA, lo sai tu cosa? Te lo puoi solo immaginare! Così pensandoci qualcosa le venne in mente, certo si trattava di misure estreme, ma chi per sottrarsi a un tale incubo non ricorrerebbe alle latenti bassezze insite nel nostro lato più oscuro? Certo lei non se ne fece un cruccio, ne s’avvilì, e in poco tempo, fermamente convinta in quella direzione, si procurò qualcosa che bruciasse, e qualcos’altro per farlo bruciare. Poi niente, con naturalezza diede fuoco un po’ a tutto, alla camera, ai genitori, ai piatti e anche al suo personalissimo disordine interiore. Bruciava come una foresta di alberi morti, e su tutto echeggiarono risate impazzite, liberate e liberatorie, urlate ai muri anneriti, più lucifere del fuoco, risate infernali.

Quando altri tizi, con altri problemi, finirono di spegnere il fuoco, la casa era uno splendore. La camera non c’era più, tutto si era fuso in un cono amorfo, come si scioglierebbe una candela di cattivi pensieri, appiattendosi sulla sua disperazione. I piatti – milioni di piatti – semplicemente erano spariti, forse esplosi, forse ancora andati in fumo. 
Riguardo la sorte della giovane, com’è evidente, nessuna colpa ne macchiò l’avvenire, poiché nessun tribunale dotato di buon senso trovò opportuno processarla per aver bruciato una casa: le case vanno bruciate, è il supremo ordine.
 Nessun tribunale trovò opportuno processarla per aver bruciato i genitori: i genitori vanno bruciati, è l’unico ordine.
 Solo una vecchina si lamentò del tutto, e certo non le si può dar torto, se si spiega cosa accadde, ossia che l’incendio aumentò il calore, e la vecchina ebbe a soffrirne, e fu presa da gran caldo. Fu bruciata anche lei, e nessun tribunale trovò opportuno processare la ragazza per aver bruciato anche la vecchina: i vecchi rompicoglioni non sono essere umani. 
E poi bon, io la chiuderei qui, che storia banale poi, andrebbe bruciata, ma val più di un vecchio, di una casa o di due genitori, e allora no, mi sa la lascio, e in fondo mi sono divertito a scriverla; è stato uno strazio. Il tempo è volato; seimila secoli sembrano scorsi. Fuori è giorno, ora esco e non ci penso; fuori è notte, resto in casa e mi pento di tutto.


Ho due gatti. Il nero detta e il grigio scrive.