martedì 14 marzo 2023

Aforismi siderali

 



La vita è una storia raccontata a metà
 l'amore è una canzone rotta;
la bellezza, tanto a lungo cercata
è una leggenda perduta e dimenticata.
Inverno, e silenzio, e dolore
son venuti, come la fine di tutto:
lentamente cadono le ultime foglie
sulla neve al tramonto.
Imbelle, nel mondo che si oscura
nel cupo soffiar del vento dal cielo
ricordo la grazia tua renitente,
e sospiro per il perduto oro della tua pelle.

Clark Ashton Smith




Per quanto l'uomo si disperi, è pur sempre uno che dopo aver eiaculato dentro una vagina ritiene di aver assolto a tutti i suoi compiti. Il resto è un'invenzione sociale.


Mi riesce sopportabile la presenenza di qualcuno solo alla terza birra o dopo un paio di canne. Allora in quell'attimo di incoscienza può nascere un barlume di complicità: ma dura il momento che il sole passa tra le fronde mentre si passeggia innamorati.


Nella costante compagnia di qualcuno viene fuori prima o poi qualcosa che ci disgusta, e accettiamo ancora la sua presenza solo perché una sorta di sentimento che proviamo nei suoi confronti ci impedisce di allontanarlo per sempre. Credo che la maggior parte delle relazioni umane sia così.


Ho trovato più compassione negli oppiacei che in tutto il genere umano.


Non parlare ora, guarda le stelle insieme a me, vivremo per sempre stanotte. Il domani non esiste.


Una volta stellata di rimpianti.


La comunicazione con gli altri è un eterno equivoco.


Dovremmo essere tutti nemici del Fare, e invece ci frega sempre.


(sul natale) Che belle queste notti enormi e il tentativo di sfuggire loro mettendo ovunque delle luci.


Incredibile come per pochi attimi, e pochi centimetri, le macchine che passano non ti uccidano. Aveva ragione Cioran: viviamo in un garage apocalittico.


Neanche l'inferno di Milton può avvicinarsi alla tragedia della nascita: anche se Satana lo ha già intuito.


Davanti alle galassie qualsiasi problema scompare, non resta nulla. E un Nulla poetico è quello che siamo.


Il tempo inghiottirà tutto e tutti nella sua eternità, e su come reagire a questo sono combattuto: a volte mi sprona ad agire, altre mi abbatte in un fare nulla assoluto. Ho sempre oscillato, ma con gli anni il Nulla aumenta.


Trovo molto più interessante uno schizofrenico o uno psicotico che un normalone da apericena.


A un certo punto le parole perdono di significato e il dolore diventa inesprimibile, resta solo il silenzio in cui annegare.


La leggerezza è il voler allontanare fin l'ultima nota di rimpianto. 


Le cose migliori create dall'uomo sono le lingue e le religioni: entrambe monarchie illusorie.


Lacrime e tempo, abbiamo solo questo.


Essere scemi è un privilegio che non costa sforzi.


Sopporto la vita come un uomo di notte, col cappuccio, sopporta la pioggia.


Una delle cose che mi è sempre rimasta impressa di Bukowski, è che beveva da solo, al buio, in una topaia, la notte, guardando fuori da una finestra e ascoltando musica classica: come se fosse una questione tra lui e Dio.


Nello sguardo degli altri non c'è niente.


Io penso che il naturale approdo dell'acculturamento sia il nichilismo: è l'ultimo porto, nero e inquieto. Chi non ci arriva si è perso in qualche illusione.


Solo Chopin sa condurci per mano fino ai confini della notte, dove si intravede il mattino.


Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso, dice Satana. E per lui in effetti regnare è una grande ambizione. Ma regnare su cosa, sulla disperazione? E poi, del resto, qui sulla terra che altro ha trovato? Caduti insieme, rimpiangiamo la speranza che era di prima.


Amare la natura è amare il proprio inferno.


Lo scopo della vita è ingannarsi, continuamente e senza sosta.


Non vale la pena, vivendo, che conoscere disperati, tossici e puttane. Il resto è un sovrappiù.


Se pure mi provassero in maniera ineluttabile che Dio esiste ed esiste la vita eterna: io gli sarei comunque nemico. E sceglierei la dannazione eterna: e fino alla fine gli sarei contro.


Basta un profumo di donna per ingannare la mente.


Ho sempre provato un'attrazione morbosa per le maschere e i personaggi che le indossano, mentre i volti umani mi sembrano tutti uguali e noiosi. Ricordo un racconto di Jack Vance, Il faleno lunare, in cui viene descritta una cultura in cui lo status sociale è dato dalla maschera che si indossa e nessuno mostra il suo viso. Vivrei in un mondo così.


L'inverno è il periodo perfetto per andare col pensiero oltre la propria morte, cercando di immaginare come può essere il non-esistere. Ascoltando le onde del mare viene naturale pensarci: e penso che sarà come essere perdonati dall'universo.


Davanti alla bellezza e al piacere persino l'ultimo dei nichilisti ritrova la voglia di vivere.


Io penso che, a parte il fantastico e i saggi, la letteratura russa sia la migliore. Parlo dei romanzi e dei racconti dell'800. Alcune scene mi si sono incarnate nel corpo: come quando Dostoevskij in Delitto e castigo descrive l'eternità, e se la immagina come una piccola stanza piena di grossi ragni neri; o quando Cechov fa finire i suoi amori: uno qualsiasi. O Tolstoj, che fino all'ultimo respiro immagina la Morte. 


Sono le donne, ad ogni alba, a tramare i fili del cosmo.


È nel gran mare del tempo che un giorno mi dissolverò.


L'amore è una fatalità della vita, e fa soffrire come un mattino insonne che dura in eterno.


Ci vorrebbe un tramonto definitivo che non si trasformi mai più in alba.


Chissà se negli ammassi stellari c'è una creatura che soffre come l'uomo... in quel caso non avremmo più il monopolio del dolore universale.






lunedì 6 marzo 2023

Gattini


Gattini annegati




-Allora senti, secondo me per fare l'arrabbiata ci vogliono le penne. Per forza. Ci fai gli spaghetti, ti ammazzo. I fusilli, prima ti torturo e poi ti ammazzo. Se ci fai, che ne so, gli ziti? ti ammazzo pure la famiglia.

- Bah bah - mi diceva la vecchia, ondeggiando la testa. E continuava a borbottare - Una pasta vale l'altra, che sarà mai! la vita è dura e una pasta vale l'altra.
Queste discussioni andavano avanti da mesi, da quando, cioè, mangiavo a casa di quella vecchia contadina incattivita dal tempo e dai campi. Non le interessava che parlassi spesso di uccidere e fare a pezzi, però le sue opinioni sulla pasta che è tutta uguale me le doveva proprio ruttare in faccia.
A me in fondo interessava poco purché si mangiasse. Ma per principio dicevo sempre la mia. Lei la sua. Non cambiava niente.
In primavera era peggio perché si era tutti più nervosi per il cambio di stagione, così le discussioni peggioravano. Non le stava bene che scartassi il tonno dalla pasta.
- Mangia pure il tonno! - mi diceva.
- No!
- Ma perché no?!
Perché no? non lo so neanche io perché separavo tutto, potendo avrei separato anche l'olio dalla pasta per berlo a parte ma non si poteva. Lo facevo per tigna. Avevo una mente scomposta che intendeva separare ogni realtà tangibile dall'altra. Ce l'ho ancora, al diavolo.
- Perché... perché no. Mangio come mi pare.
- Io all'età tua c'avevo già un centinaio di porci nella stalla qua dietro e mangiavo scalza, ma che ne sapete voi.
Mi stufavo di rispondere e pensavo solo a mangiare prima di tornare a lavoro. Un giorno, mentre ci perdevamo nelle solite chiacchiere, dalla porticina che dà sull'orto si affaccia un gatto nero.
- Froshti! - urla la vecchia.
- Eh?
- Si dice così ai gatti, Frosthin!
- Stai solo inventando parole a caso. Poi è Froshti o Froshtin?
- È uguale è uguale, capiscono lo stesso e vanno via. - disse, facendo un cenno con la mano. Come a dire che la questione era chiusa.
Ma il gatto era sempre lì a fissarla. A fissarci. Sembrava non capire cosa avessimo da spartire io e la vecchia. Quando glielo faccio notare la vecchia gira nervosamente la testa e sbuffa. Sembra indifferente. Subito dopo si alza e accenna uno scatto rabbioso verso la bestia. Questa sparisce. Ma continua a guardare dentro casa dall'erba alta ai confini dell'orto.
- Ha fame - le dico - dagli qualcosa.
- No, gattacci, Froshti! puah!
- Coi gatti ci vogliono i fusilli - le dico.
- Eh, via, bisogna ammazzarli prima che crescano - risponde la vecchia. Non dice che li ha mangiati ma so che un tempo lo faceva. In guerra si può fare tutto, è una regola che non cambia mai.
- Sì, ammazzarli. Si faceva una volta ma ora non si fa più - le rispondo.
- Si fa si fa.
- Nah, non si fa più - Insisto.
- Ti dico che si fa. Via, Froshtin! - e agita il pugno verso il gatto nero. Fermo, immobile nell'erba. Attentissimo a tutti i nostri gesti.
- Oggi se fai del male a una bestia vai in galera. Per dire, se ti sbudello e poi vado al mare forse mi danno un paio d'anni e dello xanax. Ma se ammazzo un gatto... però forse se lo mangio non mi dicono niente. Possiamo mangiare un gatto domani? - chiedo io.
- Non ti piacerebbe. Non vi piace niente a voi giovani. Poi quella è una gatta.
- Ma cosa... non è vero. Basta che azzecchi la pasta. Per me ci vanno le penne. O i bucatini. Bucatini al gatto, porco di quel mondo bastardo che abito! - Continuo a mangiare. Poi, come se il cervello lo avesse recepito in ritardo, le chiedo: - Come sai che è una gatta?
- Lo so - mi fa. - Lo so perché le ho ucciso i figli e cerca vendetta.
- Come come, racconta. Quando non ci sono sbudelli gatti? Peccato che hai, quanto, duecento anni? altrimenti saresti il mio tipo. - 
Dico, ridendo, mentre agito un coltello facendo versacci con la bocca. Mi fa male anche un dente quindi impreco orrendamente. Anche la vecchia impreca perché le fa male solo il diavolo sa cosa. Il discorso muore lì. La gatta, pazza di concentrazione, continua a guardarci dall'erba alta dell'orto.

Il giorno dopo a pranzo continuo il discorso.
Allora vecchia pazza, dimmi un po', come li ammazzi i gattini?
Li sbatto. - mi fa.
Cioè te li fotti?
Sentilo, sboccato! Li sbatto al muro.
- Eh, via. Non ci credo mica. E che sei, una bestia?
- Qualcuno deve farlo.
- Fai sterilizzare la gatta.
- Quella è una strega e non si fa acchiappare. Allora per forza li devo uccidere. Li trovo cercando nei campi li infilo in un sacchetto e via, li sbatto - dice la vecchia, mimando un sacco sbattuto contro al muro. E poi verso la gatta che spiava nuovamente dalla porta: - Froshtin! via frosh! viene a cercarli perché stamattina presto glieli ho presi, viene! li rivuole.
- E dove li hai messi?
-Di là in una scatola. Poi li annego al torrente.
- Ma dai porcamadonna, non si fa. Li hanno fatti vedere una volta in una puntata di tom e gerry. Tom stava in fila ai cancelli del paradiso e c'erano questi gattini bagnati che entravano senza neanche essere controllati. 
- Si può sapere di che cazzo parli? 
- Della pasta da usare coi gatti, vecchia pazza.
Poi ho ridato i gattini alla madre. La vecchia bestemmiava forte e si grattava la fica. Io ho fatto un rutto. I gattini sono spariti nell'erba alta. Che il diavolo se li tenga stretti i gatti.
- La carbonara si fa con la pasta lunga - dico. - Chi ci fa le penne andrebbe sterilizzato.
- Froshti! - fa la vecchia. E alza il pugno verso il cielo. - Froshtin! a Dio e alle anime sante! Pure cristo bisogna sbatterlo dentro un sacco!
Ascolto distrattamente. Penso a cristo dentro a un sacco. Coi gatti.
Anzi, ti dirò di più - continuo. - Se con la carbonara ci fai le farfalle, allora non so... non saprei come reagire. Forse, di una ragazza, potrei innamorarmi.
Froshtin!, froshtin fa la vecchia.
Vedo l'erba scura muoversi nell'orto. Poi lentamente inizio a separare il tonno dalla pasta. Il pomodoro dal tonno. L'olio dal pomodoro.
La vecchia pensa a quando scopava tra i porci nella stalla.
Nessuno dice più niente.