domenica 16 agosto 2020

Stelle cadute



O Elbereth che accendi stelle
dal firmamento costì contemplando,
a Te grido preda dell'orrore mortale!
volgimi il tuo sguardo semprebianca!

Il signore degli anelli


A metà agosto il cielo si spalanca nero, trapuntato di stelle, e le scie morenti dei detriti precipitanti fanno sognare gli uomini. In costume, una cicca in bocca, osservavo la volta stellata in una spiaggia deserta; solo, poco più in là, un fuoco da cui per poco mi ero allontanato: con delle sagome arancioni tutte intorno.
In questi casi è d'uso esprimere desideri, ma come non arrossire nel momento in cui si chiede qualcosa alla vastità dell'universo? Io, devo dire, sono stato capace solo di tacere, e anche quello a fatica, tant'era l'impotenza in cui mi gettavano - e così sempre fanno - gli abissi siderali.
Vega è una gemma incastonata nel golfo della notte; Cassiopea, remota, lascia indovinare altri mondi. Il cielo è troppo vasto e mi sembra di caderci dentro. Ma è un'illusione che dura poco, dal falò arrivano schiamazzi; il mare sognante mormora un'eterna nota che si infrange ancora e ancora.
Vorrei trovarmi su di una vetta a mirare queste remote distanze, da solo, in pace, ma è già tempo di tornare al fuoco, con un pugno di stelle cadute e senza sogni.

mercoledì 15 luglio 2020

Al mare







Sabato mi andava di fare un bagno, così sono sceso fino al mare. A piedi.
Saranno, ecco, cinque chilometri, e vado a piedi. Mi sono preparato la borsa con tutto quello che serve per un pomeriggio del genere: acqua, asciugamano, chiavi, telefono, cuffie. E un libro.
Ne ho un po' adatti al mare. Mi hanno regalato un sacco pieno di vecchi urania che si possono anche maltrattare, quindi dovevo sceglierne uno.
Ho preso Strisciava sulla sabbia. Parla di un alieno dalla massa non-solida che cade sulla terra, per la precisione in mare. L'ho messo in borsa e sono andato.
Ad arrivare c'ho messo meno del previsto. La ciclabile che percorro costeggia un fiumiciattolo scuro. Sotto quell'ombra sospiravano delle rane. In un orto poco lontano ho visto un gatto spiarmi. Appena arrivato in città ho messo le cuffie.
"Questa volta vado vicino al porto", mi sono detto. Diavolo, non so perché vado lì, ci sono solo sassi e scogli. Ma in fondo non importa, il programma era leggere e fare un po' di nuoto.
Mi ero appena sistemato e sono arrivati dei ragazzi. Facevano chiasso e ridevano. "Sauron", pensavo, "ci sono stati colpi di stato più silenziosi di questi giovani, nella storia", provavo lo stesso a leggere; ma dopo aver letto la stessa riga venti volte mi sono arreso.
Poi un'onda anomala si è abbattuta sulla spiaggia. Deve aver sconfinato di almeno tre metri e subito un esercito di pance e culi si è alzato lanciando gridolini ed era tutto un "oddio!" qua e "ma che succede!" là e alla fine asciugamani e borse erano bagnati. I giovani ridendo se ne sono andati via. I culi si sono riseduti. Io non ero per niente interessato a questo universo. Del resto perché dovrei, lui è il primo ad essere indifferente. Ho aperto il libro e finalmente ero pronto a caderci dentro.
Poi mi accorgo che uno dei culi non era tornato a sedersi, ma stava in piedi accanto a me. "Mai vista un'onda così", mi dice. È una donna sui sessanta, accento straniero, cappellino e occhiali da sole.
"Neanche io, ha fatto fuggire tutti" le rispondo. Poi con naturalezza dice che sposta il suo asciugamano lì, vicino al mio, e attacca discorso. È rumena, lavora in Italia. Viene al mare in corriera. La osservo e decido che no, non è chiavabile: a quel punto mi chiede se voglio della crema solare: la voglio. Me la spalma sulla schiena. Le chiedo se conosce Cioran e Eliade, gli scrittori rumeni che preferisco. Li conosce e ne parliamo un po'. Ha un'educazione da paese socialista, quindi ottima. Finiamo a parlare di ciausescu (non so come si scrive) e, più banalmente, dei suoi figli. Il più grande si chiama Sorin. Intanto bevo, fumo una sigaretta, mi sdraio, i culi e le tette, in spiaggia, vanno e vengono, il caldo sfuma, il cielo si gonfia di nuvolette. È quasi ora di tornare a casa. Non che ci sia un orario preciso, ma ho il sedere rotto dalle pietre e devo alzarmi. Alla fine Adina mi dice che tra poco parte, torna in romania per le vacanze. Beata lei, io devo tornare a casa invece.
Per salutarmi mi dà due baci, poi la mano. Riattraverso la città e prendo la ciclabile. Mentre cammino vicino al torrente non sento più le rane. Penso che non sono riuscito a leggere quasi niente, a una ragazza vista solo da lontano, e alla neve perenne sui Carpazi che non vedrò mai, alle verdi pianure della Valacchia. E ho nostalgia di cose mai viste.
Sul cammino ho incontrato di nuovo un gatto. L'ho chiamato, "qui micio, qui", ma non ha voluto girarsi.


Scritto e non riletto~

venerdì 12 giugno 2020

Maledizioni







Incroci gli occhi con una ragazza, e credi di aver visto chissà cosa dietro quello sguardo. Invece non c'è niente.


Più di ciò che abbiamo compiuto, è il non fatto a tormentarci! Allora ci sembra, per un momento, che sarebbe bastata una parola, forse un gesto, e tutto, tutto sarebbe stato diverso. La realtà in cui viviamo, allora, ci appare tale per un nonnulla.
Ed è proprio per quel nonnulla che viviamo.


Più vasta della notte è ogni solitudine, ed è in silenzio che ci si corica al suo fianco.


Per un No di una donna sono sorti e caduti imperi. Eppure alcuni si ostinano a prender sul serio la vita.


Il giorno in cui siamo nati dovrebbe esserci concesso uccidere. Così... come risarcimento.


"Credo nel genere umano", disse. E seppi subito che mi era nemico.


La vita è una prigione, ma la cella è aperta.


Se nelle farmacie non vi è alcun rimedio all'esistenza, e nessun oculista può mettere a fuoco i viventi, consoliamoci almeno della speranza, che in dosi massicce può rinvigorire anche uno scheletro.


Sentirsi come un albero sul quale, attimo dopo attimo, un'edera soffocante si è arrampicata, è cresciuta, e ora è più dell'albero stesso, e ti ruba il sole; e il vento.


Si è davvero soli non quando si è abbandonati dagli uomini, ma quando si soffre per la loro presenza.


La Colpa della filosofia è di voler evitare l'esistenza con delle spiegazioni; invece di subirla. Non si insegna l'universo, lo si esprime!


L'ora più buia è quella in cui, cercando di dormire, un incubo senza sonno ci assale, e a occhi chiusi vediamo teschi infiniti. Voci oscure sussurrano mai più, mai più...


L'ultimo demone

La terra è morta, nessuna voce nè suono.
Ci sono solo io, eppure sospiro. Quale profondo sospiro.
La terra è morta da ere, nessuna voce, nessun suono. Solo si sente sospirare.


Solo il sentimento di ciò che è irreparabile ci avvicina alla vera essenza delle cose, e ci fa avvertire che non c'è nessun viaggio o percorso o sentiero, ma solo un'inarrestabile precipitare. E l'irreparabile è appunto la vertigine del cadere.


Quel che lasciamo ai posteri è solo la nostra organizzazione del dolore.


Ogni orrore ci avvicina alla morte, ce la fa accettare un po' di più, ci prepara ad essa. Coltiviamo quindi i nostri orrori fino in fondo, così che alla fine basti un soffietto per spegnerci. Per spegnermi.


Capisco veramente a fondo solo chi, all'improvviso, scoppia a piangere senza motivo.



La tristezza

Dalle aule senza Tempo, tessendole, è lei a scrivere tutte le storie racchiuse negli istanti, a lanciare altre albe, ogni cammino, a disegnare le rotte dei soli e delle lune innumerevoli; ridendo di noi accende stelle; ridendo le spegne. Il suo sguardo, gelido, al buio, uccide.


Esiste un momento della sera in cui il cielo sembra volerci dire qualcosa. Non lo dice mai. O forse lo ripete all'infinito e noi non capiamo.
C'è un'ora della sera in cui il cielo suona una musica che noi non udiamo.


Gli anni passano, pietre levigate dalle onde del tempo. Ricordi sbiaditi come vecchie foto. Tutto è già stato fatto, detto, pensato centinaia, migliaia di volte. Ogni parola è logorata, dopo ogni attimo ne precipita sempre un altro, il sole va il sole viene e non illumina mai nulla di nuovo. Tutto scorre, eppure dietro questa banale frase c'è l'abisso, e mi chiedo in quanti ne comprendano effettivamente il significato.
Sulla riva penso a cose lontanissime oltre le stelle; a vecchie cose, e altre, meno lontane, che sembra di toccarle come questo pezzo di legno che ho davanti, gettato via dalle acque.
Mi siedo e aspetto, qui sulla riva del mare. Sulle spiagge deserte del vasto mare.





giovedì 21 maggio 2020

L'ultima notte




Cavaliere nero, corri attraverso la notte
Corri contro la luce, torna a casa.



Piove, sulle anime stanche, piove nella notte, le finestre spalancate per accogliere le gocce perdute, cadute, precipitate nel buio freddo, dalla terra male accolte, esplodendo logore dopo tanto cadere, tanto viaggiare: la luce della finestra si dilaga a illuminare gli incontri bagnati, la fitta serie di lance acuminate.
Lontano vedo un'altra luce di un'altra finestra, esistenze separate. Dalla notte, dalla pioggia, dal vento. A parte ciò che è noto tutto sta in silenzio.
Tutto aspetta. La luce si spegne, ultima stella. Ora sono solo con le anime andate, tristi, bagnate, cadute per sempre. Tutto è ombra che attende.
Chissà se un cavaliere nero sorvola i miei pensieri e poi se ne va via, laggiù, nei golfi della notte, oltre le stelle, oltre le speranze dei mortali, là dove il dolore non arriva, neanche il più vasto, e corre e corre fino all'ultimo vuoto. Ma se lo chiami arriva subito. Entra ed esce dalla porta più oscura, il nulla più profondo. L'orrore nero oltre il mondo.
Il tempo è un cerchio, l'inizio è la fine, dice il saggio. Questo stolto ragionevole. E la fine è l'inizio. E piove, piove, piove... come se fosse la fine. Come fosse un inizio.
E io, accecato dal vuoto, prendo il volo, in un oscuro sogno dentro l'universo e le sue galassie, i mondi, le nebbie tra i soli e grandi nubi fiammeggianti di rosso e viola incastonate di diamanti.
Ah, la notte. E l'Universo, questa cosa che solo il nostro cuore prende sul serio.





martedì 28 aprile 2020

Serenata









La musica è un vasto e oscuro mare senza fondo, a volte calmo, a volte in tormento, che può essere caldo o freddo, ma sempre immenso, e solenne, e bellissimo. Mi è venuto in mente guardando un gatto. Anche lui immerso in quel mondo che non è il nostro, che è quello della musica, e dei sogni.
Lui, il gatto, si ricorda che in un'altra linea temporale, un altro luogo, un altro tempo, lo hai tradito: nello stesso modo la musica ci ricorda che altrove, in un luogo che non c'è, in un passato mai avvenuto, noi eravamo altro da questo. Così, ascoltando, ce ne rammentiamo, solo fintanto che ascoltiamo. L'arcano si ripete. Il segno si ricrea. E il gatto, che intanto ci osserva, sbatte gli occhi, come chi - noi - si è appena svegliato dal sogno.

La musica è finita, il tempo riprende ad avanzare. Quell'attimo di Sacro perduto per sempre.
Danzavi con un angelo e la neve, silenziosa, cadeva nel buio.
Ora te ne stai da solo; come un deserto che non crede più ai miraggi.

giovedì 9 aprile 2020

Il Re della morte





Una volta qualcuno mi disse: tutto ciò che non dura per sempre è inutile. Gli risposi che anch'io la pensavo così, ma che fare, e che altro dire. Ce ne restammo così nel silenzio della nostra finitudine.
E così hai visto tutti i tuoi anni sprecati, pensavamo, e non c'è più luce nei tuoi occhi. Ma in te c'è ancora qualcosa di magico. Che non sai cos'è. Non sai più cos'è.
Ma c'è, deve esserci, altrimenti di che vivere, e come.
Ora che non esco più, che non faccio più niente, vivo di ricordi. E di sogni.
La durata della vita dei possessori di un anello del potere, di un Nazgul, si allunga in maniera innaturale fino a renderli spettri-viventi. Così io mi sento. Lentamente, amaramente, tutto ha perso d'interesse, un tedio oscuro mi ammorba. Le cose, le persone, tutto è il fantasma di un altro mondo. A volte, nei sogni, mi sembra che una parte di me desideri qualcosa, tanto che al risveglio una bellezza dimenticata mi perturba e commuove.
Ma come un sogno di lì a breve svanisce. E restano ceneri presto disperse. A volte, sorge in me una strana euforia, ma è come il ricordo di un'alba lontana, la sua luce nella memoria è ancora lieta, ma non scalda. E poi laghi di silenzio. Rive desolate. E guardo un passato che mi sembra quello del mondo tanto è lontano, e un futuro impossibile, e comunque sia: insopportabile. E a questo punto mi piacerebbe partisse un bel solo di chitarra e dolcemente finisse questa brutta canzone. Lentamente, in dissolvenza...
Chissà se la morte ha un Re, qualcuno a cui deve render conto. Improbabile, ma non impossibile. Se c'è, se questo Re esiste, sta lassù, negli abissi, e se non è come quello di cui parla Pessoa in una sua poesia (Re di una terra che non ha luogo) allora forse potrei farci un patto, sempre che un sì occupato sire mi conceda tempo. Gli chiederei, al Re della morte, di poter prendere il suo posto per un giorno, anche per un'ora soltanto. Non comanderei nulla. Non ucciderei nessuno. Però mi piacerebbe starmene seduto lassù, sul suo trono, al centro dell'infinito, circondato da tutte le stelle e dire, per un momento, uno solo, che io, io, io sono eterno. E durerò per sempre.
Allora per un attimo, come diceva la mia amica, avrei senso. Dopodiché gli renderei il suo nero scettro e me ne tornerei nel nulla, a dare calci a un barattolo in una qualsiasi strada del mondo, e se qualcuno, magari un gatto, mi chiedesse dove vado, gli direi che come lui non vado in nessun posto, e ci lasceremmo così, sommamente indifferenti, lui per istinto, io per stile, ognuno verso il suo vicolo cieco, e dannazione, c'era qualcosa che dovevo ricordare, un che di magico che ormai è andato, come quella luce nei suoi occhi, e il Re della morte ride, ride in eterno.


Scritto e non riletto.

giovedì 2 aprile 2020

L'ultima casa





Alla casa da cui nessuno esce
Alla strada da cui non c'è ritorno

Robert Howard





Qualcuno ha scritto che nessuno muore veramente finché viene ricordato. Un'altra seccatura.



Diventiamo misantropi solo quando, dimenticati da tutti, siamo certi che nessuno verrà più a cercarci. Così dopo ere di solitudine abbiamo ancora la faccia tosta di dire "da oggi non ci sono più per nessuno!".



La vita è un peccato che espiamo con la solitudine. E come dolore cade il
ricordo, fantasma in fondo al cuore.



Non mi accontento di essere nichilista, esigo un Dio con cui litigare. A cui rinfacciare la creazione!
Solo gli atei sbraitano da soli.



La felicità è un dispiacere rimandato. Ma in fondo, cosa non lo è?


Conoscere se stessi significa non poter più amare. Come conservare una qualche illusione sugli altri quando dentro di noi non abbiamo trovato che stagni morti?



Invidiosa della religione, desiderosa di ereditarne gli altari, la scienza ne imita i modi: ora minaccia la fine del mondo.


La vita è la menzogna spudorata di un Dio millantatore. Il vero peccato originale? Non averci detto subito che la sua Luce malata ben si sposava con le nostre tenebre.



Nella loro decadenza i romani affidarono il mondo al cristianesimo, certi che il suo veleno lo avrebbe ucciso. Dopo di noi il deserto, devono essersi detti.
Ma noi, incapaci di trovare una mostruosità all'altezza della nostra fine, sembriamo avviarci verso una perplessità infinita, spettri che solo il Tempo potrà consumare.



La qualità della vita non è data dalla vita stessa ma dalle sue distrazioni. E come personaggi di un libro esistiamo solo se ci si dimentica di leggere.



Comunque se ne parli la morte è un argomento poco credibile, affrontato sempre e solo da viventi com'è.



La chiesa e i suoi pettegolezzi sull'eternità. Che pletora di chiacchieroni.



Parlando di morte ci si riferisce sempre a quella che verrà, e si ignora quando, prima di nascere, lo eravamo da sempre. La morte originale, quella senza inizio.



All'ingresso di molti cimiteri si può trovare questa scritta: eravamo come voi, sarete come noi.
Grazie tante dirà qualcuno, la cosa è risaputa. Senz'altro, ma fa sempre un certo effetto.


La coscienza è paura. Non a caso quando un animale ha paura sembra possedere una coscienza - guardate i suoi occhi!



Meno siamo, più desideriamo. Serve a compensare la mancanza d'essere.



Terre lontane, luoghi dimenticati, paradisi perduti. Così grande è il rimpianto per un passato che non ci appartiene più, che inventiamo luoghi da sogno sperando di raggiungerli nuovamente. Esaurita la Terra sarà allo Spazio che ci rivolgeremo.
Siamo scesi dagli alberi solo per, guardando in alto, volerci tornare.



Il nostro cervello è lo stesso di centomila anni fa. Eppure non facciamo altro che dirci che, prima o poi, saremo migliori, che ce la faremo davvero a cambiare. Ma l'uomo non cambia. Non può.
Smettiamola dunque di ingannarci, di darci il tormento. Noi siamo quel che siamo, ossia nulla, nè bestia, nè creatura. Falliti in tutte le intenzioni, ci resta forse l'orgoglio dell'assurdo. E la vocazione, macabra, al delirio di impotenza.


La perfetta lettera del suicidia: Niente funerale, niente tomba.
Qualsiasi aggiunta sarebbe una vanità. Ma dopotutto, la lettera stessa è vanità.


Che genio Ivan Karamazov. Quando il padre, Fedor, gli chiese "esiste Dio? e la vita eterna esiste?", rispose con un no perentorio. Ma disinvolto.
Incalzandolo, suo padre gli chiese ancora: "ma allora, chi si prende così gioco dell'uomo?".
Dev'essere il Diavolo, rispose Ivan, ridendo. E poi, piangendo, si ubriacò.


Se l'universo non esistesse ci sarebbe comunque il dolore. E ovunque andremo sarà lui a ritrovarci.


E nella casa del Tempo, come polvere, si depositano i ricordi. E gli abitanti, senza luce, non hanno memoria, né porte, ma solo notte. Notte senza fine.




Mirdautas Vras!




mercoledì 4 marzo 2020

Addii





E tutti i miei sogni
mi riportano là dove vedo
il bagliore dei tuoi occhi vivi,
dove leggera tu ti muovi,
in eteree danze, lungo eterni rivi.

Poe





Come spesso accade ho fatto un sogno spiacevole. Ero in strada e, guardando in alto, verso il terrazzo di un enorme caseggiato popolare, salutavo una persona. Agitavo la mano. Lei, lontanissima in cielo, faceva altrettanto.
Un saluto fatto solo di gesti. Quando sentivo di stare per svegliarmi ho pensato "non farò in tempo a dirle niente". Appena sveglio ho detto al buio le parole che stavo per pronunciare nel sonno: "vediamoci nel bosco proibito". Non so cosa voglia dire.
Poi non mi sono riaddormentato. Per alzarmi aspettavo il sole.
Di solito quando me ne sto a letto senza fare nulla provo a uccidermi. Mi ha sempre colpito come nei film riescano ad ammazzare qualcuno schiacciandogli il cuscino in faccia. Ma come fanno? Io non ci riesco. Sarà che il mio è fatto con scarti di vecchie coperte e forse per questo non è mortale, ma scommetto che anche con uno normale non ce la farei. Me lo schiaccio fortissimo in faccia e mi viene da ridere. Ma come, riesco ancora a respirare?
Però si sta bene in questo buio stretto tra la faccia e il cuscino, mi sembra di ridere affacciato sull'orlo estremo dell'universo. Tutte le stelle alle spalle. È un po' come quel pezzo dei motorhead, com'è che faceva... "tutto l'amore di tutto il mondo non è abbastanza per salvare la mia anima stanotte", ecco, qualcosa del genere. Comodo, sì, comodo, potrei quasi riaddormentarmi...
Ora sono in mezzo a una gran folla come in quel racconto di Poe, L'uomo della folla, dove un tizio segue un vecchio lungo le vie di Londra, ma in questo sogno vanno tutti in una direzione e io in un'altra. Io e un'altra figura nera, quella che sto seguendo. Penso che non la raggiungerò mai, è sempre più lontana, a malapena la intravedo. Penso che anche stavolta non farò in tempo a dirle niente. Poi mi fermo davanti a una vetrina opaca dalla quale viene una luce viola. Dietro c'è una sagoma tetra, immobile. Ho paura e ne sono contento. Voglio averne ancora di più, cerco la porta ed entro. Entrando mi sveglio.
E rieccomi qui a sniffare acari con la faccia sul cuscino. Mezza faccia. Con l'occhio affacciato in questo universo vedo la luce dell'alba. L'altro scruta ancora l'abisso. Chissà chi stavo seguendo nel sogno, l'ho già dimenticato. Del resto non importa tanto sto già dormendo.
Una casa che conosco, un pozzo in una stanza. C'è qualcuno in cima alle scale, immobile, in ombra, non scende. Ora sono in una spiaggia. La luce è fortissima, sembra illuminata da più soli. Dall'altra parte di una foce sta seduta quella che sembra una giovane ragazza. È il finale de La dolce vita.
Lei guarda il mare, io guardo lei. Lentamente, molto lentamente, si gira verso di me. I nostri sguardi si incontrano. Ci salutiamo con un cenno della mano. Poi la luce diminuisce, i soli si attenuano. Vedo solo un'ombra che agita la mano come me. Mi sembra di guardare in uno specchio che si spegne. Mi sveglio e fisso il muro. Non mi è riuscito neanche di dire addio.
Non ho nessuna voglia di alzarmi ma mi alzo.
Nel mondo antico il sonno dei giusti non subiva sogni, era il premio degli Dei. E io, anche se giusto non sono, non voglio sognare mai più. Me ne starò, da solo, a occhi ben aperti nel buio. Piaccia agli Dei oppure no.


domenica 12 gennaio 2020

Polvere




Il nostro universo è una evoluzione della Polvere. A cui sono allergico.

Prima di arrabbiarvi, ricordate che siamo qui per renderci infelici l'un l'altro. E che provare a evitarlo mina la base stessa del vivere insieme.



Gli unici rapporti duraturi, sono quelli governati dalle buone maniere, mantenendo una certa distanza. La società perfetta è quella che rende tutto artificioso  così l'uomo non deve mai essere se stesso ma la finzione a lui più convenevole.
Società basata, insomma, sul NON fare o sul dissimulare.
Altro lascito dei preti.


Giornate sempre più buie ci cingono ai lati. E nevica forte e morde il freddo. E anche i lupi piangono al vento, ululano al cielo.
Sentendoli non possiamo fare altro che chiederci come abbiamo potuto comprometterci con le parole -  questi suoni vuoti - quando tutto ciò di cui avremmo bisogno è un ululato osceno.


Finiamo per odiare ogni nostra creazione. È proprio vero che Dio ci ha fatti a sua immagine.


Prendevo un caffè con una mia amica e non potevo distogliere i miei occhi dai suoi. Dicevo a me stesso: nel suo sguardo c'è l'inferno.
Poi mi ha detto qualcosa è ho capito che lei fa solo parte del mio inferno.


La via lattea si spinge sfrontata contro il nero, le galassie sfidano la pericolosa mancanza di senso dell'universo per vorticarvi dentro.
Che curiosi fenomeni stellari siamo noi, sospesi tra la noia e l'orgasmo, con l'unica certezza che entrambe non servano a niente se non a intrattenerci verso una depravazione da fine impero.



A cosa serve shakespeare? ormai è il buon senso a governarci.
Prova tangibile che possiamo tranquillamente sparire.


Raccoglierò ogni colore per donarlo a lei; e allo stesso modo ruberò alle montagne la loro altezza, alle strade il loro senso e ai boschi la loro fioritura: per lei.
Lei che non c'è. Infinito dare al nulla.


La donna ci delude sempre: perché lei crea la vita mentre noi vogliamo soltanto sognarla.



Certe persone prendono la vita troppo sul serio: giungono a progettarla!


Terrificante il Lei, riesco a usarlo per non più di due minuti, poi mi sento ridicolo. Tuttavia se mi mettessi a dare del Voi, unica allocuzione che ritengo rispettosa, sembrerei un pazzo.
Arrendersi banalmente alla monarchia del Tu? questo mai.
A quanto pare l'unica soluzione è non conoscere più nessuno.


La pornografia è l'unica branca retribuita del nichilismo.


Ormai nella folla si fatica a distinguere un uomo tetro da un assonnato.


Quando di uno sciocco non si sa bene cosa dire, si dice che è buono. Eccolo qui il lascito del cristianesimo.


Quando una religione si lascia smentire dalla realtà dovrebbe avere il buon gusto di dileguarsi. Si è mai vista una sfacciataggine come quella dei cristiani? Da cinquecento anni non fanno che dar ragione agli altri: eppure eccoli ancora qui. Dei testardi senza orgoglio.


Il nichilista non crede più neanche al suo non credere.


Spesso sogno cose perdute, persone scivolate via nel tempo. Spesso prima di aprire gli occhi non credo di trovarmi nel mio letto, ma in un altro, tanto che al risveglio sono sorpreso. Così, spesso, al rompersi del sonno è come se quelle cose si perdessero di nuovo; e quelle persone nuovamente si dissolvessero nel tempo: e il mattino può finalmente esplodermi davanti come un incubo a lungo preparato.



"Deve pur servire a qualcosa questo dolore", pensava un uomo diecimila anni fa. A cosa è servito?


Se è vero che la bellezza salverà il mondo, bisogna pur dire che solo un Mostro può capirlo.



Si ha bisogno di sbagliare per poter sopportare gli sbagli che fanno gli altri.