mercoledì 16 dicembre 2015

Il divano



A volte dormo su un piccolo divano. Così, perché non posso permettermi di meglio. No, che avete capito, un letto ce l'ho, sono le droghe che non posso comprare. E il divano, il piccolo divano, è un buon sostitutivo.
Non è mai vero sonno, diciamo piuttosto una parvenza, leggero, quasi a occhi aperti. L'impossibilità di allungare le gambe, di girarsi a piacimento, crea una buona incubatrice per allucinazioni d'ogni tipo. La più comune è quella dove si ha la sensazione di non potersi muovere né respirare, il che avviene generalmente in modo cosciente, avvertendo cioè la propria condizione come se si fosse svegli. Dura un po', poi con uno sforzo si riesce a vincere la propria pietrificazione, la si spezza per ritrovarsi poco più in là, ancora parzialmente immobilizzati; qui si sente ogni sorta di stramberia, voci lontane, urla da profondità non ben definite - e ti puoi trovare ad attaccar rissa con un cinese di due metri o ad osservare in una metropolitana delle vecchie islamiche che entrano in galleria per non si sa dove; insomma, tutto è, prima ancora che incubo, opprimente, intrappolato. Dopotutto è il corpo stesso a non potersi muovere. Le esperienze si risolvono in breve, nessuna di esse dura il tempo di svilupparsi, e a un certo punto, non saprei spiegare come, entrano dei ragazzini in stanza e fanno un gran casino. Sì, vorrei scacciarli, vorrei ma non posso. Sono di nuovo bloccato e non mi riesce manco di respirare, e questa volta, beh...prima ne avevo paura, ma ormai sono sicuro: sto morendo. Il cuore si fermerà, mi troveranno qui, tutto irrigidito, duro come un marmo. Provo a scuotermi ma è impossibile, allora cosa fare?
Quand'è così, tanto vale raccontarsi qualcosa. Allora mi parlo mentalmente e chissà che non lo faccia a voce alta. Mi racconto quello che sta succedendo, me lo ripeto, così da poterlo poi trascrivere, farci un racconto, ma quel che mi dico non è quanto sta accadendo ma tutt'altro. In quello che dico ci sono due soldati condannati a morte per tradimento che cercano di salvarsi, nevica e fa un freddo cane, uno dice che non era pronto a morire per la causa, l'altro prova a dire qualcosa ma ha troppa paura per ragionare, d'un tratto prova a divincolarsi, vuole fuggire via. Che spettacolo mostruoso, e ora anch'io ho freddo, ma sono nel bagno di mia nonna, sporco e illuminato al neon, e mi lavo i denti che cadono uno ad uno e appena mi sono in mano diventano pezzi di cardo bollito, e così come se ne vanno si infilano nello scarico. Nonostante tutto ricrescono a velocità sorprendente e me ne compiaccio.
D'un tratto sono sveglio. Sono le cinque e trenta del mattino. Mi serve del bicarbonato, non dovevo mangiare quelle lenticchie prima di coricarmi in questo maledetto divano.
Rutto sonoramente e mi pare d'essermi tolto un peso. Ora va meglio, leggo qualcosa e posso riaddormentarmi. Roba di poco che già spengo e rieccomi a pensare a cose assurde, forse sto già sognando. C'è una donna provocante che mi si para davanti, non distinguo il suo viso, dapprima è sfocato, poi indossa una maschera che non somiglia a niente. Non so cosa fare, intanto qualcuno cammina con grossi tacchi nella sala accanto, sbraita qualcosa e si lamenta che nulla funziona. Nessuno, nessuno mi aiuta, dice.
Vedo in giro gente che non incontro da anni, chissà se questi incontri valgono o, se quando mi sarò svegliato, saranno comunque anni che non li vedo. Chissà, ad ogni modo non parlo con nessuno, ed ecco che ancora mi sento immobilizzato, spalanco la bocca per respirare e urlare in un sol spasmo: non succede nulla. Non si muove niente.
La realtà precipita ed esplode e finalmente mi sveglio. Sono storto, ammucchiato, sudaticcio e mi sembra anche di puzzare. Vedo che fuori c'è luce e allora basta, mi alzo e finalmente vado a letto.
Oh sì, ora posso distendere il mio corpo, piano piano mi spengo, scivolo nelle ombre.
E sogno ancora di essere paralizzato, soffoco, una ragazza che conoscevo mi vede, ride, e mi lascia in preda all'orrore. Mentre se ne va sbatte i tacchi.