mercoledì 4 marzo 2020

Addii





E tutti i miei sogni
mi riportano là dove vedo
il bagliore dei tuoi occhi vivi,
dove leggera tu ti muovi,
in eteree danze, lungo eterni rivi.

Poe





Come spesso accade ho fatto un sogno spiacevole. Ero in strada e, guardando in alto, verso il terrazzo di un enorme caseggiato popolare, salutavo una persona. Agitavo la mano. Lei, lontanissima in cielo, faceva altrettanto.
Un saluto fatto solo di gesti. Quando sentivo di stare per svegliarmi ho pensato "non farò in tempo a dirle niente". Appena sveglio ho detto al buio le parole che stavo per pronunciare nel sonno: "vediamoci nel bosco proibito". Non so cosa voglia dire.
Poi non mi sono riaddormentato. Per alzarmi aspettavo il sole.
Di solito quando me ne sto a letto senza fare nulla provo a uccidermi. Mi ha sempre colpito come nei film riescano ad ammazzare qualcuno schiacciandogli il cuscino in faccia. Ma come fanno? Io non ci riesco. Sarà che il mio è fatto con scarti di vecchie coperte e forse per questo non è mortale, ma scommetto che anche con uno normale non ce la farei. Me lo schiaccio fortissimo in faccia e mi viene da ridere. Ma come, riesco ancora a respirare?
Però si sta bene in questo buio stretto tra la faccia e il cuscino, mi sembra di ridere affacciato sull'orlo estremo dell'universo. Tutte le stelle alle spalle. È un po' come quel pezzo dei motorhead, com'è che faceva... "tutto l'amore di tutto il mondo non è abbastanza per salvare la mia anima stanotte", ecco, qualcosa del genere. Comodo, sì, comodo, potrei quasi riaddormentarmi...
Ora sono in mezzo a una gran folla come in quel racconto di Poe, L'uomo della folla, dove un tizio segue un vecchio lungo le vie di Londra, ma in questo sogno vanno tutti in una direzione e io in un'altra. Io e un'altra figura nera, quella che sto seguendo. Penso che non la raggiungerò mai, è sempre più lontana, a malapena la intravedo. Penso che anche stavolta non farò in tempo a dirle niente. Poi mi fermo davanti a una vetrina opaca dalla quale viene una luce viola. Dietro c'è una sagoma tetra, immobile. Ho paura e ne sono contento. Voglio averne ancora di più, cerco la porta ed entro. Entrando mi sveglio.
E rieccomi qui a sniffare acari con la faccia sul cuscino. Mezza faccia. Con l'occhio affacciato in questo universo vedo la luce dell'alba. L'altro scruta ancora l'abisso. Chissà chi stavo seguendo nel sogno, l'ho già dimenticato. Del resto non importa tanto sto già dormendo.
Una casa che conosco, un pozzo in una stanza. C'è qualcuno in cima alle scale, immobile, in ombra, non scende. Ora sono in una spiaggia. La luce è fortissima, sembra illuminata da più soli. Dall'altra parte di una foce sta seduta quella che sembra una giovane ragazza. È il finale de La dolce vita.
Lei guarda il mare, io guardo lei. Lentamente, molto lentamente, si gira verso di me. I nostri sguardi si incontrano. Ci salutiamo con un cenno della mano. Poi la luce diminuisce, i soli si attenuano. Vedo solo un'ombra che agita la mano come me. Mi sembra di guardare in uno specchio che si spegne. Mi sveglio e fisso il muro. Non mi è riuscito neanche di dire addio.
Non ho nessuna voglia di alzarmi ma mi alzo.
Nel mondo antico il sonno dei giusti non subiva sogni, era il premio degli Dei. E io, anche se giusto non sono, non voglio sognare mai più. Me ne starò, da solo, a occhi ben aperti nel buio. Piaccia agli Dei oppure no.