venerdì 29 dicembre 2017

Tra sonno e veglia

La mia scrivania


Intro

Ci sto lavorando da anni. A cosa? a un pensiero. O meglio, a una frase. Qualcosa che riassuma in poche parole ciò che penso della vita e del mondo. Quando finalmente l'avrò formulata, soltanto pronunciandola alla gente sanguineranno gli occhi, le donne abortiranno con vistose scie di fuoco e tutti i monumenti si polverizzeranno all'istante. I bambini diverranno muti e anemici, i maschi impotenti e flaccidi e le donne si spoglieranno e correranno finalmente nude per le strade. Gli sportivi ingrasseranno e i pigri impazziranno definitivamente, e tutti proveranno il terrore di cadere nel sonno all'infinito senza mai svegliarsi.
La vertigine dell'abisso ci attirerà come un tondo seno dorato, e scivolando nel nulla malediremo quanto visto e fatto e tutto ciò in cui si era creduto.
Un alone negromantico inghiottirà la terra e in qualche discarica dell'essere vomiteremo i nostri travagli rossi e neri di sangue.
Ma l'aforisma maledetto tarda a emergere dal baratro, e per questo tempo privo di catastrofi mi sento responsabile.
Proverò a scrivere qualche frase, ma quant'è difficile, a parole, polverizzare l'universo!



Sogno

Quel momento in cui, dopo un sogno o un incubo, impieghiamo qualche secondo, appena svegli, a tornare nella realtà, ancora mezzo intrappolati nel sonno, lo provo sempre più spesso, da sveglio, osservando il mondo. E me stesso, nel mondo.


In uno spazio abitabile ad affascinarmi maggiormente è quel che non vedo. Pareti soffitti e pavimenti, illuminati omogeneamente, mi annoiano senza lasciare intatto il minimo mistero: solo la grotta riesce ad animarmi. Vaga, finita eppure apparentemente senza fine, le sue profondità talvolta sono le mie; dicasi altrettanto per il suo buio interiore.
E se mai l'abisso avesse un odore, sarebbe quello umido delle caverne, l'odore della nebbia, e del sogno.


La religione, questo dramma protratto fino alla fine del mondo. Questo sogno in bianco e nero senza attori.


Tutto è permesso in amore e in guerra. Ma mi chiedo: esiste qualcosa che non sia Amore, o che non sia Guerra? L'amore non è una continua guerra, e la guerra non si fa anche per amore?
Le parole, queste miserie fatte di lettere, non smetteranno mai di stupirmi. Non sono niente, eppure riusciamo a tirarne fuori...l'infinito.


In ogni vizio c'è un po' di voglia di morire. Sarà vera questa affermazione? Vuol dire che anche mentre sto mangiando un panino piccante, guardando che so, un culo, sto desiderando di morire? E se poi per qualche assurdo caso riesco a metterci una mano su quel sedere, una mano viziosa, anche lì sto cercando di morire?
Inutile dibattere ancora sull'argomento, o scopriremo che tutto ciò che facciamo è volto alla morte, che del resto prima o poi arriva, come i vizi.


"Grazie, ho trascorso una serata veramente meravigliosa. Ma non è questa."
Famosa battuta di Groucho, ma che dovrebbe avere la vita come soggetto. Così: grazie, ho trascorso veramente una bella vita. Ma non era questa.
E poi, un oceano di applausi, mentre nero cala il sipario.


E come fiorai davanti a un cimitero i grandi poeti campano sul dolore degli altri. Tenendosi stretto il loro.
Poi, in una grande onda, la notte si riprenderà il giorno.


Orrore

Il futuro è un film dell'orrore dove la gente sbadiglia.


Leggere un brutto libro è peggio di non leggere affatto. Non ricordo tutti i libri che ho letto, ma di quelli brutti, che per fortuna sono pochi, ricordo tutto. Allo stesso modo in cui i sogni nella mia mente spariscono al mattino o poco dopo, mentre ogni incubo è indelebile nella memoria.


Da oggi ho un gatto in più, il terzo, si chiama Mortino.
Non sta con gli altri due, non entra neanche in casa. In realtà non si muove mai dalla strada qui sotto, sdraiato nella curva tra l'erba alta.
Però non è solo, anzi è pieno di amici. Gli orbitano attorno le mosche come a un lugubre pianeta, e lo scavano larve tremanti, pazze di giovinezza.
Anch'io ogni tanto vado a trovarlo, ma si circonda di effluvi nauseabondi: così non mi trattengo mai molto, giusto il tempo di salutarci.
Cibo non ne vuole, e credo non gli serva neanche il veterinario, sebbene sia un po' preoccupato per i suoi silenzi.
Il suo manto è grigio cenere, ma sole e pioggia lo stravolgono come il cielo un temporale.
È ancora piccolo Mortino, ha neanche tre mesi, ma non penso crescerà ancora. Almeno non in altezza: tuttavia si gonfia, e l'ultima volta che l'ho visto sembrava essersi allargato sul terreno.
Ora dorme sulla curva con le creature della notte. Non vedo l'ora di rivederlo domani, prima che piova forte e l'acqua furiosa lo culli via.


Stasera ho accompagnato il custode del cimitero a chiudere i cancelli, e vedere le tombe - ognuna col suo piccolo tramonto davanti, in lunghi viali di costellazioni morenti - mi ha ricordato che non c'è nulla di più bello del cimitero di notte, sacro di stelline piangenti.


C'è un qualche uccello notturno che lancia il suo verso qui dietro, tra la notte e il bosco. Un tempo lo avrei coperto con della musica, ma negli ultimi mesi per la notte ho scelto il silenzio; così nei primi dieci minuti era solo un verso, ma è ormai già da un'ora che sono sicuro mi stia parlando. Egli dice: "apri la porta e vieni qui, vieni a vedere cosa c'è di notte nel bosco, vieni a vederlo e poi muori."
Da pochi minuti se n'è aggiunto un altro, più stridulo e lontano. Questo mi parla al di là della notte e del bosco, come un'avanguardia del mattino, e mi dice: "non c'è nessuna notte e nessun bosco."
A breve so che arriverà il terzo e lì smetterò di aggiornare questo diario per seguirlo nel sonno, lui uccello di sogno, dove senza menzogne sarò io a cantare i miei versi, e muti ascolteranno gli abitanti della notte, e del bosco.


Tutti dovremmo avere un amico morto nell'infanzia o più d'uno. Alle scuole primarie dovrebbero fucilare un bambino in ogni classe. Perché? per inculcare angoscia e rimpianto nella mente dei sopravvissuti. Il sentiero oscuro va intrapreso sin dall'inizio.
Dopotutto cos'altro abbiamo da insegnare alle nuove generazioni se non orrori che possano superare i nostri?
Solo con disperazioni sempre maggiori ci libereremo dalla superstizione del perpetuarci.
Ecco un esempio di corretta pedagogia: la nascita? un suicidio della... Morte.


Sentire che ci si sta affezionando a una persona e continuare a frequentarla: questo sì che è un atto di coraggio! Sappiamo benissimo che non otterremo altro se non il cadere da un po' più in alto, e tuttavia andiamo avanti. Mi chiedo quanto ciò confini con la stupidità o il puro masochismo.
Iniziare una relazione non è altro che decidere liberamente di andare a vivere sul ciglio di un abisso: il precipizio è a pochi centimetri, ma non possiamo vederlo.


Una delle cose più orribili importate dagli stati uniti nel dopoguerra - paese da cui abbiamo saputo prendere solo il peggio - è senz'altro la fobia del vecchio, ossia quella forma di demenza percettiva che porta a considerare come inutile o detestabile qualsiasi cosa non sia nuova o alla moda.
Questo vale per tutto, dal frigorifero all'arte, tanto che sono in molti a pensare al contemporaneo, ossia a ciò che viene pensato, scritto, costruito e messo in opera ora, nel periodo presente, come all'apogeo dell'umanità, come se l'umanità stessa fosse un'onda che coi secoli si ingrossa e il suo obiettivo, sommergere il cielo, fosse sempre più immediato.
Il fatto che poi, negli ultimi anni, vi sia stata una riscoperta di ciò che era sommerso, uno slancio a sondare l'oceano del passato, a rivalutarlo e comprenderlo, è certo dovuto all'intuizione, per pochi, e alla nausea per tutti gli altri, poiché l'onda sembra essersi arrestata, la sua schiuma invece di fiorire bianca si sparge al vento, e tutto ciò che viene pensato, scritto, costruito e messo in opera appare stanco e malato, nauseabondo e superficiale, come la civiltà morente che lo ospita.
E allora dallo sguardo che vede lontano di alcuni sapremo tornare indietro in quel camino curvo che è la storia, per riscoprire ciò che è andato perduto in questa folle rotta verso il niente.


Il cristianesimo: suicidio dell'Europa. Questa stanca giaculatoria d'intenzioni, di utopie; questo nascondersi nel buio pregando di raggiungere il giorno: questa rivelazione mai detta, questo canto stonato di verità sospette. Questo ebraismo rivisto, ebraismo impoverito. Emendamento giudaico. Distruttore di storia e di ragioni. Che l'uomo lo maledica e lo distrugga.
E si liberi. Per me poi fa lo stesso.


Dopo un po' che si scrive, non si riesce più a parlare. Quello che diciamo ci pare rozzo, non all'altezza dei nostri pensieri. Vorremmo allora fermare l'universo per scrivere attentamente i nostri ragionamenti nell'aria.
Ma l'universo non si ferma, e nessuno dopotutto avrebbe voglia di ascoltarli.


In qualsiasi modo si guardi al proprio passato esso risulta sempre più affascinante nel momento in cui vi si introduce un elemento di orrore, qualcosa di nascosto che solo ora ci accorgiamo esserci stato. Come se la paura e l'ignoto fossero l'unica cosa in grado di ravvivare la banalità dell'esistenza. Cosa che a maggior ragione vale anche per il futuro, in forma di quella cosa terribile che ci aspetta dietro l'angolo.


Ti alzi e sei più stracciato di quella copertina che usi per dormire, ed è lì da sei mesi, e ce ne resterà altri sei o finché non sarà troppo caldo e dovrai buttarla in un angolo della stanza; e alzandoti non capisci se fa freddo, se fa caldo, se hai fame, e accendi la tv che a quest'ora  c'è sempre qualcosa di interessante... Stalin.
Sempre piaciuto anche Stalin. Era uno che se ne fregava di tutto, una persona pragmatica, spietata. Conosco quasi tutto quello che dicono ma il programma è ben curato e fanno dei commenti interessanti. Intanto cucino un pezzo di carne.
Puzza, o è la cucina che puzza. Dovrei proprio darci una pulita, e darmi una risistemata anche io. Intanto Stalin fa un discorso sulla piazza rossa. Non era capace di tenere lunghe orazioni, la Wehrmacht era alle porte di Mosca e lui... non alza neanche la voce! parla piano, non assume alcuna espressione facciale, è lento nei gesti, troppo lontano dalla folla, non scalda i cuori, non coinvolge, non fa sperare, non crea sogni, non illude, non agita la turba, non allarga le coscienze. Sembra sia lì per caso. Difatti integrerà con altri mezzi questa sua incapacità oratoria, i soliti mezzi di sempre. Richiami patriotici, madonne, nazionalismo. Alla fine è sempre una questione pubblicitaria, di sapersi ben vendere, e vendere il tuo prodotto. La gente è disposta a credere in tutto.
Però la carne, alla fine, non era male, è questa cucina che.. un disastro. E quella coperta... sembra un gatto morto sul ciglio della strada. Sembrano i baffoni di Stalin.
Dicono che al mattino si rinasce, si torna a vivere. A me sembra di morire un po' ogni volta che apro gli occhi, ma come sempre è una questione di punti di vista. Il mio per ora è piuttosto annebbiato, e non sono neanche convinto di me, come Stalin mi sono svegliato e credevo di essere qui per caso.
Ma almeno, per fortuna, piove.


È un tumulo gonfio di spettri il mio cuore.


Dietro tutto ciò che faccio o penso io sento, come un'ombra glaciale e irrisoria, la presenza dell'inutile, del "Tanto è uguale".
Così su tutte le cose e sulla vita cala il sudario del "Niente ha senso".
Eppure, per lussuria mentale o stoica inerzia, ancora faccio e penso e sento, e continuo a giocare e a desiderare, appagato dall'empio piacere di coltivarmi in assenza di scopo.
Perché? per dispetto!
Come un fantasma tra le tombe continuo a esistere solo per divagare.


Ho deciso che se vado sempre dritto nello spazio, a una velocità di sei o settemila anni luce al secondo - contando sul fatto che l'universo è sferico -, senza deviare minimamente dalla mia rotta dovrei essere di nuovo qui tra un paio di secoli, proprio nello stesso punto.
Certo le radiazioni universali e la stessa luce, impattate a quella velocità, sono un problema. Bisogna che prima trovi il modo di schermarmi. Inoltre non avrei riferimenti visivi, dato che sempre per via della velocità la luce delle stelle non potrebbe raggiungermi, lasciandomi al buio più tetro.
Se invece, ahimè, come alcuni pazzi sostengono, l'universo è infinito, vorrà dire che andrò sempre avanti fino a perdermi nel nulla, che è pur sempre una prospettiva migliore del qui e adesso.


Appena vivo un momento di felicità, ne approfitto per infliggermi qualcosa di brutto. Non è per masochismo che lo faccio, ma perché è solo da felice che riesco a sopportare certe cose che altrimenti non reggerei.
Quindi non è raro che, mentre bacio una ragazza, io pensi al momento in cui l'avrò perduta.
Se solo potessi, perdendola, pensare alla prossima che bacerò, avrei raggiunto un buon traguardo. Ma se la mente fosse così facile da ingannare saremmo tutti beati. La mente, questa monarchia infinita di ossessioni.


Perché fondamentalmente si continua a coltivare un orrido gusto per l'incompreso, per i confini sbiaditi, per i barlumi dell'ignoto e le loro scie vertiginose. Perché, in sostanza, ci piace non capire: ma capendo che non capiamo; una consapevole ignoranza dei fatti in cui cullarsi lontano da tutto. Infine, io penso, proprio per questo ci piace l'orrore, che non capiamo mai a fondo, e perciò ci cattura coi suoi tentacoli misteriosi.
Per questo leggiamo di cose innominabili o di fantastiche avventure: per seguitare a non capirci, che è l'unico modo che abbiamo di accettarci.


Che belle giornate, oppresse da un sudario di stanchezza, con un cielo di ghiacciata indifferenza e le ombre lunghe fin dal mezzogiorno.
Dove l'orrore dell'estate con i suoi soli intramontabili è appena alle spalle ma non brucia più, ed il suo ritorno abbastanza lontano da illudersi non torni mai.


Veglia...

A volte mi sento davvero triste, come se nessuno al mondo potesse capirmi.
A volte mi sento davvero triste, e se qualcuno mi capisse sarei ancora più triste.


Nelle prime notti dell'uomo, quando la notte era orrore e ogni rumore un assassino, il fuoco era il nostro Dio fatto di luce, figlio minore di quel sole che al mattino sarebbe tornato a mostrarci il mondo, scacciando l'ignoto dai sensi.
Per scacciare i miei orrori ho bisogno di un vasto mattino, e un'Asia splendente ridesterà i miei sensi.


Tristezza senza lacrime, nostalgia priva di soggetto, la malinconia è il mio elemento naturale. Potente alleato essa è, ma inutile. Qualcuno ha mai tratto giovamento dal saper guardare con aria cupa e sognante... un sorcio?
Col mondo è lo stesso.

Se non posso frantumare l'universo vorrei almeno sputarlo via. E con un energico rombo in gola tirare su tutte le galassie e scatarrarle lontano! Lontano, sì, ma comunque ancora davanti a me, di modo che non mi resterebbe altro che guardarlo. A un'eterna proiezione del cosmo, nel cinema vuoto dove mi sono rifugiato, preferiei a questo punto... vivere. Ma sarà meglio dirlo con prudenza.

E così l'universo è ancora intatto.




martedì 19 dicembre 2017

All'ombra della croce


È alla croce che ci si raccomanda prima di un massacro.
In verità essa stessa è un massacro senza eguali.


Introduzione

Passeggiavo pensieroso in riva al mare quando ho visto una stella affacciarsi tra due nuvole, col pensiero l'ho salutata. Ma è solo gas che brucia. Rincasando ho sentito un tuono che ruggiva allontanandosi e credevo fosse un drago possente giunto a reclamare la terra. Ma era solo un rumore del vento.
Vivere senza religione è come vivere senza poesia, si può, ma tutto ne risente. La religione che abbiamo ereditato dai nostri padri ci pesa come un'incomprensione o un fardello che sentiamo distante, eppure avvertiamo che solo essa ci separa dal più nero ateismo. In attesa di altre rinascite spirituali, in queste notti lunghe e fredde, guardo alla croce come un naufrago guarda al mare: causa del suo disastro, eppure unica via per fuggire da quell'isola inospitale che è la verità, e la vita.

Pietà

Sempre più la Chiesa dà l'impressione di voler e poter solo sopravvivere a se stessa. Immagino questi strani uomini che vivono in vaticano con un unico pensiero in testa: barcamenarsi nei secoli. Che sia la permanenza nell'arte, in un'incisione nel marmo o su una gialla pergamena, quella è l'unica vita oltre la morte in cui sperano ancora.
Svuotato di ogni forza, stiracchiato su duemila anni di rinunce, il cristianesimo scricchiola, non ha più neanche la forza di raccontarsi. Lontano dal silenzio dei monasteri, è nella chiacchiera che trova nuove energie, ultima risorsa per godere di credito presso i disperati.
Teologia blaterata quella di questo terzo millenio, priva di ogni lapillo spirituale. Da dottrina immiserita, tradotta in buonismo per le masse, la croce può sostentare se stessa per qualche altro decennio, a patto di mettersi in ridicolo una volta per tutte davanti agli atei, che finalmente potranno guardare con pietà verso di essa.
Ma non era proprio la pietà che cercava?


Musica sacra

La musica sacra cristiana, apogeo della cultura musicale europea, eleva le lacrime al paradiso, sciogliendo nel pianto delle sue note l'anima umana. Essa soltanto bastava a legittimare Dio e la sua chiesa.
Non è un caso che sia andata pressoché dimenticata. Oggi orde di chitarristi infestano i luoghi di culto, banalizzando l'interiorità con canzoncine in rima, mentre una platea sempre più sbigottita batte le mani al ritmo della propria incredulità. Eppure basterebbe un organo a far resuscitare Dio. Un adagio di Bach potrebbe rinvigorirlo per altri due millenni.


Regno dei morti

Il cristianesimo non si è compiuto, le sue promesse sono rimaste irrealizzate nei cimiteri. Non un solo cadavere ha mai percorso mezzo passo verso il cielo.
Invece di prenderne atto e sparire nel vortice delle religioni passate, ha fatto del proprio fallimento un punto di forza, delle proprie testardaggini una medaglia al torpore.
Svanendo, avrà oltrepassato di almeno mille anni la sua durata nelle intenzioni. Eppure chi, dopo la sua dipartita, avrà ancora il coraggio di predicare il bene fra gli uomini?
Con lui sparirà anche l'ultima aspirazione a un cielo migliore, che per quanto inadatta alla nostra specie restava l'unica in grado di sostenerci.


Valle di lacrime

Per duemila anni il golgota ci ha negato la Luce.
Un'eclissi dove a coprire il sole era la Croce.


L'inganno

Avete mai visto due sposi uscire ridendo da una chiesa? come conciliare una tale felicità di abiti e sorrisi sotto la croce? Come chiedere legittimazione per le proprie gioie a quel volto scavato dal sangue?
Da quando ci siamo resi conto che era impossibile, lo abbiamo dissociato. Non giunge più alle nostre orecchie quel suo disperato lamento, in un processo transgenerazionale abbiamo elaborato il lutto della sua dipartita senza possibilità di ulteriori commozioni.
Gli sposi ridono di lui, della sua inattualità. Ridono di indifferenza.


Cimitero infinito

Definire la cristianità? un cimitero senza confini. Che poi sia scaduta nella banalità del buono lo si deve alle costrizioni dei tempi. La sua intenzione era di fondare necropoli e dominare cadaveri.
Nascendo nel dolore, è nel dolore stesso che trova il suo compimento: osservate i cristiani, essi volgono al pianto. E rinnovano il proprio dolore davanti alle tombe dei loro morti.
Nessuna reale vocazione di allegrezza, la religione del Dio Morto prospera nella disperazione.
Il suo spazio ideale? il peggio, e le urla dei dannati.


Inappetenza

La decadenza di una religione non si vede dalla sua gerarchia, che è l'ultima a mostrarne i segni, ma dalla base dei più umili fedeli. Quand'ero ragazzino, prima di cresimarmi, mia nonna invitò il prete a pranzo. Le sue preoccupazioni vertavano solo sulla cottura della pasta e del pollo, quelle del prete sul mangiarne in abbondanza.
Nessuno si curava dell'anima mia, né di come stessi. Seppi così che non vi era nessuna anima in me, a malapena intravedendo le conseguenze di una tale consapevolezza.
Oltre alla fede persi anche l'appetito.


Il pianto

Ci è dato solo di piangere. L'unica nostra creazione sono le lacrime, tutte le nostre arti e i nostri slanci risiedono nel pianto. Non a caso si può piangere per qualsiasi cosa, di gioia come di dolore. Di amore come di noia. Linguaggio universale, tutto è traducibile in pianto.
Ed è solo piangendo che riusciamo a dire tutto.


Paradisi decomposti

Noi tutti possiamo ricordare la prima volta che abbiamo pensato a dio e, se c'è stata, quell'unica volta in cui, con lui, abbiamo chiuso per sempre.
Che immagini meravigliose creano i bambini, io avevo immaginato con la mente un paradiso colorato di tinte che andavano dal blu al celeste, dove anime fluttuanti godevano la propria eternità vicino all'Altissimo.
Che spettacolo! anche se un po' triste a dire il vero. Chiesi a qualcuno se le anime in un tempo così lungo a non far niente si sarebbero annoiate - più tardi arrivai a pensare che sarebbero certo impazzite -, e mi fu detto che vicino a dio non ci si può annoiare.
Per qualche anno l'immagine restò la stessa. Poi una domenica, in chiesa, sfinito da una lettura interminabile, la feci finita con dio e i suoi servi, stabilendo una volta per tutte che una tale quantità di parole così inadatte a me e a tutti i presenti non potevano significare niente.
Allora l'immagine non cambiò: svanì del tutto. Dio e quel paradiso celeste era come se non ci fossero mai stati. Ma non ebbi a soffrirne, e facendo un patto con me stesso rimandai la questione a un'età più adulta, ossia quando avrei avuto il tempo, e la predisposizione, per pensarci.
Ora cos'è rimasto di quella visione? c'è ancora, ma è rossa, Dio è un gigantesco altare vuoto e le anime, annegate nel tedio, vagando si dissolvono: non c'è più nessuno in quel mondo al di là di questo, non c'è mai stato. Eppure anche se non posso sentirla so che vi aleggia una certa puzza di decomposizione.


Dio

Dio, quest'atarassia senza benessere.
Dio, morfina dei nostri inganni.


All'ombra della croce

All'ombra della croce non soffia nessun vento di salvezza. Apoplessia della putrefazione, terra scura di sangue, chi mai vi ha trovato un conforto che non avesse una qualche affinità col desiderio di morire?
Se il cristianesimo non punisse con l'inferno i suicidi, ci saremmo tutti ammazzati, e solo per poterci identificare con quello che è stato il detentore della croce, un cadavere, e alla cui ombra volteggiano senza sosta i corvi della fame.


Sofferenza per tutti

Quante generazioni hanno pianto contando le costole nude del Cristo, quante disperazioni e capelli strappati per quel suo volto agonizzante e smagrito. Duemila anni di speculazioni su un giudeo torturato.
E ora? ora non abbiamo più lacrime. La crisi di pianto nata dalla morte del mondo antico è finita, nessuno più bada a quell'uomo straziato. Come è potuto succedere?
Si è trattato di una follia collettiva, il tasto del dolore è stato toccato al punto giusto e con le dovute sollecitazioni. Quel dolore è finito, e ormai ci resta solo il nostro. Più nessun Dio con cui condividere la personale sofferenza quotidiana.


Europa e cristianesimo

Piegato su se stesso, immemore del passato, avido di dominare i pensieri di tutti, un Dio scalzo e psicopatico ha spazzato via il buon senso dell'Europa. Qualsiasi altro continente sarebbe sprofondato sotto il peso di quel Nulla tonante: l'Europa è riuscita a farne un trampolino verso l'infinito, dominando il mondo e le arti. Se ciò è stato possibile lo si deve senz'altro all'eredità del mondo antico, e alla superiorità dell'uomo bianco sulle altre razze. Neanche il cristianesimo ha potuto arrestarci, tutt'al più ci ha scalfito.
Veleno potente il cristianesimo, ma verso il quale abbiamo sviluppato una totale immunità: non può più ucciderci, né tuttavia farci vivere.


Qualcosa di bello

Una ragazza, per la processione del quartiere, mi mostrò aver costruito una croce di legno. Mi disse, con queste esatte parole, che era per "fare qualcosa di bello". Poi in un sorriso celò la sua confusione.
Io, in un sorriso, celai la mia.


Il suo corpo

Il pensiero delle giovani monache prima del dogma di Maria aveva ancora delle vie di fuga. Diedero loro una Madonna in cui rivedersi, per smettere di pensare al corpo di cristo...


Teschi

Folle di anoressia, santa Rita si lasciò morire di fame. Aveva intravisto, in quella croce osservata con ardore, lo scheletro della ragione; a cui volle offrire il proprio.


Vero Amore

Prima di ogni altra cosa Dio deve sedurci. Da innamorati crediamo senza vedere, e credendo ci consoliamo di un amore che da tutti i punti di vista sembra non essere corrisposto.
Masochisti dell'assoluto, vorremo a quel punto morire d'amore per Lui, riscattando quell'indefferenza con le nostre ultime lacrime.


Il vuoto

L'universo si espande, le galassie si allontanano. Tutto è sempre più distante, più piccolo.
Come concepire una creazione che va diradandosi in nulla se non si ha la passione per il vuoto?
Sentite cosa ho da dirvi: solo un Dio che non esiste poteva rappresentare questo stordimento della materia che è il nostro spazio di azione. Solo la sua teologia del nulla poteva rassicurarci a proposito delle nostre mancanze.
Infine, soltanto la sua vasta solitudine poteva giustificare la nostra di quaggiù.


Scrivendo

Scrivere vuol dire esaursirsi su un foglio. Impoverire noi stessi per darci ad altri. In un certo senso si tratta di uno sfogo.
Certo non vi sarà sfuggito che Dio ha il suo inizio proprio nel verbo (al principio era il logos).
Scrittore anche lui, scrittore come tanti, Dio, che voleva solo, scrivendole da qualche parte, sbarazzarsi delle sue angosce.
Difatti eccoci qui.


Schiavi

La speranza in una salvezza proveniente da altri, foss'anche Dio, è la caratteristica degli schiavi. Impossibilitati a far da sé necessitano l'aiuto di un padrone, o del suo Nemico.


La storia

Possiamo rallegrarci per il fatto che Dio non esiste e la Storia non ha alcun senso?
Forse possiamo riuscire a farlo pensando a quel momento in cui il vuoto si è convertito prima in materia e poi in vita, rompendo con quell'ortodossia del Nulla che dominava ogni cosa, e pensandolo come a un attimo di poesia cosmica. Nel senso etimologico del termine infatti poesia significa "prodotto".
Più difficile da accettare è la mutazione di quella vita in Storia. Sfogliando i secoli ci troviamo di fronte a quei principi immutabili ma passeggeri che ne hanno massacrato comparse e protagonisti. Nient'altro che una serie infinita di sbudellamenti e idee mostruose.
Se posso perdonare la materia di essere divenuta vita, non posso perdonare alla vita di aver creato la Storia, di cui la civiltà è solo un sistema imperfetto per catalogarne le disfatte.


Il Morto

Pensate al cosmo come a un cimitero. Alle stelle come giganteschi ossari lucenti. I pianeti tombe orbitanti. E le galassie, dentro cui tutto ciò si muove e danza, delle tremende sfere di morte che ruotano senza meta. L'universo comunque lo si veda è la nostra bara.
Non stupisce allora l'aver riposto per venti secoli sogni e speranze in un morto appeso alla croce. In cos'altro si può rivedere un uomo che guarda il cielo?
E quando sediamo nel buio della notte, è il cadavere dell'universo a illuminarci da tutti gli spazi.



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