mercoledì 27 luglio 2016

L'ultimo uomo sulla terra




Scende una finissima pioggerella dal cielo giallastro, e un odore di stagno aleggia nell'aria piacevolmente fresca. Io osservo queste e altre cose dalla finestra del primo piano, vagando con lo sguardo dal giardino qui sotto fino al cancello d'acciaio, di fianco al muro e ad altre sbarre; più oltre la strada ancora ben conservata, delle auto abbandonate frettolosamente, alcune vie strette che si infilano nel borgo, uno scorcio di piazzetta, le porte delle case spalancate, le porte sbarrate, vasi rotti e altri detriti qua e là, e su tutto il vagare dei Morti-Vivi, che si trascinano perplessi e idioti a bocca spalancata con gli occhi gonfi di fame.
Io sono l'ultimo uomo sulla terra. Come lo so? in realtà non ho prove, ma se ce ne fossero altri li avrei visti, in qualche modo si sarebbero fatti sentire. E invece sono mesi che non vedo, non sento, non percepisco nessuno. Nessuno che sia vivo. Qui ci sono solo i Morti-Vivi, città abbandonate, lo sfacelo di tutto ed io.
Mi sembra passato così tanto tempo... e all'inizio, io, noi tutti, gli altri, non capivamo come... ma no, non ne voglio parlare. Le cose sono precipitate in fretta, ogni giorno perdevamo contatti col resto del mondo, poi le persone hanno iniziato a morire, anche chi scappava moriva, così, col tempo, nessuno ha più provato neanche a scappare. La fame ha spinto tutti in strada, ma le strade erano abitate dai Morti-Vivi, ossia quelli di noi che da morti decidevano di tornare, e anche loro avevano fame.
Ho dei terribili ricordi, gli incubi mi stanno uccidendo quanto la realtà.
A un certo momento mi sono guardato intorno, e non c'era più nessuno. Prima ho urlato. Mi pare di aver urlato giorni, dal tetto, dal muro del giardino. Nessuna risposta. Non c'è più nulla che funzioni in casa. Forse, non so... forse non funziono più neanche io.
A volte mi sembra di essere impazzito e che nulla di tutto questo sia vero, poi penso che impazzire forse sarebbe il modo migliore per andarsene, e salvarsi.
Non so perché scrivo queste cose, nessuno leggerà mai le mie parole. O sì?
In casa ho un crocefisso e dei libri, ma nulla mi è più di alcun conforto. Cibo ne ho ancora, e l'orto, del resto, qualcosa dà. Ma quando sarà inverno morirà anche l'orto, come tutto qui intorno è morto. Le scorte stanno finendo. L'inverno ucciderà anche me, me lo sento.
Ieri mi sono affacciato dal muretto cercando di stordire il Morto-Vivo più vicino. Loro non corrono, non sembrano capaci di prodezze fisiche, anzi dispongono di poca forza. Ma non sono come gli zombie dei vecchi film, no, hanno una loro intelligenza, sembrano pensare, e parlano. A voce bassa, come tutto in loro è basso, il vigore, le intenzioni, le energie fisiche, ma parlano. Da lontano non li si sente, così a volte mi sporgo oltre il muretto, e mentre cerco di colpirli li ascolto. Essi sempre ripetono che non sono morti, che vivono, e dicono di aver fame, che in fondo a qualcosa c'è un pozzo pieno di luci che brillano come stelle lontane, un luogo remoto, come alla fine dell'universo, ed è da lì che sembrano parlare tanto le loro voci suonano distanti, e quel vuoto li divora, concede loro solo di aver fame: un nulla che si rigenera.
Poi iniziano a mordere l'aria, a me viene nausea, ho freddo, torno nel giardino e li sento ancora, da dietro il muro, sospirare parole, di morte, di disperazione, e dicono che hanno fame, che hanno fame.
A volte ho provato a fuggire, ma per andare dove? Certo, ho trovato del cibo qui nei dintorni, ma prima o poi finirà, prima o poi finirà tutto. Non ci sono veicoli, non funziona più niente, neanche le finestre, le porte, è tutto rotto, una maledizione nera sembra calata su questa terra. Gli animali sono scomparsi, come precipitati altrove. Il tramonto dura ore, all'alba il sole indugia sempre più. Nel resto del tempo un crepuscolo stanco si proietta sulle cose. Ma anche le ombre nell'allungarsi sembrano tremare.
Probabilmente la mia mente non funziona più, dopotutto nessuno può rimanere sano avendo assistito a questi eventi. Non so se diventerò anche io un Morto-Vivo, penso che dovrei uccidermi prima, o lottare disperatamente contro di loro, fino alla morte, ma lottare per cosa?
Vorrei sentire un po' di musica prima di andarmene, e non essere solo, non essere più così solo, da quanto poi, da mesi, e per quanto ancora? se fossero anni?
E piove sulle rovine, sui Morti-Vivi che recitano le storie dell'abisso, sul davanzale della mia finestra davanti la quale scrivo, che ora chiuderò per togliermi il dolore dagli occhi, per sdraiarmi da qualche parte, al buio, e forse anch'io inizierò a parlare, parlerò un po' tra me e me, come ho fatto certe volte coi Morti-Vivi, cercando quel pozzo di cui raccontano, per vedere se c'è, se posso vederlo anch'io, per caderci, spiandolo, e poi tornare, perplesso e affamato.

Stanotte ho fatto un sogno, ho visto il pozzo coi suoi bagliori profondi, ci cadevo dentro. Al risveglio ero stanchissimo, quasi non riuscivo ad alzarmi. Ora, anche da lontano, li sento, le loro voci sembrano più chiare, mi chiamano, e una parte di me vorrebbe andare. Forse dovrei farlo, non ha senso resistere.
Ho aperto la finestra e loro erano lì, ad aspettarmi, mi fissavano, e dicevano che non sono davvero morti, che hanno fame, che c'è un posto da qualche parte come un abisso pieno di luci, dove devo cadere, e poi sarò come loro. Ho ancora bisogno di dormire, mi serve un lungo sonno. Penso che non scriverò più.