lunedì 14 luglio 2014

L'importanza dello sport organizzato

Sono lì per intrattenerci. Per trattenerci dal resto.



Oggi stavo pranzando con degli spaghetti alla salsiccia. Niente di eccelso, ho soffritto con aglio e peperoncino due salsicce industriali, quelle color capillare esploso che non sanno di niente e sembrano macellate dieci minuti prima, c'ho messo del prezzemolo, del vino bianco, ho mantecato la pasta e via. Un primo senza infamia e senza lode.
Mangio e, ahimè, mi tocca vedere la tv, che se non altro ha il pregio di evitare fastidiose discussioni, sebbene a volte le crei dal nulla, e tra una mostruosità e un abominio capita di vedere la pubblicità.
Non me ne intendo molto di pay tv, ma c'era questo spot sulla stagione calcistica che sta per iniziare, e in particolare su questo pacchetto che, a detta del tizio, ti permette di non perderti neanche una partita. Incredibile.
Cioè, in pratica, te le vedi tutte. Oh, tutte!
Ora, voglio dire... a parte che i mondiali sono finiti ieri e la gente si sarà forse un po' stufata, no?
No.
Si ricomincia subito. Che poi, insomma, quante partite ci sono in un anno?
300?
400?
Parliamo di una partita al giorno come minimo, ormai è così. Ma come può mai stare uno che se le vede tutte? Eppure se lo spot promette di poterle vedere tutte vuol dire che più d'uno che ha quell'intenzione c'è.
Come si riduce una persona che vede 300 partite all'anno? Che ne resta del suo cervello esposto così lungamente a un intrattenimento privo di qualsiasi stimolo che non va oltre al seguire una palla che rotola? Persino i nostri animali domestici, giocando, imparano di più
Ma non importa, perché di secondo c'è il merluzzo sottolio, con limone e sale. Che schifo.
Più che altro perché dopo la salsiccia... mamma mia. Incredibile.
Va be, mangiamo. Che poi, mh, a cos'è che pensavo?
Ah, già. Il mondiale.
Anche quello strumentalizzato. C'era gente che tifava contro la Germania perché, santiddio, ci sono economicamente avversi. Ma questi che seguono il calcio, parola mia, non se lo sanno neanche godere, devono sempre metterci qualche cazzata in mezzo che non c'entra niente.
Comunque il pesce è orribile, devono aver usato dell'olio scadente e ora ha un sapore di scarpa vecchia.
E niente, in pratica deve esserci sempre una partita da vedere, in qualsiasi momento dell'anno. Così mi sembra di aver capito.
Le persone non vanno mai lasciate da sole coi propri pensieri; nessuno dev'essere messo in condizione di riflettere. Sempre deve esserci la distrazione, lì, a portata di mano. Tutti i giorni. Tutto l'anno.
Una volta i romani avevano le arene. Il popolino, chi era fuori dal giro che conta, andava gratis, si sfogava, e sfogandosi gli passava la voglia di spaccare tutto. I romani sapevano bene l'utilità dei giochi, e ogni città aveva la sua arena.
Oggi per distrarci ci fanno pagare, ci sono riusciti! e i gladiatori che vediamo sono milionari arroganti, circondati da cartelloni pubblicitari. Incredibile.
Tutto è organizzato come si organizzerebbe una religione, e fin da piccoli si sceglie una squadra, si imparano i nomi dei calciatori, li si colleziona, si viene indotti a pensare che i nostri eroi sono infallibili, tanto che da grandi, pur percependo che evidentemente qualcosa non va, che quello che continuiamo a fare è sciocco, non ci si può esimere dal continuare a farlo. Da una parte unisce nella "fede" in una squadra, dall'altra divide. Ma divide a metà, perché oltre la fede nella squadra c'è la grande fede nel calcio tutto.
Una specie di politeismo con al centro un culto solare.

Che poi nelle arene romane cosa accadeva precisamente?
C'era uno scimmiottamento pilotato della vita quotidiana, dove uomini combattevano contro altri uomini per aver salva la vita, specchio di una società più violenta. Poi, col tempo, si è arrivati all'oggi, dove le guerre sono lontane, e la lotta per la sopravvivenza è resa artificiale dall'assurdo mondo che abitiamo. Così, essendo impossibile ricreare il legame fatto di rispetto e fiducia che forgiava gli uomini in guerra, questo ruolo è passato allo sport.
Giocare, fare parte di una squadra, insegnava e trasmetteva quei valori che una volta si imparavano in guerra. Ma ormai, manco a dirlo, a quel ruolo lo sport ha abdicato, e anzi, sempre più diffusamente gli atleti di oggi riflettono l'ignoranza e l'individualismo imperanti.
E così resta solo l'intrattenimento, fine a se stesso per chi lo segue, e affine al sistema che lo vuole, che ne ha bisogno per avere a disposizione individui acritici e abitudinari.

Ad ogni modo io bisogna che la finisca di torturarmi anche mentre pranzo. Sì, e del resto non importa, cosa volete che sia. È solo questione di abitudine, eppure nonostante vada per i 30 a me sembra tutto così assurdo, così dannatamente assurdo, che ancora non riesco a crederci.
Ho come l'impressione che non ci crederò mai. Come uno che stia sempre per risvegliarsi da un sogno.
Forse la vita è tutta un sogno. Incredibile.



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