sabato 7 dicembre 2013

Una premessa e un racconto

Premessa

Siamo soli nell’universo, e se anche non lo fossimo è certo che nessuno si incontrerà mai, il che è come essere soli; si capisce subito che veniamo dal nulla; prima non c’eravamo, e andiamo verso un altro nulla; non ci saremo mai più: ed entrambi questi nulla sono eterni: penso quindi che la vita non abbia alcun senso, se non quello dell’espletare le proprie funzioni biologiche e protendersi il più possibile in avanti, fin quando è possibile, o è desiderabile, cogliendo brevi momenti di felicità in questi due nulla; è per altro questa una opinione largamente diffusa – non che mi illuda di essere il primo a vedere oggettivamente le cose -, seppure, nella maggior parte dei casi, chi accetta questa visione del mondo finisca per trovarvi un senso nel vivere in pace, rispettando il prossimo e auspicando ad un’esistenza sempre migliore: e se invece l’uomo fosse nato per uccidere altri suoi simili? sarebbe meno nobile, meno inutile?  sarebbe probabilmente uguale, che sia così, o che sia tutt’altra cosa.
Eppure spesso mi chiedo se, nei vari significati che diamo al nostro essere, quello di ucciderci a vicenda, di far trionfare quella parte di noi che grida guerra, non sia la naturale propensione per i nostri arti e i nostri denti. Infondo uccidere non è altro che l’arrestare un processo vitale che sarebbe comunque, a breve o a poco meno, destinato a cessare. Non importa perché si uccide, se per ideologia o per amore o, che ne so, per troppo amore. Privare della vita qualcosa ha sempre lo stesso non-significato che ha lasciarle la vita.
Sono due assurdi che si annullano contemplandosi.


Racconto

In via del Crepuscolo il sole sparisce presto, questo perché alti alberi e tetti incombenti ottenebrano la via quando altrove il rossore serale scalda ancora il finire del giorno. Passeggiando mentre torno a casa osservo la gente apparire e sparire dalle oscure finestre delle loro vite spiate, e mentalmente conto i passi, misurando geometricamente la distanza tra me e queste creature impaurite dall’essere impaurite.
Non c’è molto da dire sul mio ritorno a casa, qui la gente è metodica e ci tiene a fartelo sapere: così una vecchia che porta in giro il cane è li che ti aspetta, un’altra magari scopre per l’ennesima volta il gioco delle ombre che danzano come fronda comanda da un muretto all’altro, e nell’attesa si finge assorta nella propria austerità.
Che dietro la curva della stradina ci sia un orrore innominabile che a quanto pare tiene ad uccidermi è indubbio, ciò che mi fa pensare è invece cosa faccia mentre attende.

Cosa fa l'orrore mentre ci attende?
Tuttavia alla fine non c’è niente, e posso passare all’ultima prospettiva, quella dove l’intera via, nella penombra che si muove, chiacchiera inerme sul da farsi, tra voci incerte di accenti increduli, di un dolore, di un amore, di chiunque abbia qualcosa da poter rubare per riempire esistenze vocate alla disperazione dell’abitudine.
Io non passo tra questi contenitori biologici di ricordi ereditati, ci galleggio sopra, e per ogni viso ho una morte, per ogni gesto un olocausto di ricorrenze.
Così le ombre diventano fuoco nero che arde le carni senza ucciderle, e caro mi è ogni vetro che esplodendo si fa casa nei loro occhi. L’istinto atavico che urla la privazione di tutte le vite senza senso – ovunque non trovi un senso – mi sussurra armi da taglio e risate mentre le faccio correre. E se l’intera via non si fa bocca e le divora è solo perché ha dimenticato di avere fame, glielo hanno fatto dimenticare, come io esteriormente ho dimenticato il mio aver fame.
Così semplicemente passo, e se c’è da farlo posso anche salutare.
E sarò ancora una volta passato, e accanto a me sarà passato l’eterno sforzo nel trovare un senso alle cose che passano.
Poi entro in casa e qualcuno sta guardando le immagini in televisione. C’è un tizio che parla, ride e scherza e tocca una tetta a una ragazza: ha la faccia da diavolo. Mentre bevo un po’ d’acqua mi perdo a guardarlo, e tra quei suoni e il ventilatore acceso mi sembra di diventare pazzo. Un altro tizio dice che si è ammalato e non riesce a smettere di fottere. La gente ride, ride forte.
In camera mia troverò un po’ di requie dal mondo e dai miei pensieri, magari dormo, o prendo qualcosa per dormire. Sognerò le ombre crepuscolari che mi attendono alla fine della via, dove spero un giorno di arrivare affamato e divoratore.






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