venerdì 21 marzo 2014

Prologo: Primavera

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 PROLOGO: 
 Primavera

Uno stronzo sull'altare.
Medio spessore, buona consistenza, descriveva una leggera curva verso sinistra alla fine della sua lunghezza.
Colorazione marrognola tendente al chiaro, indizio di una dieta equilibrata e di assenza di sangue nelle feci.
In quel luminoso mattino primaverile ogni particolare, ogni minimo dettaglio sarebbe rimasto impresso in modo indelebile nella mente di Don Azzolina.

Si sarebbe ricordato anche sul letto di morte di come, aprendo la chiesa per la funzione del mattino, avesse trovato la serratura danneggiata e il portone socchiuso.
Affrettandosi verso l'altare maggiore colmo di preoccupazione (i portacandele e i paramenti erano d'oro, risalenti agli anni '20) tutto si sarebbe aspettato fuorchè quello.
Al centro esatto dell'altare, tra i ceri e il leggio per il Sacro Testo, inclinato quasi ad indicare il Tabernacolo, uno stronzo umano fresco.

Sulle prime Don Azzolina, chiamato affettuosamente Don Giò dai parrocchiani, non seppe cosa fare o dire.

Rimase lì a fissare la merda, inebetito.
Fece scorrere gli occhi sul crocefisso con l'immagine di Cristo, intatta.
Osservò attentamente eventuali segni di vandalismo sulla pala d'altare, nessuno.
Niente scritte ingiuriose, niente insulti o bestemmie.
Ogni cosa era come l'aveva lasciata la sera prima, dopo aver recitato la messa del vespro per le parrocchiane.
Tutto tranne quell'unico stronzo.

A vederlo dall'esterno sembrerebbe una bravata di cattivo gusto, qualcosa fatto sulla spinta dell'alcool o di qualche stupida scommessa tra amici in una serata noiosa.
Niente che meritasse più di una risata di deprecazione seguita da un pò di pena per il perpetratore di tale gesto.
Eppure in Don Azzolina le sensazioni si susseguivano ed accavallavano, lasciandolo sgomento per la portata di un gesto simile.
Si immaginava quell'individuo (o quegli individui) che, nottetempo, forzavano la serratura ed entravano in chiesa, nel tempio di Dio.
Riusciva quasi a vedere la scena: Risate contenute dal timore di essere scoperti, smartphone accesi a filmare la bravata del più coraggioso del gruppo che, salendo sull'altare e abbassandosi i pantaloni, depositava il regalino per il mattino successivo.


Ma a preoccuparlo ancora di più erano i possibili sviluppi di questa vicenda.

Se da un lato poteva pulire (in modo discreto, se la perpetua avesse visto o anche solo sentito di questa cosa tutto il paese l'avrebbe saputo in men che non si dica) e dimenticarsi della faccenda da un altro lato era stato commesso un reato.
Effrazione, per la precisione. Effrazione e vandalismo, a dirla tutta.

Sì, Don Giò si sentiva in un certo senso violato.
Quella era il suo luogo di lavoro, un lavoro cui aveva dedicato tutta la sua esistenza.
Un lavoro che non doveva assolutamente essere infettato da storie di vandali notturni e di scorrerie goliardiche.
Sicuramente avrebbero avviato un'inchiesta, avrebbero fatto domande e in pochi giorni sarebbe arrivata la convocazione dal Vescovo per vederci chiaro nella faccenda.

Le domande sarebbero state imbarazzanti, ben peggio sarebbero stati gli sguardi colmi di domande inespresse, le recriminazioni silenti di ogni parrocchiano che avesse scoperto come qualcuno, impunemente, avesse depositato una cagata nel loro luogo di culto.
Aveva la canonica esattamente di fronte alla chiesa, com'era possibile non sentire l'aprirsi di una porta così grande e rumorosa?
No, non poteva far emergere una cosa del genere proprio in periodo di Quaresima.


Risoluto, Don Azzolina fece dietrofront , corse in canonica e prese una paletta per raccogliere la polvere, degli stracci per pulire e un sacco dello sporco.
Nel guadagnare la strada dell'uscita sentì la voce dalla sua perpetua dal bagno:
"Don Giò tutto bene?"
"Sì, stia tranquilla, mi ero dimenticato le chiavi in camera."
"Per colazione vuole i cornetti al cioccolato o quelli vuoti?"

L'idea di mangiare gli era del tutto aliena in quel momento, ma si costrinse a rispondere:
"Vuoti grazie"


Ora armato per lo scopo, Don Azzolina si avvicinò al misfatto da ripulire.
Puzzava, e parecchio.
La sua parte razionale sapeva che gli incensi avrebbero coperto la traccia e nessuno dei fedeli avrebbe sentito nulla.
Eppure qualcosa dentro di lui sapeva che avrebbe sentito quell'odore per lungo tempo ancora, come una traccia olfattiva fantasma impossibile da dimenticare più per la sua carica emotiva che per quella sensoriale.

Risoluto, prese con la paletta la merda e la depositò nel sacco, pulì ogni rimasuglio dall'altare e la andò a gettare nel bidone dei rifiuti organici antistante la chiesa.

Nel rientrare in chiesa si imbattè in un piccolo gruppo di anziane fedeli, venute per sentire la prima orazione del mattino.
"Don Giò, si da alle pulizie primaverili eh?"
Si costrinse a sorridere con noncuranza

"Eh sì signora, la casa di Dio va pulita da cima a fondo!"
Le vecchie emisero una serie di risatine che, per il parroco sotto stress, suonarono come il rumore di unghiate su una lavagna


Ora, per il suo bene e per il bene dei suoi parrocchiani, si sarebbe preparato ai doveri della giornata.
Dopo pranzo avrebbe chiamato qualcuno per riparare la serratura del portone (in modo discreto, sia mai) e ora di cena non si sarebbe più neppure ricordato di questa faccenda.
E la vita sarebbe andata di nuovo per il verso giusto.
Sì, uno sfortunato incidente e niente altro.
In questo credeva Don Giorgio Azzolina.


(to be continued..)

1 commento:

  1. Un inizio eccellente anche se non saprei proprio come possa proseguire una faccenda del genere

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