sabato 22 novembre 2014

Quella volta che la Wehrmacht passò davanti casa



Bombardieri nazicomunisti cercano te

Ci sono esperienze che somigliano a un sogno leggero da quasi svegli, nebbiose e terse come un miraggio; indefinibili, eppure definite nei loro contorni che sono quelli dell'orizzonte.
Sono, queste, personali, ma uguali per tutti; diverse ma ugualmente meravigliose; e insondabili; irripetibili ma continue; evocative ma, in un certo senso, banali. Che quella goccia esondante di follia ce la mettiamo noi, cogliendola da chissà dove.
Sono, queste, un viaggio in macchina la mattina presto, col mondo ancora sommerso nell'oceano della notte; e il confine tra stelle e sole disputato, coi fanti chiari in marcia dal mattino e le fortezze abissali a resistere nel cielo. Cogli odori della strada distesa sempre sullo stesso verso, che per la luce di quello scontro non sembra ferma, ma pare venirti incontro da non si sa dove, così che ci si chiede: vado io o il mondo mi viene addosso?
Sono, poi, l'arrivo dell'inverno, e una strana leggerezza che tonifica nel primo freddo. L'aria gelata ha una sua consistenza di mura fortificate, e di fossato; divide le strade in corsie glaciali, e ognuno segue la sua, separato. Unica umanità quel gocciolio del naso, e il passo svelto, un poco agitato. Che d'inverno non si passeggia ma si fugge da un luogo caldo all'altro, esuli ermetici senza rimpianto.
Sono, naturalmente, quel momento mistico in cui penetri, seppure per un momento solo, per un attimo, la realtà e la sua danza disperata, dove ci si accartoccia in pianto per rinascere subito dopo, come se niente fosse stato.
E poi il sovvenire di un dolore, di una febbre o una fitta, la prima lenta la seconda deflagrante: ma entrambe avvertibili come si avverte un odore. E nel venire danno il piacere che dà uno strappo con la realtà, per aiutarci a sopportarle. E in generale chiunque poi stia male.
Ma dove vive chi sta male? dev'esserci, sì, un luogo del dolore senza ritorno, una geometria buia della mente; come un viaggio in macchina ma di notte, e senza una vera strada, che la morte non porta a nulla né ci dà la sensazione di venire da chissà dove. Solo si muore.
E altre cose ancora, tutte più o meno banali ma eterne, tutte distanti e vicine, normali ma strane.

Ci si ricorda di questi attimi come si ricorda un viso scorto da bambini, hanno nella memoria contorni vaghi che sfumano nel dubbio. È mai accaduta questa cosa o era solo sonno?
È accaduta o sono solo inciampato in un sogno?


Eppure ricordo nitidamente che ero in vacanza sulle Alpi, e che ero bambino. Su tutto una ambrata luce preistorica gravava sulle cose.
I miei genitori erano forse in qualche campo mentre  miei nonni si attardavano in sala da pranzo.
Che cos'è un dolore? è la sensazione di ricordare qualcosa che non è mai accaduto?
Un buco nero dai contorni di ruggine nella mente. Un tubo nella terra verso cui si scivola per rimanervi intrappolati, immobili, e poi si urla il dolore?
Ero in terrazzo anch'io, e poi nel bosco.
Ricordo che non mi ero mai trovato così chiaramente davanti alla vita e alle sue infinite espressioni. Ricordo che ero nel bosco con gli abitanti del bosco.
C'erano insetti dalle combinazioni di colori mai viste, api pelose e goffe e farfalline rosse coi puntini neri; c'erano strani sentieri senza nome, dove funghi mostruosi aduggiati al sole creavano ombre umide di mistero.
Correvo dal terrazzo al bosco, mi perdevo. Ero lì con i miei nonni ad annusare l'odore di legna bruciata che hanno le cucine alpine, la severità dei loro contorni spogli di tutto eppure perfetti.
La Wehrmacht passava lungo la strada e poteva essere vista dal terrazzo e dal bosco.
Lunghe file di soldati stanchi e curvi tornavano alle pianure del nord circondati da un grigiore stanco di tutto.
Sui loro volti c'era la fine del mondo, nelle esauste risate l'inferno. Si infilavano laggiù, nella curva che sta tra il passo e il bosco, la curva che dà direttamente sulle stelle e gli spazi intergalattici.
Senza esitazione vi saltavano dentro sparendo da questo universo.
Ricordo poi che andai più vicino alla strada per chiedere che mi lasciassero qualcosa. Mio nonno non voleva. Mio nonno sedeva davanti alla televisione e aveva un coglione che usciva dai pantaloncini corti. Penso che non potesse vederli. Vedeva solo la televisione.
La ritirata della Wehrmacht in quel pomeriggio d'agosto era una di quelle cose che potevo vedere solo io, come alcune creature della notte e del bosco.
Da cosa fuggono, mi chiesi.
Un soldato tra i tanti colse la domanda che avevo dipinta in viso: - Dai russi - mi disse.
- Ma come, qui, nel nord italia?
- I russi sono ovunque. Esistono solo due cose, noi che ci ritiriamo verso le stelle e i russi che ci spingono nel vuoto.
In lontananza si sentivano bordate pazzesche e Berlino che crollava sotto una tempesta d'acciaio.
Lì a presso, a dar manate al vento, c'era Goering. Si ritirava verso le stelle e l'infinito pure lui, col suo faccione piombato e gli occhi da lince assonnata, e quel che restava dei fanti gli andava dietro.
Non volle darmi la sua croce di ferro ma mi lasciò un fucile, un fucile con l'elastico.
Ci mettevi una pietrina sopra e l'elastico la lanciava via.
Poi se ne andò senza dire nulla con le altre ombre verso l'ultimo nero.
"Addio Wehrmacht!" gridai al vento
E il vento mi rise dietro.
"Addio Wehrmacht!" gridai, e col fucile di Goering lanciai un sasso al vento.
Rotolò sul selciato e quando fu fermo la strada era deserta. Si sentiva solo la televisione accesa e mio nonno che chiedeva cosa c'era per cena.
E seppi che ero rimasto solo.

Ci sono esperienze che somigliano a un sonno leggero nel dormiveglia tra questo e un altro universo, sono luoghi in cui ci si rifugia e si è protetti. Come in un bosco fatto solo di luci e ombre, dove fioriscono i ricordi e la bellezza cresce alta sino al cielo.

Andiamo?






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