martedì 5 agosto 2014

Jack Vance

La gente fa di tutto, va ovunque, si crede padrona del mondo e dispone come meglio vuole. Io davanti a tanta meschinità, me ne sarei già andato. Ma dato che mi tocca restare se anche provo a scrivere qualche recensione, che sia libro o autore, non si apre la terra, non finisce il mondo.
In un certo senso non cambia niente.

Spesso noto, confrontandomi con altri lettori, come generi quali fantasy e fantascienza siano, per così dire, considerati secondari, roba per ragazzi o poco più.
Noto anche che, spesso, chiunque si esprima in questi termini non ha la minima idea di cosa sta dicendo. Insomma, non ne ha mai letti o ha letto autori minori.
Probabilmente a trarre in inganno i più sono film e serie tv fantasy/fantascienza, quelli sì dedicati per lo più a un pubblico giovane o facilone.
In conseguenza di ciò se ne ha un'idea distorta o così pare.
Basta entrare in una libreria e vedrete i libri dei suddetti generi affiancati o poco lontani dal librone di Pimpa da colorare, o da altre amenità adolescenziali che mi riservo di non-nominare.
C'è poi da dire, e questa è una cosa che non capirò mai, che la maggior parte della produzione fantasy e SF di un certo rilievo è completamente bandita dall'editoria italiana, per cui inesplorabile, inarrivabile.
Si potrebbero astrarre diversi motivi per cui ciò accade, ma io credo di poterne individuare uno più forte degli altri: spalancare la mente è difficile, e non fa vendere.
Leggere un libro che affronta la contemporaneità, che sia questa l'oggi o 20 anni fa, o leggerne uno ambientato nella Londra del 19° secolo, implicano diversi atteggiamenti mentali, che però per quanto diversi sono già in parte sperimentati.
La contemporaneità so com'è, e lo sforzo di ricrearla seguendo la narrazione dell'autore risulterà poco o nullo. Così come ricreare scenari di una Londra remota, o anche di crociati in terra santa - insomma, di qualsiasi cronaca ambientata in una esperienza umana avvenuta -, comporterà il solo sforzo di ricordare il modo in cui intendiamo quella specifica realtà da noi già assimilata.
Anche il fantasy, bisogna dire, ha i suoi stereotipi. Certo, necessita di una rigorosissima fantasia, di una vivida immaginazione, di ferrea imposizione a creare con la mente quanto si legge. Ma una volta fatta l'abitudine con il genere, per quanto arcani siano gli stregoni, o innominabili le creature evocate, o fiabesche le città incantate, o tetre le guglie del palazzo tenebroso, ci si abitua. Mai del tutto, a dire il vero, nel senso che è sempre una sfida: ma ci si fa il callo. Il callo del lettore Fantasy.
Discorso diverso è per la SF, apparentemente senza limiti. E discorso diverso ancora per lui, il creatore di mondi, Jack Vance.

Jack Vance ti osserva per cercare il tuo punto debole


Jack Vance è morto nel 2013, a... 90 e tanti anni. Non importa sapere quanti ne avesse esattamente, e nanche sapere come o dove ha vissuto dato che questa non è una biografia. Basti sapere che era americano, fece la guerra, scrisse per molte riviste. Pubblicò decine di libri.
 Mi sono deciso a parlarne dopo averlo, per così dire, sufficientemente sondato, ed aver viaggiato nei mondi da lui creati; nelle civiltà da lui plasmate; nella follia delle sue rapsodie da musico pazzo; nell'analisi etnologica di culture lontane nel cosmo.

Ma com'è leggere la fantascienza?
O meglio: com'è leggere Jack Vance?
Grossomodo si tratta della stessa cosa, e anzi, leggere Jack Vance è, se possibile, il miglior modo di calarsi nella fantascienza e iniziare a intaccarne i segreti, proprio per la grossa stimolazione e la spinta ad aprire la mente che portano i suoi testi. Lungi da me dire che sia il migliore, dopotutto non sono ancora così addentro al genere per dirlo né mi immiserirei a fare delle mie opinioni un'oggettività universale.
Se non lo avete mai letto certo non riuscirò a farvi capire. Però posso provarci. E allo stesso modo si può capire tutto il filone della fantascienza.

Intanto la terra non c'è. Cioè, c'è, ma è così lontana da essere divenuta una leggenda, un mito, una Thule dimenticata o una Avalon perduta nelle nebbie cosmiche. O a volte c'è. Dipende.
Poi, di solito, abbiamo un pianeta. Ma non solo uno, centinaia, migliaia, praticamente li abbiamo tutti. I suoi racconti/romanzi sono farciti di cronache estratte o resoconti storici e sociologici che analizzano la complessità di questa o di quella civiltà; informazioni che magari torneranno utili molti capitoli dopo, o lo sarebbero state diversi capitoli prima.
Quindi immaginatevi usi e costumi del tutto diversi da quelli umani, ma con gli umani. Infatti il di qua (lo spazio legiferato) e il di là (lo spazio oltre, senza legge), per dove si trova quella particolare realtà,  sono colonizzati da umani, o dalle evoluzioni della specie umana, così che avremo tante umanità diverse, tante specie indigene diverse, religioni, sette, ordini, sistemi, tecnologie, lingue, città, costumi, abitudini sessuali, crimini, fazioni, casate, sistemi, ammassi stellari e realtà tanto diverse e tanto distanti tra loro quante sono le possibilità universali.
All'inizio non sai da dove iniziare a capire cosa stai leggendo, sei spiazzato. Specie se non mastichi il genere.
Inoltre, a tutto ciò, va aggiunta una analisi razionale dei nuovi mondi che Vance crea partendo da veri riassunti socio-psicologici dei mondi stessi.
Insomma, è necessaria una vera dilatazione mentale, un parto di pensieri. Un'avida rete cerebrale per riuscire a incanalare tutti gli stimoli proposti e poterli assorbire e trasformare.
E non è facile. Perché bisogna astrarre, che è come darsi risposte. Bisogna inventare e costruire - nel senso di interpretare e adattare a se stessi -  assieme all'autore, che è come scrivere noi stessi. Bisogna intuire il mistero o plasmarlo con nomi arcani sparsi nel testo.
L'uomo di Vance guarda all'infinità cosmica in cui si proietta viaggiando tra i mondi, e per ciò ha disimparato a guardarsi dentro, o meglio: non è più ossessionato dalla propria introspezione, bensì è proiettato fisicamente e mentalmente verso gli orli esterni della mente e dell'universo. E come davanti a una incommensurabilità se ne distacca, così che i suoi personaggi paiano uno strano ibrido tra gnosi e fatalismo.


E poi c'è il senso del meraviglioso, ossia quel momento in cui, leggendo un testo di fantascienza, l'autore fa vibrare la corda dell'ignoto, e ciò che scrive ci turba e ci ossessiona; accade quando un nuovo concetto, un qualcosa di mai visto ci entra dentro, avviene quando ciò che stiamo immaginando ci appare lontano come le stelle oltre le stelle, e non lo comprendiamo a fondo ma ce ne facciamo un'idea nostra, e in quel momento qualcosa è cambiato per sempre.

In Vance tutto ciò non manca, e devo dire che, anche se in altri modi, George Martin, dichiaratamente ispirato da Vance, ha saputo espandere con i suoi racconti di fantascienza la sua esperienza, cioè quella in cui un uomo si trova, più o meno solo, contro l'universo e i suoi eventi. Distaccato e lontano da tutto e da sé stesso.

Tornando alla lettura di Vance, è difficile indicare un libro da cui iniziare, e perché la sua è un'opera vasta e perché di difficile reperibilità (si parla solo o quasi di usato). Ma anche perché, in un certo senso, i suoi protagonisti sono sempre lo stesso inafferrabile uomo, immerso nell'assurdità delle cose. I bellissimi cicli di Durdane e Tschai, le antologie di racconti, ecc ecc.
A volerne proprio dire uno, però, direi La terra morente.



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