lunedì 4 agosto 2014

Della vita e della Morte



Oggi, come sempre, si nasce e si muore.
Quando nasciamo, quando piangendo veniamo al mondo, i nostri genitori e i parenti tutti, e anche gli amici, sono felici, ridono e vogliono vedere il bambino. Si fa una gran festa, si fanno tanti progetti, poi si mette il bimbo nella culla, lo si circonda di giochini e per lungo tempo ancora si sta allegri. Perché?
Perché il bambino è nato, è emerso alla vita, quindi vivrà!
Quello stesso bambino non sarà amato da tutti, su questo non possiamo mentire. La nostra è una società individualista, competitiva in tutti i suoi aspetti; è soprattutto una società incattivita, per cui il bimbo sarà solo il figlio dei suoi genitori, laddove fino a 20 anni fa aveva ancora attorno delle costruzioni sociali a proteggerlo.
Darà fastidio, sarà un problema. Infine qualcuno sarà stanco di lui, perché questo è un mondo che si stanca di tutto, ma crescerà - indipendentemente che la natura lo voglia o no -, e diverrà grande.
Invecchiando il suo rapporto con gli altri cambierà, e tuttavia il suo diritto alla vita non verrà mai meno.
Nel crescere chiamerà il suo adattarsi alle regole e alle regoline della nostra civiltà "maturare", finché dopo qualche anno di un po' di questo, e un po' di quello, morirà, e nel morire quella stessa cerchia di persone che lo aveva salutato con gioia alla nascita, cerchia cambiata nel corso degli anni, piangerà il suo aver lasciato la vita.

Io non ho mai accettato questo schema esistenziale né mai lo farò. Ma voglio spiegarmi meglio.
Infatti chi lo ha detto che le cose stanno così? Qualche religione istupidita dal sole, la scuola, le tv: chi lo ha deciso insomma?
Io penso sia un po' come il tempo: il tempo, lo sappiamo, non esiste, esistono però i suoi effetti, che altro non sono se non la trasformazione della materia nello spazio, che noi percepiamo come tempo che scorre, e lo vediamo, mentalmente, su di una retta che va dal passato al futuro remoto e sulla quale si imprimono gli eventi.
Una visione tipicamente cristiana per un tempo che va sempre avanti fino alla fine del mondo. Ma è stupido, no?
Ed è senz'altro limitato e rassicurante. Senza curve nel tempo o sentieri che trascendono l'eternità: una linea dritta con le date. Molto più semplice e facile da accettare.

Così la vita, com'è presentata al'inizio del post, viene descritta in un modo errato e fuorviante.

Perché la nascita non è affatto il miracolo che porta alla vita o l'inizio di un percorso voluto: veniamo strappati al nulla per diventare qualcosa, e nel momento stesso in cui ciò avviene noi iniziamo a fuggire.
Da cosa? Ma dall'esser nati, fuggiamo l'orrore che ci ha emerso alla vita, e nel fuggire cadiamo nel tempo, fino alla morte che abbiamo inseguito come l'unica cosa in grado di cancellare l'orrore dell'essere nati, e morendo rimettiamo questo orrendo peccato al cosmo.
E le cose in natura stanno così:
Quando si nasce, le madri piangono. I padri nell'altra stanza si disperano. E una vecchietta imbacuccata, che fa il giro di tutte le case, passa da chi è appena nato, e piange anche lei, e tocca la creaturina e le dice "povero piccolo caduto nella vita", e anche il bambino piange perché la vita è dolore.
E così un altro figlio dell'uomo è nato, e l'uomo di questo si dispera e si chiede: ci sarà mai una fine?
Poi, vivendo, non si teme la morte, perché vivere fa così male e c'è così tanta fame e malattia che morire non può in alcun modo essere temuto. E cos'è la vita stessa se non un qualcosa che, al contrario del graal cristiano, va perduta, distrutta, simbolo di tutte le disfatte, stendardo che tutto passa senza essere mai passato. E anche quando si è vecchi - che disgrazia invecchiare! -, e se qualcuno ci viene a dire che abbiamo fatto il nostro tempo, noi si deve annuire e abbassare gli occhi. Perché è vero!
E allo stesso modo si attende la morte, e quando finalmente questa arriva tutti sono felici, e per primo chi sta morendo. Perché la morte è la fine di tutte le cose, e le cose sono orribili.
Le madri deformano e i vecchi imbiancano. I padri si curvano e i figli scappano.
La vita è un lutto terribile spazzato dai venti, e noi siamo scintille disperse nel buio.

Niente vale, eppure viviamo lo stesso.
Ed è proprio nel percepire il disastro che continuamente avviene, continuando però a illuderci e ad agire nel mondo, che noi, che almeno io, come un uomo sorpreso a soddisfare un vizio, provo un brivido di lussuria verso l'inutilità delle mie azioni, che nella loro incompiutezza mi sono care e pietose allo stesso tempo.
E nella vita mi giustifico dicendo; è cosa da poco, come tutte le cose basse, non chieste, come ogni regalo non voluto; è cosa da poco.
O anche: mi perderò forse il gusto di fare una cosa inutile?
O altre cose ancora...



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