martedì 4 febbraio 2014

Non ho padri



Salve, io mi chiamo Mario Rossi. Mario, perché piaceva ai miei genitori, Rossi invece non so. Si insomma, diciamo che ogni cognome ha la sua origine, alimentata da un lavoro, un luogo, una forte caratteristica della famiglia, ecco. Ad esempio un cognome come ferrari poteva nascere in una famiglia di fabbri, quindi ferrai, ferrari, e altre varianti ancora. Il tutto sempre influenzato dalle dialettofonie del posto. Uno come fonteamara dal luogo, magari una palude insalubre, o uno stagno spoglio. Un altro come di stefano dal nome del padre, o del luogo in assenza di padre nel caso del cognome di napoli.
Ho fatto i primi esempi venutimi in testa, esempi del tutto casuali. Ad ogni modo il fatto è questo: i cognomi non ci appartengono. Non solo, ma sono anche a dir poco anacronistici, ma usiamo pure il termine: inappropriati.
Cosa c'entro io col mio cognome?
E tu, cosa c'entri?
Vi sembra una bella cosa doversi portare dietro per tutta la vita una parola che non solo non significa assolutamente nulla, ma che non ci siamo neanche scelti.
No, è una follia, un atto scellerato. Tanto varrebbe farsi dare un numero alla nascita, che almeno sai cos'è, sai che non significa niente, e sapendolo te ne fai una ragione. Invece no: ci danno una parola che, sarà pure venuta dal padre, ma a lui chi l'ha data? Un altro padre, che non ne conosceva il significato, che a sua volta la prese dal padre suo, anch'egli ignaro del perché, e così sempre è stato, ma dovrebbe ancora essere così?
Oh, no. Il cognome, se proprio dev'essere, me lo scelgo io. Mio figlio deciderà se tenerlo o scegliersene uno da se. E avanti in questo modo.
Bravi e arguti pensatori disdegnano le fedi organizzate per la loro evidente assurdità; altri si scagliano contro i più bassi comportamenti umani fomentati dall'ignoranza; eppure non ho mai sentito nessuno prendersela con la cosa più ridicola che le nostre società producono, i cognomi!
Non è forse, affibbiare una parola alla nascita, orribile quanto battezzare?
Datemi un numero, io dico, e a 20 anni sceglierò un cognome mio. Qualcosa che accompagni il nome che, quello si, per forza, perché è un nome, perché alla fine è solo quello, dovrò tenermi per tutta la vita. Ma poi, se mi gira, cambio anche quello.
A me, vedete, non sta bene niente. Mi sembra che tutto sia sbagliato; ma no, non sbagliato, mi sembra tutto così assurdo, così assurdamente pazzo, che anche chiamarmi, che anche un nome, un nome imposto, mi offende, mi pesa, profondamente mi mette a disagio, non me lo posso spiegare!
La famiglia Rossi?
COSA?!
No, ma che famiglia, ma che rossi. Niente famiglia, niente cognomi, solo persone che si autodefiniscono anche in quella serie di lettere che formano il nome e il cognome, anche in quello. Accettare un cognome è come accettare il credo imposto nel proprio spazio sociale; è come accettare un marchio mistico; una corrente vitale; io non accetto niente che non abbia adeguatamente soppesato. Che siano i villici bofonchianti a prender tutto per oro, o perché così sempre s'è fatto.
Inoltre i cognomi non sono iperuranici manco per il cazzo. E mi disgustano.


C'è un elenco, una serie di parole
vuote come il vento della notte
le si da come fardello ai nuovi nati
come vecchie storie mai narrate

Sono i nomi di tutti i fallimenti della storia
sono la pochezza della specie
Sono, senza essere mai stati, fuori luogo
inutili, fastidiose scene rotte

Io non ho padri
quindi non ho catene

Anonimo  - Parole nel vento

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