giovedì 14 maggio 2015

Il tempo e altre infinità

Come mai sei caduto dal cielo, astro mattutino, figlio dell'aurora?


Ricordo di un barbone davanti al quale mi trovai un giorno. Camminava portandosi appresso una logora bicicletta. Trovatosi davanti a me sembrò non vedermi, e mi venne addosso. Alle mie rimostranze reagiva continuando ad avanzare come se non ci fossi. Dovetti scansarmi perché non mi franasse addosso.
Come niente fosse continuò ad avanzare. Incurante di tutto.
Quel barbone era caduto dal tempo.

L'esperienza umana del tempo è caratterizzata dal sentirsi profondamente dentro di esso e quindi appartenenti a qualcosa che avanza e in cui sperare, dall'appartenenza alla storia, dal riuscire a programmarsi nella temporalità. Io non ho più nulla di tutto ciò, sono sceso dal tempo.

I ricordi sono la somma di tutti gli orrori inflitti dal tempo, abdicarli significa non solo rinunciare all'eternità posteriore, ma anche ritrovare una genuina leggerezza e una libertà d'azione che sembrava perduta per sempre.

Il rapporto delle religioni col tempo si basa sul suo totale controllo. Loro pretendono che Dio vi sia da sempre. Eppure dev'esserci stata in precedenza una solitudine più profonda di quella di Dio, che somigli alla mia. Alla nostra.

Dio ci ha scagliati nel tempo per intrattenersi con le nostre bizzarre contorsioni. Spettatore per assenza, non partecipa al precipitare delle cose. Finora non sono giunti applausi.

Quando vedo un anziano non provo l'immediato senso di rispetto che la nostra società vorrebbe impormi, ma pena per il suo lungo incedere nel tempo. Trafitti dalla speranza che ci consuma illudendoci siamo capaci di tutto, persino di invecchiare.

Quando Dio ci avrà per sempre abbandonato per tornare nelle sue remote solitudini saremo costretti a farci un'idea oggettiva del tempo, un'idea che non sia incastonata nei disegni del divino. Allora ci estingueremo per disperazione.

A chi mi chiede cosa ne sarà di noi dopo la morte dico di pensare a cos'eravamo prima di nascere.

A volte mi chiedo se l'essere umano non sia nato proprio per far questo, soffrire nel tempo.

La vista di uno scheletro umano provoca in molti un senso di paura, la stessa paura che si prova quando ci si trova davanti a una verità essenziale. Rifuggiamo ciò davanti a cui non si può mentire.

La Chiesa non più come fede ma come intenzione, si sta ritagliando un suo posto nella modernità ambendo allo stato di forza buona e giusta. Tra cinquant'anni sarà possibile aderirvi pienamente dimentichi di Dio. Una chiesa marxista.

Vi è qualcosa nelle lacrime che ci riunisce a Dio, come un'aspirazione al nulla.

Qualcuno scrisse che Dio creò l'uomo per far sì che esso vedesse le bellezze del creato. Bene, le ho viste. E sono in lutto per l'universo.

Dostoevskij ha scritto che se Dio non esiste possiamo fare qualsiasi cosa. A quale scopo?

La caduta di Satana è forse l'unico momento che riesca a coinvolgermi nella sterile e bruciata dal sole mitologia cristiana. Egli è certo caduto dal tempo. È caduto nel tempo.

C'è qualcosa nel volto provato di Fabrizio De André, nel suo canto abissale, che mi ricorda Dio e la sua tragedia. Entrambi sfiniti da tutto paiono sul punto di frantumarsi in pianto.

Dove vanno le persone che incontro per strada? Esse cadono altrove, come lamenti dimenticati.

Se potessi parlare con Dio avrei tutto il diritto di lamentarmi di una creazione così imperfetta. Eppure forse non direi nulla, afflitto come sarei dalla sua disperazione.

Un qualche scrittore francese, ora non ricordo chi fosse, disse che per essere felici bisogna avere tre caratteristiche: stupidità, egoismo, salute. Sulle prime due non ho nulla da dire, ma sulla salute come requisito fondamentale per divenire felici non sono molto d'accordo. Solo nel tormento si può trovare Dio.

L'assoluto ha bisogno di una solida base da cui essere contemplato. La bara resta un punto di osservazione ideale.

Dicono che i condannati a morte raggiungano vette di disperazione e di sconvolgimento emotivo inarrivabili. Ma non lo siamo tutti?

Dimenticando di dover morire, dimentichiamo d'esser nati.

L'Egitto antico, accecato dal sole e dalla morte, seminò il deserto coi suoi cadaveri eterni. Ne fiorirono sepolcri gonfi d'incenso. Soglia del regno dei morti, avrebbe potuto a latitudini meno solari diventare la necropoli di ogni disfatta umana. Immaginatevi quella civiltà sulle rive del baltico!
Il sole ne devio le intenzioni, facendo sì che partorissero il Dio vuoto. Il Dio solitario. Padre di tutti i deserti.

Schiacciati tra due eternità, vivi solo nell'attimo presente, abbiamo bisogno di qualcosa che giustifichi il nostro procedere nel tempo, da un nulla all'altro. Emancipati da Dio troviamo un vago sollievo nell'effimero che rispecchia il nostro stato. Fisico e spirituale.

Come condannare la ricerca del piacere immediato, della poca profondità, della scarsità di pensiero di questa nostra civiltà dei consumi? Come farlo senza vergognarsi almeno un po' di cosa si sta difendendo: la cultura! Puttana di tutte le disperazioni!

Dicono che tutti i popoli del mondo debbano saper leggere e scrivere. Lo chiamano progresso. Io la chiamo maledizione. Quanto doveva essere bello il pensiero dei nostri avi non ancora rovinato dalla parola: melodie ancestrali.

Il pensiero prima dell'alfabetizzazione era certo una melodia, un suono della mente. La musica è nata allo scopo di poter riascoltare quei suoni, ritrovare la giovinezza della specie.

Non esiste una forma d'arte che non nasca dal dolore e dalla sofferenza interiore. Nessuna persona felice potrebbe mai produrre alcunché di artistico. L'arte è dolore, per questo si è così ben intesa con Dio.

C'è più splendore tra le fronde di una quercia che in tutte le navate gotiche del nord Europa.

L'architettura dalla Grecia in poi è solo il tentativo di tornare a vivere nei boschi. Cosa sono le nostre chiese, i nostri palazzi se non il rimpianto delle foreste perdute?

La cacciata dal paradiso terrestre altro non è che il passaggio da bestie a esseri umani. Perduta l'innocenza di quei giorni, maledetti dalla coscienza, ci è stato possibile sopportare la vita solo perdendoci in Dio. Ora che Dio si è perso in noi, cosa giustificherà il nostro esistere?
Alle spalle abbiamo un paradiso, e se dinnanzi a noi ci fosse l'inferno, se la storia umana non fosse altro che il passaggio dal paradiso all'inferno?
Noi cadiamo con Lucifero, unico vero Dio di noialtri. L'altro, quello senza voce, sociopatico eterno, non dà segni di voler evadere dal proprio monastero di silenzi. Cadremo dunque nel tempo col solo conforto della sua guida. Moltitudine di angeli maledetti.

Nella bibbia Dio dice che il peccato più grande è l'omicidio. Perché questo non causa solo una morte, ma tutte le morti dei figli, delle generazioni future che a causa di quell'omicidio non vedranno la luce.
Il pianto di tutte quelle generazioni che non potranno nascere.
Suvvia, non è forse il gesto più misericordioso che si possa compiere? Impedire la nascita di un individuo, c'è qualcosa di più alto? Forse, segretamente, persino Dio lo approva.
Così ogni guerra lenisce il mondo, e per milioni di morti miliardi non nasceranno. E allora, solo in quell'annientamento, le cose paiono trovare un loro senso, una salvezza nel nulla.
Nel mai più. Dio.

Viviamo per ammazzare il tempo, cronofagi che precipitano. Ma io sono sceso, il tempo non può più trascinarmi con se. Sono fuori dalla speranza, dalla storia. Chiuso nella mia solitudine sfido quella di Dio.







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