lunedì 8 settembre 2014

Appunti di un aspirante fallito



Ad aver maggior bisogno di solitudine, e a trovarvi conforto, sono i disadattati di ogni età. Essi hanno infatti maggior bisogno di non spiegarsi agli altri.
Anche quando il disadattato è fermamente convinto delle sue posizioni evita - o cerca di evitare - ogni confronto. Quando invece si ostina a rivelarsi agli altri si fa profeta di se stesso, generando incredulità e disapprovazione.
La sua non è mai una coscienza assoluta, né in assenza di serenità potrebbe esserlo, ma subalterna ai mezzi della scienza nel periodo in cui vive, per cui dove mille anni fa s'arrampicava all'eremo per veder le stelle, oggi scava nella rete, pur non essendo totalmente convinto di niente oggi come allora.
La sua esistenza è una pioggia oscura contro la vita che lo ha tradito, ogni goccia si infrange nera contro la schematicità assolata delle cose.
Se a volte la totale presa di distanza dalla maggioranza e le sue abitudini conformate nasce da rivelazioni acquisite o spiccate capacità intellettuali, spesso è la conseguenza di rancori sociali, abitudini degenerate, incapacità a relazionarsi, elevate capacità spirituali.

Chi non sta bene con se stesso, e non ha i mezzi per capirsi: non sta bene neanche con gli altri. Ma perché?
Perché non essendo in grado di comprendere a fondo se stesso non assolve a quella necessità sociale di darsi con vanità e con superficialità rispecchiarsi negli altri.

Ma che cos'è quell'essere interiore che si allontana?
Egli è l'uomo che basta a se stesso, colui alla cui mente la bellezza si allatta.
La sua anima ricca non abbisogna del piatto logorio mondano né delle sue lusinghe.
Ma non è forse il mondo intero che fugge da quest'uomo?
La maggioranza infatti dorme il sonno che non sogna, e tutto ciò che si fa risveglio la ferisce; tutto ciò che penetra nella sua alcova addormentata la irrita.

Ma queste dopotutto sono solo belle parole. Se disegniamo un pentacolo per evocare la logica, del buon senso, i fatti sono questi, e cioè che nella vita alcuni ce la fanno - qualsiasi cosa possa voler dire farcela -, altri no.
E nessuno ha mai capito in base a cosa.
Fortuna?
Ridicolo, o forse no. Certo non si può parlare di nascita, o di famiglia, o cose così. In che altra famiglia si potrebbe nascere se non la propria?
Sono, questi, in un certo senso, ragionamenti superstiziosi.
All'inizio abbiamo delle carte. In base a tantissime cose possiamo cambiarle o meno; ma potremmo anche non avere mai questa occasione.
Poi si gioca - cos'è la vita se non un gioco?
Si vince, si perde, si sta a guardare gli altri che vincono o perdono o cadono dal tavolo.
Appare tutto molto casuale, troppo casuale per essere serio.
Tuttavia non c'è niente da ridere.
C'è molta amarezza in quello che dico, e come potrebbe essere altrimenti...

Ma si può scegliere di non farcela?
Penso che nessuno lo faccia, almeno non consciamente. O forse a un certo punto si sceglie di autodistruggersi.
Gli animali lo fanno, se stanchi o malati si isolano fino a morirne, e il disadattato fa la stessa cosa pensando di farne un'altra, pensando di fare chissà cosa, chissà quanto, e invece sta solo morendo un po' più in là del dolore.
Eppure, se si potesse morire per poi rinascere, che cosa meravigliosa sarebbe la vita.
Non che così sia orribile, o almeno non del tutto, ha però la sfuggevolezza delle cose uniche, quelle per cui non esiste ritorno. Così che ci sia impossibile, una volta capita, avere la possibilità di dire: gioco ancora!
Cioran parlava della fuga dall'essere nati, e della caduta nella morte che altro non è che l'estrema conseguenza del trauma iniziale di essere diventati vita senza poterlo sopportare.
Ma il disadattato pensa pur sempre coi mezzi suoi propri e del suo tempo, e da questi si lascia ingannare prima ancora che dalla vita in se, e dice: mi hanno ingannato, se solo non mi avessero così ingannato. Oppure: io sono l'unico che non si lascia ingannare.
Ma è un pensarsi contro, è un volersi imbrogliare da soli, perché piuttosto che siano gli altri a farlo preferisco essere io.
Ma si può parlare di auto-inganno quando si è sovrani di se stessi?
E che cos'è, l'inganno, che nome ha quando assume sembianze materne, e ci culla, ci da un senso? È ancora inganno, o è madre e fonte di ogni cosa?
Meglio essere Re di me stesso che suddito del mondo, dice il non-adatto, l'anima proteiforme, e lentamente si esilia lontano, come una stella schizzata via dalla rotazione galattica, laggiù, nel nero golfo, negli spazi profondi dell'interiorità, per splendere da soli ed essere tutt'uno con la notte.




5 commenti:

  1. Si può scegliere di non farcela? Si può decidere che questo gioco non ci piace e siccome non ne esiste un altro ci si rifugia nella propria misantropia o nelle fantasticherie. I motivi per odiare tutto e tutti, o per non volerci avere a che fare, ci sono, eccome. Ma chi si mette da solo in un angolo ha sempre perso.

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  2. "Ha perso" intendo come ha perso l'opportunità di dare un senso alla propria vita, di capirla, di goderla. Si è messo in un angolo perché non gli piace il ballo degli altri. Magari ha qualche ragione, ma lui resta comunque in un angolo.

    Chi vince, cosa vince? qualche effimera vittoria, la sensazione di esserci, di vivere, forse. Di non essere rimasto chiuso in un angolo. Ma anche la prospettiva di aver fatto qualcosa della propria esistenza, di poter trarne le somme.

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  3. Spunto di riflessione: http://it.wikipedia.org/wiki/Misantropo_%28Bruegel%29

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