martedì 8 ottobre 2013

L'errore



1

Bicchieri era una ragazzo tranquillo, un poco testardo ma tranquillo. A volte, Bicchieri, scadeva nel fanatismo, in una qual certa ossessione per le cose: era quello che si suol dire un passionale. Detto ciò, e fatta un'alzatina di spalle, restava pur sempre un giovanotto tranquillo. In un appartamentino piccolo ma accogliente, ricevendo visite e recandosi a lavoro, esisteva tranquillamente in quella che potremmo definire, sempre che nessuno se ne dolga, una vita tranquilla.
Aveva un padre e una madre ma in questa storia non hanno parte. Aveva anche, in un certo senso, un cane. Un cane in carne e ossa che egli teneva come un figlio, che in tutto e per tutto girava per casa scodinzolando e mordicchiando cose. Ma anch'egli - il cane - in questa storia non avrà parte.
Parliamoci chiaro: l'unico che ha un ruolo in questa storia è Bicchieri. Ma è un ruolo sbagliato.
E così usciva, come escono di solito le cose, e andava in giro come una persona, tra amici e Re del quartiere, e parlava ora con questo e ora con quest'altro sempre sorridendo e annuendo con la testa, ma con in testa niente. Perché era un po' come se qualcosa non funzionasse.
Perché - aggiungo -, vedete, Bicchieri aveva nonostante tutto un problema di fondo, ossia gli restava difficile ben addentrarsi nel mondo. Faticava, diciamo, ad avere una normale rete di relazioni socio-umane. Ma non solo. Bicchieri faceva letteralmente una fatica dannata anche solo per riuscire a trovare interessanti gli altri. Insomma, voi direte: forse era troppo intelligente!
No, dico io: era solo un disadattato. Del resto l'intelligenza, se è superiore, fa si che ci si integri ovunque, comunque, e non si perda mai di vista la realtà delle cose. E la realtà delle cose è che sono maledettamente relative e brevi, cosicché una persona intelligente non possa esimersi dal buttarcisi.
Ora, come detto, Bicchieri era poco propenso a buttarsi, e di fatto se ne stava laggiù, nell'angolino delle cose accennate, vestito di ombre e borbottante.
Si diceva sempre che "magari un giorno...", e poi niente, nell'angolino. Tra le ombre, come un qualcosa, appunto, di sbagliato.

Una mattina d'estate si svegliò quasi infreddolito, aperse le imposte per osservare un cielo diafano, impallidito. E la realtà delle cose, ora, sembrava irreale, di quell'irrealtà che si coltiva nei sogni e nelle speranze. La città taceva salvo una sottile onda di tutto, come se un fischio magnetico emanasse dalle cose per non darla vinta al silenzio.
Si vestì e usci' per strada.

2

Sulla lunga prospettiva del marciapiede i viandanti erano come immobilizzati da un evento mostruoso, tanto che la prima reazione di Bicchieri fu di chiedersi se non fosse successo qualcosa e disse, impaurito, "magari è morto il Re!", ma poi si ricordò che un Re non c'era, né c'era forse mai stato, e in definitiva non gliene era mai interessato niente, e così riprese a camminare per capire, e si spinse oltre verso la fermezza innaturale delle genti vicine, e fece: "signori, cosa avete, cosa fate che non vi muovete?!", ed erano un uomo e una donna sulla trentina con bimbo nel passeggino in bella vista, e così com'erano stavano. Fermi. Zitti. E anzi, a sentir bene, e anche Bicchieri ascoltava ora con più attenzione, qualcosa pareva che dicessero. "Come dice, signora...?"
Ma non diceva proprio niente, solo apriva la bocca e usciva del fiato, come un lamento esausto o il rumore di un sonno accaldato. Neppure gli occhi osavano guardare, né si giravano né sembravano mettere a fuoco alcunché. E l'uomo uguale. Il bimbo, poi, niente, come se non ci fosse neanche.
Cosa succede, che avete? è successo qualcosa...
E via così, chiedendolo al prossimo e al prossimo ancora, e tutta la via, tutta la prospettiva geometrica del viale, tutto il carnaio delle persone vestite giaceva uguale e simile nel loro appena fiatare e non dire niente. Immobili, assenti, inermi.
E Bicchieri credette di impazzire.

Gira, gira la città, nelle sue luci e nei colori
girano anche gli orrori che sono nelle luci e nei colori
Vai, vai a spasso tra la gente
rechiamoci al corso e alle bancarelle
Andiamo al mercato che urla
al porto umido
Ai portici oscuri
giriamo ovunque
Come una ruota senza meta
che evita le buche sparse ovunque
Ma prima o poi si cade, si prende una buca
allora ci si ferma in attenzione, e ci si rende conto che siamo persi

E dopo aver girato tutti i luoghi che conosceva, tutte le strade e le piazze, i negozi e le vie, vide che ogni cosa era né più né meno come l'aveva avvertita fin dall'inizio: ferma e sospirante. E si chiese "non sarà una malattia?", o qualcosa del genere, del resto cosa volete che si chiedesse. Si è senz'altro chiesto qualcosa di simile, o forse no. Chi lo sa, volete che sappia qualcosa? Sciocchi.
E Bicchieri girava come girano le ruote senza senso dell'universo, intrappolato nel suo non capire. E pensava... ormai forse non pensava più, era nella fase in cui l'istinto sopraffatto dalla paura ci fa regredire a un'unica cosa, che si muove e avverte il presente nello stesso tempo. Così lui si muoveva elettrico per la sua città che era impazzita. E poi semplicemente toccò un seno, due, mangiò gratis a una bancarella, prese un paio di scarpe da una vetrina e fece sesso con la commessa.
Bicchieri capì che poteva fare quello che voleva come voleva, che l'umanità si era fermata di colpo come colta da una grande, un'enorme stanchezza che le lasciava spazio solo per restare in piedi ed emettere un flebile alito di vita cozzante sulle corde vocali. E lo fece senza più chiedersi cosa stesse succedendo o se fosse impazzito. Bicchieri si divertì come non aveva mai fatto. Si diverti per assenza. Degli altri.
E la giornata passò. Curvo con delle cose in mano e molte altre in testa s'era seduto su una panchina lontano dal corso in cui si era divertito, a ridosso del mare.
E poi successe, tutto ricominciò a muoversi, tutto si riaccese come prima, e come se niente fosse le persone ripresero il loro moto da un luogo all'altro continuando a fare quanto abbandonato prima dell'inconoscibile evento. E Bicchieri restò lì, improvvisamente terrorizzato - anche maggiormente di prima - che qualcuno potesse scoprire cosa aveva fatto, o peggio che nella loro immobilità lo avessero visto e ora sapessero.
Così si alzò di scatto e fuggì a casa. Vi restò per il resto del giorno.
La mattina dopo si alzò come sempre, sicuro che ciò che in precedenza era accaduto, ossia quello che stiamo raccontando, fosse un sogno. Uscì e andò a lavoro, e infatti tutto era come sempre, uguale e indistinto. I giovani ridevano, gli adulti parlavano: i vecchi sognavano cose al di la di un confine spaventoso, e tacevano. Le donne sbattevano i loro sederi dove capitava e spingevano i già rivoltevoli cuccioli della specie dentro astronavi opulente.
E Bicchieri lavorò e si riposò, poi lavorò ancora. In fondo faceva un bel lavoro, ma ciò nel racconto non trova posto. Poi accadde ancora, e tutto come intrappolato sotto un sudario di stanchezza si fermò, riprese l'immobilità delle cose antiche, e le persone - le donne, i vecchi, i giovani - smisero di vivere le loro sciocche vite e presero parte al ballo dell'immobilità sospirante. E furono solo rochi respiri, un rutto qua e la, i fischi delle piante. Le piante, si rese conto ora Bicchieri, stavano urlando.
Che fare? - "Cosa farò?"
Agì.
Ieri era durato un paio d'ore, oggi avrebbe fatto tutto in un'ora. Così tornò a divertirsi, con la commessa e con altre due, alla bottega dei sapori e in un negozio di elettronica, facendo in modo di sbrigarsi - era infatti costantemente insicuro - e portare a casa quanto voleva rubare. Ancora qualche toccatina in giro e poi, lontano dal luogo dei suoi misfatti, sedette ad aspettare. Come si aspettava allo scadere delle due ore tutto tornò come prima, proprio come se il tempo che noi intendiamo si fosse fermato e l'universo si fosse preso una pausa. "E gli aerei?" - pensò - "le navi e chi nuota in mare, e poi chi guidava in autostrada o correva per la sua vita, cosa ne è di tutti loro? Forse che ciò accade solo in questa piccola città dove vivo?"
Pensando questa e altre cose camminò lentamente verso casa, ben pasciuto di carne e altri averi agognati che aveva ottenuto.
Il giorno dopo non andò a lavorare.

3

Attese.
Alla solita ora tutto si fermò. Questa volta prese principalmente dei soldi. Trovava ancora attraente l'immobilità delle donne, era pur sempre una novità, ma questa volta non ci badò. Prese tutti i soldi che riuscì a trovare. Nel giro di un'ora era praticamente ricco, così andò direttamente a casa e cominciò a sognarsi. Affacciato alla finestra aspettò che tutto tornasse a scorrere nel fiume delle cose. E tutto, all'ora opportuna, tornò a scorrere.
Ora iniziò a fare piani.
Sì sarebbe comprato questo e quello, poi magari una bella casa e ci sarebbe andato a vivere. Ma non nella sua città, no no, quella per lui era ormai maledetta. Altrove. Molto, molto lontano. Abbastanza lontano da dimenticarsi le facce assenti e mugolanti degli immobili, che sognavano svegli, come lui, di essere altrove. E forse era davvero così.
Poi un giorno lo vide. Stava facendo il suo solito giro per raccogliere soldi e belle donne quando gli parve di cogliere con la coda dell'occhio un oggetto in movimento, lassù, alla fine del lungo viale alberato. Quando guardò non c'era nulla.
"Mi sarò ingannato" si disse, e per quel giorno non ci pensò più.
Quando poi se lo trovò davanti sotto un porticato in ombra, alto, che veniva verso di lui, non ebbe più dubbi.
- Chi sei? - disse - cos'è questo? - aggiunse, come se sentisse il bisogno di chiedere spiegazioni a quella cosa che gli veniva incontro.
Poi l'essere  gli si parò davanti, nero e lucente ma... con dei difetti, difetti percepiti da sensi che Bicchieri non sapeva di avere, come se trovasse in quella cosa un errore che non dovrebbe esistere. E poi sparì, lasciandolo nuovamente solo.
Confuso e impaurito fuggì a casa e li restò senza più uscire per diverso tempo.
Si chiedeva cosa fosse quell'essere nero, e certo non era immobile. Ma dopotutto la realtà aveva già perso ogni parvenza logica da quando si era come fermata e proseguiva a turni, e forse era già pazzo e non ci badava. Tanto che uscì. E lui era lì, ad aspettarlo. In mezzo a una piazza, sotto delle fronde lucenti e gemme di sole che colavano a picco lui era lì.
- Chi sei? - gli chiese ora con più sicurezza.
- Io sono l'errore. Sono un errore.
- Di cosa parli?
- In questo mondo si è generato un errore, uno sforzo della mente. Lui pensava a questo pianeta e la sua mente per rilassarsi ha iniziato a generare errori. Quando tutto si ferma è un errore. Quando appaio io è un altro errore.
- Di cosa parli, quale sforzo?
- Il pensatore di mondi compie sforzi di enormità. A volte la sua mente troppo stanca si rilassa e nascono gli errori.
Bicchieri credeva a tutto, perché non crederci in fondo.
- E lui...
- Sì, lui è stanco - disse l'essere nero indicando il cielo
- Dio?
- Chiamalo come vuoi. Credo stia impazzendo.
- Perché io non mi fermo?
- Anche tu sei un errore Bicchieri, tu sei come me e non lo sai proprio perché sei un errore. Sparirai appena le cose torneranno a posto e ti sembrerà di essere sempre stato a casa. Ma tu non hai una casa, sei un punto nero nella sfolgorante mente del pensatore. Come me.
- Ma sono io, Bicchieri, sono sempre stato qui. Solo che ora succede quella cosa, quella in cui tutti si fermano. Ho forse sbagliato ad approfittarne?
- Non avresti potuto fare altro Bicchieri. Presto, molto presto, le ore in cui tutto si ferma inizieranno ad allungarsi. Poi a tornare indietro. Infine non ci sarà più ripresa. Questo perché lui è vecchio e la sua mente vacilla. Alla fine di tutto, poi, morirà, e tutto questo con lui.
- Ma cosa siamo noi? - chiese Bicchieri - forse che siamo i sogni di un sognatore, fantasmi astratti?
- Sono un errore come te, non lo so.
- Eppure conosci lui. Sai cose che io non so.
- Questo perché mi è già successo.
- Già successo? vuoi dire che...
- Non voglio dire niente - e così dicendo sparì
Bicchieri restò immobile a fissare il punto dov'era quella cosa nera. Cosa avrebbe fatto ora sapendo che era tutto un sogno, solo un sogno, un lungo e strano sogno...
E poi si svegliò. Era una mattina d'estate e un cielo livido, con una chiazza pallida lì dove sarebbe dovuto apparire il sole. Uscì per andare a lavoro. Tranquillamente.E nella città c'era uno strano silenzio, come se tutto si fosse bloccato.
Avvicinandosi a due persone che spingevano una carrozzina le percepì immobili, e come ansimanti.

Lui è stanco
Continua a fare errori
Dov'è che li compie, in questo o in quel mondo?
Troppi bicchieri ha bevuto l'autore, e così s'è sbagliato
o tutto il resto è sbagliato
E ricomincia l'errore
Da capo

Bicchieri era una ragazzo tranquillo, un poco testardo ma tranquillo. A volte, Bicchieri, scadeva nel fanatismo, in una qual certa ossessione per le cose: era quello che si suol dire un passionale. Detto ciò, e fatta un'alzatina di spalle, restava pur sempre un giovanotto tran-n-n-n-n@@@quillo...

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