mercoledì 9 ottobre 2013

I maghi erranti - racconto primo - La cava abissale

1. Goterius

-Passami la fiaccola, non vedo niente!
- Maestro, mi dia il tempo di accenderla
- passala così com'è che la accendo io!
Detto questo l’uomo semi immerso nell'oscurità trasse a se l’ingombrante ceppo di legno secco e con un breve cenno delle mani e forse qualcos'altro lo portò verso di se, lo agito brevemente e questo si accese.
Il ragazzino esile, al lucore esitante ma immobile della fiamma opaca, si illuminò dei suoi vent'anni scarsi, tirò su una borsa di cuoio rifinito a dovere, di quelle che usano i fabbri ferrai imperiali, e accuratamente imboccò il sentiero cavernoso dietro quello che, a tutti gli effetti, si sarebbe detto essere il suo maestro. Il maestro, appunto, di nero vestito e incappucciato come ad affrontare una lunga marcia invernale, nonostante l’ampiezza del tunnel roccioso dove si trovavano a camminare si guardava bene dall'ergersi in una postura eretta, e anzi proseguiva piego e guardingo, come se da un momento all'altro mani di tenebra o rocce appuntite dovessero piombare dall'abisso tetro che li sovrastava. Avanzando con la torcia strettamente impugnata nella mano sinistra, teneva questa abbassata  dietro il suo corpo magro, creando così, per chi se lo fosse visto venire incontro, una buia figura senza viso proiettata dalla luce che seguiva il tutto come uno stanco alone diafano.
Nel nero pertugio che li ospitava tutto era immobile, come un mare d’ombra che attenda un’alba insperata. Solo a sprazzi si faceva strada nell'etereo nulla che li adornava una calda corrente debolissima, ricordo erroneo del calore lasciato in superficie, o il respiro dormiente di qualche essere abissale.
Dopo molto avanzare, sia questo pianeggiante, in leggera discesa, o decisamente verso il  basso – ma mai verso la luce del sole – il ragazzino minuto, che chiameremo Tiberius, non tanto preoccupato dei pericoli verso cui marciavano, ma piuttosto del pasto rimandato da, come usava dire, “solo i demoni della guerra sanno quanto”, iniziò dapprima a trascinare gli stivali in pelle morbida sul suolo pietroso, a bofonchiare qualcosa, a sospirare borbottando, e infine, davvero affamato, sfiorò un lembo della manica reggente la torcia sussurrando qualche parolina stentata.
 – Maestro, maestro Goterius, che ne direste, maestro, se ci fermassimo a fare un piccolo pasto, anche solo un po’ di pane con quella carne che ci ha dato il vecchio Balzac nella sua fattoria rupestre. E perché, un goccino di quel liquorino che, beh, in questo schifo di grotta dove ci siamo infilati non ci starebbe mica male. No, maestro?
Goterius dapprima non diede segno di aver udito il benché minimo suono, ma da lì a poco, non si può dire se perché desideroso anche lui di riposo o perché la strada presentasse un bivio che richiedeva tempo per essere risolto, senza aprir bocca, e appoggiando la torcia ad una cavità nel muro, si sedette a gambe incrociate e, con un gesto di mano, indicò a Tiberius che poteva sondare il borsone peloso alla cerca di vettovaglie e liquori.
- Vedrete, poi avanzeremo senz'altro meglio – ripeteva Tiberius, mentre Goterius fissava adombrato e scuro in volto le due gallerie che si aprivano dinnanzi a loro, cercando un qualche motivo per prendere quella delle due che volgeva ancora più in basso, da cui sembrava venire in lontananza rumore di acque, o l’altra, che almeno inizialmente proseguiva pianeggiante, e da cui alcun suono sembrava giungere: solo un’impronta aerea si levava impercettibile ai sensi, l’unico dei quali ad esserne sfiorato era, in minuscola parte, l’odorato, o qualcosa che impegnava in pari modo odore e tatto. Come l’emanazione spirituale di una rabbia dormiente.
Mangiarono in silenzio.
2. Tiberius
- Cantatemi una canzone maestro, o indicatemi come pensare, che qui, che gli scheletri delle lande dell’est ci colgano in fallo, avanziamo da mezza giornata e ora voi mi sembrate incerto sul da farsi; se quel buco nero alla cui base nasce un fiume tenebroso o l’altro, che avanza tra funghi velenosi e puzzo di petrolio, e che il diavolo infernale mi colga se non si butta anch'esso in qualche voragine senza fondo.
Detto questo Tiberius diede un altro morso alla carne secca e pensò bene di togliersi uno stivale per grattarsi un piede, cosa che, malgrado la gravità della situazione, situazione per lo meno da lui percepita come grave, non trovò modo di rimandare, così che proprio mentre Goterius sembrava uscire dal tunnel austero della sua pensierosità, e accennare risposta, Tiberius prese a grattarsi di così gran sollievo la pianta del piede da emettere un lungo e appassionato ululato di piacere, facendo sembrare l’appena risvegliata profondità della voce del suo maestro come un plauso a tanta pignoleria nel ripulirsi ben bene le estremità inferiori.
- E mai possibile cane lascivo che tu stia sempre a grattarti o masticare?! Che ti colga una peste fulminea, dannata scimmia che non sei altro! E poi, che vai dicendo! Io so benissimo dove andare, tireremo diritto nel tunnel dove crescono i funghi minerali, e se vuoi sapere il perché, beh, ma perché è ovvio!
- Sarà anche ovvio Maestro, e io sarò anche un cane, ma voi è da un pezzo che vi grattate la fronte, e parola mia che sembrate nient’affatto deciso.
- Sciocchezze – tirò corto Goterius – ora raccogli i tuoi stracci e rimettiamoci in marcia. Prima troveremo l’antro dell’eremita geocentrico e prima apprenderemo quanto ha da dirci. – Così detto, alzatosi con una qual certa eleganza, ravvivò le fiamme con gesto di stizza e senza voltarsi si immerse nel tunnel centrale, sparendo tra le sue fauci silenti, e lasciando dietro di se la perdizione dell’assenza di luce. Immediatamente Tiberius gli si gettò appresso, ripetendo tra se e se che questa volta la situazione puzzava, “e che io sia dannato se questo posto non puzza per davvero!”.
3.
Alla fioca luce della fiamma alchemica creata da Goterius, ora di un colore celeste acceso per meglio scorgere le asperità della via ignota, si affacciavano come demoni scrutanti le alte volte del soffitto arcaico,  incombenti giganti rocciosi in attesa dell’obliato risveglio. Il ventre umido della terra produceva silenzi dilatatisi nel tempo, come echi di niente diffusi nelle ere ancestrali di quel luogo. A ogni passo sulla roccia granitica Goterius proiettava la sua acutezza nello sforzo di rivelarsi alla vista l’indizio al centro della sua cerca, mentre Tiberius, dimentico di ogni avidità, temeva le potenze nascoste in quel luogo, continuamente impegnato nel cogliere strani rumori e oniriche presenze.
- Ormai dovremmo essere nelle vicinanze dell’eremo, dove il vecchio della terra custodisce l’arte nascosta della geomagia. Egli mi rivelerà, come premio d’averlo trovato nel ventre delle montagne, le formule arcane che servono a completare il mio addestramento.
- E se così non fosse, Maestro? – obiettò Tiberius – Insomma, questo eremita noi neanche lo conosciamo, potrebbe benissimo star cenando, o in qualsiasi modo si chiami un pasto in questa notte eterna, e di conseguenza scacciarci malamente. Inoltre la diplomazia non è il suo forte, bisognerà che ci parli io; perché, vede…
- Taci! – sbraitò Goterius, con un viso così acceso da emanare una luce propria nella fioca galleria – Egli si trova qui per attendere chi cerca il sapere, non per mangiare o dormire. Inoltre io servo l’ordine segreto dei maghi neri, e con tali credenziali sarò accolto come se fossi alla corte di un re del grande Nord.
- In tal caso, Maestro, - aggiunse Tiberius, assumendo un’aria perplessa e rivolgendosi – causa l’infittirsi dell’oscurità dovuto all'indebolirsi della fiamma – verso il muro, in tal caso Maestro non fiato più.
- Va bene, ora smettila di parlare con i muri e seguimi, non servirà rinvigorire la luce dei cercatori, ho scorto alcuni sigilli di protezione indicanti la prossimità di un grande potere. Siamo dunque giunti, preparati a incontrare il geoeremita e stai bene attento a non recargli offesa.
- Come vuole maestro. – Rispose Tiberius, continuando a pensare tra se stesso: “con i muri, eccerto, perché parlare a Goterius è forse diverso? Lo sa Mitra cosa ci aspetta in fondo a questo tunnel scavato da chissà quali creature striscianti, sarà meglio preparare la polvere.”
4.
Come predetto da Goterius arrivarono alla fine di quello che pareva un tunnel infinito, e per la precisione facendosi largo in un piccolo spazio scarsamente illuminato da strane pietre ardenti di propria vita, semi sommerso in una grigiastra vegetazione appiccicosa. Il terreno era divenuto soffice e tiepido, e le periodiche correnti d’aria calda, traversanti le distanze desolate di quella via, emergevano direttamente dal putridume ribollente che macchiava quell'aula immonda: e grandi bolle ne rifluivano, scoppiando di lamenti mentre sprigionavano miasmi soffocanti.
- Certo dev'essere un grand'uomo questo eremita dei sassi - Esclamò Tiberius - , per vivere in cotanta bellezza. Per non parlare poi della puzza. Ma che magnifica puzza.
Come sua abitudine Goterius si girò, tentando senza celarne l’intenzione di incenerirlo con lo sguardo. E ora che la tenebra avvolgente s’era dipanata il suo viso era finalmente visibile. Un grande naso adunco, dai contorni pigri, se ne stava appollaiato su un faccione dai tratti arcigni. Due grandi sopracciglia nere sormontavano come pellicce boreali la profondità dello sguardo erudito del Mago oscuro, e la pelle, bianca come il sale, se ne fluiva lenta verso il mento pronunciato, come fiumi magmatici argentei senza l’intenzione di cadere dal volto. Tutto questo, e molto ancora , sembrava creare un mago dalla possanza esasperata. Non fosse che, e Tiberius ben lo sapeva, dietro tale severità si nascondeva un animo non privo di gentilezza, poco incline all'uso della forza o dell’inganno. Ma non per questo l’ambizione di emergere nella propria arte era meno marcata.
- Ora fai silenzio e ascolta – parlò Goterius, col suo miglior tono basso e calmo, preannunciatore di sciagura – Da qui in poi inizia l’antro magico dell’eremita. Chiudi quel postribolo imperiale che hai al posto della bocca e seguimi. -  Repente estrasse un bastone guida dal nero mantello e iniziò a tastare la palude fetida, per scovare la via.
Non fecero in tempo a percorrere neanche pochi metri che una voce dall'alto li fermò:
- Cosa volete, e chi siete? – si senti un vocione roco venire da tutt'intorno
Entrambi alzarono lo sguardo verso la misteriosa voce proveniente dalle profondità di quel luogo, e poi tutto fu rumore. Un grosso lampo verde balzò da dietro la duna argillosa che ospitava quel gran vocione, zigzagò nell'aria per poggiarsi proprio ai piedi di Goterius, e da quell'urto ne nacque all'istante un grosso fungo. I due non fecero in tempo a muoversi che un altro grosso lampo verde sbucò fuori dallo stesso punto, per scindersi in volo in più parti e cadere, con un rumore viscido e fangoso, intorno ai due attoniti esploratori; e in ogni luogo ove cadeva ne veniva fuori un gran fungo.
- Parola mia Maestro che questo qui vuol farci diventare funghi. Mettiamoci al riparo e pensiamo al da farsi. Ma al riparo per Mitra!
- Certo chiunque sia – ribatté Goterius -, o la sua magia vuol solo intimorirci o non sa cosa sia una buona mira. Mostrerò io a questo vigliacco cosa siano le arti arcane
E per pronta risposta un grosso fungo gli sbocciò proprio sul naso. Così che, a una velocità che della magia aveva a malapena i contorni, come se l’idea di acquattarsi nell'ombra fosse sua, prese per una manica Tiberius e si trascinò dietro un grande masso muschioso.
- Vi assicuro che questo fungo vi dona Maestro, chissà se e velenoso
- Taci e passami la polvere!
Tiberius, previdente di natura, ne aveva già un sacchetto pronto all'uso, e in un baleno Goterius fu di nuovo in piedi pronto a esibire la sua arte
- Rafandal gothel clurus! – recitò con voce tuonante, per poi gettare una manciata di polvere verso il luogo da cui venivano i lampi verdi. Il soffitto fu illuminato a giorno, e due grandi saette si gettarono verso il bersaglio deflagrando nelle profondità dei monti come gli spasmi del pianeta nelle ere dimenticate. Poi fu silenzio, e i due, rimessisi al sicuro, da dietro due grossi funghi, terzo dei quali era il nuovo naso di Goterius, osservavano la scena per cogliere il minimo movimento.
Dopo un tempo che parve lunghissimo la voce rispose da lontano. Fiutando una certa puzza di bruciato.
- Rinsavite sciocchi e mostratevi, siete nella dimora del geoeremita Terricus, e le guardie da me erette in queste aule hanno l’ordine di fermare ogni intruso. Chi siete, dunque, e cosa fate in casa mia?
- Io sono Goterius - rispose prontamente il mago - adepto nero della capitale di questo regno. A lungo ti ho cercato per queste vie tortuose, per divenire adepto nella tua arte e ammirarne la grandezza.
Dopo queste parole, dette con una gran voce tanto poderosa che ne sembravano due sovrapposte, dalla penombra nebbiosa della palude interna strisciarono fuori dapprima un golem di fango e pietra, e appresso questo un omino di una certa età avvolto in una mantellina di cuoio esausto e vesti impiastricciate.
- E io sono Terricus – disse l’omino – vieni dunque e sii benvenuto mago nero dalla capitale. Quello che vuoi sapere io posso insegnare. Certo che - aggiunse poi - con i tuoni ci sai fare.
5. Terricus
Una nebbia ottenebrante scendeva a coprire le cose, come se in quel luogo scarsamente illuminato le notti della superficie fossero sostituite da un sudario gassoso. Dentro una piccola capanna, divisa in due stanze e appoggiata a un grosso albero grigiastro, sedevano tre persone, una delle quali intenta a fumare una grossa pipa così di gusto da credere che fosse proprio lui a creare l’alone nebbioso. Le altre due tacevano come in attesa di qualcosa, mentre sullo sfondo un esserino sembrante l’emanazione corporea di quel luogo era tutto intento a metter qualcosa sul fuoco, levarne altre e tagliuzzare tronchetti.
- Presto il mio golem palustre ci servirà del buon cibo, intanto ristoratevi e fumate
- Ti ringrazio Terricus – rispose Goterius – la tua ospitalità ci onora, e più onore ancora mi darebbero i tuoi segreti.
- Non ora! Non adesso! – eruppe Terricus – prima dobbiamo riposare, riposare e nutrirci.
Tiberius e Goterius si guardarono in viso, ovviamente non come due complici, né come due che si trovino per un attimo a provare la stessa emozione: Goterius era semplicemente incollerito per la reazione soddisfatta di Tiberius alle parole dell’eremita, e Tiberius, appunto, si guardava bene dal nasconderlo e anzi, adagiatosi più vicino al fuocherello prese a stiracchiarsi con tanto piacere da sembrare si fosse persino dimenticato dell’odore marcescente di quanto vi bruciava dentro.
Poco dopo il golem fangoso si avvicino al centro della stanza, con i suoi occhietti verdi e la sua andatura dinoccolata, recando con se diverse ciotole adagiate su un vassoio di pietra, alcune tazze e delle piante essiccate. Poi si fece da parte, sparendo chissà dove.
Dopo il banchetto frugale Terricus si accese un’altra pipa ancora più grossa della precedente, e toltesi le scarpine di erbe intrecciate si adagiò su una fascina di rametti mollicci. Sembrava molto avanti con l’età. Sotto gli occhi gonfi aveva una protuberanza rossastra che un tempo doveva essere stato un naso, e la sua boccaccia tutta storta da un lato mentre parlava si apriva talmente poco da dare l’impressione che ci tenesse qualcosa pronto a scappar via
- Come mi avete trovato?
Goterius finì di pulirsi la bocca con un panno da viaggio e diede un’occhiata di sbieco all'interlocutore, dopodiché rispose: - Abbiamo seguito le antiche mura di Cristallia che partono dalle pendici del monte Vector. Da lì i contadini rupestri delle alture ci hanno indicato il luogo delle rovine. Una volta giunti nelle macerie delle vecchie città montane trovare l’ingresso del tunnel oscuro non è stato facile. Alcuni predoni del sud erano accampati nelle praterie adiacenti, loro ci hanno dato qualche indizio raccolto nell'aver precedentemente esplorato la zona. Ovviamente l’intenzione iniziale da parte loro era  un’altra, ma dopo il mio intervento sono scesi a più miti trattative.
Intanto Tiberius mangiucchiava ricordandosi le terribili mazzate prese da quei ladroni, e come il ritrovamento del tunnel fosse stato del tutto casuale.
– Una volta imboccata la via buia giungere fino a qui non è stato semplice - continuò Goterius - , più volte ho avuto il presagio che delle creature ci osservassero, e come sai al limitare della palude interna il tuo servitore ci ha aggrediti. Mi chiedevo a proposito quando se ne andrà questo fungo dal mio naso – e nel dire questo controllò bene che Tiberius non osasse sghignazzare.
- Le creature che avete presagito nel tunnel sono reali. I figli della terra hanno sempre fame, ma il vostro fuoco li intimorisce – questa fu la risposta di Terricus, che ignorò completamente il naso del mago nero.
- Per le vette immacolate, di che creature si tratta? Certo se dobbiamo riattraversare quel posto sarà bene saperne di più – chiese preoccupato Tiberius
- Credevo fossi troppo impegnato a ingozzarti per preoccuparti della tua vita – disse girandosi Goterius –, ma in effetti saperne di più non ci nuocerebbe. Anzi, se come dite voi essi sono pericolosi…
Terricus si fece silenzioso.
- Ne parleremo quando verrà l’ora. Ora ditemi, Goterius, pensate di essere in grado di apprendere la mia scuola?
- Maneggio già gli elementi e qualche magia oscura, ma solo l’arte della terra è davvero efficace contro l’acciaio degli uomini venuti da est, e io certo posso ottenerne la sapienza.
- Se davvero è come dite mostratemi cosa sapete fare, dopodiché giudicherò.
Quindi Goterius, senza nessuna preparazione che non fosse quella di alzarsi in piedi, allungo una mano, e dal nulla innanzi a lui si formò una sfera nerissima vorticante nell’aria. – Questa è Moloka, la sfera dei maghi neri. L’assenza di luce può vincere ogni elemento, te lo dimostro. Strinse quindi il pugno con evidente sforzo, mentre allo stesso tempo la sfera pareva rimpicciolirsi, e proprio mentre il piccolo golem di fango e pietra rientrava con altre ciotole Goterius aprì velocemente il palmo schiudendo tutte le dita all’unisono, azione che proiettò la sfera oscura fuori dalla finestrella rotonda della capanna facendola deflagrare contro un robusto masso addormentatosi eoni orsono  nel centro della palude. Un rumore distorto e sordo fece seguito, rincorso a breve distanza da quello dello stesso masso che cadeva molti metri più in la in tanti pezzi.
- Stupefacente, non c’è che dire. Ma ditemi, nero tra i maghi, perché un già così valente stregone ha bisogno proprio della mia arte per combattere nelle guerre degli umani?
- Questo perché la magia oscura è assai dispendiosa, dominare il vuoto tenebroso richiede grande sforzo e nell'arco di molti minuti non ne potrò creare un’altra simile. Mentre la terra si manipola con meno sforzo e ugualmente buca anche le corazze forgiate dai fabbri della gente bassa.
- Ciò che dici è vero – si trovò d’accordo Terricus – e messosi in ginocchio appoggio una mano per terra pronunciando con le labbra praticamente serrate una breve formula sconosciuta, e subito un onda calda avvolse il terreno percorrendolo in ogni sua fibra, per sbucare come una spira rocciosa acuminata qualche metro in la, trafiggendo nel centro un vecchio calderone arrugginito.
 – Governare le rocce come armi, come vedi, non ti sarà facile, e anche la magia che sfrutta il regno vegetale non è da meno, poiché pretende l’elemento che fu dei mari. – Dopodiché si rimise a sedere riavvolgendosi nella mantellina. – Devi anche sapere che non tutti sanno governare le magie degli elementi, e essere in grado di manipolare l’assenza di luce e i suoi portali non implica che idro e geo ti ubbidiranno.
Goterius si fece pensoso anch'esso, e per un po’ non rispose. Poco dopo stringendo il pugno guantato di nero si volse all’eremita e con gli occhi socchiusi affermò che – voi avete ragione – e con sguardo fermo più che mai aggiunse – ma lasciate che io provi, il talento non mi manca, e questo aiutante che mi porto appresso, Tiberius – dicendo questo lo indicò come si indica al dispensiere un sacco di patate – questo aiutante conosce per certo entrambe le arti, poiché figlio di un mago silvano di Oltrebosco.
A queste parole Terricus non aggiunse altro, e alzatosi sulle corte gambine chiamò a se il golem e fece cenno ai due maghi erranti di seguirlo.
6.
- Ora concentrati sul terreno sotto la tua mano e infondi la magia per comandarlo – Inginocchiato accanto Tiberius il vecchio eremita recitava i passi del suo insegnamento, mentre poco più in la Goterius, confuso nelle nebbie miasmatiche di quel luogo, osservava tetramente come un grande felino corrucciato.
Dopo diversi giorni di addestramento nella valle sommersa era evidente l’incapacità di Goterius nell'esercitare il potere della terra; al contrario Tiberius era da subito apparso in grado, una volta recitate le dovute formule, di sprigionarne il potere con assoluta naturalezza.
Alto, magrissimo e dall'espressione assente, l’apprendista errante proveniva da una terra boscosa oltre i confini degli imperi centrali, nel suo sangue scorrevano generazioni di maghi silvani, e benché fosse all'inizio di un addestramento che sarebbe durato anni ogni cosa lasciava presagire la sua futura grandezza.
- Rilascia la presa e il tuo volere fusosi con la terra si compirà in base alla magia usata - diceva lui Terricus
E immediatamente una grossa spira di roccia appuntita emerse poderosa dal terreno, lanciandosi come un dente della terra verso l’alto a una velocità devastante. Ma lontano dal bersaglio di almeno 4 metri, e leggermente inclinata.
- No, no! Manda la tua volontà verso il bersaglio e mantieni la mente sgombra da ogni pensiero
- Nel recitare la formula fatico a tenere in mente il bersaglio - disse Tiberius - e la vista in questo luogo non mi è da grande aiuto. A malapena vedo voi maestro eremita, eppure siete  a qualche passo.
- Sì sì va bene – bofonchiò Terricus con lo sguardo rivolto a sondare le nebbie. Ora riproviamo con un bersaglio più grande. – Vieni qui golem, infilati laggiù e sta fermo vicino a quel palo.
- Non possiamo restare qui per sempre – li interruppe Goterius –, in questo luogo non ho più nulla da fare, e qualsiasi esercizio può essere svolto alla luce del sole.
- Il ragazzo ha bisogno della mia guida Goterius, e della tua per ripercorrere il tunnel. Porta pazienza e..
- Ho avuto fin troppa pazienza, oggi stesso lascerò questo luogo nefasto. Se le vie della terra non attraversano il mio fato allora spingerò la mia conoscenza verso altre arti occulte. E questo cammino inizierà appena sarò uscito da questo inferno roccioso.
- Il mio maestro deve seguire la sua via – intervenne Tiberius – e dopotutto ora, con le formule da me imparate, qualsiasi luogo può essere la mia palude, e ogni mio ricordo l’eremita che guida i miei gesti. Saggio Terricus, mi avete introdotto alla magia, ma il Nero è la mia guida, e poi senza di lui non riuscirei mai a tornare in superficie.
Il vecchio si incupì a queste parole, da anni non giungevano aspiranti geomanti - specie di così dotati come l'apprendista di Goterius - e le ansie accumulate in una vita sotterranea avevano avuto sfogo attraverso la guida del giovane inesperto.
- E sia! Dirò a golem di prepararvi delle erbe da mangiare lungo il viaggio. Ma siate prudenti, ciò che ha temuto il fuoco una volta non lo farà per sempre.
Dopo aver recuperato ognuno i suoi averi Tiberius e Goterius consumarono un breve pasto, inconsapevoli di che ora fosse nel mondo sovrastante. Terricus li istruì ancora una volta sulle presenze che abitavano la parte rocciosa del tunnel, e con pochi gesti furono pronti a partire.
Il muto golem e l’eremita sbuffante li condussero fino ai confini delle pozze sotterranee, dopo le quali un grande mantello di ombra scese sulla via, che allontanandosi dalla piccola oasi illuminata si perdeva in dimensioni desolate. Tiberius si girò un’ultima volta, e i bagliori baluginanti lontani dietro di loro parvero schiacciati nella gigantesca morsa di una mano d’ombra, così stretta da farne un puntino, e poi nulla più.
- Spero riescano a uscire da questo luogo – mormorò Terricus –, io non ne sono mai stato capace.
7.
Marciavano da un paio d’ore quando qualcosa rotolo a breve distanza davanti a loro. Subito Goterius fece divampare la fiamma a grande altezza per indagare le tenebre, mentre Tiberius, ora più sicuro nei suoi mezzi, piegato in avanti ascoltava il terreno. Il fuoco abbagliante rivelò un’apertura laterale molto profonda, mentre più in la le rocce proiettavano ombre tremolanti che scacciate dalla luce fremevano per riunirsi, come fossero un unico essere scomposto in più parti.
- Nello scendere in questi luoghi non avevo notato questa apertura, voi maestro?
Goterius non disse niente, abbassò l’intensità della fiamma esploratrice e si aggiustò il mantello.
- Proseguiamo, ma teniamoci pronti con le arti. Ho avvertito qualcosa prima, anche se adesso qui non vi è più nulla.
Così avanzarono rapidamente nel tunnel roccioso, veloci nello stretto e con maggiore prudenza nei tratti dove si allargava. Spinti dal desiderio di evadere da un così incombente luogo, e spronati da una paura silente che li accerchiava – seppure finora motivata da semplici impressioni – e ne aumentava il passo costantemente. Più avanti, nel punto in cui i lati della caverna si sfioravano creando uno stretto pertugio, i loro visi furono addolciti da una fresca corrente d’aria in corsa verso le profondità interne, come risucchiata da un poderoso stomaco situato oltre le paludi abissali già vistate.
Entrambi poterono vedere distintamente nelle loro menti, seppure ancora lontani dall'uscita, i campi da cui quell'aria proveniva, traendone nuova linfa e desiderio di giungere all'aperto.
- Ancora un’ora di marcia e saremo fuori – disse poco dopo Goterius – Ricordi il sentiero che porta al lago? Se il sole è già tramontato ci dirigeremo lì a passare la notte, in caso contrario ci spingeremo fino al passo montano e oltre ancora. Non voglio sostare a lungo tra queste montagne.
- Ricordo il sentiero. Ma dite, maestro, non vi sembra di essere seguito da qualcosa?
- Certo che sì, qualcosa che davvero non ho idea da dove sia uscita. Da te.
- Non scherzate su di me, in fondo ora sono un geomago, no? o almeno lo diventerò. Ma io intendevo altro, come se…
- Sì, so cosa intendi. Anche io ho avuto la tua stessa impressione. Ma questo luogo inganna i sensi, e inoltre tra poco ne saremo usciti. Qualsiasi cosa abiti entro queste mura, se avesse  un po’ di cervello, ci avrebbe attaccato negli spazi profondi, dove i cunicoli laterali ci avrebbero confuso e smarrito per sempre.
- Lo penso anche io maestro, eppure sarà meglio sbrigarsi davvero. Se anche mi inganno sarò tranquillo solo altrove. – E senza dire altro si inerpicarono nell'ultimo tratto in salita con aumentato fervore.
Ansimanti giunsero infine in cima al tratto finale dell’arrampicata, dove l’ingresso circolare sorretto da colonne scolpite nella roccia si apriva in un pallido mattino già scorto da alcuni minuti. Attraversato di corsa il pavimento composto da blocchi di granito perfettamente incastrati, opera di una civiltà da tempo scomparsa in quella parte del mondo, senza esitare si spinsero fuori ad abbracciare l’aria aperta, e l’alto cielo sulle loro teste.
- Il sole è appena sorto, non c’è tempo per riposare dunque, questi luoghi sono battuti da lestofanti di ogni sorta -  disse Goterius col viso rivolto verso l’alto. Poi, come già stanco del calore solare, si avvolse la testa nel grande cappuccio e fece gesto di seguirlo.
- Certo per lui grotta o cielo devono essere la stessa cosa – pensò Tiberius – che non fece in tempo ad aprir bocca prima che qualcun altro lo facesse per lui
- E così è qui che vi eravate infilati, cane di un mago col tuo aiutante cencioso – Un uomo alto e robusto, vestito dentro una robusta armatura a scaglie e un elmo squadrato che lasciava intravedere solo la bocca, agitava il pugno da sopra una grande quercia poco distante dallo spiazzo dove gli avventurieri erano usciti al sole, e appena se ne scese altri sgherri del suo pari si fecero largo tra le verdi siepi che circondavano quel luogo.
- Sapevo appena vi ho visto girare da queste parti che eravate due pazzi - aggiunse ancora quello che sembrava proprio un capitano dei briganti di quelle zone -  ma rifugiarsi addirittura nella grotta senza fondo, tana di abominevoli creature, fa di voi due perfetti esempi di matti da legare. Ma ora non pensiamoci più, dico bene ragazzi? – e con gran vocioni assai poco rassicuranti gli altri ladroni innalzarono un gran baccano ed estrassero dei coltellacci. Anche se nel dire questo il gigante in armatura era parso piuttosto nervoso, tanto da tralasciare alcuni dettagli, o non notarli affatto.
- Come ti dicevo prima che fuggiste, quegli stivali che hai mi donerebbero molto, perché non lasci che li provi? - riprese a berciare il capo-brigante
- Ho paura che dovrai essere un po’ più convincente di cosi, cane randagio dei monti, per prenderti in miei stivali – e subito Goterius, allontanandosi di qualche passo da Tiberius, si avvicinò alla parete di modo da avere le spalle coperte e, alzata la mano e sussurrata una litania oscura formò una sfera nera che lanciò verso il più vicino dei ladroni, che ne fu sradicato da terra per piombare addosso a uno dei suoi fratelli ladri, con il ventre sfondato e gli occhi bianchi rivolti al cielo, mentre l’aria si contorceva deformandosi e strappando pezzi di tessuto dai due scagliati indietro – Non farli avvicinare, Tiberius!
Tiberius che aveva ripetuto tra se e se le formule da poco apprese, da quando avevano lasciato l’eremo fino all'incontro con i briganti, ora ricordava a malapena chi fosse, e l’unica cosa che gli riuscì di fare fu estrarre una manciata di polvere magica e gettarla contro gli assalitori. Lo fece senza recitare alcuna formula.
- Rafandal gothel clurus! – disse Goterius rivolto alla pugna tendendo l’altra mano, ancora appoggiato al muro, e immediatamente due grosse saette fecero sprofondare l’apertura davanti il tunnel in un caos di luce e rumore, finiti i quali due briganti giacevano carbonizzati in terra, mentre Tiberius strisciava biascicando parole confuse verso l’ingresso.
Tossendo per il gran polverone il capo dei lestofanti sguainò la sua scimitarra possente.
– Portatemi quei due maghi da osteria o vi metto tutti allo spiedo.
E ancora confusi e barcollanti per l’accaduto gli sgherri si fecero avanti.
- La polvere, presto! – urlò Goterius -
- Mestro, dove siete – Goterius gli stava proprio davanti – non la trovo, è finita!
E le lame già ridevano mortifere davanti agli occhi di Tiberius quando qualcosa uscì dalla caverna.
Un grosso Troll abissale completamente bianco e glabro fece saettare i suoi maligni occhi rossi agitando i suoi artigli affilati sugli uomini che aveva davanti, facendone brandelli. Emettendo un urlo terrificante si lanciò poi verso il capo banda e i suoi uomini rimasti attoniti a osservare la scena.
- Per il regno del caos! Un troll abissale affamato – esclamò Goterius, come il suo spaventato compagno appiattito contro i lati dell’ingresso. Leviamoci da qui prima che ci veda.
- Indietro, indietro! – balbettò il grande capo banda, prima che la sua testa se ne volasse via e continuasse a muovere la bocca. – Via di qui! – fecero coro gli altri, e tra urla e scalpitii si ributtarono tra la macchia verde, ognuno per se, come tante anime disperse dal vento.
Il grosso troll ne inseguì un paio e sparì anche lui tra le fronde.
- Presto, leviamoci come saette – detto ciò Goterius tirò su Tiberius per una spalla e lo trascinò verso le pendici del monte, dove un bosco di aghiformi si arrampicava in alto. – Prima che finisca la sua caccia dobbiamo sparire, sbrigati buono a nulla di un geomante.
Mentre salivano verso il bosco sospeso tra la valle e le cime, in un tappeto di erbacce e fiori di campo, si voltarono a osservare la scena e a occhi sgranati osservavano la feroce creatura inseguirli a gran velocità, inzuppata di sangue su tutta l’oscenità del suo corpo muscoloso, che sul bianco acceso della sua pelle creava un terrificante vessillo demoniaco.
- Dannazione! La polvere!
- È finita maestro, l’ho persa tutta poco fa
- Usa le geomagia mentre cerco di chiamare a me le oscure forze!
La creatura era a poco meno di 20 metri, e subito Tiberius, tremante come le piante spostate dall’avanzata di quel Troll abissale, si chinò avanti tastando il terreno
- Usa le spire!
- Spira spiralis terricus! –  Ma non successe niente, anzi, non è esatto. Poco più in la una pigna cadde rotolando su delle foglie secche.
- Maestro non riesco!
- Ak tak niagh tieppis! – rombò Goterius, mentre l’aria intorno alla sua persona friggeva in rivoli tenebrosi, e una mano artigliata spirgionante una luce violacea uscì da un’oscura porticina creatasi dalla terra innanzi a loro, afferrò con gran forza la zampa del troll e lo fece inciampare.
- Non ho forze per aprire il portale dei neri spazi esterni più di così, colpiscilo ora che è trattenuto dal demone del portale!
E Tiberius nuovamente piegato in avanti poggiò la mano in terra e recitò la formula, cercando di ricordare il più lucidamente possibile gli insegnamenti del geoeremita: visualizza il bersaglio nella tua mente, fonditi con la terra, sprigiona la sua forza attraverso di te.
Provò a farlo con l’immonda bestia davanti agli occhi, che tra grida d’altri mondi fendeva l’aria e offendeva il creato, protendendosi rabbioso per sfuggire alla morsa venuta da altre dimensioni.
E poi Tiberius lo fece.
- Spira spiralis terricus!
Una grossa spira argillosa si slanciò dal terreno penetrando nelle carni oscene del troll abissale, poi si divise in tre spaccandone l’addome e facendone due parti, che fluttuarono per un po’ nel vuoto per poi ricadere in terra. Una pozza di sangue bluastro iniziò ad allargarsi, e il silenzio cadde come un velo antico in quell'isola di follia nel mare erboso della foresta.
La creatura dilaniata era ora immobile.
- L’ho ucciso, l’ho ucciso con la geomagia!
- Sembrerebbe di sì, Tiberius. Sembrerebbe proprio di sì. Ora vieni, prima che ne escano altri sarà meglio allontanarsi.
- Ma... dove? - chiese ancora incredulo Tiberius
- Ho sentito che oltre queste vette vive un altro eremita esperto nelle magie aeree. Certo sarà meglio aspettare un po’ prima di arrivarci, ma del resto il viaggio non  sarà breve, e prima di raggiungerlo questo maledetto fungo sarà sparito dal mio naso.
Senza ulteriore indugio si gettarono nel bosco adiacente, allontanandosi in fretta dal luogo della loro prima battaglia.

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