giovedì 2 aprile 2020

L'ultima casa





Alla casa da cui nessuno esce
Alla strada da cui non c'è ritorno

Robert Howard





Qualcuno ha scritto che nessuno muore veramente finché viene ricordato. Un'altra seccatura.



Diventiamo misantropi solo quando, dimenticati da tutti, siamo certi che nessuno verrà più a cercarci. Così dopo ere di solitudine abbiamo ancora la faccia tosta di dire "da oggi non ci sono più per nessuno!".



La vita è un peccato che espiamo con la solitudine. E come dolore cade il
ricordo, fantasma in fondo al cuore.



Non mi accontento di essere nichilista, esigo un Dio con cui litigare. A cui rinfacciare la creazione!
Solo gli atei sbraitano da soli.



La felicità è un dispiacere rimandato. Ma in fondo, cosa non lo è?


Conoscere se stessi significa non poter più amare. Come conservare una qualche illusione sugli altri quando dentro di noi non abbiamo trovato che stagni morti?



Invidiosa della religione, desiderosa di ereditarne gli altari, la scienza ne imita i modi: ora minaccia la fine del mondo.


La vita è la menzogna spudorata di un Dio millantatore. Il vero peccato originale? Non averci detto subito che la sua Luce malata ben si sposava con le nostre tenebre.



Nella loro decadenza i romani affidarono il mondo al cristianesimo, certi che il suo veleno lo avrebbe ucciso. Dopo di noi il deserto, devono essersi detti.
Ma noi, incapaci di trovare una mostruosità all'altezza della nostra fine, sembriamo avviarci verso una perplessità infinita, spettri che solo il Tempo potrà consumare.



La qualità della vita non è data dalla vita stessa ma dalle sue distrazioni. E come personaggi di un libro esistiamo solo se ci si dimentica di leggere.



Comunque se ne parli la morte è un argomento poco credibile, affrontato sempre e solo da viventi com'è.



La chiesa e i suoi pettegolezzi sull'eternità. Che pletora di chiacchieroni.



Parlando di morte ci si riferisce sempre a quella che verrà, e si ignora quando, prima di nascere, lo eravamo da sempre. La morte originale, quella senza inizio.



All'ingresso di molti cimiteri si può trovare questa scritta: eravamo come voi, sarete come noi.
Grazie tante dirà qualcuno, la cosa è risaputa. Senz'altro, ma fa sempre un certo effetto.


La coscienza è paura. Non a caso quando un animale ha paura sembra possedere una coscienza - guardate i suoi occhi!



Meno siamo, più desideriamo. Serve a compensare la mancanza d'essere.



Terre lontane, luoghi dimenticati, paradisi perduti. Così grande è il rimpianto per un passato che non ci appartiene più, che inventiamo luoghi da sogno sperando di raggiungerli nuovamente. Esaurita la Terra sarà allo Spazio che ci rivolgeremo.
Siamo scesi dagli alberi solo per, guardando in alto, volerci tornare.



Il nostro cervello è lo stesso di centomila anni fa. Eppure non facciamo altro che dirci che, prima o poi, saremo migliori, che ce la faremo davvero a cambiare. Ma l'uomo non cambia. Non può.
Smettiamola dunque di ingannarci, di darci il tormento. Noi siamo quel che siamo, ossia nulla, nè bestia, nè creatura. Falliti in tutte le intenzioni, ci resta forse l'orgoglio dell'assurdo. E la vocazione, macabra, al delirio di impotenza.


La perfetta lettera del suicidia: Niente funerale, niente tomba.
Qualsiasi aggiunta sarebbe una vanità. Ma dopotutto, la lettera stessa è vanità.


Che genio Ivan Karamazov. Quando il padre, Fedor, gli chiese "esiste Dio? e la vita eterna esiste?", rispose con un no perentorio. Ma disinvolto.
Incalzandolo, suo padre gli chiese ancora: "ma allora, chi si prende così gioco dell'uomo?".
Dev'essere il Diavolo, rispose Ivan, ridendo. E poi, piangendo, si ubriacò.


Se l'universo non esistesse ci sarebbe comunque il dolore. E ovunque andremo sarà lui a ritrovarci.


E nella casa del Tempo, come polvere, si depositano i ricordi. E gli abitanti, senza luce, non hanno memoria, né porte, ma solo notte. Notte senza fine.




Mirdautas Vras!




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