martedì 28 novembre 2017

Pensierini scolastici nell'ora di punizione





Chiedetemi tutto ma non di ragionare.

Cit. anonima.


L'anno finisce. È stato un ottimo anno. È stato un anno pessimo. Bene e male vi si confondono in dosi assurdamente perfette. I pensieri più amari li si trasforma in aforismi per lasciarli scritti da qualche parte, sbarazzandosene per un po'.

Il collezionista

I collezionisti mettono il loro cuore in una busta di plastica come gli oggetti che accumulano per non amarli. L'unica realizzazione raggiungibile per loro è quella di un possesso disincantato, nel dimenticare cosa si possiede.

Polemos

Non si può essere innamorati e allo stesso tempo polemizzare col mondo. La polemica, guerra di concetti, si addice solo ai feriti e agli insoddisfatti. Non è nell'acriticità dell'amore la sua collocazione, ma nel subito dopo.

Da solo

Cioran scrive che il dovere di un uomo solo è di essere ancora più solo. Non capivo questa affermazione. Poi sono caduto all'improvviso in una grande solitudine. Così ho detto a me stesso: "se avessi saputo essere più solo, ora non patiresti questa mancanza". E li ho compreso cosa Cioran volesse dire. E che non sono d'accordo.

Il desiderio

La civiltà moderna, avendo abolito insieme alla religione l'affettività tra le persone, trova il suo unico compimento nell'azione di due forze: l'autoappagamento e l'egoismo. In un bosco così scuro, solo il fiore più raro è rimasto immune da questo mutamento, la sua luce può uccidere di bellezza un uomo.


Sincerità

Sesso strampalato, seguace dell'utopia, il maschio ha la capacità di illudersi fino allo sfinimento, per periodi di tempo spaventosamente lunghi. Anche fagocitato dalla realtà, masticato fino all'osso, mantiene pur sempre una certa aria sognante.
Per le donne è diverso. Appena aprono gli occhi, persino nei loro sogni si cela una ragnatela metallica di pragmatismo. Inutile confrontarci abilmente con loro, ne usciremo sempre doloranti e irrimiediabilmente intrappolati.
Dev'esserci senz'altro un'altra soluzione, e difatti c'è: improvvisarsi autentici.

La tomba

Mi sembra di essere in un mausoleo dove tutto grida il suo nome.


Autunni

Inividiosi delle foglie, certe mattine vorremmo anche noi essere presi in consegna dal vento per lasciarci trasportare in un altro angolo di mondo. A emularne le marcescenze.

Un bacio

Potrei morire in cambio di un suo bacio, eppure mi arrabbio se trovo un capello nel lavandino. In noi convivono un Dio e un satrapo.

Il suicidio

La fissazione per il suicidio è propria di colui che non può vivere né morire. Così dice Cioran.
Ha definito chi pensa ossessivamente al suicidio incapace di uccidersi. Chi ne è ossessionato vi pensa troppo per farlo. Per riuscire in quel gesto estremo occorre una volontà quasi istintiva, la sconsideratezza di non avervi mai pensato.
Ragionato, vissuto mentalmente centinaia di volte, si disinnesca, non può più esplodere illuminandoci di morte.
Avremo così ucciso il suicidio, superandolo, sostituendolo con elaborate rappresentazioni teatrali nella nostra mente, ridicole quanto affascinanti, per abbracciare un'altra vita, dove in tutta onestà, e in un certo senso, potremo dire di aver già sperimentato la morte, senza averle però teso la mano.

L'anno nuovo

Voglio che novembre finisca. Che finisca quest'anno. Non voglio che finisca perché aspetto quello nuovo. Desidero solo che abbia fine e non ci sia più niente oltre questo.
Del resto...sì, qualcosa ci sarà senz'altro. C'è sempre qualcosa. Magari una cosa interessante, che potrebbe piacermi... ora non posso pensarci.
Mi piace saperlo invalicabile quest'anno, l'ultimo. Sull'orlo della sua mezzanotte io e gli altri ci affacceremo sul bordo del tempo a guardare il vuoto della fine, e senza dolore vi annegheremo dentro, per sempre naufraghi di un mare fermo.


La bestia

Ho sempre ritenuto normale interessarmi solo a me stesso, dando poco o niente agli altri. Probabilmente sono solo uno stronzo, eppure un motivo dietro questo comportamento deve esserci.
Scusa forbita per le nostre mancanze, la psicologia ci viene incontro trasformando le nostre miserie per elevarle a simboli.
Allora, alla luce di questa rivelazione dimenticata, l'abbandono di mia madre quand'ero piccolo potrebbe avermi spinto ad aspettarmi la stessa cosa da...tutti. E quindi a non fidarmi di nessuno. Del resto sono solo supposizioni, mentre io rimango indubbiamente uno stronzo. Ma uno stronzo consapevole, che è un po' come esserlo due volte.

Motivazioni

Mi hanno sempre stupito le persone che riescono a motivarsi per loro stesse. Che trovano in loro e per loro significato e stimolo. A me è possibile trovare energie solo altrove. In un'idea, in un'altra persona. Mi stimo, eppure per me non farei nulla. Debolezza? forse. E il desiderio di servire qualcosa di più grande, di accostarsi a quel lucido frammento di infinito in cui specchiarsi eterni.

La vedova

Aspettava suo marito tutti i giorni sulla staccionata alle sei. Un giorno il marito non tornò.
Era con una vedova.

Inganni della mente

Vorrei tornare con la mente a quando il mondo era un gioco dalla smisurata durata.
Vorrei tornarci dentro e ritrovare la voglia di giocare col mondo.
Poi vorrei prendere tutte le cose ritrovate farne un bel pacchetto e gettarle via, rinunciare a tutto per quell'unica cosa che non posso avere. E perdere tutto, anche quella cosa.
E ripensandoci tornare indietro con la mente a quando il mondo era un gioco.

Il morto

Ho veduto solo una volta una persona cara agonizzare e morire, era mio zio e io avevo dodici anni.
Costretto a letto ma lucido, con l'immancabile sigaretta e il suo aperitivo, mi mise persino allegria. Poco dopo, sicuro che non ci fosse nulla per cui abbattersi, chiesi scherzosamente a mia nonna quanto gli restasse da vivere. Pochi mesi se va bene, mi disse.
Vi rimasi di stucco, ma in nessun modo volli far vedere il mio dispiacere.
Poi, quando mi condussero a salutarlo, non seppi dire nulla, neanche una parola, la bocca stretta e gli occhi gonfi di lacrime. Com'è possibile, pensavo, che quest'uomo che non è mutato in nulla da quello che conoscevo stia per morire? E ora, qui davanti a me, come può riderne? Sì, lui certo non sa nulla.
Così mi costrinsi a non cedere al dolore. Poco dopo in bagno piansi come deve aver fatto il primo uomo davanti alla morte.
Quando è mancato io non c'ero. L'ho rivisto nella sua tomba, su quella foto schiaffeggiata dalla luce delle candele. Tra quei fiori vecchi, in quell'aria satura di sfinimento, pensavo al tempo che occorre ai vivi per dimenticare i morti. E all'altro tempo, quello dei morti, che non è più, ma che mi sembrava di percepire osservandone il silenzio. Ero per un attimo entrato in quell'interruzione degli istanti che è tutt'uno col cimitero.
Una voce famigliare mi rubò a quel nulla pietrificato.

Le lacrime

Ogni lacrima che versiamo, unica fra le altre, è perduta per sempre. Il loro numero è chiuso e il lago del pianto soggetto ad esaurirsi. Piante tutte quelle che avevamo resteremo a occhi asciutti vedersi svolgere l'irreparabile; il lamento del cuore a scandire l'inferno.

Fisica della disperazione

Nei momenti di disperazione non riusciamo a stare fermi, ci dimeniamo da un lato del letto all'altro, attraverso le stanze su tutti i marciapiedi percorribili. Ma non siamo interamente noi a volerci spostare. È la nostra mente, o meglio, ciò che la assilla.
Più ci agitiamo da una parte all'altra e più speriamo di lasciare quella cosa da un'altra parte. Di dimenticarla in giro.
Da contenti siamo delle sfingi idiote. Persi in un enigma che ha in sé la sua soluzione, sfioriamo l'immobilità di un budda. Salvo di tanto in tanto esibirci in una sciocca danza, in un'esplosività ridente.
Ridere da sciocchi, invero, ma mai quanto il dimensarsi del disperato.

Non ti amo

La forza più potente dell'universo non è l'amore, bensì l'amore non corrisposto. Se l'amore abbatte i muri, quello non corrisposto li disintegra fin nelle fondamenta. Sovrumana energia negativa, potrebbe illuminare le nostre città solo scaturendo da pochi individui.
Peccato che la sua forza non sia in grado di alimentare niente all'infuori della nostra delusione. Elettrizzandola di giorno in giorno.

Il mostro

Quando l'amore diventa un mostro dobbiamo ucciderlo. Atto sempre crudele verso noi stessi, perché a dover morire è una nostra parte, e la sua morte lenta, un'agonia protratta nel tempo. Muore soffocando il nostro amore, e a farlo impiega un tempo che così come viene percepito si dimostra inquantificabile, smisuratamente immenso. Durante ciò, appare del tutto normale la nostra mancanza di fiato.

Un russo

Dostoevskij diceva che per un grande dolore anche uno sciocco può diventare intelligente. È senz'altro vero, ma ha dimenticato la parte più importante, ossia che per un grande dolore anche una persona intelligente può diventare sciocca. E talvolta deve.

Se potessi

Se potessimo avere tutto ciò che vogliamo, non vorremmo più niente. Non potendo ottenere quella sola cosa che ci interessa, desideriamo essa soltanto. Se poi, per assurdo, potessimo avere o tutto o quell'unica cosa, quale sarebbe la scelta migliore?
Si potrebbe esprimere il desiderio, compreso nel pacchetto del tutto, di non desiderare più quella cosa, e godersi il resto. Tuttavia, davanti al fantomatico Genio, prima di formulare questa richiesta, sarebbe prima necessario esprimere un altro desiderio: avere il coraggio di rinunciare a quella cosa.
A questo punto anche la divinità più comprensiva finirà per abbandonarci. Sfinita da tanta indecisione se ne andrà senza voltarsi. Lasciandoci senza quel tutto-universale che a malapena poteva distrarci dalla cosa agognata e senza possibilità di dimenticarla.

Il mostro II

Mi hanno detto che uso le persone. Non è la prima volta, non sarà neanche l'ultima. Io non ho l'impressione che sia vero. E non sarà l'ultima volta che ho questa impressione.
Però ho sempre pensato che le persone, anche nella forma più alta dei loro rapporti, si usino meravigliosamente a vicenda.
Per essere completi dobbiamo usarci, e usarsi significa completarsi, e completare. Per sempre o finché non si desiderano altre completezze.

Proverbio

Chi non sa stare con se stesso non saprà stare neanche con gli altri. Così posto, questo pensiero parrebbe un'assioma sempre valido. Eppure vi è una moltitudine di individui che senza potersi neanche sopportare bazzica allegramente le compagnie più disparate, a loro agio come ippopotami in un pantano.
Andrebbe forse modificato il suddetto proverbio, o quantomeno adattato: Chi non sa stare con se stesso è condannato a stare sempre con gli altri. Trovo che così sia molto più efficace, nonché spietato.

Pensierini scolastici nell'ora di punizione

Delle elementari ho ricordi sbiaditi come un sogno al mattino, ma le cose sono due: o la mia maestra mi odiava, o ero già un mostro. Fatto sta che ogni dannato giorno, durante la ricreazione, mi beccavo cinque minuti di punizione. Non ricordo quali fossero le mie condotte, probabilmente già non piacevo agli altri, o ero inadatto a seguire le regole. Ma la punizione arrivava sempre.
Consisteva nello scrivere pensierini su un quadernino, il Quadernino dei Pensierini, appunto. Potevano essere cinque o dieci minuti di punizione, e sovente ne prendevo di quest'ultimo tipo.
In quel lasso di tempo dovevo scrivere qualsiasi cosa mi venisse in mente, ed è proprio quanto facevo. Funzionava così: Pensierini:

La casa in inverno è fredda, in estate è calda. La temperatura della casa varia in base alla stagione.

Oppure:

Mia madre cucina la pasta a pranzo e la carne alla sera. Cenando vediamo la televisione.

E così via, per minuti, ore, per intere stagioni. Tutto quello che mi veniva in mente lo scrivevo sui quei quaderni, a fine anno ne avevo più di venti!
Ero indiscutibilmente il campione dei pensierini.
In una rara ricreazione senza punizioni giocavamo alla conta noi ragazzi e le ragazze. Si contava, si sceglieva una persona e poi bisognava indovinare in quale mano tenesse una perlina. Toccava a me fare la conta e mi fermai proprio su una ragazzetta di cui a malapena ricordo il volto, un po' antipatica con un unico grande sopracciglio che andava da orbita a orbita. Seduto, guardandola dal basso, sono sicuro di avere in quel momento per la prima volta guardato veramente una donna negli occhi. Abituato agli sguardi innocenti da bambino, mi sono trovato a precipitarci dentro.
Poi subito dopo ero convinto di piacerle, forse con le idee di uno scolaretto credevo mi amasse.
A chi dirlo se non al quadernino? dopotutto mi era stato intimato di versarci i miei pensieri. Così lo feci.
Scrissi, se non ricordo male - ma senz'altro è così -, che avevo una ragazza. Una ragazza! che c'eravamo guardati, toccati le mani, e poi chissà cos'altro. La maestra, mia prima lettrice, nell'imbattersi in quella dichiarazione volle vederci chiaro. Venne fuori un gran trambusto, compagni che ridevano e noi che arrossivamo.
Non ricordo assolutamente come sia finita. I quadernini dei pensierini di punizione li ho persi tutti. Ho perso anche il nome di quella ragazza.
Ora, su altri quaderni, scrivo gli stessi pensieri. E penso agli occhi di una ragazza.











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