giovedì 9 novembre 2017

A una ragazza morta



Sei morta il giorno in cui copiose cadevano le foglie. Era un pomeriggio di fredda luce, e tu sei morta.
Ora sono qui, davanti alla tua foto intrappolata nel marmo, alla tua tomba. Non mi sto chiedendo dove sei, o a cosa stai pensando. Ti penso piuttosto in quella immobilità stretta e cieca, avida di rarefazione, di dileguamento, tutt'uno con l'ombra. E mi chiedo se ti giri mai. No, non lo fai.
Che se fra trent'anni un terremoto spaccasse il cimitero facendo a metà questo contenitore di ceramica e cemento dove dormi, scuotendo la bara, mostrandoti al cielo, chi di lì passasse ti troverebbe nella stessa posizione che hai ora, posizione che non vedo ma che immagino con spietata esattezza.
In quel tuo buio fermo non ti perdi poi molto.
Il sole illumina altri giorni, le stesse stagioni si rincorrono sempre più sbiadite e dopo un po' noi vivi ci si annoia.
Qualsiasi cosa ci faccia battere il cuore, tu lo sai bene, è una bella menzogna.
In questo spiazzo lugubre che odora di fiori vecchi e polvere, città dei sepolcri, cinto da cipressi cresciuti per esibire un lutto, mi sembra, fintanto che vi resto, che le cose mentiscano meno, o niente affatto.
A te che sei lì dentro, e che mi sembri più vera di tutti i vivi che conosco, a te dico che a volte non so più cosa ci faccio io, qui, sotto al sole, contro il vento, contro tutto, e che avrei tanta voglia di pace e di silenzio. Di tempi morti.
Quando il Dio dei defunti ti verrà a trovare, da tomba a tomba accendendo le tenebre, digli che ci penso già da un po' alle sue mani putrefatte, che con fare adagio strappan la vita. No, non badarci, sono solo momenti, domani andrà meglio. Servirebbe una Morte per le sciocche frassi fatte, sai?
L'inverno che sta arrivando ti troverà già gelida, e bella come una dea antica, con la tua pelle di zaffiro lavorato e i tuoi occhi che chiusi vedon tutto; e quando quell'unico giorno dell'anno, di un anno che viene ogni diecimila, anche il Dio di lassù fermando il tempo ti farà visita, lo accoglierai in silenzio. Lui aprirà dal buio una finestra e la sua scia di luce uscendo illuminerà il tuo volto dolce di sonno, fiocchi di neve irreali cadendo ti accarezzeranno, addormentandosi sul tuo corpo. Qualcuno, sciogliendosi negli occhi, formerà una lacrima gelata, che scendendo viaggerà il tuo viso, abbracciandolo, le tue labbra arse, baciandole, per poi gocciare sul tuo amaro letto.
Dopo questo tornerà il buio e sarà forse per sempre. Dio fuggirà sconvolto nelle sue lontananze, tu resterai nelle tue. Fino al giorno del giudizio, che non verrà mai.
Finirà, certo, questo universo, non aver paura, sparirà logorandosi piano piano, e quando tutto sarà esausto di stanchezza, separato da distanze sovrumane, e un terrificante vuoto-nero veleggerà là dove una volta occhieggiavano le stelle, il tuo giaciglio sarà immutato, le tue mani intatte.
Gli Dei nuovi ti troveranno, Dei finalmente buoni, amici della vita, e tu, trasmigrata da una creazione all'altra, rinascerai di certo, in un nuovo e giusto cosmo. Questo dal quale ti parlo spero lo avrai dimenticato.
O forse meravigliata udirai queste mie ultime parole, che un'eco disperata ti porterà, per poi subito dimenticarle, al risveglio, come si dimentica un sogno.
Oppure nulla di questo.
Sei morta il giorno in cui impazzivano le foglie. Un pomeriggio vuoto di sole, e con te sono morto un po' anche io. O almeno così pare.
Una fine pioggia mi bagna il viso. Leggera, acqua passeggera, cade lieve a consolare piante, le lapidi e il mio volto. Appoggio una mano sulla tua foto, un ultimo pensiero e vado.
Ti rivedrò tornando qui, chissà quando, o già stanotte, se Madre Morte vorrà trovarmi, portando te a prendermi per mano.


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