mercoledì 15 giugno 2016

Torno sull'albero

Un albero a 64 bit


Parecchi anni fa, per evitare non ricordo più cosa, la mattina mi alzavo presto (ma non prima di aver visto Le avventure del bosco piccolo) e, sicuro che in casa non ci fosse nessuno, scendevo in cucina, prendevo un contenitore di plastica e ci condivo dei fagioli cannellini con cipolla olio aceto e sale.
Dopodiché chiudevo ben bene il tappo, arraffavo qualche fetta di pane, infilavo il tutto in uno zainetto e... sparivo.
Non mi andava di essere trovato, avevo cose da fare che di farle non m'andava proprio; e poi c'era qualche altro motivo ancora, ma l'importante è che volevo, appunto, sparire.
Così uscivo e andavo in un vecchio boschetto di ulivi non lontano da casa. Ci entravo dentro e senza impegnarmi troppo sceglievo un albero: e ci salivo.
Stavo lì non so quanto, tre, quattro ore, un po' leggevo, un po' non facevo un cazzo. Quando avevo fame tiravo fuori i fagioli e me li mangiavo, facendo delle gran scarpette col pane.
Se c'era il sole guardavo il cielo, i campi... col brutto tempo, o col freddo, pure. Solo più coperto.
Gente lì non ne passava. Al massimo ogni tanto faceva un giro il proprietario, ma era mezzo orbo e non m'ha mai visto. Una volta c'è andato vicino, chissà cos'avrebbe pensato. Chissà.
A pensarci bene vorrei lo avesse fatto, giusto per vederlo in faccia mentre mi notava lì in cima a un albero a mangiare fagioli. Lo avrei fissato senza dire niente. Lui anche. Poi forse mi avrebbe chiesto qualcosa, o forse no, andandosene perplesso come un orso pazzo.
I ricordi - questi e altri - sono scomodi e a volte tolgono l'aria. A volte, per ricordarmi di vivere, vivo senza ricordi. Uno stato blando, superficiale. Come un pesce rosso.
E del resto è pieno di pesci rossi, gente che sembra avere tre secondi di memoria, che a sentirli ti pare di affogare, come se ti trascinassero in acque poco profonde per stordirti col loro nulla fitto di alghe marce, a boccheggiare, pah!, pah!, come i pesci rossi nelle fontane.
Però mangiano sempre loro, proprio come i suddetti. Più gli dai da mangiare più mangiano. A dargliene troppo dicono possano scoppiare. Vedremo, ma ci credo poco.
Ad ogni modo... ah già, quasi quasi torno sull'albero.
Per l'estate pensavo di ammalarmi, c'ho scritto anche un post che non ho pubblicato, non saprei, magari una polmonite da scrittore russo che manca il fiato e il mondo diventa un letto sudato, oppure un cancro invalidante testa rasata e occhiaie cavernose da gargolla, ma poi ho pensato: e se, semplicemente, tornassi sull'albero?
Naturalmente si fa così, giusto per ciarlare; non mi ci vedo a mangiar fagioli appeso a un ulivo mentre osservo le altre piante. Al massimo mi porto un libro, sì, ma poi via, cosa dico... Nessuna delle due, solo chiacchiericcio stanco. Impossibile, impossibile. Figuriamoci le zanzare, il caldo.
Son cose da fare in primavera quelle, ora non si può, non è il caso.
Sto anche bevendo poco. Anzi, niente.
Cioran mi sputerebbe in faccia, Celine mi darebbe dei gran schiaffoni. Dostoevskij m'ammazza.
Comunque non importa, volevo parlare dell'albero, di quando vegliavo sugli ulivi stanco di tutto, in fuga dalla nausea quotidiana, dalle ansie che erano gli altri, e in fondo nulla è cambiato, si sono solo un po' smussati gli angoli, il mondo non dà più alla testa, ma se mi fermo un attimo, e ci penso, bene, allora non mi sembra così scomodo quell'albero,troppo basso. Ci vorrebbe una quercia, un cipresso indemoniato, su, lassù, a maledire i venti che passano accanto, a guardare gli uomini pesce che boccheggiano, lontano dal dolore e dal pianto, dalla miseria dei fagioli a colazione, che sono sempre gli stessi da anni e ammazzerebbero anche il diavolo, in un delirio da miserabili, senza canne da pesca per sondare i passanti: neanche più la tentazione di tornare al terreno dove per ogni metro quadrato giacciono sepolti diecimila umani, che urlano muti nella mia testa, e nessuna scaletta per scendere, buttata via per non tornare, buttata giù con un anatema, finalmente in cima, pietrificato dalla lucidità ma sveglio, il mio demone silenzioso accanto; tornato, infine, sull'albero.


- Scritto e non riletto -


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