giovedì 26 maggio 2016

Tre sciocche storielle e una fatalità




1

Una giovane contadina cadde in deliquio durante le prime ore pomeridiane, il dottore del villaggio, subito chiamato da suo marito, dopo averla visitata la trovò grave.
Disse che le restava poco da vivere e, poiché il loro amore era da poco sbocciato, suo marito molto se ne dolse, e la giovane donna non sapeva darsi pace.
Giunta che fu sul confine da cui non si ritorna, quando già la sua pelle cambiava colore, così si rivolse al marito: "ti amo tanto che non voglio lasciarti, ma sento ormai venirmi meno. Promettimi che non amerai mai altre donne e che serberai intatto in te il mio ricordo. Ma se non lo farai allora tornerò e ti tormenterò senza fine".
L'uomo acconsentì al suo ultimo desiderio. Poi l'anima della giovane fuggì via.
Il marito per i primi tre mesi rispettò il volere della defunta, ma poi incontrò un'altra donna, se ne innamorò e alla fine si fidanzarono.
Appena i due andarono a vivere insieme successe questo, ossia tutte le notti il fantasma della moglie scomparsa tornava per tormentare il giovane uomo; e lei conosceva tutto: le dolci parole che scambiava con la nuova compagna, i punti del corpo dove la accarezzava, di cosa ridevano, dove erano stati durante il giorno, i caldi abbracci della loro passione e le tristezze della sera, quando lontani si mancavano, e queste cose usava per torturarlo, accusandolo di aver trovato altre felicità con una donna, mentre lei disperava in un luogo che non ha nome.
L'uomo sconvolto decise di consultare un vecchio frate che aveva fama di frequentare gli spiriti.
Dopo aver raccontato la storia all'anziano padre, questi ebbe a dire: - Certo tua moglie ora è diventata un fantasma e conosce tutto quello che fai e ciò che dici alla tua nuova amata; e ciò che le regali; e come la ami; dev'essere senz'altro un fantasma molto sagace, e a dirla tutta dovresti ammirarla. Ma ascolta bene, la prossima volta che verrà a trovarti dille che è così abile da non poterle nascondere nulla, e se saprà rispondere a una tua domanda romperai il fidanzamento e resterai vedovo.
- Che domanda devo farle?
Il vecchio frate rispose - Prendi una manciata di semi e tenendoli in mano chiedile esattamente quanti sono. Se non saprà dirlo allora sarà stata solo la tua immaginazione e lei non tornerà più.
L'uomo tornato a casa attese la notte e il fantasma come sempre venne a trovarlo.
Subito prese ad adularne la sagacia, e il fantasma, annuendo, disse - Infatti so che oggi sei andato da quel vecchio frate.
- Ma dimmi allora, quanti semi ho in questa mano?
E non ci fu più nessun fantasma che rispondesse a quella domanda.


2

È in notti come questa che vivo solo per aspettare l'alba. Per aspettare lei. Lo faccio seduto sulla spiaggia, davanti al mare, e penso a Mirel.
Mirel che, da quando non c'è più, che senso ha la mia vita? Eppure sembra un istante fa che lei era qui con me, mi pare come se mi girassi e lei fosse qui, a guardarmi ridendo.
Ma lei non c'è, e non tornerà mai più. I ricordi sono confusi, sbiadiscono a onde, certi come sono certo di esistere, ma su di essi non potrei giurare.
È successo tutto in una notte di luna piena come questa. Stavamo passeggiando sulla morbida sabbia tenendoci per mano. Ci siamo guardati a lungo in viso, gli occhi negli occhi, poi ci siamo sdraiati a guardare le stelle. Il mare cantava per noi.
Mirel, nuvola silenziosa, Mirel, sabbia assopita. Col suo sorriso di vento incoronato da dune lontane.
Il corpo bianco come la luna del mattino.
Ci siamo amati, io so che lo abbiamo fatto. Ora... è tutto così confuso, a volte mi sembra che per il dolore non riesca a ricordare.
Di giorno mangiavamo al sacco dietro le canne del delta, a lei piaceva il rumore degli insetti eccitati dal sole. Ma ricordo meglio le nostre notti, tutte qui su questa pallida spiaggia solitaria, io e lei, al centro del mondo, dell'universo, bonaccia d'amore, e poi vento, vento che soffia dalle stelle su di noi, e poi... Mirel. Mirel, voce lontana, conchiglia di mare, cosa mi disse? non rammento più cosa successe...
Ora sono solo qui su questa spiaggia in una fredda notte. Sono solo da così tanto tempo che mi sembra di esserlo da sempre. Ma io so, so che Mirel era qui con me, lei, figlia dell'oceano, come vorrei raggiungerla. La sento chiamarmi!
Ma non c'è, e non tornerà più. I ricordi sono confusi, sbiadiscono a onde, certi come sono certo di esistere, ma lo potrei giurare?

3

Elric il guerriero, l'eroe di mille battaglie insanguinate sui freddi mari baltici, attendeva i suoi fratelli d'arme per il sontuoso banchetto della sera. In una vasta aula dai muri ornati dal ferro delle armi osservava il lungo tavolo di pino nero che attraversava l'intera stanza.
Pensava al gelido vento del nord che piega le vele e l'anima dei mortali, al diafano riflettersi del sole sulle eterne nevi delle montagne quand'era pazzo di giovinezza, al tramonto che tinge di rame il chiaro acciaio dei guerrieri in marcia verso la notte e al sangue di tutti gli uomini la cui anima aveva gettato nel vuoto o, come sostenevano i padri, nei palazzi di Valhalla.
A questo ed altro pensava, ma si trattava ormai di ricordi scavati. Gli anni s'erano arrampicati in fretta sulla sua forte schiena di fabbro, marinaio e maestro d'armi, e uno dopo l'altro lo avevano appesantito come un maglio che batte sul rosso ferro delle fucine iperboreane.
Se non sarà più la guerra, allora saranno le strategie e l'organizzazione delle battaglie, pensava Elric, volendo continuare a servire il suo Re e i tetri Signori del nord, che dal grigio del mattino osservano spietati gli uomini gemere e schiantarsi, laggiù, dove la trama si fa d'ombra e tira i fili nel sangue.
Le barche scricchiolavano nel porto come ossa di scheletri che rotolano nel giaciglio, il fitto vento tra i pini altissimi raccontava di cime lontane e segreti nelle montagne. Elric sedette incurvato sul suo spesso scranno di legno chiodato, attendendo l'arrivo dei suoi compagni, dei lontani capitani che formavano il regno per cui aveva lottato e urlato contro il cielo e gli usberghi terribili.
Brevemente si addormentò. In sogno si vedeva correre con una gigantesca ascia in mano vestito di pelli di lupo, e davanti a lui i nemici fuggivano senza voltarsi. A questo ricordo dal suo occhio scese una lacrima. E benché i forti uomini del nord non conoscano cosa sia la commozione, in quel caso pianse forse di felicità.
Il sogno andò avanti, e strane ombre umane si mossero verso Elric, il forte, il vecchio. Sapere cosa vide  non ci è dato per intero. Ma venne il crepuscolo, a confondere gli altipiani innevati col cielo, e con esso la sera che accende le prime stelle, lassù, al nord, e guidati da esse giunsero i primi ospiti di Elric, che lo trovarono assiso sul suo trono di guerra, con uno strano sorriso, la testa dritta e la spada accanto.
Prima che la notte fosse matura il suo corpo ardeva in mare sul suo drakkar, strappato alla vita dal tempo che fugge chissà dove, come un fiammeggiante cuore impazzito e tutti i guerrieri con grida assordanti gli rendevano omaggio. Le spade sbattevano sugli scudi e bandiere pazze garrivano al vento creando rumori strappati.
La sua anima precipitata nel vuoto o, come sostenevano i suoi strani padri, nella terra di Valhalla e i suoi rumorosi palazzi.






Un attimo prima di impazzire

C'è un qualche uccello notturno che lancia il suo verso qui dietro, tra la notte e il bosco. Un tempo lo avrei coperto con della musica, ma negli ultimi mesi per la notte ho scelto il silenzio; così per i primi minuti era solo un verso, ma è ormai già da un'ora che sono sicuro mi stia parlando. Egli dice: apri la porta e vieni qui, vieni a vedere cosa c'è di notte nel bosco, vieni a vederlo.
Da pochi minuti se n'è aggiunto un altro, più stridulo e lontano. Questo mi parla al di là della notte e del bosco, come un'avanguardia del mattino, e dice che non c'è nessuna notte e nessun bosco.
A breve so che arriverà il terzo e li smetterò di scrivere questo diario per seguirlo nel sonno, dove senza menzogne sarò io a cantare i miei versi, e muti mi ascolteranno gli abitanti della notte, e del bosco.



Nessun commento:

Posta un commento