martedì 3 maggio 2016

Storia di un uomo di successo (cioè io)




Non scrivo certo per vantarmi, tutt'al più lo faccio per indicare la via a chi ancora deve costruirsi un futuro. In questo mio breve testo vorrei solo spiegare quanto sia difficile trovare una propria strada nella vita, cosa che tuttavia si rende possibile non appena - come vedremo - si abbia un minimo di volontà.
Del resto, passiamo subito ai fatti. Sono nato una trentina di anni fa, e per i primi anni di vita non sembravo possedere particolari attitudini in questo o in quel campo. Correvo, parlavo un po', mangiavo di gran gusto e davo la caccia alle lucertole (per le quali avevo costruito un ossario, a pensarci bene la mia prima opera). Il cambiamento avvenne intorno ai sette anni.
Me ne stavo tranquillamente seduto in salotto a guardare i cartoni animati quando avvertii il desiderio di disegnare. Così presi carta e pastelli e decisi di raffigurare un ritratto di paperino. Quale meraviglia mi colse nel constatare la perfezione del becco, talmente era identico al modello! semplicemente perfetto! Provai e riprovai, e mi resi conto che, se anche il resto del disegno lasciava a desiderare, il becco era sempre perfetto. Da allora mi specializzai in becchi: a scuola tutti mi chiedevano, quando capitava loro di disegnare un papero qualsiasi, di fare il becco. Inutile dire l'enorme popolarità che ciò mi portò. Certo, subito non ne trassi un profitto decisivo, la mia intuizione per gli affari non essendo ancora sbocciata, ma col tempo ci sarei arrivato. Per il momento ero quello che disegnava i becchi.
Passò qualche anno, e i becchi parvero non bastare. Così fui costretto a rimescolare il mio talento per trarne fuori qualcosa di decisivo. Questo avvenne durante le scuole medie.
Rispettato e benvoluto da tutti, non ero però ancora riuscito a crearmi un mio spazio sociale, quando, per quella capacità tutta mia di sapermi reinventare, passando davanti a dei ragazzi che ridevano mi venne in mente che, perché no, avrei potuto dire qualcosa, e la dissi, dissi esattamente: ratatò!
Risero ancora più forte, per cui capii subito che dovevo ridirla: e ratatò! e anzi, rrratatooooò!
Fu subito un successo incredibile. A tutte le ore venivano per sentirmi dire quella incredibile parola che col mio talento avevo inventato, e, sapete, ne inventai anche altre, come ad esempio sicichi, urusuah, taraccara! e molte altre, tanto che, in breve, mi emancipai dalla mia precedente attività basata sui becchi per divenire Parolaio Magico. Questo fu il mio primo lavoro, nonché l'accesso principale verso i miei futuri successi.
Una persona normale si sarebbe forse accontentata, ma mi sentivo indomabile. All'improvviso decisi che dovevo pensare più in grande: volevo conquistare i cuori delle donne. Nel mio piano perfetto stimavo possibile entrare in intimità con loro entro i trentacinque anni, purché, s'intende, mi mostrassi sempre ossequioso e dedicassi loro delle parole speciali: per rincalzare la dose disegnavo i contorni delle mie mani con una matita su un foglio, altra arte che ormai padroneggiavo con efficacia, e regalavo il tutto alle ragazze. Da come ridevano quando ero davanti a loro non potevano esserci dubbi, mi adoravano. Ma cosa volete, i piani erano già stati fatti, e tra il far la punta alle matite, e l'inventarmi sempre nuove parole, stimavo possibile riuscire ad avvicinarmi compiutamente a loro non prima di quindici o venti anni. Inutile dire che le stime furono quasi esatte.
Quando i miei compagni di scuola, che mi adoravano, iniziarono ad allontanarsi da me, probabilmente per intraprendere delle loro attività, imitandomi, dovetti creare un nuovo spazio per i miei commerci: entrai nel mondo del lavoro. Giovane promessa qual ero, mi corrucciai a lungo prima di individuare la strada del successo, ma infine l'azzeccai in tutto e per tutto. O quasi.
Spesso, passando per i vicoli della mia cittadella, notavo stormi di piccioni assiepati nelle antiche feritoie, sui cavi tesi e sopra ogni cornicione. La gente, chiacchierona com'è, non faceva altro che lamentarsi. Così pensai: è il caso che possa farci dei bei soldi. Infondo, il commercio delle parole inventate iniziava a stagnare, al posto delle risate e dell'accettazione sociale ricevevo freddezza e distacco - forse le persone a cui mi riferivo erano ormai depresse, non potendo contare su una energia vitale come la mia -, e anche per i disegni... va da se che fuori dalla scuola era più difficile piazzarli. Allora mi decisi, e usando anni di risparmi acquistai una pistola ad aria compressa, e diverse munizioni che consistevano in sfere di plastica dura. Piazzandomi nei luoghi decisivi presi subito a menar piccioni. Gliele davo in tutti i modi, sulle ali e sul becco, sulla testa tonda e talvolta pure sul ciuffo del sedere. Insomma: ero diventato il loro flagello. Non che mi riuscisse di ammazzarli, questo no, ma a infastidirli ero un portento. Talvolta in neanche due giorni riuscivo a cacciarne decine da un vicoletto, salvo che poi tornavano, e fu allora che ebbi il terribile impatto con la realtà: non avevo preso nessun accordo di pagamento. Mi si conceda che è impossibile anche per un genio come me pensare a tutto, e questa sfumatura del progetto era fuggita alle mie attenzioni. Dubbioso, iniziai a reclamare i miei compensi casa per casa, definendomi lo Sloggiatore di piccioni. Ma la gente non sempre è bendisposta, e le accoglienze furono varie. In certi casi fui addirittura cacciato. L'investimento della pistola non si ripagava, e l'inverno avanzante scacciava da se i piccioni fin dentro le tane più alte. Poi iniziarono le piogge, e triste presi a vagare per le strade, senza un lavoro, o un talento che mi favorisse.
Ma ascoltatemi ragazzi, voi non vi dovete mai abbattere, perché nella vita tutto può accadere, e tutto accadde. Me ne stavo nella piazzetta a veder la gente andare e venire, distrattamente, quando passando su una pozzanghera da poco formatasi una signora mi schizzò tutto d'acqua, e dopo lei un'altra, e un'altra ancora. Allora, il mio genio tornò ad ardere. Forse potevo sistemarmi.
Certo, pensai, le pozzanghere sono tante, e se ne può ricavare qualcosa, e immediatamente, assecondando la mia ispirazione, corsi dal ferramenta e cambiai tutto quello che avevo, ossia una cartella, delle matite, qualche foglio e la pistola coi pallini, con una grossa coperta di tela, che mi avvolsi intorno al corpo, e con la quale andai a sdraiarmi dentro la pozzanghera.
Al primo passante dissi: buonuomo, camminate pure su di me, non vi sporcate, al vostro cuore la mia ricompensa. Probabilmente sbigottiti per il mio fiuto per gli affari, i passanti presero a camminarmi sopra, con uno sguardo che emanava ammirazione e, ci scommetterei, un pizzico di invidia. Naturalmente molte ragazze camminarono su di me, e le loro mance erano sempre un po' più abbondanti (so bene di possedere un fascino non da poco), quindi, contrariamente alle mie previsioni iniziali, mi ritrovai ad avere rapporti fisici con molte donne prima dei trent'anni.
Il resto è storia nota. Ormai possiedo tre coperte e se d'inverno lavoro come tappeto per pozzanghere, nelle stagioni calde grido parole per le strade deserte, tra i vicoli sotto ai piccioni, e siccome nessuno si avvicina, neanche i ladri passano là dove mi trovo, e i miei concittadini mi lasciano mance fuori dalle loro case, e sui davanzali.
Le notti sono belle, ci sono tante stelle. Di giorno mi annoio un po'. Mi sono anche innamorato, è una ragazza che passa sempre vicino alla fontana dove dormo. Fa dei gran sorrisi, a volte mi saluta con la mano. Io lo so come si gestiscono queste cose, bisogna saper aspettare, e intanto cucio, rattoppo le mie coperte, disegno la mia mano sui muri, e posso dire di aver raggiunto, in questa difficile vita, un certo successo. Sono ormai pronto per il matrimonio, del resto da come mi guarda, quella ragazza, non lascia dubbi: vuole sposarmi. Ma ora ho troppo lavoro, sono in piena carriera. A breve comprerò un'altra coperta per pozzanghere, e poi ci sono le stelle, il vento di notte, le cicale d'estate, i chicchi di riso tra i sampietrini, i piccioni lontani, quelli vicini, le corse per le strade, e sono così felice che mi sembra di impazzire, mi sembra proprio di impazzire.

Scritto e non riletto.

3 commenti:

  1. Pensando alle pochezze della mia esistenza, capito qui per caso e quasi mi consolo, ma mal comune non è mezzo gaudio.

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  2. in realtà un po' di gaudio lo dà

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  3. e però è un gaudio cattivello. Cerco di ignorarlo.

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