venerdì 29 dicembre 2017

Tra sonno e veglia

La mia scrivania


Intro

Ci sto lavorando da anni. A cosa? a un pensiero. O meglio, a una frase. Qualcosa che riassuma in poche parole ciò che penso della vita e del mondo. Quando finalmente l'avrò formulata, soltanto pronunciandola alla gente sanguineranno gli occhi, le donne abortiranno con vistose scie di fuoco e tutti i monumenti si polverizzeranno all'istante. I bambini diverranno muti e anemici, i maschi impotenti e flaccidi e le donne si spoglieranno e correranno finalmente nude per le strade. Gli sportivi ingrasseranno e i pigri impazziranno definitivamente, e tutti proveranno il terrore di cadere nel sonno all'infinito senza mai svegliarsi.
La vertigine dell'abisso ci attirerà come un tondo seno dorato, e scivolando nel nulla malediremo quanto visto e fatto e tutto ciò in cui si era creduto.
Un alone negromantico inghiottirà la terra e in qualche discarica dell'essere vomiteremo i nostri travagli rossi e neri di sangue.
Ma l'aforisma maledetto tarda a emergere dal baratro, e per questo tempo privo di catastrofi mi sento responsabile.
Proverò a scrivere qualche frase, ma quant'è difficile, a parole, polverizzare l'universo!



Sogno

Quel momento in cui, dopo un sogno o un incubo, impieghiamo qualche secondo, appena svegli, a tornare nella realtà, ancora mezzo intrappolati nel sonno, lo provo sempre più spesso, da sveglio, osservando il mondo. E me stesso, nel mondo.


In uno spazio abitabile ad affascinarmi maggiormente è quel che non vedo. Pareti soffitti e pavimenti, illuminati omogeneamente, mi annoiano senza lasciare intatto il minimo mistero: solo la grotta riesce ad animarmi. Vaga, finita eppure apparentemente senza fine, le sue profondità talvolta sono le mie; dicasi altrettanto per il suo buio interiore.
E se mai l'abisso avesse un odore, sarebbe quello umido delle caverne, l'odore della nebbia, e del sogno.


La religione, questo dramma protratto fino alla fine del mondo. Questo sogno in bianco e nero senza attori.


Tutto è permesso in amore e in guerra. Ma mi chiedo: esiste qualcosa che non sia Amore, o che non sia Guerra? L'amore non è una continua guerra, e la guerra non si fa anche per amore?
Le parole, queste miserie fatte di lettere, non smetteranno mai di stupirmi. Non sono niente, eppure riusciamo a tirarne fuori...l'infinito.


In ogni vizio c'è un po' di voglia di morire. Sarà vera questa affermazione? Vuol dire che anche mentre sto mangiando un panino piccante, guardando che so, un culo, sto desiderando di morire? E se poi per qualche assurdo caso riesco a metterci una mano su quel sedere, una mano viziosa, anche lì sto cercando di morire?
Inutile dibattere ancora sull'argomento, o scopriremo che tutto ciò che facciamo è volto alla morte, che del resto prima o poi arriva, come i vizi.


"Grazie, ho trascorso una serata veramente meravigliosa. Ma non è questa."
Famosa battuta di Groucho, ma che dovrebbe avere la vita come soggetto. Così: grazie, ho trascorso veramente una bella vita. Ma non era questa.
E poi, un oceano di applausi, mentre nero cala il sipario.


E come fiorai davanti a un cimitero i grandi poeti campano sul dolore degli altri. Tenendosi stretto il loro.
Poi, in una grande onda, la notte si riprenderà il giorno.


Orrore

Il futuro è un film dell'orrore dove la gente sbadiglia.


Leggere un brutto libro è peggio di non leggere affatto. Non ricordo tutti i libri che ho letto, ma di quelli brutti, che per fortuna sono pochi, ricordo tutto. Allo stesso modo in cui i sogni nella mia mente spariscono al mattino o poco dopo, mentre ogni incubo è indelebile nella memoria.


Da oggi ho un gatto in più, il terzo, si chiama Mortino.
Non sta con gli altri due, non entra neanche in casa. In realtà non si muove mai dalla strada qui sotto, sdraiato nella curva tra l'erba alta.
Però non è solo, anzi è pieno di amici. Gli orbitano attorno le mosche come a un lugubre pianeta, e lo scavano larve tremanti, pazze di giovinezza.
Anch'io ogni tanto vado a trovarlo, ma si circonda di effluvi nauseabondi: così non mi trattengo mai molto, giusto il tempo di salutarci.
Cibo non ne vuole, e credo non gli serva neanche il veterinario, sebbene sia un po' preoccupato per i suoi silenzi.
Il suo manto è grigio cenere, ma sole e pioggia lo stravolgono come il cielo un temporale.
È ancora piccolo Mortino, ha neanche tre mesi, ma non penso crescerà ancora. Almeno non in altezza: tuttavia si gonfia, e l'ultima volta che l'ho visto sembrava essersi allargato sul terreno.
Ora dorme sulla curva con le creature della notte. Non vedo l'ora di rivederlo domani, prima che piova forte e l'acqua furiosa lo culli via.


Stasera ho accompagnato il custode del cimitero a chiudere i cancelli, e vedere le tombe - ognuna col suo piccolo tramonto davanti, in lunghi viali di costellazioni morenti - mi ha ricordato che non c'è nulla di più bello del cimitero di notte, sacro di stelline piangenti.


C'è un qualche uccello notturno che lancia il suo verso qui dietro, tra la notte e il bosco. Un tempo lo avrei coperto con della musica, ma negli ultimi mesi per la notte ho scelto il silenzio; così nei primi dieci minuti era solo un verso, ma è ormai già da un'ora che sono sicuro mi stia parlando. Egli dice: "apri la porta e vieni qui, vieni a vedere cosa c'è di notte nel bosco, vieni a vederlo e poi muori."
Da pochi minuti se n'è aggiunto un altro, più stridulo e lontano. Questo mi parla al di là della notte e del bosco, come un'avanguardia del mattino, e mi dice: "non c'è nessuna notte e nessun bosco."
A breve so che arriverà il terzo e lì smetterò di aggiornare questo diario per seguirlo nel sonno, lui uccello di sogno, dove senza menzogne sarò io a cantare i miei versi, e muti ascolteranno gli abitanti della notte, e del bosco.


Tutti dovremmo avere un amico morto nell'infanzia o più d'uno. Alle scuole primarie dovrebbero fucilare un bambino in ogni classe. Perché? per inculcare angoscia e rimpianto nella mente dei sopravvissuti. Il sentiero oscuro va intrapreso sin dall'inizio.
Dopotutto cos'altro abbiamo da insegnare alle nuove generazioni se non orrori che possano superare i nostri?
Solo con disperazioni sempre maggiori ci libereremo dalla superstizione del perpetuarci.
Ecco un esempio di corretta pedagogia: la nascita? un suicidio della... Morte.


Sentire che ci si sta affezionando a una persona e continuare a frequentarla: questo sì che è un atto di coraggio! Sappiamo benissimo che non otterremo altro se non il cadere da un po' più in alto, e tuttavia andiamo avanti. Mi chiedo quanto ciò confini con la stupidità o il puro masochismo.
Iniziare una relazione non è altro che decidere liberamente di andare a vivere sul ciglio di un abisso: il precipizio è a pochi centimetri, ma non possiamo vederlo.


Una delle cose più orribili importate dagli stati uniti nel dopoguerra - paese da cui abbiamo saputo prendere solo il peggio - è senz'altro la fobia del vecchio, ossia quella forma di demenza percettiva che porta a considerare come inutile o detestabile qualsiasi cosa non sia nuova o alla moda.
Questo vale per tutto, dal frigorifero all'arte, tanto che sono in molti a pensare al contemporaneo, ossia a ciò che viene pensato, scritto, costruito e messo in opera ora, nel periodo presente, come all'apogeo dell'umanità, come se l'umanità stessa fosse un'onda che coi secoli si ingrossa e il suo obiettivo, sommergere il cielo, fosse sempre più immediato.
Il fatto che poi, negli ultimi anni, vi sia stata una riscoperta di ciò che era sommerso, uno slancio a sondare l'oceano del passato, a rivalutarlo e comprenderlo, è certo dovuto all'intuizione, per pochi, e alla nausea per tutti gli altri, poiché l'onda sembra essersi arrestata, la sua schiuma invece di fiorire bianca si sparge al vento, e tutto ciò che viene pensato, scritto, costruito e messo in opera appare stanco e malato, nauseabondo e superficiale, come la civiltà morente che lo ospita.
E allora dallo sguardo che vede lontano di alcuni sapremo tornare indietro in quel camino curvo che è la storia, per riscoprire ciò che è andato perduto in questa folle rotta verso il niente.


Il cristianesimo: suicidio dell'Europa. Questa stanca giaculatoria d'intenzioni, di utopie; questo nascondersi nel buio pregando di raggiungere il giorno: questa rivelazione mai detta, questo canto stonato di verità sospette. Questo ebraismo rivisto, ebraismo impoverito. Emendamento giudaico. Distruttore di storia e di ragioni. Che l'uomo lo maledica e lo distrugga.
E si liberi. Per me poi fa lo stesso.


Dopo un po' che si scrive, non si riesce più a parlare. Quello che diciamo ci pare rozzo, non all'altezza dei nostri pensieri. Vorremmo allora fermare l'universo per scrivere attentamente i nostri ragionamenti nell'aria.
Ma l'universo non si ferma, e nessuno dopotutto avrebbe voglia di ascoltarli.


In qualsiasi modo si guardi al proprio passato esso risulta sempre più affascinante nel momento in cui vi si introduce un elemento di orrore, qualcosa di nascosto che solo ora ci accorgiamo esserci stato. Come se la paura e l'ignoto fossero l'unica cosa in grado di ravvivare la banalità dell'esistenza. Cosa che a maggior ragione vale anche per il futuro, in forma di quella cosa terribile che ci aspetta dietro l'angolo.


Ti alzi e sei più stracciato di quella copertina che usi per dormire, ed è lì da sei mesi, e ce ne resterà altri sei o finché non sarà troppo caldo e dovrai buttarla in un angolo della stanza; e alzandoti non capisci se fa freddo, se fa caldo, se hai fame, e accendi la tv che a quest'ora  c'è sempre qualcosa di interessante... Stalin.
Sempre piaciuto anche Stalin. Era uno che se ne fregava di tutto, una persona pragmatica, spietata. Conosco quasi tutto quello che dicono ma il programma è ben curato e fanno dei commenti interessanti. Intanto cucino un pezzo di carne.
Puzza, o è la cucina che puzza. Dovrei proprio darci una pulita, e darmi una risistemata anche io. Intanto Stalin fa un discorso sulla piazza rossa. Non era capace di tenere lunghe orazioni, la Wehrmacht era alle porte di Mosca e lui... non alza neanche la voce! parla piano, non assume alcuna espressione facciale, è lento nei gesti, troppo lontano dalla folla, non scalda i cuori, non coinvolge, non fa sperare, non crea sogni, non illude, non agita la turba, non allarga le coscienze. Sembra sia lì per caso. Difatti integrerà con altri mezzi questa sua incapacità oratoria, i soliti mezzi di sempre. Richiami patriotici, madonne, nazionalismo. Alla fine è sempre una questione pubblicitaria, di sapersi ben vendere, e vendere il tuo prodotto. La gente è disposta a credere in tutto.
Però la carne, alla fine, non era male, è questa cucina che.. un disastro. E quella coperta... sembra un gatto morto sul ciglio della strada. Sembrano i baffoni di Stalin.
Dicono che al mattino si rinasce, si torna a vivere. A me sembra di morire un po' ogni volta che apro gli occhi, ma come sempre è una questione di punti di vista. Il mio per ora è piuttosto annebbiato, e non sono neanche convinto di me, come Stalin mi sono svegliato e credevo di essere qui per caso.
Ma almeno, per fortuna, piove.


È un tumulo gonfio di spettri il mio cuore.


Dietro tutto ciò che faccio o penso io sento, come un'ombra glaciale e irrisoria, la presenza dell'inutile, del "Tanto è uguale".
Così su tutte le cose e sulla vita cala il sudario del "Niente ha senso".
Eppure, per lussuria mentale o stoica inerzia, ancora faccio e penso e sento, e continuo a giocare e a desiderare, appagato dall'empio piacere di coltivarmi in assenza di scopo.
Perché? per dispetto!
Come un fantasma tra le tombe continuo a esistere solo per divagare.


Ho deciso che se vado sempre dritto nello spazio, a una velocità di sei o settemila anni luce al secondo - contando sul fatto che l'universo è sferico -, senza deviare minimamente dalla mia rotta dovrei essere di nuovo qui tra un paio di secoli, proprio nello stesso punto.
Certo le radiazioni universali e la stessa luce, impattate a quella velocità, sono un problema. Bisogna che prima trovi il modo di schermarmi. Inoltre non avrei riferimenti visivi, dato che sempre per via della velocità la luce delle stelle non potrebbe raggiungermi, lasciandomi al buio più tetro.
Se invece, ahimè, come alcuni pazzi sostengono, l'universo è infinito, vorrà dire che andrò sempre avanti fino a perdermi nel nulla, che è pur sempre una prospettiva migliore del qui e adesso.


Appena vivo un momento di felicità, ne approfitto per infliggermi qualcosa di brutto. Non è per masochismo che lo faccio, ma perché è solo da felice che riesco a sopportare certe cose che altrimenti non reggerei.
Quindi non è raro che, mentre bacio una ragazza, io pensi al momento in cui l'avrò perduta.
Se solo potessi, perdendola, pensare alla prossima che bacerò, avrei raggiunto un buon traguardo. Ma se la mente fosse così facile da ingannare saremmo tutti beati. La mente, questa monarchia infinita di ossessioni.


Perché fondamentalmente si continua a coltivare un orrido gusto per l'incompreso, per i confini sbiaditi, per i barlumi dell'ignoto e le loro scie vertiginose. Perché, in sostanza, ci piace non capire: ma capendo che non capiamo; una consapevole ignoranza dei fatti in cui cullarsi lontano da tutto. Infine, io penso, proprio per questo ci piace l'orrore, che non capiamo mai a fondo, e perciò ci cattura coi suoi tentacoli misteriosi.
Per questo leggiamo di cose innominabili o di fantastiche avventure: per seguitare a non capirci, che è l'unico modo che abbiamo di accettarci.


Che belle giornate, oppresse da un sudario di stanchezza, con un cielo di ghiacciata indifferenza e le ombre lunghe fin dal mezzogiorno.
Dove l'orrore dell'estate con i suoi soli intramontabili è appena alle spalle ma non brucia più, ed il suo ritorno abbastanza lontano da illudersi non torni mai.


Veglia...

A volte mi sento davvero triste, come se nessuno al mondo potesse capirmi.
A volte mi sento davvero triste, e se qualcuno mi capisse sarei ancora più triste.


Nelle prime notti dell'uomo, quando la notte era orrore e ogni rumore un assassino, il fuoco era il nostro Dio fatto di luce, figlio minore di quel sole che al mattino sarebbe tornato a mostrarci il mondo, scacciando l'ignoto dai sensi.
Per scacciare i miei orrori ho bisogno di un vasto mattino, e un'Asia splendente ridesterà i miei sensi.


Tristezza senza lacrime, nostalgia priva di soggetto, la malinconia è il mio elemento naturale. Potente alleato essa è, ma inutile. Qualcuno ha mai tratto giovamento dal saper guardare con aria cupa e sognante... un sorcio?
Col mondo è lo stesso.

Se non posso frantumare l'universo vorrei almeno sputarlo via. E con un energico rombo in gola tirare su tutte le galassie e scatarrarle lontano! Lontano, sì, ma comunque ancora davanti a me, di modo che non mi resterebbe altro che guardarlo. A un'eterna proiezione del cosmo, nel cinema vuoto dove mi sono rifugiato, preferiei a questo punto... vivere. Ma sarà meglio dirlo con prudenza.

E così l'universo è ancora intatto.




Nessun commento:

Posta un commento