venerdì 30 giugno 2017

La mia morte




Mi fa male un fianco. Mi fa male da un paio di anni, ma ultimamente ogni volta che sforzo un po' il corpo, anche una semplice nuotata, il dolore aumenta, mi toglie il fiato, devo sedermi, e lo sento pulsare.
Ho subito pensato - in realtà non proprio subito, solo dopo qualche mese - al dolore pulsante che stremò e uccise ivan il'ic. Per essere più precisi, solo negli ultimi giorni ho collegato le due cose. Infine mi sono definitivamente convinto di dover morire della sua stessa morte.
Ora, per chi non lo sapesse, ivan il'ic morì precisamente su un divanuccio, mezzo impazzito. Io su un divano ci dormo regolarmente... e mi chiedevo, o diciamo pure che sto immaginando, come sarebbe, appunto, morirci.
Il dolore al fianco non si sa cos'è, non li può sapere. Si sa solo che c'è, che cresce, che crescerà, che a un certo punto sarà così vasto da mettere in discussione, nella mia mente, che possa esistere altro. Qualche giorno ancora ed esisterà veramente solo il dolore. Allora mi sentirò in obbligo, o soltanto accadrà senza che me ne renda conto, di impazzire, sì insomma di iniziare a vedere tutto come una follia, un delirante e sospiroso universo fatto di tanti dolori che provano a ignorarsi. Dimagrirò, smetterò di lavarmi, dopodiché mi daranno qualcosa - sempre che decida di rendere pubblico il mio stare per morire - contro il dolore. Di qualsiasi cosa si tratti va da sé che non funzionerà neanche un po'. Per cui senza starci troppo a pensare inizierò a urlare e a contorcermi. Ma non per poche ore, o per qualche giorno. Per settimane e settimane. Il dolore allora non sarà più qualcosa che ricalca l'universo e minaccia l'esistenza di tutte le cose: sarò io. Io diventerò quel dolore, vivendolo così intensamente da arrivare a pensare che ci sia sempre stato, che non possa date le sue dimensioni e la sua forza esserci stato un periodo, qualcosa come un'altra vita, in cui egli non era, e io vivevo senza. Mi addormenterò soffrendo, sognerò il dolore come una enorme macchia viola che succhia il mio sangue, e al risveglio lui mi sarà davanti e dentro.
Allora, in quel momento, comincerò a pensare alla morte. Temendola, ma già dando ad essa una certa importanza: lei mi separerà da questo dolore. Non dalla vita, o dal cosmo: solo dal dolore. Perché il dolore è già tutto, ha già sostituito le case e le persone, le stelle e il nero oltre le stelle.
Quella sarà la cosmogonia del dolore o qualcosa del genere.
Il respiro si farà faticoso. Suderò soffrendo. Non mi andrà più neanche di mangiare. Poi di bere. Infine smetterò di fumare e gli altri diventeranno via via dei fantasmi quali già sono ma della cui cosa purtroppo non m'ero accorto. Fisserò le cose e le cose svaniranno. Fisserò un muro e questo cesserà di esistere. Al di là del muro vedrò inizialmente altri fantasmi, e poi l'ombra, l'ombra di un dolore che è tutto e che tutto vanifica e rende pazzo e senza soluzione.
In quel momento - ho deciso di non avvertire nessuno - sarò solo. Sì, non proprio solo, ci sarà il dolore, ma il dolore, questo mio dolore che mi avrà probabilmente già fatto impazzire e rattrappire come una pelle morta, non fa compagnia, la sua è una presenza assente, come quella di un'idea, che c'è senza esserci, la si sente ma non è davvero lì.
Mi sentirò in dovere di porre fine alla mia vita nel modo più rapido, inizierò a spiare le finestre aperte. A vederle invitanti porte sul vuoto. Ma il dolore è vivo come la vita, e ha un suo istinto di preservazione. Inizialmente non mi sarà possibile uccidermi, ma sarò sempre convinto di poterlo fare.
L'agonia non sta tardando, e anzi eccola, è già qui. Il cuore stordirà, il pensiero si farà debole, proverò a darmi un morso come fanno le bestie morenti per destarsi dal sonno, ma non sentirò nulla, e piano, lentamente, mi sentirò scivolare in basso, come dentro dell'acqua nera di un fiume immobile, in un posto dove le cose parrebbero aver smesso di scorrere, penserò a qualcosa che ho fatto, a una stella che nasce incendiando nubi cosmiche,  a una che muore, tramontando rossa nel suo nucleo, a un viso, forse a un canto. Il buio formicolante mi prenderà in braccio, il tempo si incepperà, gli occhi si saranno chiusi dopo aver visto per l'ultima volta la luce: una stanza sudicia affacciata alla vita. A occhi chiusi vedrò lucori lontani affacciati alla morte, e poi un buio più nero del nero, un pianto disperato e una disperata liberazione, e il dolore, ora lui soltanto, deciso ma anche lui più lontano, e ora del tutto altrove, in un altro posto da me, che come l'ultimo messaggero di questo mondo prende congedo dal corpo morente. L'ultima scintilla si spegne e inizia la notte definitiva. Senza più albe a tormentarla. E io cesserò di essere vivo.
Questa è la mia morte? se le cose vanno come al povero ivan il'ic, e il fianco peggiorerà, sarà questa. Altrimenti un'altra non troppo dissimile.
A volte sono spaventato al pensiero di una morte troppo improvvisa. Molti sciocchi anziani ripetono, con autorevolezza, come fosse chissà quale verità trasudata da Dio, che loro preferiscono sinceramente andarsene nel sonno, senza accorgersene.
Ma insomma, stai morendo, te ne vorrai accorgere o no? o non vuoi capirci niente pure del crepare? Del resto non importa, tanto sono tutte sciocchezze. Non voglio dire che ci siano cose più importanti. Soltanto... che è una sciocchezza.
Chissà poi com'è morire davvero. Una cosa, la morte, che non si ripete per nessuno, e quindi non la si può raccontare. Ma sarà vero poi? Sarà come addormentarsi.
Così stasera andrò a dormire e mi dirò: appena mi addormento muoio. E vediamo quanto ci metto a precipitare nel sonno.

- scritto di getto e non riletto -

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