domenica 5 ottobre 2014

Un racconto o giù di lì



In realtà il racconto è del mio gatto.



Così inizia questo mio racconto, e come ogni inizio a fatica trova la sua via, il suo voler davvero esistere. Certo no, non è un’epica battaglia tra bene e male, benché bene e male non siano che sfumature dello stesso gioco inutile, e non è neanche uno di quei tomi con pretese filosofiche, storiche, o altre cose, tutte stoiche. A dirla tutta è anche scritto un po’ così, così come viene, e non necessariamente è piacevole da leggere.
Ora, ascoltatemi bene, mi rendo conto che scriverlo è noioso; ora mi diverto. Ora so già le prossime dieci righe; ora non so niente. Vorrei essere prosaico con eleganza; lo scriverò in versi. E poi, forse, se lo finisco, e sarà un bel racconto, il mondo diverrà un bel posto; se lo finisco, e piacerà, il mondo sarà vuota notte. O in fondo niente di ciò, e, chissà, tutto insieme. O come si dice in questi casi: val bene vedere come andrà a finire purché finisca. Seppure certo non sappia chi mai s’azzarderebbe a dire una cosa del genere.
Allora si narri questa storia e, misericordia, non se ne parli più, non se ne parli più per piacere, che si scriva e basta…e, per la maledizione di non ruotare ai lidi dell’universo, era caldo, ma non estate; poi stagioni non ce ne sono, e anche ce ne fossero la gente di questo racconto le ignorerebbe. Comunque era caldo nella zona, quel caldo umido che rende nervosi e privi di tatto, quasi bestiali durante i pasti, mostruosi nel rigirarsi nel letto umidiccio.
 Un caldo buffo, se non fosse tragico, curativo, se non uccidesse. Quel tipo di caldo che mette a dura prova qualsiasi ordine costituito.
 A proposito di ordine va detto che, se l’uomo nella sua favoletta, dalla scimmia a Dio, e poi da Dio…alla scimmia, dovesse rendere merito a qualcosa in particolare per essersi così ben evoluto, fino al punto a quanto pare imprescindibile per ogni specie di realizzarsi nell’orrore, lo deve senz’altro all’ordine. 
Strano come l’ordine porti all’orrore. 
Ordine mentale, certo, filosofico e morale, certo. Ordine nel diritto e nei percorsi umani predefiniti, senz’altro. Ma anche più modestamente l’ordine domestico, e a voler essere, e perché no!, precisi, l’ordine nelle singole stanze dove viviamo: e su tutte la camera da letto.
 Ecco, si potrebbe dire che l’umanità tutta ha il suo faro guida nel modo in cui ogni singolo individuo tiene ordinata la sua stanza. Ora, si sa, e chi non lo sa è quantomeno una persona noiosa, non sempre tale spazio si rivela lo specchio di un’anima serena, ma sovente ne è la nemesi, fino allo sfociare nel più bieco disfattismo umano, con picchi di sfacelo e miseria tali da far urlare malcapitati spettatori all’anticristo – davanti allo scempio di certe camere – o portare fisici più o meno sobri ad asserire, non senza commozione, che siffatti scenari orripilanti non possono trovarsi all’interno  del nostro continuum spazio-tempo.
 Insomma, a esser concisi, evitando per ora d’essere tetri, qualche caprone avrà già capito, e se non avrà capito, che sfacciato, sarà una capra!, che questa stanza non era, per così dire, il diritto romano, la moralità cristiana(?), o, tantomeno, la saggezza greca. Era, per Dio, un caos primevo, dove, ignorando le leggi universali, niente si trasformava, ma tutto davvero si creava dal nulla, come strani vapori, e si distruggeva per sempre, sparendo dentro pertugi dimensionali mai visti da occhio umano, come i vuoti a rendere che siamo, pieni di calzini sporchi e tutta la biancheria sporca del mondo e cicche puzzolenti e altre schifezze, tutte vecchie, tutte sporche.
 Ma chissà, chissà mai, chi ci vive in questa camera così incasinata, si starà chiedendo…tu, si chiederà tu, tu il lettore. Te lo chiedi? Ecco, caro lettore, scosta quel filino di bava dalla bocca e datti una pacca sulla schiena da parte mia – io, io che scrivo, ciao! – che stai leggendo da cinque minuti, e son sempre cinque minuti davanti allo schermo di un pc senza spulciare pornografia. E sia, ci vive, e si prova a riordinarla, una tizia, né alta né bassa, né giovane neévecchia, in un certo senso nient’affatto fuori luogo, dai modi garbati, tranne quando è sgarbata, e tutto sommato di una certa cultura, pur con una forte avversione per la cultura stessa.
 La ragazza, se vi fa piacere, s’applicava non poco per tenere in ordine la sua stanza, ma se preferite se ne fregava, tanto, per quel che ne so io, impegno o no, la stanza era un vero e proprio lebbrosario.
 Ora qui si spolvera, e dopo poco la polvere ricopriva tutto; poi qui rifacciamo il letto, e neanche si fa in tempo a girarsi che il letto si disfa; adesso riordiniamo per bene le mensole, e prim’ancora di allontanarsi per vedere l’insieme tutto s’era sparpagliato. Quella dannata camera pareva godere di vita propria, una dispettosa volontà tendente al disordine, fermamente decisa a impedire il desiderio d’ordine della ragazza.

Certo, ne converrete, ne venne fuori un bel problema. Si sta male nel disordine, se non è voluto, si sta peggio ancora nel disordine quando se non metti in ordine ti picchiano. Eh sì, perché i genitori di lei, convinti fosse tutto frutto della sua personalità eversiva, la punivano, senza troppi convenevoli, e con mano ferma, a… come renderci chiari: a calci in culo, ecco, senza disdegnare occasionali bastonate, marchiature a fuoco, e, perché no, in fondo che diavolo!, costringendola a lavare i piatti, montagne di piatti: tutti i piatti del paese, del mondo, tutti i piatti esistiti o a venire.

Davvero un bel problema, per la giovane, che senza sosta si chiedeva come venirne a capo. Come, cioè, averla vinta sulla camera balorda, che di storie non voleva sentirne, e nel suo silenzio espressivo sembrava dire: puzza e casino, polvere e folletti negli angoli! E chissà cosa negli spazi oscuri, HAHAHA, lo sai tu cosa? Te lo puoi solo immaginare! Così pensandoci qualcosa le venne in mente, certo si trattava di misure estreme, ma chi per sottrarsi a un tale incubo non ricorrerebbe alle latenti bassezze insite nel nostro lato più oscuro? Certo lei non se ne fece un cruccio, ne s’avvilì, e in poco tempo, fermamente convinta in quella direzione, si procurò qualcosa che bruciasse, e qualcos’altro per farlo bruciare. Poi niente, con naturalezza diede fuoco un po’ a tutto, alla camera, ai genitori, ai piatti e anche al suo personalissimo disordine interiore. Bruciava come una foresta di alberi morti, e su tutto echeggiarono risate impazzite, liberate e liberatorie, urlate ai muri anneriti, più lucifere del fuoco, risate infernali.

Quando altri tizi, con altri problemi, finirono di spegnere il fuoco, la casa era uno splendore. La camera non c’era più, tutto si era fuso in un cono amorfo, come si scioglierebbe una candela di cattivi pensieri, appiattendosi sulla sua disperazione. I piatti – milioni di piatti – semplicemente erano spariti, forse esplosi, forse ancora andati in fumo. 
Riguardo la sorte della giovane, com’è evidente, nessuna colpa ne macchiò l’avvenire, poiché nessun tribunale dotato di buon senso trovò opportuno processarla per aver bruciato una casa: le case vanno bruciate, è il supremo ordine.
 Nessun tribunale trovò opportuno processarla per aver bruciato i genitori: i genitori vanno bruciati, è l’unico ordine.
 Solo una vecchina si lamentò del tutto, e certo non le si può dar torto, se si spiega cosa accadde, ossia che l’incendio aumentò il calore, e la vecchina ebbe a soffrirne, e fu presa da gran caldo. Fu bruciata anche lei, e nessun tribunale trovò opportuno processare la ragazza per aver bruciato anche la vecchina: i vecchi rompicoglioni non sono essere umani. 
E poi bon, io la chiuderei qui, che storia banale poi, andrebbe bruciata, ma val più di un vecchio, di una casa o di due genitori, e allora no, mi sa la lascio, e in fondo mi sono divertito a scriverla; è stato uno strazio. Il tempo è volato; seimila secoli sembrano scorsi. Fuori è giorno, ora esco e non ci penso; fuori è notte, resto in casa e mi pento di tutto.


Ho due gatti. Il nero detta e il grigio scrive.



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