I terroni!
Quello lì, è un terrone!
L'è un terun!
Senti come parla, è un terrone!
E come si veste, ma come si concia? è sicuramente un terrone.
E così via. Io queste cose le sento da quando ero piccolo.
Intanto precisiamo: non ho simpatia per i "terroni". Perché?
Perché in generale mal sopporto chiunque non parli un buon italiano o fatichi a mascherare l'accento. E i terroni di solito non parlano un buon italiano e hanno accenti pesanti come il nucleo del sole. Ma senz'altro è un mio limite. Devo dire che, però, non sopporto neanche il mio (di dialetto), il che rende il ragionamento coerente.
Però a riguardo ho sviluppato un mio metodo, il seguente: se noto antipatia per un dialetto, una cultura, un accento, mi immagino una bella femmina che parla quel dialetto, usa quella cultura, adopera quell'accento. Se dopo averci pensato vorrei comunque fotterci, allora no, non odio davvero quella cultura, quel dialetto, quell'accento. Devo solo abituarmi. Detto ciò...
Ma poi, cosa sono i terroni?
Il vocabolario dice che, facendo una sintesi, sono figli della terra. Come i montanari insomma. Solo che i montanari non sono terroni. Dice anche che identifica un emigrante del sud che si sposta al nord in cerca di lavoro. Inoltre indicava, nel secolo.. boh, qualche secolo fa, un proprietario terriero. Un possidente.
Allora possiamo collegare il termine che etimologicamente ci sembra più affine, ossia proprio la terra.
Il terrone è legato alla terra.
E l'odio da dove viene? perché, voglio dire, da me è pieno di contadini, c'è gente che non sa fare un ragionamento complesso neanche se gli infili una scheda ram dentro al naso, eppure quelli non sono tacciati d'esser terroni.
Il terrone, allora, deve per forza avere qualcosa in più, qualcosa che lo distingue dal mero "sempliciotto" e gli fa fare uno scatto verso l'aborrimento. Altrimenti anche i veneti sarebbero terroni, per non parlare dei suddetti montanari. Difatti anche persone colte o acculturate sono, se vivono al sud, terroni.
Dev'essere per forza un fatto culturale.
Per provare a rendermi conto di cosa diavolo volesse dire essere terrone ho analizzato il resto del paese, prima e dopo l'unità.
Oddio, analizzato... ho unito quello che già sapevo a... quello che già sapevo, del resto con questo caldo di fare ricerche...
Usi troppo puntini, non essere lascivo, balordo.
Già. Ad ogni modo, ho fatto quanto detto. Ho preso ad esempio il nord. Cos'è il nord?
Si va bene, industrializzato(?), ricco? secolarizzato? imborghesito?
Ecco, ci siamo. Industrializzato davvero non si può dire. Ricco? mah, sarà pure ricco, ma perché?
Perché è secolarizzato? bah, nah, Non lo è. L'Italia non lo è da nessuna parte.
Allora è più borghese?
È più borghese.
E il centro? il centro invece com'è?
Allora: secolarizzato no, ve lo assicuro. Ricco? forse, ma forse neanche tanto. Diciamo che stanno bene. Allora industrializzato? Beh, bah... boh. Non mi sembra. Cioè, ma poi cosa ci importa.
Ecco allora, il centro è come il nord, Borghese. Diciamo leggermente meno borghese del nord, con un pizzico di ignoranza in più, ma lo è.
Dice il saggio: una volta c'era la borghesia, il proletariato, l'aristocrazia, il clero... ecc ecc
Oggi no, non c'è più un cazzo. C'è solo la borghesia. Voglio essere chiaro su questo.
Proletari e borghesi hanno gli stessi costumi, perciò venendo a mancare differenze culturali una delle due si annulla. Conserviamo il termine borghese e ciao al prolet.
Ma, appunto, cos'è il borghese?
Il dizionario dice che... no va be, è troppo lungo quello che è scritto sul dizionario, ve lo dico io: è quella classe sociale che eternamente media tra gli opposti della vita. Questo è.
Quindi nel nostro modello di sviluppo il borghese è innanzitutto un consumista. Un moderato (quello lo è sempre). Un conformista. E tante altre cose brutte o supposte tali che volete loro affibbiare.
E al sud? al sud sono borghesi?
Mah, 'nsomma... secondo me: no.
Perché?
Perché voglio dire, proviamo a pensare all'Italia pre-industriale, prima della dittatura dei consumi. Cosa eravamo? artigiani e contadini
E cosa facevamo?
Più o meno le stesse cose. Lavoravamo la terra, il ferro, la materia insomma, temevamo Dio, credevamo nelle cose semplici, nei valori che coltivano gli hommini, mangiavamo, ci sposavamo con fracasso e tenevamo sopra ogni cosa i figli. Non c'erano sentimenti patriottici e anzi ognuno pensava alla sua famiglia. Una cultura contadina insomma.
E oggi al sud cosa fanno? Fanno queste stesse cose: si arrangiano coi lavori, sono bigotti - o almeno lo sono nei costumi - si sposano e tutte quelle altre cose che si fanno coi parenti ancora con un fracasso simile a una battaglia navale, divorano i figli di attenzioni e mangiano, si fanno certe mangiate che... e pensano molto alla famiglia.
Insomma, non sono borghesi. La borghesia non li ha nemmeno sfiorati. Non c'è nessuna moderazione nelle loro esistenze, sono esagerati in tutto. Sono rimasti com'erano, ma con l'aggravante di essere stati resi più stupidi dalle tv, dal consumismo - che vivono a modo loro -, in generale dai grandi inganni per le masse. Sono italiani preunitari con una cultura contadina e sanguigna.
E allora io dico: non esiste il terrone, è un'invenzione. I terroni sono solo gli ultimi italiani legati alle tradizioni preunitarie, prima della deriva consumistica e del cadere in confusione. Mentre tutti gli altri sono dei perfetti borghesi patentati.
Cos'è meglio?
Oh, eccoci al punto, quale dei due stili di vita è preferibile? L'italiano preunitario del sud o il borghese del centro-nord?
Diciamo che sono entrambi discutibili, o per meglio dire: fanno schifo tutti e due.
I primi perché irritanti e chiassosi in un mondo che è andato oltre le processioni, i secondi perché freddi e impersonali, direi quasi vuoti e tutti uguali.
Allora come essere? come potersi salvare?
Non c'è salvezza.
Basterebbe rendersi conto che il disprezzo che si prova per i preunitari è schiavo delle imposizioni culturali, di un'accettazione passiva delle regole che costruiscono la normalità percepita. In realtà non c'è differenza alcuna, c'è solo un prima e un dopo. Una cultura che non rinuncia a se stessa e un'altra che s'è persa nel nuovo.
I terroni non esistono, essi sono semplicemente gli italiani di una volta.
Poi ci sono i lupi della steppa ma questo è un altro discorso.
Ma state attenti perché sta nascendo una nuova classe sociale.
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lunedì 29 luglio 2013
sabato 15 giugno 2013
L'abitudine alla normalità
Spesso sentiamo questa locuzione: non è normale. Solitamente volta a indicare accadimenti o cose percepite come sbagliate. Quindi ciò che è normale, nel lessico corrente, è giusto, o comunque accettabile.
Ma cos'è la normalità, ve lo siete mai chiesti? Voglio dire, oltre i tendaggi di velluto che la nostra mente tira sull'oggettività delle cose, per cui spesso ci si arrende a delle concezioni dominanti, avete mai provato a capire cosa sia la normalità?
La normalità è, niente di più semplice, un'abitudine. Come prendere il caffè o indossare il pigiama la sera. Del resto vi è mai capitato di considerare alcune delle vostre abitudini anormali?
Ed è in quanto abitudinarie che le cose ci appaiono, appunto, normali.
In definitiva tutto ciò a cui siamo abituati è normale.
Nel paese della guerra eterna, sotto cieli sulfurei venati di rosso, le bombe piovono allagando di morte ogni luogo; chi ancora vive striscia e fugge di rifugio in rifugio, e dopo anni di cieco orrore si è abituato a correre sempre. E per lui, questo, è normale. Poiché vi è abituato.
In altri luoghi, invece, giovani ben nutriti spingono le proprie passioni con l'accanimento che è proprio dell'idiozia, sotto cieli colore dei pastelli in un benessere che fa pensare. E per loro questa è l'abitudine e la normalità.
Sono solo due esempi, i primi venutimi in mente, ma definiscono il concetto di normalità che gira sempre attorno alle abitudini. Ma ad ogni modo, le stesse abitudini cosa sono?
Certo sono situazioni ricorrenti, non v'è dubbio; ma come si formano, appunto, le situazioni ricorrenti, che danno poi vita alla normalità?
Esse sono senza dubbio frutto di un processo culturale. Già, la cultura. Ma proviamo a far finta di ricominciare da capo e spiegare cosa sia la cultura.
A grandi linee e molto in generale la cultura è l'insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha assorbito durante la propria vita, rielaborate in seguito attraverso profonde meditazioni.
Ma che vuol dire?
Semplicissimo: cultura è tutto ciò che la mente apprende. Per semplificare.
E badate bene, non stiamo parlando solo di Dostoevskij o Nietzsche, o della cultura intesa come studio intellettualistico di una qualche intellighenzia. La cultura è, principalmente, tradizione. La lingua, la cucina, le interazioni umane e lo stile di vita. Ecc ecc ecc. Le tradizioni di un popolo, la sua religione e l'architettura, i riti sciamanici superstiziosi e l'insieme delle sue abitudini quotidiane sono cultura. La cultura, come detto, di un popolo.
Ad esempio, come dicevo prima, l'abitudine di prendere il caffè è, appunto, un'abitudine culturale, poiché fa parte della nostra tradizione ed è giunta a noi attraverso schemi mentali acquisiti nel corso degli anni. Quindi è Cultura e tradizione, quindi abitudine e, di conseguenza, normale.
Allora cos'è la normalità, la normalità è la nostra tradizione culturale?
Certo lo è, ma non è solo questo. Vi sono infatti altre due cosette da analizzare. Ma sarò breve. Ecco una foto, mi hanno consigliato di usarne per alleggerire il tono dei post. Così eccovela.
Davvero, non mi andava di cercare troppo. Così ho tirato su la prima foto di Hipster che ho visto. Così lui è appunto un Hipster. Non ci sono dubbi che sia innanzitutto una persona insicura, più cose ti metti a dosso e più necessiti di difese contro l'esterno. E così fanno gli hipster, così insicuri da dover fingere di essere qualcosa che non sono e ricoprire poi quella cosa con occhialoni spessi (andavano anche negli anni 60, servivano a una generazione ancora poco maliziosa che doveva nascondervisi dietro) anelli collane ecc ecc. Non so se tutti gli hipster siano così. Non mi interessa. Di sicuro tutti gli adolescenti lo sono, ma neanche questo mi interessa. Quello che interessa ora è: sono normali?
Ovvio che sì. Ma perché? Non fanno parte della tradizione, eppure sono un fenomeno culturale. Come si spiega?
Beh, certo la cultura non viene solo dal passato, si manifesta normalmente in una civiltà industriale attraverso uno dei fenomeni più consumistici: le mode. Le mode, vedete, sono l'essenza platonica dell'effimero. Servono prevalentemente a fissare un solco intergenerazionale, indispensabile in una società dei consumi (altrimenti non si venderebbe più niente, no?), durano un po' e poi puff, spariscono. Salvo essere ripescate al momento giusto.
Dicevo quindi che, sì, sono normali, in quanto percepiti - nonostante appaiono astrusi a chi non vi è avvezzo - come il consueto mutamento esteriore delle generazioni ultime. Anche qui poi, sul fatto che nell'era industriale si sia tornati a un approccio di costume sulle relazioni sociali e sessuali ci sarebbe da dire, una vera regressione della specie. Ma magari più avanti se ne parlerà. Comunque sono normali. Certo, l'anziano faticherà a riconoscere, specie l'anziano che viene da una società contadina e non è nato borghese. Ma il semplice esporsi nel quotidiano allo strano lo rende normale. E quindi sì, ci si abitua. In fondo la stessa specie umana ha vinto nel pianeta perché come nessun altra si adatta.
Ma proviamo a tornare all'inizio, fate quindi finta che stia ricominciando.
Se la normalità, come spiegato finora, è solo quella visione della realtà a cui siamo più abituati, e quindi non è niente - perché se di semplice impressione della mente trattasi non è nulla, siamo nella metafisica, e non ha per cui alcun valore intrinseco -, e di sicuro non è oggettiva né veritiera, allora come si può dire se una cosa sia normale o meno?
Come posso dire se questa è normale o non lo è?
Io, semplicemente, non posso.
Come non posso dire se una cosa è vera né posso dire se una cosa è giusta. Non posso dire, a ben pensarci, neanche che ora è - perché esiste forse un tempo?
La mente umana deve, per capire, imprigionare nei suoi schemi la realtà. Per capire che la realtà muta, e ricordarsi i suoi mutamenti, ha creato il tempo. Per dare un senso alle sue azioni ha intrappolato le cose nel concetto di verità, di giusto o sbagliato, di bene e male. Infine per difendersi da ciò che non capisce ha creato la normalità, ossia tutto ciò a cui è abituata.
Niente è normale, il normale non esiste, lo creiamo noi come tante altre cose. L'anormalità è solo qualcosa a cui non siamo abituati, che non capiamo, un concetto che ci sfugge, un modo di operare a noi estraneo. È anche, ovviamente, quello di sapersi muovere solo dentro la propria normalità, un limite. Un enorme limitazione ai nostri pensieri e alle nostre azioni. Insomma, a noi stessi. La verità è che così come ci sono infinite verità vi sono anche infiniti schemi di normalità, e tutti andrebbero compresi o contemplati. Tra l'altro mi dicono anche che ci si diverte di più, non è vero?
Sì
Allora è vero!
Comunque pensateci la prossima volta che sentirete la locuzione "non è normale", pensate a tutto quello che c'è dietro e, no, per carità, non dite niente, ma tra di voi potrete fare un risolino.
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