lunedì 31 agosto 2015
Vaneggiamenti sul dolore
Se la vita fosse un prodotto consumabile vi sarebbe scritto sul retro "composta al 95% di dolore"; in realtà si tratterebbe di un eufemismo: essa ne è composta interamente.
Ciò su cui spesso mi trovo a ragionare è l'inutilità di questo soffrire, esso infatti non porta a nulla se non a una maggiore predisposizione al tormentarsi nel profondo. Se il cristianesimo lo ha immaginato come mezzo per accedere al suo regno a venire lo ha fatto per un quantomai azzeccato affarismo d'intuizione. Avventuratosi come un becchino su questa promessa di salvezza mediante l'atroce vi si è ossessionato fino allo sfinimento, fino al completo esaurirsi di ogni compromesso col dolore visto ormai come inutile fardello; cessata questa spinta oggi preferisce agitarsi nella banalità dell'entusiasmo per Dio. Di certo più funzionale in questi tempi carnevaleschi, ma non altrettanto a buon mercato né accessibile. L'apologia del terribile resta confinata nelle chiese-ospedale dirette dalle madonne.
Incalzati dalla morbosità del patetico, sott'assedio da una felicità-infelice sempre a portata di mercato, come pensare anche solo di dedicarsi a ciò che è spirituale - non è sufficiente l'ottusità della fede? -, a qualsiasi cosa abbia maggior profondità di una insulsaggine ma non sia necessariamente contorta e malata?
Per quello che mi riguarda, invece, quando credevo che in fatto di dolore nulla potesse battere il mal di denti ho scoperto le emorroidi. Sofferenze collocate in luoghi opposti ben si intendono in crudeltà raffinate: orrori meticolosi nelle notti passate in bianco. Notti in cui se mai vi è stato qualcosa di trascendentale e tremendo io l'ho sfidato a sopportare altrettanto.
Il dolore fisico, diversamente da quello emotivo, più che a una profondità del pensiero sfocia in malattia mentale: a lungo andare, chiunque sia tormentato da dolori fisici cronici, non può che impazzire. Nei periodi in cui mi trovo a soffrire per alcuni giorni purtroppo non faccio in tempo a diventare matto, ma ce n'è abbastanza da rendermi odiosa la vita e il genere umano: inimicatomi tutto e tutti dalla mia immobilità sul divano, le mie maledizioni spaziano su qualsiasi argomento lasciandosi dietro macerie fumanti e ceneri nere. Il malato, si sa, odia i sani, così come i sani diffidano dei malati. Questo per quanto riguarda gli altri, per me non è così. Io, malato, non riconosco più nei sani dei miei simili: essi divengono per me alieni o mutanti, come avessero due teste o delle antenne parlanti; per contro, sano non sono mai, per cui il malato, fisico o di mente, mi è sempre caro, e mai mi viene a noia.
Stanotte ascoltavo dei bambini piangere. Qui, in questa zona, basta che se ne svegli uno, che subito tutti fanno altrettanto. Diventeranno tutti dei piccoli stronzetti, dei giovani sciocchi, degli adulti infelici; anche a loro verrà il mal di denti, e se berranno troppo si piglieranno pure le emorroidi - ma infondo sono pensieri sciocchi, privi di costrutto. Ora torno indietro, torno a stanotte. Sono sul divano, dicevo, a leggere, con le gambe leggermente alzate, un paio di cuscini intorno, tutte le cose di cui ho bisogno a portata di mano. Doversi alzare significa essere dilaniati dal dolore; un'infermiera scollata mi darebbe sollievo, però sento che un vecchio monaco seduto al mio fianco me ne darebbe altrettanto. Non so perché penso questa cosa ma so che è così. Infondo le donne non possono mai davvero capirci, che sciocchezza le infermiere donne: chiunque si occupi del dolore umano dovrebbe essere maschio. Bevo molta acqua come da consiglio, il che vuol dire che, ahimè, prima o poi dovrò fare pipì. Sento già lo stimolo ma ho deciso di alzarmi solo a vescica straripante. Intanto leggo questo nichilista austriaco capace a raccontare solo storie di pazzi e malati, un Cechov tedesco - ma l'Austria degli anni 60 non è la Russia dell'800, e i suoi scritti ne risentono. Io, appena sento puzza di 900, in letteratura, storco il naso. Se, per dire, leggendo un libro, sento parlare di automobili, grattacieli, aerei o cose del genere non riesco più a leggere, mi sento affine solo con l'antico. Ad ogni modo stavo leggendo, e ovviamente ascoltavo Bach, che è meglio dell'infermiera scollata e del vecchio monaco messi assieme. Sudo tantissimo, non è tanto il caldo quanto il fatto che probabilmente ho un po' di febbre. Finora mi sono astenuto dal farlo visto che ieri ho bevuto molto, ma ora devo prendere un brufen. Il fegato reggerà. Prendo appunti mentalmente, la prossima volta che mi alzo: pipì, brufen... e mi cambio queste mutande. Non vado in bagno da più di 24 ore eppure tutto sembra odorare di feci e sangue misto a feci. Che razza di abominazione sono mai queste emorroidi? Dico io, ma come potrebbe persino un santo o un angelo stesso credere alla bontà del creatore vedendone una?! Quale malvagio demiurgo può averle pensate? Il solo immaginarmi un Dio del genere mi atterrisce, fa di me istantaneamente un luciferino; certo pensare che è tutto un caso, che la vita, i pianeti, le specie, tutto, dalla prima scintilla a me che me ne sto qui sul divano è un caso, non è meno avvilente. Avvilente non è la parola giusta, credo sia meglio definibile come straziante. Ma io ormai, bah, non sto neanche più a pensarci. Via, mi alzo. Dolore incredibile, come possono fare così male? Mi sento Budda fuori dal palazzo, Gesù nel deserto; sono prometeo divorato... dagli squali! Faccio subito quello che devo fare e poi me ne torno sdraiato. Ecco, camminare, se fatto come si deve, lo si può anche sopportare, ma è l'atto di piegarsi che appare insostenibile: del resto l'alcol ha gonfiato tutto, ha combinato un gran casino. Ora spengo la musica, aggiusto il cuscino. Silenzio.
Anzi non del tutto, silenzio e dolore, e il dolore, vedete, per chi vi ha dimestichezza, ha un suo suono, che somiglia, se vogliamo, a una linea viola elettrica che pulsa assieme ad esso ed emette un ronzio vertiginoso, a tratti strangolato. Ora siamo io e questo suono terrificante. Fuori, nessuno passa.
Provo a girarmi di fianco e a dormire. Ah, se solo notti come queste valessero a conquistare qualcosa come un paradiso o una vita ulteriore. Ma non c'è premio per i viventi, neanche la consolazione di aver partecipato.
È il giorno dopo e sto meglio, la febbre è passata. Ho scritto tutto su carte e cartine da ricopiare, certe cose sono completamente deliranti. Incredibile, persino le emorroidi mi danno il delirio. Mi sono svegliato, mi sono alzato, e ho iniziato a parlare da solo: mi raccontavo, ridendo, di quanto faccia schifo questa casa, proprio come lo si racconterebbe a un turista in visita: prego, venga, ecco qui le foto sfocate, noti pure le cornici troppo grandi e il fastidioso bordo bianco che emerge sotto; qui può ammirare il divano sfondato e qua la libreria fatiscente; se vuole seguirmi le mostro l'angolo delle icone religiose, lì c'è proprio da sbellicarsi.
Basta, era un attimo di buonumore da sfruttare, quei primi 20 minuti appena sveglio la mattina. Se non c'è nessuno in qualche modo devo sfruttarli: poi è tutto un calo di energie. Mi sono divertito però.
Ora torno serio, mi lavo e prendo le medicine. La nottata non è stata così male, e poi ci tengo a conservare memoria delle mie notti più terribili. Di tutte no, sarebbe impossibile.
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Oltre al dolore, che comunque è un argomento importante (i calcoli renali, dio bono...) non bisogna sottovalutare le rotture di coglioni.
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