mercoledì 19 giugno 2013
Riflessioni su una spiaggia solitaria
Cosa c'è oltre il mare che non sia il rumore delle onde?
Paesi e persone, e poi altri mari, mari infiniti dove ci si perde. E isole nel mare che emergono come scogli nel pensiero delle profondità abissali .
Nella mia vita ho amato molte cose, alcune troppo altre non abbastanza. Ma, in generale, se ho una passione questa mi coinvolge appieno. Non è il massimo, voglio dire... a volte mi piacerebbe avere un atteggiamento più distaccato, proiettarmi meno nelle cose e, allo stesso tempo, introiettare selettivamente. Lasciare solo un'ombra di interesse, l'ombra del rapace che striscia sul mondo senza che lui scenda mai. Invece no: sono un fanatico.
Poi esistono nelle regioni (e nelle ragioni) della memoria luoghi più chiari, ricordi bonificati, dove le mie reminiscenze iperboliche si ricordano sotto una luce più viva e reale, come quel cimitero che vidi da bambino con le lucertole pigre sulle lapidi al sole (immobili portaerei macabre arenatesi lì chissà come), quella ragazza che appoggiava i seni sulla mia schiena in motorino, un giorno di pioggia di cui ricordo l'odore del marmo bagnato con un pacchetto di carte da aprire in mano.
Li amo tutti questi ricordi? Alcuni li amo più di altri, altri si prolungano senza motivo apparente. Come addobbi natalizi ancora appesi nella primavera dell'esistere.
In questi non-luoghi della memoria incontro me stesso per la prima volta eppure già mi conosco, così che l'emozione si rinnovi pur restandomi già cara. È la metafisica di tutte le cose, sono frutti maturati al fioco barlume degli occhi della mente, sempre volti in dentro.
Stavo ricordando queste e altre cose - affacciandomi sulla finestra della realtà già vissuta - affacciato alla finestra della mia stanza, osservando il vai e vieni di tutto, con occhi di fuori e di dentro, cercando la scia dorata delle cose, quella che consola e lenisce. Panacea del sentire.
Così pensavo, tra me e gli altri me, com'è questa città, come sono le altre. Com'è il mondo.
Pensavo forse che esistere qui o altrove è la stessa cosa.
Dove mi trovo ora? In un luogo. Cosa c'è qui, in questo luogo?
Case, negozi, persone. Tutti e tre simili se non uguali, e ugualmente affini tra di loro. E altrove?
Altrove sempre case e negozi, abitanti e negozianti. Poi cose da fare e altre già fatte. Altre finestre, altri ricordi. E così non è forse essere qui come essere ovunque? E se anche altrove non fosse come qui io sarei forse diverso?
Sarei forse lo stesso viaggiatore di mondi senza porti né stazioni, esiliato dai luoghi che visito in un eterno vagare.
Non vi è negli altri luoghi - e negli altri non-luoghi - una eguale percezione delle cose, sempre divisa nelle moltitudini che siamo, sempre intesa a percepirsi come una sol cosa che una sola cosa non è?
Sono solo sciocchezze di una specie che contempla l'inutile. Una specie in cui non si può più parlare di "periodo di decadenza", la specie stessa è infatti decadente. Tutto ciò che esula dalla realtà oggettiva delle cose è, infatti, decadente.
Ci sarà un luogo dove tutto questo si riposa, dove l'enorme stanchezza delle cose prende congedo dal sentire? La tomba dei silenzi dove per assenza si esiste, come il vuoto.
Sono solo riflessioni, del resto in questo periodo - pur non essendo particolarmente depresso - non riesco a evitare di affacciarmi al muretto dell'ignoto, frontiera del mistero da cui ci guardano le stelle annegate nel buio. E nel non-senso.
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