mercoledì 19 giugno 2013
Riflessioni su una spiaggia solitaria
Cosa c'è oltre il mare che non sia il rumore delle onde?
Paesi e persone, e poi altri mari, mari infiniti dove ci si perde. E isole nel mare che emergono come scogli nel pensiero delle profondità abissali .
Nella mia vita ho amato molte cose, alcune troppo altre non abbastanza. Ma, in generale, se ho una passione questa mi coinvolge appieno. Non è il massimo, voglio dire... a volte mi piacerebbe avere un atteggiamento più distaccato, proiettarmi meno nelle cose e, allo stesso tempo, introiettare selettivamente. Lasciare solo un'ombra di interesse, l'ombra del rapace che striscia sul mondo senza che lui scenda mai. Invece no: sono un fanatico.
Poi esistono nelle regioni (e nelle ragioni) della memoria luoghi più chiari, ricordi bonificati, dove le mie reminiscenze iperboliche si ricordano sotto una luce più viva e reale, come quel cimitero che vidi da bambino con le lucertole pigre sulle lapidi al sole (immobili portaerei macabre arenatesi lì chissà come), quella ragazza che appoggiava i seni sulla mia schiena in motorino, un giorno di pioggia di cui ricordo l'odore del marmo bagnato con un pacchetto di carte da aprire in mano.
Li amo tutti questi ricordi? Alcuni li amo più di altri, altri si prolungano senza motivo apparente. Come addobbi natalizi ancora appesi nella primavera dell'esistere.
In questi non-luoghi della memoria incontro me stesso per la prima volta eppure già mi conosco, così che l'emozione si rinnovi pur restandomi già cara. È la metafisica di tutte le cose, sono frutti maturati al fioco barlume degli occhi della mente, sempre volti in dentro.
Stavo ricordando queste e altre cose - affacciandomi sulla finestra della realtà già vissuta - affacciato alla finestra della mia stanza, osservando il vai e vieni di tutto, con occhi di fuori e di dentro, cercando la scia dorata delle cose, quella che consola e lenisce. Panacea del sentire.
Così pensavo, tra me e gli altri me, com'è questa città, come sono le altre. Com'è il mondo.
Pensavo forse che esistere qui o altrove è la stessa cosa.
Dove mi trovo ora? In un luogo. Cosa c'è qui, in questo luogo?
Case, negozi, persone. Tutti e tre simili se non uguali, e ugualmente affini tra di loro. E altrove?
Altrove sempre case e negozi, abitanti e negozianti. Poi cose da fare e altre già fatte. Altre finestre, altri ricordi. E così non è forse essere qui come essere ovunque? E se anche altrove non fosse come qui io sarei forse diverso?
Sarei forse lo stesso viaggiatore di mondi senza porti né stazioni, esiliato dai luoghi che visito in un eterno vagare.
Non vi è negli altri luoghi - e negli altri non-luoghi - una eguale percezione delle cose, sempre divisa nelle moltitudini che siamo, sempre intesa a percepirsi come una sol cosa che una sola cosa non è?
Sono solo sciocchezze di una specie che contempla l'inutile. Una specie in cui non si può più parlare di "periodo di decadenza", la specie stessa è infatti decadente. Tutto ciò che esula dalla realtà oggettiva delle cose è, infatti, decadente.
Ci sarà un luogo dove tutto questo si riposa, dove l'enorme stanchezza delle cose prende congedo dal sentire? La tomba dei silenzi dove per assenza si esiste, come il vuoto.
Sono solo riflessioni, del resto in questo periodo - pur non essendo particolarmente depresso - non riesco a evitare di affacciarmi al muretto dell'ignoto, frontiera del mistero da cui ci guardano le stelle annegate nel buio. E nel non-senso.
sabato 15 giugno 2013
L'abitudine alla normalità
Spesso sentiamo questa locuzione: non è normale. Solitamente volta a indicare accadimenti o cose percepite come sbagliate. Quindi ciò che è normale, nel lessico corrente, è giusto, o comunque accettabile.
Ma cos'è la normalità, ve lo siete mai chiesti? Voglio dire, oltre i tendaggi di velluto che la nostra mente tira sull'oggettività delle cose, per cui spesso ci si arrende a delle concezioni dominanti, avete mai provato a capire cosa sia la normalità?
La normalità è, niente di più semplice, un'abitudine. Come prendere il caffè o indossare il pigiama la sera. Del resto vi è mai capitato di considerare alcune delle vostre abitudini anormali?
Ed è in quanto abitudinarie che le cose ci appaiono, appunto, normali.
In definitiva tutto ciò a cui siamo abituati è normale.
Nel paese della guerra eterna, sotto cieli sulfurei venati di rosso, le bombe piovono allagando di morte ogni luogo; chi ancora vive striscia e fugge di rifugio in rifugio, e dopo anni di cieco orrore si è abituato a correre sempre. E per lui, questo, è normale. Poiché vi è abituato.
In altri luoghi, invece, giovani ben nutriti spingono le proprie passioni con l'accanimento che è proprio dell'idiozia, sotto cieli colore dei pastelli in un benessere che fa pensare. E per loro questa è l'abitudine e la normalità.
Sono solo due esempi, i primi venutimi in mente, ma definiscono il concetto di normalità che gira sempre attorno alle abitudini. Ma ad ogni modo, le stesse abitudini cosa sono?
Certo sono situazioni ricorrenti, non v'è dubbio; ma come si formano, appunto, le situazioni ricorrenti, che danno poi vita alla normalità?
Esse sono senza dubbio frutto di un processo culturale. Già, la cultura. Ma proviamo a far finta di ricominciare da capo e spiegare cosa sia la cultura.
A grandi linee e molto in generale la cultura è l'insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha assorbito durante la propria vita, rielaborate in seguito attraverso profonde meditazioni.
Ma che vuol dire?
Semplicissimo: cultura è tutto ciò che la mente apprende. Per semplificare.
E badate bene, non stiamo parlando solo di Dostoevskij o Nietzsche, o della cultura intesa come studio intellettualistico di una qualche intellighenzia. La cultura è, principalmente, tradizione. La lingua, la cucina, le interazioni umane e lo stile di vita. Ecc ecc ecc. Le tradizioni di un popolo, la sua religione e l'architettura, i riti sciamanici superstiziosi e l'insieme delle sue abitudini quotidiane sono cultura. La cultura, come detto, di un popolo.
Ad esempio, come dicevo prima, l'abitudine di prendere il caffè è, appunto, un'abitudine culturale, poiché fa parte della nostra tradizione ed è giunta a noi attraverso schemi mentali acquisiti nel corso degli anni. Quindi è Cultura e tradizione, quindi abitudine e, di conseguenza, normale.
Allora cos'è la normalità, la normalità è la nostra tradizione culturale?
Certo lo è, ma non è solo questo. Vi sono infatti altre due cosette da analizzare. Ma sarò breve. Ecco una foto, mi hanno consigliato di usarne per alleggerire il tono dei post. Così eccovela.
Davvero, non mi andava di cercare troppo. Così ho tirato su la prima foto di Hipster che ho visto. Così lui è appunto un Hipster. Non ci sono dubbi che sia innanzitutto una persona insicura, più cose ti metti a dosso e più necessiti di difese contro l'esterno. E così fanno gli hipster, così insicuri da dover fingere di essere qualcosa che non sono e ricoprire poi quella cosa con occhialoni spessi (andavano anche negli anni 60, servivano a una generazione ancora poco maliziosa che doveva nascondervisi dietro) anelli collane ecc ecc. Non so se tutti gli hipster siano così. Non mi interessa. Di sicuro tutti gli adolescenti lo sono, ma neanche questo mi interessa. Quello che interessa ora è: sono normali?
Ovvio che sì. Ma perché? Non fanno parte della tradizione, eppure sono un fenomeno culturale. Come si spiega?
Beh, certo la cultura non viene solo dal passato, si manifesta normalmente in una civiltà industriale attraverso uno dei fenomeni più consumistici: le mode. Le mode, vedete, sono l'essenza platonica dell'effimero. Servono prevalentemente a fissare un solco intergenerazionale, indispensabile in una società dei consumi (altrimenti non si venderebbe più niente, no?), durano un po' e poi puff, spariscono. Salvo essere ripescate al momento giusto.
Dicevo quindi che, sì, sono normali, in quanto percepiti - nonostante appaiono astrusi a chi non vi è avvezzo - come il consueto mutamento esteriore delle generazioni ultime. Anche qui poi, sul fatto che nell'era industriale si sia tornati a un approccio di costume sulle relazioni sociali e sessuali ci sarebbe da dire, una vera regressione della specie. Ma magari più avanti se ne parlerà. Comunque sono normali. Certo, l'anziano faticherà a riconoscere, specie l'anziano che viene da una società contadina e non è nato borghese. Ma il semplice esporsi nel quotidiano allo strano lo rende normale. E quindi sì, ci si abitua. In fondo la stessa specie umana ha vinto nel pianeta perché come nessun altra si adatta.
Ma proviamo a tornare all'inizio, fate quindi finta che stia ricominciando.
Se la normalità, come spiegato finora, è solo quella visione della realtà a cui siamo più abituati, e quindi non è niente - perché se di semplice impressione della mente trattasi non è nulla, siamo nella metafisica, e non ha per cui alcun valore intrinseco -, e di sicuro non è oggettiva né veritiera, allora come si può dire se una cosa sia normale o meno?
Come posso dire se questa è normale o non lo è?
Io, semplicemente, non posso.
Come non posso dire se una cosa è vera né posso dire se una cosa è giusta. Non posso dire, a ben pensarci, neanche che ora è - perché esiste forse un tempo?
La mente umana deve, per capire, imprigionare nei suoi schemi la realtà. Per capire che la realtà muta, e ricordarsi i suoi mutamenti, ha creato il tempo. Per dare un senso alle sue azioni ha intrappolato le cose nel concetto di verità, di giusto o sbagliato, di bene e male. Infine per difendersi da ciò che non capisce ha creato la normalità, ossia tutto ciò a cui è abituata.
Niente è normale, il normale non esiste, lo creiamo noi come tante altre cose. L'anormalità è solo qualcosa a cui non siamo abituati, che non capiamo, un concetto che ci sfugge, un modo di operare a noi estraneo. È anche, ovviamente, quello di sapersi muovere solo dentro la propria normalità, un limite. Un enorme limitazione ai nostri pensieri e alle nostre azioni. Insomma, a noi stessi. La verità è che così come ci sono infinite verità vi sono anche infiniti schemi di normalità, e tutti andrebbero compresi o contemplati. Tra l'altro mi dicono anche che ci si diverte di più, non è vero?
Sì
Allora è vero!
Comunque pensateci la prossima volta che sentirete la locuzione "non è normale", pensate a tutto quello che c'è dietro e, no, per carità, non dite niente, ma tra di voi potrete fare un risolino.
venerdì 14 giugno 2013
Jesus & Companions
Ho deciso che, per un certo periodo, punterò su individui dotati di un certo qual grado di religiosità.
Non è per qualche forma di contrasto contro chi crede.
Voglio dire, ognuno è libero di credere in ciò che pare e piace.
Anche perchè se ti metti in testa che credere a qualcosa di invisibile che determina ogni forma di equilibrio e accadimento in tutto il percepibile (e non) sia un errore da correggere, perdi in partenza.
O meglio entri in un circolo vizioso in cui tu vorresti salvare l'individuo dalla sua supposta idiozia mentre lui/lei vorrebbe salvarti dalla tua di idiozia, incapace di accettare il grande piano divino pertanto commettendo la scelta sbagliata e finendo per essere perso in eterno tra le fiamme infernali.
Ecco perchè si passa da un rapporto di disturbo-tentativodisalvataggio ad una sorta di studio asettico, molto interessato ma per tutte le ragioni che nessuno vorrebbe mai sentire.
Dicevamo.
Sei tu e c'è l'individuo che crede.
Uno di fronte all'altro. Può essere in un confessionale, una fermata di un tram, una discussione improvvisata nel prendere uno dei volantini che sempre finiscono per arricchire la mia scorta di esche per il caminetto invernale.
Tu e lui siete in un certo senso legati da un concetto di incomunicabilità iniziale.
Il tuo "mondo" non concepisce il concetto di fede. Il suo non concepisce l'assenza della fede.
Due muti che tentano di spiegarsi a gesti, partendo da quella situazione.
Tu però capisci di dover fare il primo passo, come il galantuomo che offre il braccio alla signora per reggersi meglio.
Gli spieghi come la vedi, a larghe linee.
Ci hai pensato bene in differenti periodi della tua vita, belli e brutti.
Hai riflettuto su quanto sia possibile o meno l'esistenza di qualcosa di intangibile e incommensurabile capace di determinare tutto quanto ma al contempo in grado di garantire una scelta o un bivio. Con uno segui la sua via, con l'altro la abbandoni.
Concepisci il concetto di beatitudine e dannazione visti come lo stadio conclusivo dell'esistenza di un individuo e sai quanto ciò possa essere lenitivo per l'anima.
Dico, il sapere che siamo vicini alla dirittura d'arrivo, dover tenere duro solo un altro pò per poi essere felici per sempre sempre.
L'unica cosa che non ti torna è il playground terrestere e le sue regole, diciamola così.
Non danneggiare altri è sempre relativo alla fine. Il fatto solo di mantenere uno stile di vita come il nostro implica il dover necessariamente danneggiare, e non poco, una larga fetta di individui anche loro in gara per il paradiso (a meno di non credere alla versione di south park secondo cui gli asiatici non hanno un'anima) .
I comandamenti presuppongono una larga fetta di mancanza d'intelletto.
Voglio dire, chi ammiriamo maggiormente? A cosa ambiamo quando vediamo le fortune di altri? All'individuo mansueto e poco brillante, macchina ben oliata che prosegue verso il traguardo a testa china e senza pensare.
O l'individuo istrionico, dotato di zone d'ombra e di luce, capace di plasmare ciò che gli sta attorno per il proprio tornaconto e quello degli altri?
Poi , per conlcudere. Veramente si pensa alla vita come ad una sorta di traguardo e beatitudine? Un fotofinish dell'esistenza capace di darci tutto ciò che desideriamo?
E se desiderassimo anche la sofferenza, il male, l'incapacità di reagire per poi trovarne le forze dentro noi stessi? E se volessimo sparire, una volta morti? E se volessimo l'assenza di ogni forma di gioia e dolore?
Non sarebbe una migliore immagine sapere che, una volta morti, qualcosa di noi permane sempre qui, sempre ora, sempre in mezzo agli altri?
Che quel qualcosa può contare sulle proprie esperienze, sulla propria conoscenza e sulla propria vita per rimanere integro quanto esso desidera e come desidera?
Sapere che forse per alcuni questa sarà una condizione di miseria, attaccati come siamo a tutto ciò che è materiale e tangibile?
Mentre per altri sarà una forma di stato contemplativo in grado di donare percezioni mai avute prima e di poter in un certo senso colmare ogni forma di esperibile?
Non sarebbe meglio?
Ah, vuoi dirmi che per te questo è il concetto d'inferno?
Non è per qualche forma di contrasto contro chi crede.
Voglio dire, ognuno è libero di credere in ciò che pare e piace.
Anche perchè se ti metti in testa che credere a qualcosa di invisibile che determina ogni forma di equilibrio e accadimento in tutto il percepibile (e non) sia un errore da correggere, perdi in partenza.
O meglio entri in un circolo vizioso in cui tu vorresti salvare l'individuo dalla sua supposta idiozia mentre lui/lei vorrebbe salvarti dalla tua di idiozia, incapace di accettare il grande piano divino pertanto commettendo la scelta sbagliata e finendo per essere perso in eterno tra le fiamme infernali.
Ecco perchè si passa da un rapporto di disturbo-tentativodisalvataggio ad una sorta di studio asettico, molto interessato ma per tutte le ragioni che nessuno vorrebbe mai sentire.
Dicevamo.
Sei tu e c'è l'individuo che crede.
Uno di fronte all'altro. Può essere in un confessionale, una fermata di un tram, una discussione improvvisata nel prendere uno dei volantini che sempre finiscono per arricchire la mia scorta di esche per il caminetto invernale.
Tu e lui siete in un certo senso legati da un concetto di incomunicabilità iniziale.
Il tuo "mondo" non concepisce il concetto di fede. Il suo non concepisce l'assenza della fede.
Due muti che tentano di spiegarsi a gesti, partendo da quella situazione.
Tu però capisci di dover fare il primo passo, come il galantuomo che offre il braccio alla signora per reggersi meglio.
Gli spieghi come la vedi, a larghe linee.
Ci hai pensato bene in differenti periodi della tua vita, belli e brutti.
Hai riflettuto su quanto sia possibile o meno l'esistenza di qualcosa di intangibile e incommensurabile capace di determinare tutto quanto ma al contempo in grado di garantire una scelta o un bivio. Con uno segui la sua via, con l'altro la abbandoni.
Concepisci il concetto di beatitudine e dannazione visti come lo stadio conclusivo dell'esistenza di un individuo e sai quanto ciò possa essere lenitivo per l'anima.
Dico, il sapere che siamo vicini alla dirittura d'arrivo, dover tenere duro solo un altro pò per poi essere felici per sempre sempre.
L'unica cosa che non ti torna è il playground terrestere e le sue regole, diciamola così.
Non danneggiare altri è sempre relativo alla fine. Il fatto solo di mantenere uno stile di vita come il nostro implica il dover necessariamente danneggiare, e non poco, una larga fetta di individui anche loro in gara per il paradiso (a meno di non credere alla versione di south park secondo cui gli asiatici non hanno un'anima) .
I comandamenti presuppongono una larga fetta di mancanza d'intelletto.
Voglio dire, chi ammiriamo maggiormente? A cosa ambiamo quando vediamo le fortune di altri? All'individuo mansueto e poco brillante, macchina ben oliata che prosegue verso il traguardo a testa china e senza pensare.
O l'individuo istrionico, dotato di zone d'ombra e di luce, capace di plasmare ciò che gli sta attorno per il proprio tornaconto e quello degli altri?
Poi , per conlcudere. Veramente si pensa alla vita come ad una sorta di traguardo e beatitudine? Un fotofinish dell'esistenza capace di darci tutto ciò che desideriamo?
E se desiderassimo anche la sofferenza, il male, l'incapacità di reagire per poi trovarne le forze dentro noi stessi? E se volessimo sparire, una volta morti? E se volessimo l'assenza di ogni forma di gioia e dolore?
Non sarebbe una migliore immagine sapere che, una volta morti, qualcosa di noi permane sempre qui, sempre ora, sempre in mezzo agli altri?
Che quel qualcosa può contare sulle proprie esperienze, sulla propria conoscenza e sulla propria vita per rimanere integro quanto esso desidera e come desidera?
Sapere che forse per alcuni questa sarà una condizione di miseria, attaccati come siamo a tutto ciò che è materiale e tangibile?
Mentre per altri sarà una forma di stato contemplativo in grado di donare percezioni mai avute prima e di poter in un certo senso colmare ogni forma di esperibile?
Non sarebbe meglio?
Ah, vuoi dirmi che per te questo è il concetto d'inferno?
La maledizione di X files
Molte persone che hanno la mia età avranno senz'altro visto x files quand'erano piccoli, letto dei Dylan Dog o visto film di fantascienza. Chi invece non ha la mia età avrà fatto tutte queste cose ma in modo diverso. Questa premessa per dire che in ogni modo ci stiamo capendo.
Ok, sto ridendo. Ridicolo, semplicemente ridicolo. Voglio dire, possibile siano tutti antropomorfi? Tutti con la regola terrestre del doppio organo vincente (occhi, arti, organi interni)? Per fare i primi due esempi. Eppure c'è chi ci crede. Sono per assurdo molto più credibili gli antichi di Lovecraft, almeno lì te lo dice lui: non puoi capire. E ok. Ma gli omini glabri e rachitici? ma dai, per favore! E cosa c'è di diverso tra il credere a quegli alieni o a un ebreo che camminava sull'acqua? Nienteeeeeee!
Gli alieni esistono?
Si!
No!
Forse?
Ora voglio che stiate molto attenti, dato che per brevità (a quanto pare nessuno ha voglia di leggere troppo) riassumerò concetti secolari in poche parole. La religione ha sempre permesso all'uomo di essere più di se stesso e allo stesso tempo di sopportare la propria esistenza stoicamente. Con la modernità e l'avanzare di processi secolarizzanti nelle civiltà più progredite questa è venuta meno. Cioè sì, c'è ancora qualcuno che dice di credere ma.. per piacere, su. Di conseguenza si è creato un vuoto dicotomico, ossia che ha due sfoghi differenti: nichilismo - per la mancanza di verità ultime - e insofferenza ai sistemi organizzati - poiché senza regole morali ognuno tira l'acqua al proprio mulino. Entrambi hanno portato, per incapacità di adattarsi - grazie tante, è impossibile -, a personalità ipercritiche fondate sul cinismo. Insomma, da qualsiasi parte la si guardi il connubio tra capacità cerebrali superiori tipico della nostra specie e raziocinio post-illuminista ci sta distruggendo. Non per cattiveria eh, è proprio che sul piano evolutivo non siamo pronti.
Detto questo, chi ci controlla - non immaginatevi chissà cosa eh, sono umani anche loro - è scocciato ma anche interessato da questa cosa. Scocciato perché, belin, le religioni facevano comodo, specie quelle semitiche. Interessato perché, dopo tutto, l'uomo non è cambiato, è solo la cultura a essere cambiata, e si può quindi sostituire il bisogno di essere oltre noi stessi con altro. Magari senza quell'orrido sfondo morale che così male cozza con la civiltà dei consumi.
Ed eccoci qui, al punto: cosa contempla il mistero ed è anche, per così dire, figo?
Gli alieni. Sì, loro.
Ora vi faccio vedere una foto standard di alieni
Ok, sto ridendo. Ridicolo, semplicemente ridicolo. Voglio dire, possibile siano tutti antropomorfi? Tutti con la regola terrestre del doppio organo vincente (occhi, arti, organi interni)? Per fare i primi due esempi. Eppure c'è chi ci crede. Sono per assurdo molto più credibili gli antichi di Lovecraft, almeno lì te lo dice lui: non puoi capire. E ok. Ma gli omini glabri e rachitici? ma dai, per favore! E cosa c'è di diverso tra il credere a quegli alieni o a un ebreo che camminava sull'acqua? Nienteeeeeee!
Così è partito l'attacco, in generale dal dopoguerra e in maniera massiccia dagli anni 90, quando strappati a prodotti tipicamente giovanili gli alieni sono arrivati nelle fiction serie: LE FICTION SERIE!
X files e quella roba lì, tanto per capirci. Che a me piaceva x files, sia chiaro, ma che palle con gli alieni!
Andrebbe fatto un discorso serio a riguardo, qualcosa del tipo: l'universo è probabilmente infinito, il che vuol dire che non possono non esserci altre forme di vita. Ma 1)non è detto siano per forza comprensibili dalla nostra mente, potrebbero essere infinitamente grandi o infinitamente piccole ecc ecc
2)se anche ci fosse un pianeta abitato da umani come noi - perché in infinite possibilità tutto è possibile - saremmo comunque troppo lontani. Insomma, ci sono ma non li vedremo mai.
Ecco, logico no? Che cazzo ci vuole. Invece no, manco per niente. X files e i grigi che camminano nella luce, cerchi nel grano e frisbee intergalattici.
Capite che la specie non è pronta o no? Ci avete appena tolto Dio e volete subito appiopparci gli alieni?
Ma non vi vergognate nemmanco un pochino? L'era della droga, tra l'altro, vi faceva schifo?
Per riprendervi dal fatto che Dio non esiste abbiamo deciso che potete drogarvi. Toh!
Invece no: gli alieni. Gli alieni come l'oroscopo, gli sport di massa, la democrazia. Tutte cose che fanno malissimo alla gente, altro che la droga.
giovedì 13 giugno 2013
Un breve ragionamento sull'impossibilità di capire
Mi capita a volte, nei rari momenti in cui mi espongo a l'inutile massa cancerogena dei media generalisti, di scorgere visi o luoghi, udire canzonette o melodie zuccherose: e di riconoscerle.
Mi spiego meglio.
Poniamo che stia - per rifuggire i tg - guardando blob, su raitre. Ora mettiamo che blob non abbia niente da dire, nessun messaggio in particolare, e si limiti come sempre a proporre immagini di ordinario squallore mischiate alle più disparate per evidenziarne l'incredibilità. Mettiamo ulteriormente che in questo minestrone visivo propongano un breve filmato di un cantante degli anni 60 che urla i suoi imbarazzanti inni borghesi. Ecco, io vedo quel cantante e so chi è. Prendiamo un nome a caso per essere più chiari. Tony Dallara, un banalissimo urlatore esponente dei neomelodici. Lo vedo e so chi è.
Lui.
Sia chiaro, non mi ritengo chissà cosa. Certo, mi piacerebbe che nel mio cervello trovasse spazio la conoscenza degli atomi e delle orbite celesti. Invece no: Tony Dallara. Mi merito di meglio o no?
E nel mio sapere chi è Tony Dallara, proprio come nel sapere chi sono altri visi e altri luoghi ugualmente inutili, c'è tutto il mio fallimento. Esiste il mio fallimento nel ricordare a memoria una sigla tv di 20 anni fa; nell'aver assorbito locuzioni mediatiche trite e ritrite come "cerchiobottismo" o "senza se e senza ma" vive tutta la pochezza di un linguaggio ingannevole e appiattito; nel riconoscere anche solo a stento un marchio aziendale deflagra l'assurdità delle cose.
Così mi rendo conto che il limitato spazio del mio limitato cervello è in buona parte occupato da una vera e propria valanga di merda, e sapete cosa? Non c'è niente da fare, ormai è lì e per cacciarla ci vorranno anni.
Badate bene, non sto dicendo che la mente non debba assorbire sciocchezze, figuriamoci! Anzi, di sciocchezze si vive, così come si vive facendo finta di salpare da paesi inesistenti verso rive ingannevoli. E tutto ciò è basilare. Dico solo, però, che alcune di queste sciocchezze non le abbiamo neanche scelte, ci sono semplicemente cadute addosso come tante merde nelle regioni dei colombi, e nonostante si sia provato a evitarle, a strisciare e nascondersi, buona parte di esse ci ha comunque colpiti.
Tutti ne abbiamo una dose massiccia sui vestiti dell'anima, e solo una mente insensibile e distratta può non sentirne il peso. Il fatto, purtroppo, è che spesso la società vive di questo. Quante persone basano le loro relazioni sociali o i loro ragionamenti su ciò che è capitato loro di assorbire? E non sto parlando di quello che hanno deciso di assorbire ma ciò che è capitato, proprio come capita di inciampare e cadere.
Tanti, troppi. La grande caduta. Si potrebbero chiamare: i mangiamerda. Un'orda di piccolo-borghesi divoratori di merda, e mentre sei lì che cerchi disperatamente riparo dalla pioggia di merda incombente loro cosa fanno? Aprono la bocca verso il cielo e inghiottono di gusto, allorché fa fuoco la seconda batteria: te la risputano addosso, e così oltre a quella che piove dal cielo devi guardarti da tutta quella merda che i mangiamerda provano a sputarti.
Per questo so chi è Tony Dallara, e sempre per questo conosco un'enormità di cose inutili che non ho scelto.
Cosa farne ora di questo bagaglio che non serve al viaggio?
Non lo so, nella soffitta della nostra memoria devono esserci angoli bui dove ragni obliati tessono tele di dimenticanza: ponetele lì, pigiate bene affinché ci entrino. E lasciate che i ragni tessano.
Mi spiego meglio.
Poniamo che stia - per rifuggire i tg - guardando blob, su raitre. Ora mettiamo che blob non abbia niente da dire, nessun messaggio in particolare, e si limiti come sempre a proporre immagini di ordinario squallore mischiate alle più disparate per evidenziarne l'incredibilità. Mettiamo ulteriormente che in questo minestrone visivo propongano un breve filmato di un cantante degli anni 60 che urla i suoi imbarazzanti inni borghesi. Ecco, io vedo quel cantante e so chi è. Prendiamo un nome a caso per essere più chiari. Tony Dallara, un banalissimo urlatore esponente dei neomelodici. Lo vedo e so chi è.
Lui.
Sia chiaro, non mi ritengo chissà cosa. Certo, mi piacerebbe che nel mio cervello trovasse spazio la conoscenza degli atomi e delle orbite celesti. Invece no: Tony Dallara. Mi merito di meglio o no?
E nel mio sapere chi è Tony Dallara, proprio come nel sapere chi sono altri visi e altri luoghi ugualmente inutili, c'è tutto il mio fallimento. Esiste il mio fallimento nel ricordare a memoria una sigla tv di 20 anni fa; nell'aver assorbito locuzioni mediatiche trite e ritrite come "cerchiobottismo" o "senza se e senza ma" vive tutta la pochezza di un linguaggio ingannevole e appiattito; nel riconoscere anche solo a stento un marchio aziendale deflagra l'assurdità delle cose.
Così mi rendo conto che il limitato spazio del mio limitato cervello è in buona parte occupato da una vera e propria valanga di merda, e sapete cosa? Non c'è niente da fare, ormai è lì e per cacciarla ci vorranno anni.
Badate bene, non sto dicendo che la mente non debba assorbire sciocchezze, figuriamoci! Anzi, di sciocchezze si vive, così come si vive facendo finta di salpare da paesi inesistenti verso rive ingannevoli. E tutto ciò è basilare. Dico solo, però, che alcune di queste sciocchezze non le abbiamo neanche scelte, ci sono semplicemente cadute addosso come tante merde nelle regioni dei colombi, e nonostante si sia provato a evitarle, a strisciare e nascondersi, buona parte di esse ci ha comunque colpiti.
Tutti ne abbiamo una dose massiccia sui vestiti dell'anima, e solo una mente insensibile e distratta può non sentirne il peso. Il fatto, purtroppo, è che spesso la società vive di questo. Quante persone basano le loro relazioni sociali o i loro ragionamenti su ciò che è capitato loro di assorbire? E non sto parlando di quello che hanno deciso di assorbire ma ciò che è capitato, proprio come capita di inciampare e cadere.
Tanti, troppi. La grande caduta. Si potrebbero chiamare: i mangiamerda. Un'orda di piccolo-borghesi divoratori di merda, e mentre sei lì che cerchi disperatamente riparo dalla pioggia di merda incombente loro cosa fanno? Aprono la bocca verso il cielo e inghiottono di gusto, allorché fa fuoco la seconda batteria: te la risputano addosso, e così oltre a quella che piove dal cielo devi guardarti da tutta quella merda che i mangiamerda provano a sputarti.
Per questo so chi è Tony Dallara, e sempre per questo conosco un'enormità di cose inutili che non ho scelto.
Cosa farne ora di questo bagaglio che non serve al viaggio?
Non lo so, nella soffitta della nostra memoria devono esserci angoli bui dove ragni obliati tessono tele di dimenticanza: ponetele lì, pigiate bene affinché ci entrino. E lasciate che i ragni tessano.
A little blue book
Ho ri-preso l'abitudine di portarmi appresso un quadernetto con penna annessa.
L'avevo da secoli, questa abitudine.
Il quadernetto, per essere adatto allo scopo, deve stare in una mano.
Possibilmente non sgargiante ne con scritte.
Ma non c'è problema con quelli procurabili da feltrinelli o nei supermercati, sempre gli stessi (e lo so perchè una volta ho tracciato un segno sulla sovracopertina di uno. Son tornato dopo sei mesi ed era ancora là, stesso segno, stessa traccia).
Su questo quadernetto, a prima vista, risulta necessario un profondo lavoro filologico di decifrazione tratti.
Ogni tratto necessita una profonda conoscenza del cuneiforme così come della stream of consciousness.
Tratti, segni a matita, ritratti abbozzati di individui che incrocio in aree affollate.
Piccoli scorci descrittivi di ciò che vedo o sento.
E' la versione vintage degli smartphone e dei babbi che mettono post su spotted.
E soprattutto non necessita di connessione 3g o wi-fi.
La cosa che mi ha lasciato perplesso però è che quando sei lì che rubi piccoli attimi imprimendoli (purtroppo non ho una memoria così forte da tenere a mente mille dettagli che rubo in giro in una giornata) tutti sembrano interessatissimi a guardare che stai facendo.
Vecchietti che ti sbirciano dal posto accanto in una malsana e maleodorante atmosfera da metropolitana estiva.
Ragazze e ragazzi che guardano te che scrivi e sembrano veramente curiosi . Perchè non hai in mano un cellulare? Perchè non stai guardandoti attorno?
E' come se il non avere acceso accanto uno schermo mentre giochi a ruzzle o a candy crush saga e ti tagghi ad ogni cazzo di fermata della verde ti renda penetrabile al commento altrui.
Il fatto importante, comunque, è la capacità di visualizzare correttamente ciò che hai visto il mattino la notte, quando ti accendi una luce e ti metti a scrivere per davvero nei ritagli di tempo.
Ad esempio non mi ricorderei mai di quella ragazza che ho visto piangere in metropolitana giusto oggi.
O meglio, ricorderei la scena ma non ricorderei il fatto che aveva una strana voglia su una spalla, scoperta dalla canottierina.
Così come non ricorderei che tentava di chiamare più e più volte un numero e che ogni volta dava segreteria telefonica.
E non ricorderei neppure il signore che mentre lei piangeva seduta da un posto in piedi tentava di guardarle nella scollatura.
Ok, magari questa la ricorderei, è divertente.
Il fatto è che per scrivere servono sempre più particolari, milioni di particolari che si fondono e si ammassano tra loro fino a coagularsi in un grosso tumore scrittoreo.
Sei lì che dici "ok, ricomincio a scrivere" e improvvisamente tutto ciò che hai è uno scheletro, una possibile trama e troppi pochi particolari. Troppe poche facce e troppe poche situazioni.
E devi riempirle in qualche modo.
Ecco perchè avevo un quadernetto e perchè avevo abbandonato l'abitudine.
Meglio segnarsela, stavolta.
L'avevo da secoli, questa abitudine.
Il quadernetto, per essere adatto allo scopo, deve stare in una mano.
Possibilmente non sgargiante ne con scritte.
Ma non c'è problema con quelli procurabili da feltrinelli o nei supermercati, sempre gli stessi (e lo so perchè una volta ho tracciato un segno sulla sovracopertina di uno. Son tornato dopo sei mesi ed era ancora là, stesso segno, stessa traccia).
Su questo quadernetto, a prima vista, risulta necessario un profondo lavoro filologico di decifrazione tratti.
Ogni tratto necessita una profonda conoscenza del cuneiforme così come della stream of consciousness.
Tratti, segni a matita, ritratti abbozzati di individui che incrocio in aree affollate.
Piccoli scorci descrittivi di ciò che vedo o sento.
E' la versione vintage degli smartphone e dei babbi che mettono post su spotted.
E soprattutto non necessita di connessione 3g o wi-fi.
La cosa che mi ha lasciato perplesso però è che quando sei lì che rubi piccoli attimi imprimendoli (purtroppo non ho una memoria così forte da tenere a mente mille dettagli che rubo in giro in una giornata) tutti sembrano interessatissimi a guardare che stai facendo.
Vecchietti che ti sbirciano dal posto accanto in una malsana e maleodorante atmosfera da metropolitana estiva.
Ragazze e ragazzi che guardano te che scrivi e sembrano veramente curiosi . Perchè non hai in mano un cellulare? Perchè non stai guardandoti attorno?
E' come se il non avere acceso accanto uno schermo mentre giochi a ruzzle o a candy crush saga e ti tagghi ad ogni cazzo di fermata della verde ti renda penetrabile al commento altrui.
Il fatto importante, comunque, è la capacità di visualizzare correttamente ciò che hai visto il mattino la notte, quando ti accendi una luce e ti metti a scrivere per davvero nei ritagli di tempo.
Ad esempio non mi ricorderei mai di quella ragazza che ho visto piangere in metropolitana giusto oggi.
O meglio, ricorderei la scena ma non ricorderei il fatto che aveva una strana voglia su una spalla, scoperta dalla canottierina.
Così come non ricorderei che tentava di chiamare più e più volte un numero e che ogni volta dava segreteria telefonica.
E non ricorderei neppure il signore che mentre lei piangeva seduta da un posto in piedi tentava di guardarle nella scollatura.
Ok, magari questa la ricorderei, è divertente.
Il fatto è che per scrivere servono sempre più particolari, milioni di particolari che si fondono e si ammassano tra loro fino a coagularsi in un grosso tumore scrittoreo.
Sei lì che dici "ok, ricomincio a scrivere" e improvvisamente tutto ciò che hai è uno scheletro, una possibile trama e troppi pochi particolari. Troppe poche facce e troppe poche situazioni.
E devi riempirle in qualche modo.
Ecco perchè avevo un quadernetto e perchè avevo abbandonato l'abitudine.
Meglio segnarsela, stavolta.
martedì 11 giugno 2013
metapost
Mi dice la madre della mia ragazza che nell'orto dietro casa c'è un grillo talpa. Un grillo talpa.
Vai, vai a vedere che ha tagliato tutto
Tagliato? ma come - dico io - possibile? i pomodori che abbiamo piantato, le cipolle e tutto il resto?
Eh
Anche i fiori?
Eh
Così vado a vedere.
Sapete come opera questo grillo talpa? che badate bene, non è né grillo - perché non salta - né talpa - perché si, scava, ma non è teneroso. Anzi, fa schifo. Ebbene, di notte esce dal suo lercio buco sotto terra e si sceglie una pianta. Ora non so se segua determinati odori o elementi nutritivi, fatto sta che si attacca sempre a cose che abbiamo comprato. Se per caso ci fossero, non so, delle fragole selvatiche, o anche della salvia cresciuta da sola, lui no: nossignore, neanche le guarda 'ste cose. Su tutto ciò che invece abbiamo acquistato, piantato, concimato e curato, beh, su tutto questo si scatena senza complimenti.
Eccolo qui.
Potrebbe benissimo essere dall'aspetto un pokemon coleottero-roccia, o una bestia estinta. Invece no, esiste ancora e si trova nel mio orto. E agisce così: usa le due tenaglie intorno alla testa per SEGARE le piante vicino al terreno. Quindi non da un morsetto, come le lumache; non intacca gli ortaggi come un passerotto qualsiasi; no, lui le sega, taglia finché la pianta non cade come un albero accettato, ne mangia un bocconcino e se ne torna nel suo dannato buco sognante a ridere di me, che le ho piantate. Perché, vedete, sono sicuro che rida, se ne sta la sotto e ride come solo chi striscia nella terra può farlo, lui e tutte le altre bestie maledette del sottosuolo.
E così, sempre la madre della mia ragazza, dopo essere andato a vedere, e aver visto le piantine di pomodoro piegate come soldati sconfitti, mi fa
Lo hai ucciso?
Certo, che ci vuole a trovare un grillo talpa nella foresta (l'orto è in una foresta, fantastico eh?), tra l'altro piove e ci sono più zanzare in quella zona che intorno a un bambino africano.
Eh ma bisogna ucciderlo, o ci taglia tutto
Bisogna ucciderlo, sì. Annuisco. Scartando katane e esplosivi, e evitando veleni, non resta che usare il cervello. Così, prontamente, mi metto subito a cercare una katana. Che però non ho. Cerco l'esplosivo ma non c'è neppure quello. Veleno?
Non usarne, rovinano il terreno
Dannazione, allora devo usare il cervello?
Eh
E usiamolo, che sarà mai. Se la mia specie non si è estinta vuol ben dire che in passato ha già sconfitto il grillo talpa, e come potrei essere da meno!
Allora, vediamo... una trappola, certo. Che ci vuole. Basterà segare una bottiglia di plastica, mettervi dentro scarti vegetali e attendere che la bestiaccia ci si infili dentro per gozzovigliare. In quel momento non resterà che... che beccarcelo. Certo non posso vivere nell'orto, e neanche sforzarmi di andare a controllare ogni ora. L'unica via, temo, è quella di trovarcelo proprio quando lo annaffio.
Certo che ci vuole culo. Nah, sempre stato sfigato. Che stupidino che sono però, fortuna, sfortuna, niente di tutto ciò esiste. Semplicemente deve accadere che entrambi nel presente ci ritroviamo lì. Questione di fato.
Sempre un bel culo ci vuole però.
E se... no, no. Però forse...no, neanche. Veleni si è deciso di no. Non saprei come fare, davvero.
Di sicuro ha dei predatori naturali, uccelli sicuro, essendo grosso anche gatti. Il cinghiale ce lo vedo poco a cercarlo, tuttavia non credo rifiuterebbe. Intanto credo si debba fare un po' di pulizia, evitare che qualcosa lasciato sulla superficie - come concimi e pezzi di ortaggi - lo attiri. Poi tenere acceso più spesso il fuoco sotto i ciliegi, il fumo da sempre noia a queste bestie. Infine, non trascurabile, fare casino. Girare la attorno e far sentire la propria presenza. Allora se è una creatura civile non può che andarsene.
Del resto prima o poi il gatto se lo mangia, o un uccello. Qui è pieno di uccelli, la mattina sembra di sentire esplosioni di stelle lontane miliardi di anni luce, suoni altissimi che hanno viaggiato nel buio cosmico. Invece sono uccelli, e voglio ben dire: mangeranno pure! Che faccia così schifo da non piacere a un uccello? [...]
In fondo cosa devo fare, Dio Sauron. L'idea della bottiglia non se ne parla ormai. Poi dico, anche fare casino, boh, troppe zanzare, di giorno, e di notte troppe lucciole, mi rincretiniscono, le fisso e ci vado dietro senza neanche accorgermene. Senza dimenticare i cinghiali, ci manca solo che mi carichino e sono apposto.
Ma cosa fare, cosa?!
Cosa?
Eh, cosa?
Ci ho pensato un po'. Poi per un po' non ho pensato dopodiché ho ripreso a pensarci. E poi ho capito, è naturale: fare finta che non esista. Non si è mai sentito che un problema sia stato risolto, ci si gira semplicemente intorno. E si fa da sempre. La ragazza si lamenta? dalle un motivo per non lamentarsi, ma quel primo lamento vive ancora
Non trovi lavoro? convinciti che non ti serve, rimanda. O fatti trovare tu
Quello strano bozzo non vuole saperne di sparire? - Bozzo?? quale bozzo? sarà un'allergia
ecc ecc
In fondo la realtà ce la creiamo noi, è una proiezione cerebrale. E diavolo, ho viaggiato mondi oltre i mondi, navigato tra le stelle, forse non posso far finta che il grillo talpa non esista?
Ci vuole un balzo ferino della mente, uno scatto di non-reni. Orizzonto la mia mente e mi scindo, mi scindo in sfingi. E sono tutto il nulla che devo essere.
Ora scrivo una poesia su Yondo, sulla realtà che è solo apparenza. Quando l'avrò finita sparirò, e con me il grillo talpa. Io, forse, tornerò, ma del grillo talpa non sentirete mai più parlare. Perché non esiste.
Puff, sparito.
Ho deciso di perdermi
a Yondo
cado giù nel gorgo
come se... dove se...
Ogni notte
veglia sopra al giorno
non esiste Yondo
anche se... forse se...
Ogni orrore
viene dal profondo
volo giù nel gorgo
anche io... anche tu...
Ho vagato
solo e muto a Yondo
oltre ogni mondo
non c'è nessun mondo
solo gira il gorgo.
Vai, vai a vedere che ha tagliato tutto
Tagliato? ma come - dico io - possibile? i pomodori che abbiamo piantato, le cipolle e tutto il resto?
Eh
Anche i fiori?
Eh
Così vado a vedere.
Sapete come opera questo grillo talpa? che badate bene, non è né grillo - perché non salta - né talpa - perché si, scava, ma non è teneroso. Anzi, fa schifo. Ebbene, di notte esce dal suo lercio buco sotto terra e si sceglie una pianta. Ora non so se segua determinati odori o elementi nutritivi, fatto sta che si attacca sempre a cose che abbiamo comprato. Se per caso ci fossero, non so, delle fragole selvatiche, o anche della salvia cresciuta da sola, lui no: nossignore, neanche le guarda 'ste cose. Su tutto ciò che invece abbiamo acquistato, piantato, concimato e curato, beh, su tutto questo si scatena senza complimenti.
Eccolo qui.
Potrebbe benissimo essere dall'aspetto un pokemon coleottero-roccia, o una bestia estinta. Invece no, esiste ancora e si trova nel mio orto. E agisce così: usa le due tenaglie intorno alla testa per SEGARE le piante vicino al terreno. Quindi non da un morsetto, come le lumache; non intacca gli ortaggi come un passerotto qualsiasi; no, lui le sega, taglia finché la pianta non cade come un albero accettato, ne mangia un bocconcino e se ne torna nel suo dannato buco sognante a ridere di me, che le ho piantate. Perché, vedete, sono sicuro che rida, se ne sta la sotto e ride come solo chi striscia nella terra può farlo, lui e tutte le altre bestie maledette del sottosuolo.
E così, sempre la madre della mia ragazza, dopo essere andato a vedere, e aver visto le piantine di pomodoro piegate come soldati sconfitti, mi fa
Lo hai ucciso?
Certo, che ci vuole a trovare un grillo talpa nella foresta (l'orto è in una foresta, fantastico eh?), tra l'altro piove e ci sono più zanzare in quella zona che intorno a un bambino africano.
Eh ma bisogna ucciderlo, o ci taglia tutto
Bisogna ucciderlo, sì. Annuisco. Scartando katane e esplosivi, e evitando veleni, non resta che usare il cervello. Così, prontamente, mi metto subito a cercare una katana. Che però non ho. Cerco l'esplosivo ma non c'è neppure quello. Veleno?
Non usarne, rovinano il terreno
Dannazione, allora devo usare il cervello?
Eh
E usiamolo, che sarà mai. Se la mia specie non si è estinta vuol ben dire che in passato ha già sconfitto il grillo talpa, e come potrei essere da meno!
Allora, vediamo... una trappola, certo. Che ci vuole. Basterà segare una bottiglia di plastica, mettervi dentro scarti vegetali e attendere che la bestiaccia ci si infili dentro per gozzovigliare. In quel momento non resterà che... che beccarcelo. Certo non posso vivere nell'orto, e neanche sforzarmi di andare a controllare ogni ora. L'unica via, temo, è quella di trovarcelo proprio quando lo annaffio.
Certo che ci vuole culo. Nah, sempre stato sfigato. Che stupidino che sono però, fortuna, sfortuna, niente di tutto ciò esiste. Semplicemente deve accadere che entrambi nel presente ci ritroviamo lì. Questione di fato.
Sempre un bel culo ci vuole però.
E se... no, no. Però forse...no, neanche. Veleni si è deciso di no. Non saprei come fare, davvero.
Di sicuro ha dei predatori naturali, uccelli sicuro, essendo grosso anche gatti. Il cinghiale ce lo vedo poco a cercarlo, tuttavia non credo rifiuterebbe. Intanto credo si debba fare un po' di pulizia, evitare che qualcosa lasciato sulla superficie - come concimi e pezzi di ortaggi - lo attiri. Poi tenere acceso più spesso il fuoco sotto i ciliegi, il fumo da sempre noia a queste bestie. Infine, non trascurabile, fare casino. Girare la attorno e far sentire la propria presenza. Allora se è una creatura civile non può che andarsene.
Del resto prima o poi il gatto se lo mangia, o un uccello. Qui è pieno di uccelli, la mattina sembra di sentire esplosioni di stelle lontane miliardi di anni luce, suoni altissimi che hanno viaggiato nel buio cosmico. Invece sono uccelli, e voglio ben dire: mangeranno pure! Che faccia così schifo da non piacere a un uccello? [...]
In fondo cosa devo fare, Dio Sauron. L'idea della bottiglia non se ne parla ormai. Poi dico, anche fare casino, boh, troppe zanzare, di giorno, e di notte troppe lucciole, mi rincretiniscono, le fisso e ci vado dietro senza neanche accorgermene. Senza dimenticare i cinghiali, ci manca solo che mi carichino e sono apposto.
Ma cosa fare, cosa?!
Cosa?
Eh, cosa?
Ci ho pensato un po'. Poi per un po' non ho pensato dopodiché ho ripreso a pensarci. E poi ho capito, è naturale: fare finta che non esista. Non si è mai sentito che un problema sia stato risolto, ci si gira semplicemente intorno. E si fa da sempre. La ragazza si lamenta? dalle un motivo per non lamentarsi, ma quel primo lamento vive ancora
Non trovi lavoro? convinciti che non ti serve, rimanda. O fatti trovare tu
Quello strano bozzo non vuole saperne di sparire? - Bozzo?? quale bozzo? sarà un'allergia
ecc ecc
In fondo la realtà ce la creiamo noi, è una proiezione cerebrale. E diavolo, ho viaggiato mondi oltre i mondi, navigato tra le stelle, forse non posso far finta che il grillo talpa non esista?
Ci vuole un balzo ferino della mente, uno scatto di non-reni. Orizzonto la mia mente e mi scindo, mi scindo in sfingi. E sono tutto il nulla che devo essere.
Ora scrivo una poesia su Yondo, sulla realtà che è solo apparenza. Quando l'avrò finita sparirò, e con me il grillo talpa. Io, forse, tornerò, ma del grillo talpa non sentirete mai più parlare. Perché non esiste.
Puff, sparito.
Ho deciso di perdermi
a Yondo
cado giù nel gorgo
come se... dove se...
Ogni notte
veglia sopra al giorno
non esiste Yondo
anche se... forse se...
Ogni orrore
viene dal profondo
volo giù nel gorgo
anche io... anche tu...
Ho vagato
solo e muto a Yondo
oltre ogni mondo
non c'è nessun mondo
solo gira il gorgo.
lunedì 10 giugno 2013
Beh..
Well, here we are.
Nulla di ciò che viene detto o fatto o letto (o anche solo pensato) è realmente farina del nostro sacco, qualcuno l'ha ideata prima di noi. E quel qualcuno l'ha presa a prestito da qualcun altro prima ancora di noi. E così via fino a risalire a quella prima, geniale persona che ha inventato tal concetto / modo di dire / sillogismo / gioco di parole.
E che forse l'ha pure copiata prendendola a prestito da un discorso sentito in un bar, una sera, da parte di qualche beone illuminato che non sapeva neppure di cosa stava parlando ma cazzo, se si divertiva.
Sempre detto: drugs fuels music, alchool fuels literature.
Con un pensiero così scoraggiante di primo acchito, così, giusto per chiarire da che parte del bicchiere mezzo pieno/vuoto stiamo, vediamo di dare una breve scossa d'abbrivio al tutto.
Mi son sempre domandato dove si andrebbe a finire se un individuo fosse in grado di assimilare concetti dalle fonti più disparate.
Mettiamo sempre questo bar, o taverna.
Anzi no, deve essere per forza di cose una bettola.
Una bettola dove il discorso medio verte sul calcio, sullo sport seguito ma mai praticato, sul programma televisivo sparato al massimo e dove dal mattino alla sera vengono serviti bianchetti, negroni e amari in bicchieri dal fondo opaco per i troppi lavaggi.
Ogni persona li dentro si conosce bene o male, tutti hanno condiviso piccole avventure di paese, piccoli drammi come un divorzio, una morte in famiglia, un incidente.
Condividono drammi, piccole gioie, come quando uno di loro ha vinto al gratta e vinci 100 euro e li ha spesi tutti in bevute offerte. E' stata proprio una serata gloriosa quella.
Beh, diciamo che questi individui, o tribù giacchè sono un clan all'interno del clan, sono lì a parlare, una sera estiva.
Ha piovuto da poco, l'umidità è salita a livelli incredibili e anche bere qualcosa di alcoolico fa sentire ancora più accaldati.
Il discorso generale, fatto più di pause che di frasi dette, verte tutto sulla calura presente.
Ogni presente al discorso si sente in dovere di ricordare come faccia più caldo che in ogni altro anno, come si raggiungano livelli incredibili di umidità e come stare seduti sia una fatica di per sè.
Specialmente Luca, quello con il diabete che una volta è svenuto proprio lì, sulla seggiola di plastica che sta occupando.
Poi, improvvisamente, uno di loro, senza pensarci, lo dice:
"E se prendessimo due macchine e andassimo in un posto dove non siamo mai stati? Dove si potrebbe stare al fresco magari? Vedere cose nuove?"
Il silenzio, questa volta, non fa parte del discorso.
E' un silenzio greve, un pò sconveniente, denso di significati.
La tribù (o il resto della tribù) sta silenziosamente deliberando riguardo quell'uscita.
"Potremmo andare al lago. Chissà che fresco che fa lì"
La seconda uscita è sputata con un velo di insicurezza. L'uomo sa di avere commesso un possibile peccato capitale e nell'ansia di rimediare all'errore riconducendolo alla routine del proprio clan ha forse peggiorato la sua situazione.
Improvvisamente, il verdetto.
"Sì come no, Giacomo,e poi andiamo anche all'avventura! Domani devo svegliarmi presto io"
Tutti sanno che Gino non ha un cazzo da fare il giorno successivo dato che è disoccupato e campa con la pensione d'invalidità della madre. Ma tutti sanno anche che quella frase è la sentenza: eresia.
Da quel momento, per tutta la serata, tutti non guardano più Giacomo in faccia. Evitano di sentire le sue risposte ai discorsi e quando lo fissano di sottecchi non è un bel vedere per la calma placida di quell'uomo, reo di aver acceso una scintilla d'interesse nella placidità calma e monotona di quell'infinito di paese.
Giacomo all'inizio non ci pensa e sente di essere ormai un paria, almeno per qualche tempo.
Sa che non sarà più parte degli scherzi tra loro se non come vittima (e non saranno scherzi bonari, tutti derideranno la sua lieve balbuzie quando beve e gli diranno che sua madre probabilmente è stata un pò troppo indulgente negli alcoolici quando era incinta di lui).
Ma da altra parte sente che qualcosa si è ridestato in lui. Sente che potrebbe veramente fare ciò che ha pensato in quell'attimo, sente che potrebbe anche prendere la sua macchina e andare a farsi un giro, potrebbe scoprire posti nuovi, potrebbe arricchirsi e potrebbe parlare a persone nuove, e fanculo la balbuzie.
Ma poi il bar chiude e Giacomo, sudando lievemente per l'umidità, ritorna in casa.
Quel pensiero forse rimarrà latente in lui, forse si svilupperà o forse sarà seppellito nel desiderio di tornare all'interno della cerchia.
Chissà, forse un giorno.
Nulla di ciò che viene detto o fatto o letto (o anche solo pensato) è realmente farina del nostro sacco, qualcuno l'ha ideata prima di noi. E quel qualcuno l'ha presa a prestito da qualcun altro prima ancora di noi. E così via fino a risalire a quella prima, geniale persona che ha inventato tal concetto / modo di dire / sillogismo / gioco di parole.
E che forse l'ha pure copiata prendendola a prestito da un discorso sentito in un bar, una sera, da parte di qualche beone illuminato che non sapeva neppure di cosa stava parlando ma cazzo, se si divertiva.
Sempre detto: drugs fuels music, alchool fuels literature.
Con un pensiero così scoraggiante di primo acchito, così, giusto per chiarire da che parte del bicchiere mezzo pieno/vuoto stiamo, vediamo di dare una breve scossa d'abbrivio al tutto.
Mi son sempre domandato dove si andrebbe a finire se un individuo fosse in grado di assimilare concetti dalle fonti più disparate.
Mettiamo sempre questo bar, o taverna.
Anzi no, deve essere per forza di cose una bettola.
Una bettola dove il discorso medio verte sul calcio, sullo sport seguito ma mai praticato, sul programma televisivo sparato al massimo e dove dal mattino alla sera vengono serviti bianchetti, negroni e amari in bicchieri dal fondo opaco per i troppi lavaggi.
Ogni persona li dentro si conosce bene o male, tutti hanno condiviso piccole avventure di paese, piccoli drammi come un divorzio, una morte in famiglia, un incidente.
Condividono drammi, piccole gioie, come quando uno di loro ha vinto al gratta e vinci 100 euro e li ha spesi tutti in bevute offerte. E' stata proprio una serata gloriosa quella.
Beh, diciamo che questi individui, o tribù giacchè sono un clan all'interno del clan, sono lì a parlare, una sera estiva.
Ha piovuto da poco, l'umidità è salita a livelli incredibili e anche bere qualcosa di alcoolico fa sentire ancora più accaldati.
Il discorso generale, fatto più di pause che di frasi dette, verte tutto sulla calura presente.
Ogni presente al discorso si sente in dovere di ricordare come faccia più caldo che in ogni altro anno, come si raggiungano livelli incredibili di umidità e come stare seduti sia una fatica di per sè.
Specialmente Luca, quello con il diabete che una volta è svenuto proprio lì, sulla seggiola di plastica che sta occupando.
Poi, improvvisamente, uno di loro, senza pensarci, lo dice:
"E se prendessimo due macchine e andassimo in un posto dove non siamo mai stati? Dove si potrebbe stare al fresco magari? Vedere cose nuove?"
Il silenzio, questa volta, non fa parte del discorso.
E' un silenzio greve, un pò sconveniente, denso di significati.
La tribù (o il resto della tribù) sta silenziosamente deliberando riguardo quell'uscita.
"Potremmo andare al lago. Chissà che fresco che fa lì"
La seconda uscita è sputata con un velo di insicurezza. L'uomo sa di avere commesso un possibile peccato capitale e nell'ansia di rimediare all'errore riconducendolo alla routine del proprio clan ha forse peggiorato la sua situazione.
Improvvisamente, il verdetto.
"Sì come no, Giacomo,e poi andiamo anche all'avventura! Domani devo svegliarmi presto io"
Tutti sanno che Gino non ha un cazzo da fare il giorno successivo dato che è disoccupato e campa con la pensione d'invalidità della madre. Ma tutti sanno anche che quella frase è la sentenza: eresia.
Da quel momento, per tutta la serata, tutti non guardano più Giacomo in faccia. Evitano di sentire le sue risposte ai discorsi e quando lo fissano di sottecchi non è un bel vedere per la calma placida di quell'uomo, reo di aver acceso una scintilla d'interesse nella placidità calma e monotona di quell'infinito di paese.
Giacomo all'inizio non ci pensa e sente di essere ormai un paria, almeno per qualche tempo.
Sa che non sarà più parte degli scherzi tra loro se non come vittima (e non saranno scherzi bonari, tutti derideranno la sua lieve balbuzie quando beve e gli diranno che sua madre probabilmente è stata un pò troppo indulgente negli alcoolici quando era incinta di lui).
Ma da altra parte sente che qualcosa si è ridestato in lui. Sente che potrebbe veramente fare ciò che ha pensato in quell'attimo, sente che potrebbe anche prendere la sua macchina e andare a farsi un giro, potrebbe scoprire posti nuovi, potrebbe arricchirsi e potrebbe parlare a persone nuove, e fanculo la balbuzie.
Ma poi il bar chiude e Giacomo, sudando lievemente per l'umidità, ritorna in casa.
Quel pensiero forse rimarrà latente in lui, forse si svilupperà o forse sarà seppellito nel desiderio di tornare all'interno della cerchia.
Chissà, forse un giorno.
Due chiacchiere
Ok, siamo in un bel locale, atmosfera tenue sull'antico e individui in sintonia. Sì parla, si parla bene, si parla anche tutti insieme. Ragazzi, che chiacchierate che si fanno quando si parla!
Prima ti dice qualcosa Anselmo - ah! Anselmo! che simpatico - e giù a ridere; poi Ugo, con la sua cultura - quant'è acculturato Ugo! - ti narra eventi e aneddoti; e c'è anche Maria, Maria che non è mica male e ci si parla anche bene. E tu, o io, fate voi, sei lì e ascolti. Ma ascolti davvero? mh? oi, ascolti?
Mah, i primi 20 secondi, facciamo un minuto. Poi..
Poi?
Eh, poi inizio a pensare a cosa devo dire. Ad Anselmo bisogna pure che lo faccia ridere, e giù a pensare una battuta. Con Ugo poi, lasciamo stare, lui è talmente intelligente che non posso ascoltarlo neanche mezzo secondo, devo da subito pensare a qualcosa di intelligente da dire anch'io, e chi lo ha il tempo per sentirlo!
E Maria?
Ecco, Maria la posso anche ascoltare, nel senso che so già che basterà farle un complimento. Il fatto è che di sentirla parlare ne farei anche a meno.
E così via, non è vero allucinazione uditiva?
Vero.
Mi chiedo spesso se sia davvero possibile dire qualcosa a qualcuno e fare sì che questo la recepisca, del resto ciò che dico è senz'altro recepito: ma come? Ora lungi da me addentrarmi nel relativismo dell'io pirandelliano - due palle...-, ma siamo onesti: che cazzo ce ne frega di quello che dicono gli altri?
Noi viviamo solo per soddisfare desideri, e anche nella comunicazione le regole sono le stesse. Apparire e trasmettere se stessi sopra ogni altra intenzione. Ci avete mai fatto caso, no? Ma sì, certo, siamo tutti sui social network. Ebbene, una volta... anzi, aspettate:
C'era una volta, tanto tempo fa, l'uomo. Ora, quest'uomo, viveva per poche cose ma buone. Gli piaceva fumare - specie al cesso -, accoppiarsi con le uome e mangiare. Mangiare bene.
Gli piaceva anche, accoppiandosi, pensare che tutto ciò che dava alla donna si trasformasse in qualcos'altro, come un figlio o giù di lì.
Poi, un bel giorno, non gli piacque più. Troppe grane, responsabilità e sacrifici. E così ha continuato ad accoppiarsi senza essere ossessionato dal generare altri se stessi.
Ma come continuare a seminarmi? - si chiese. Parlando, chiacchierando su di se come tra se e se - si rispose -, e giù a parlare parlare e parlare, anche se non si ha niente da dire. E se non si può parlare scrivere o farsi sentire in ogni modo, tutto pur di ereditarmi negli altri e far sì che anche io rimanga.
E così nacque il chiacchierone del presente, un uomo che addirittura si deprime se non riesce a trasmettere se stesso. E non ha tempo, appunto...
Non ha tempo per ascoltare.
Già. Perché ascoltando sono gli altri a seminarsi, e questa è pur sempre una lotta per la vita tra organismi parassitari. Così quando torno in quel locale con delle persone farò quello che devo fare, ossia mettermi delle cuffie mentre parlano. E se obiettano non potrò che ricordare loro che no, non mi ingravideranno con le loro riflessioni, non sono mica una troietta. E no. Se vuoi che ti ascolti come minimo devi farmi dei regali e dirmi che sono bello, allora magari qualche secondo di attenzione vera - e non socchiudere gli occhi e far finta - te lo posso dare.
Prima ti dice qualcosa Anselmo - ah! Anselmo! che simpatico - e giù a ridere; poi Ugo, con la sua cultura - quant'è acculturato Ugo! - ti narra eventi e aneddoti; e c'è anche Maria, Maria che non è mica male e ci si parla anche bene. E tu, o io, fate voi, sei lì e ascolti. Ma ascolti davvero? mh? oi, ascolti?
Mah, i primi 20 secondi, facciamo un minuto. Poi..
Poi?
Eh, poi inizio a pensare a cosa devo dire. Ad Anselmo bisogna pure che lo faccia ridere, e giù a pensare una battuta. Con Ugo poi, lasciamo stare, lui è talmente intelligente che non posso ascoltarlo neanche mezzo secondo, devo da subito pensare a qualcosa di intelligente da dire anch'io, e chi lo ha il tempo per sentirlo!
E Maria?
Ecco, Maria la posso anche ascoltare, nel senso che so già che basterà farle un complimento. Il fatto è che di sentirla parlare ne farei anche a meno.
E così via, non è vero allucinazione uditiva?
Vero.
Mi chiedo spesso se sia davvero possibile dire qualcosa a qualcuno e fare sì che questo la recepisca, del resto ciò che dico è senz'altro recepito: ma come? Ora lungi da me addentrarmi nel relativismo dell'io pirandelliano - due palle...-, ma siamo onesti: che cazzo ce ne frega di quello che dicono gli altri?
Noi viviamo solo per soddisfare desideri, e anche nella comunicazione le regole sono le stesse. Apparire e trasmettere se stessi sopra ogni altra intenzione. Ci avete mai fatto caso, no? Ma sì, certo, siamo tutti sui social network. Ebbene, una volta... anzi, aspettate:
C'era una volta, tanto tempo fa, l'uomo. Ora, quest'uomo, viveva per poche cose ma buone. Gli piaceva fumare - specie al cesso -, accoppiarsi con le uome e mangiare. Mangiare bene.
Gli piaceva anche, accoppiandosi, pensare che tutto ciò che dava alla donna si trasformasse in qualcos'altro, come un figlio o giù di lì.
Poi, un bel giorno, non gli piacque più. Troppe grane, responsabilità e sacrifici. E così ha continuato ad accoppiarsi senza essere ossessionato dal generare altri se stessi.
Ma come continuare a seminarmi? - si chiese. Parlando, chiacchierando su di se come tra se e se - si rispose -, e giù a parlare parlare e parlare, anche se non si ha niente da dire. E se non si può parlare scrivere o farsi sentire in ogni modo, tutto pur di ereditarmi negli altri e far sì che anche io rimanga.
E così nacque il chiacchierone del presente, un uomo che addirittura si deprime se non riesce a trasmettere se stesso. E non ha tempo, appunto...
Non ha tempo per ascoltare.
Già. Perché ascoltando sono gli altri a seminarsi, e questa è pur sempre una lotta per la vita tra organismi parassitari. Così quando torno in quel locale con delle persone farò quello che devo fare, ossia mettermi delle cuffie mentre parlano. E se obiettano non potrò che ricordare loro che no, non mi ingravideranno con le loro riflessioni, non sono mica una troietta. E no. Se vuoi che ti ascolti come minimo devi farmi dei regali e dirmi che sono bello, allora magari qualche secondo di attenzione vera - e non socchiudere gli occhi e far finta - te lo posso dare.
domenica 9 giugno 2013
Treni a vela
Mi capita spesso di viaggiare in treno.
Oh io ve lo dico subito, stasera sono stanco e scrivo poco. E male.
Dove cazzo ero..?
Stavi dicendo che viaggi spesso in treno - capirai, sticazzi
Sì sì stai buono. Viaggio spesso in treno, sì. E niente, sono lì sempre piuttosto organizzato, libri, nintendo o pc. Più raramente una compagnia umana. E, guardandomi attorno, vedo altri come me - anche loro libri, pc, nintendo e compagnie umane -, e altri che invece no: non sono come me!
Cosa caratterizza queste persone, che, voglio dire, si fanno viaggetti mica da ridere, 3/4 ore, pure 6, se vanno al sud anche un paio di giorni, e dicevo, cosa li caratterizza?
A caratterizzarli, è vero, è una curiosa convinzione, probabilmente dovuta al loro abituale stato di coscienza: il tedio, che li porta a credere che loro, pur dovendo fare diverse ore di viaggio - ma foss'anche una -non devono minimamente trovarsi qualcosa da fare.
Benedetto figliolo, che vuoi fare sul treno, ti prendi il caffettino e parli di tette con l'amichetto tuo? No, sul treno vige l'immobilità delle cose.
Benedetta figliola, cosa vuoi fare sul treno, randomare cazzi e spettegolare con le amichette tue? No, sul treno vige il silenzio.
E così, questi geni del saper viaggiare - spesso, ho notato, viaggiatori assidui - finiscono o per fissare lo stesso punto per tempi lunghissimi, o per rifugiarsi nel classico salvagente del passeggero sprovveduto: rimirare i paesaggi fuori dal finestrino. Solo che siamo in Italia, che cazzo guardi, le betoniere?
E già un filino di bava si intravede nel morto tempo che trascorrono in apatia. Ogni tanto lo sguardo si accende, come se stessero cercando di definire un quadro al buio; ogni tanto si attenua, e sembra che sonnolenza li colga. Infatti, gli ignari, cosa fanno? Beh, questa poi, se ve la racconto non ci credete mica. Parola mia che provano a dormire. Non so se mi spiego.
A DORMIRE!!!
Ma che s'è mai visto uno che ci riesce in treno? Oddio, pure lì, i terroni, dopo il primo giorno che viaggiano a vela verso la calabria ci riescono, ma che vuol dire, son cose estreme quelle, no?
Ecco, ad ogni modo provano a dormire. Pacifico che ci possono giusto provare e dopo pochi minuti saranno di nuovo lì a sgranare gli occhi e guardarsi intorno. Studiano, studiano il posto. Poi come è ovvio sopravvengono proiezioni psichiche e deliri mistici vari, seguiti quasi sempre da una simbiosi cardiaca col rumore del treno. Questo è uno stadio finale e in tali soggetti si possono notare a occhio nudo le cellule cerebrali fuoriuscire dalle orecchie.
E niente, io quelli lì proprio non li capisco. Tuttavia, per essere maggiormente preciso, ho chiesto di chiedere un parere scientifico al dottor Morte, di cui allego foto.
Bene. Cosa ci dice, dottore, riguardo questo particolare tipo di passeggeri?
Sono delle teste di cazzo.
Grazie dottore.
Ho pensato anche, a essere sincero, che questi mesti viaggiatori, fintamente meditabondi, in realtà pensassero semplicemente di riuscire a socializzare. E mi son detto: dunque esiste ancora qualche anima pia che vuol bene al prossimo, dei veri anarchici!, e dopotutto come dare loro torto, in una società sempre più balcanizzata, dove ci chiudiamo nel guscio di noi stessi, essi sono orizzonti al tramonto che risplendono benevolenza.
No, sono solo delle teste di cazzo pigre e apatiche.
Come vuole dottore, del resto li stavo coglionando.
Che dire, tutto qui.
Oh io ve lo dico subito, stasera sono stanco e scrivo poco. E male.
Dove cazzo ero..?
Stavi dicendo che viaggi spesso in treno - capirai, sticazzi
Sì sì stai buono. Viaggio spesso in treno, sì. E niente, sono lì sempre piuttosto organizzato, libri, nintendo o pc. Più raramente una compagnia umana. E, guardandomi attorno, vedo altri come me - anche loro libri, pc, nintendo e compagnie umane -, e altri che invece no: non sono come me!
Cosa caratterizza queste persone, che, voglio dire, si fanno viaggetti mica da ridere, 3/4 ore, pure 6, se vanno al sud anche un paio di giorni, e dicevo, cosa li caratterizza?
A caratterizzarli, è vero, è una curiosa convinzione, probabilmente dovuta al loro abituale stato di coscienza: il tedio, che li porta a credere che loro, pur dovendo fare diverse ore di viaggio - ma foss'anche una -non devono minimamente trovarsi qualcosa da fare.
Benedetto figliolo, che vuoi fare sul treno, ti prendi il caffettino e parli di tette con l'amichetto tuo? No, sul treno vige l'immobilità delle cose.
Benedetta figliola, cosa vuoi fare sul treno, randomare cazzi e spettegolare con le amichette tue? No, sul treno vige il silenzio.
E così, questi geni del saper viaggiare - spesso, ho notato, viaggiatori assidui - finiscono o per fissare lo stesso punto per tempi lunghissimi, o per rifugiarsi nel classico salvagente del passeggero sprovveduto: rimirare i paesaggi fuori dal finestrino. Solo che siamo in Italia, che cazzo guardi, le betoniere?
E già un filino di bava si intravede nel morto tempo che trascorrono in apatia. Ogni tanto lo sguardo si accende, come se stessero cercando di definire un quadro al buio; ogni tanto si attenua, e sembra che sonnolenza li colga. Infatti, gli ignari, cosa fanno? Beh, questa poi, se ve la racconto non ci credete mica. Parola mia che provano a dormire. Non so se mi spiego.
A DORMIRE!!!
Ma che s'è mai visto uno che ci riesce in treno? Oddio, pure lì, i terroni, dopo il primo giorno che viaggiano a vela verso la calabria ci riescono, ma che vuol dire, son cose estreme quelle, no?
Ecco, ad ogni modo provano a dormire. Pacifico che ci possono giusto provare e dopo pochi minuti saranno di nuovo lì a sgranare gli occhi e guardarsi intorno. Studiano, studiano il posto. Poi come è ovvio sopravvengono proiezioni psichiche e deliri mistici vari, seguiti quasi sempre da una simbiosi cardiaca col rumore del treno. Questo è uno stadio finale e in tali soggetti si possono notare a occhio nudo le cellule cerebrali fuoriuscire dalle orecchie.
E niente, io quelli lì proprio non li capisco. Tuttavia, per essere maggiormente preciso, ho chiesto di chiedere un parere scientifico al dottor Morte, di cui allego foto.
Bene. Cosa ci dice, dottore, riguardo questo particolare tipo di passeggeri?
Sono delle teste di cazzo.
Grazie dottore.
Ho pensato anche, a essere sincero, che questi mesti viaggiatori, fintamente meditabondi, in realtà pensassero semplicemente di riuscire a socializzare. E mi son detto: dunque esiste ancora qualche anima pia che vuol bene al prossimo, dei veri anarchici!, e dopotutto come dare loro torto, in una società sempre più balcanizzata, dove ci chiudiamo nel guscio di noi stessi, essi sono orizzonti al tramonto che risplendono benevolenza.
No, sono solo delle teste di cazzo pigre e apatiche.
Come vuole dottore, del resto li stavo coglionando.
Che dire, tutto qui.
sabato 8 giugno 2013
Versi inintelligibili per far sognare le masse
Alla fine degli anni 60, nell'era del fotti fotti, in italia sono arrivati i Beatles, e poi tanti altri. Tutti dall'Inghilterra. Tutti dalla lingua inglese. Ed è stato, come si suol dire, un boom. (ma poi si suol dire davvero boom? bah bah)
Insomma, vendevano bene, no? La borghesia italiana non capiva più niente, dopo anni di canzonette squallide aveva scoperto un altro mondo, e anche un altro sistema per... Beh, ma poi ci torneremo.
Ora saltiamo agli anni 80. Cosa succede negli anni 80?
Muore la musica?
Sì, ok. Ma restiamo in italia per piacere, già faccio fatica a mettere insieme due pensieri su di noi, se poi devo fare analisi mondiali...
Ok, allora ti dico cosa è successo in Italia: è morta la musica. Anche.
Hum sì, sì, sì testa di cazzo, sì. Ma anzi no. Ta-dan. NO
Come no?
Negli anni 80 si è fatto largo un'artista degno di nota, Franco Battiato, che con un sound avanguardistico ha riscritto le regole del pop. Oddio, riscritte per lui, dato che nessuno ne ha seguito la scia. Ebbene, sai che ha fatto?
Scusa, ero già su fb. Dicevi?
Oh Sauron... dicevo, sai che ha fatto?
Chi?
Ma come chi Battiato!
Aspè che rileggo eh.... hum sì... ok, cosa ha fatto?
Battiato cantava inglese, come i Beatles.
Ok, torno su fb.
No aspetta, aspetta! ti spiego, però ora taci un po' eh, altrimenti non riesco.
Dicevo, Battiato cantava inglese. Sì. Prendiamo ad esempio un suo testo, che se non ricordo male fa così:
Lo shivaismo tantrico
di stile dionisiaco
Il senso del possesso
che fu pre-alessandrino
Ecc ecc, dalla canzone Sentimento nuevo, album La voce del Padrone. Album, per altro, vendutissimo.
Ora facciamone una breve elegia: non si capisce un cazzo. Ok?
Ok
Bene. Ovviamente, google alla mano, sappiamo cos'è lo shivaismo. Sappiamo chi è Dioniso. Sappiamo che forse, grazie a una cultura basilare, col senso del possesso pre-alessandrino allude alla cultura umana già formata. O forse non allude a niente e sono solo pillole di cultura su uno schema anacoluto. In realtà non ci importa davvero a cosa allude, ma ci importa sapere cosa capisce l'italiano medio che, nel 1981, lo ascolta.
Cosa capisce l'italiano medio che lo ascolta? Un cazzo.
Ed è felice, e l'album vende bene, vende bene come tutti gli altri album in inglese, e anche di quelli, l'italiano medio, non capisce un cazzo. Perché l'inglese non lo sa.
Da questo, dato che tutti i testi di Battiato sono simili per difficoltà e forbitezza, possiamo dedurre che chi ascoltava Battiato negli anni 80 - come chi ascoltava altra musica inglese senza sapere l'inglese - lo faceva proprio perché non capiva niente, se non appunto qualche parola qua e la.
Allora cos'è l'ascolto di una musica dove è presente una lingua che non si comprende? Cos'è quel rumore che sento ma non capisco, quel suono inintelligibile che è per me come la chitarra o la batteria? Quel suono siamo noi, quello che non comprendo posso: fare finta di capirlo o inventarlo da me.
Mi ha lasciato il ragazzo e piango disperata - tra l'altro io ti prenderei a schiaffi, guarda -, bene, allora nel cantato inglese immagino dolore e rabbia. Mangio il gelatino, fragolina e limoncello d'estate e sono felice come il mio cane? allora il cantato inglese splende come il sole. Ugualmente Battiato. Non capisco cosa diavolo sta dicendo, ma, hey!, chissenefrega, no? gli do un senso io, che problema c'è.
Quindi possiamo affermare che l'italiota medio cerca nel non-senso la propria felicità. Non solo, ma più il non-senso ci sembra profondo - come Battiato - più tale felicità ci pare vera. Ed è così, più o meno, dai tempi dei Beatles. Eccezion fatta, ovviamente, per chi l'inglese lo capisce, e capisce anche i testi di Battiato. Ma chi li capisce quelli? eppure a pensarci mi rendono felice. Perché capiscono, mica per altro.
Fin qui tutto chiaro?
A me non m'hai convinto per niente.
Bhe, ma se dovevo convincere te ti distruggevo direttamente la tastiera sulla schiena. Tu devi solo leggere e fare di sì con la testa.
Allora mi hai convinto, che sei un asino m'hai convinto.
Ok, calma. Calma. Dicevo... e poi?
Poi cosa?
No, dico, e poi? com'è finita l'avanguardia pop, quanti artisti per vendere hanno capito la sua lezione, ossia che il pubblico non deve capire - tranne i terroni che esigono concetti semplici ma anche dell'esser terrone parleremo più avanti. Nessuno, infatti Battiato in Italia non ha eredi.Ma cooome mai? troppa fatica, meglio puntare sull'ultrasemplicità che si rivela comunque fruttifera ma deprimente anche per chi ascolta? Forse, eppure degli eredi, devo dire, li ha ben avuti. Eh già.
Va be io vado via, non me ne frega niente.
Te sei, sai cosa? sei una bestia, una bestia con le corna. Ecco cosa sei. Va via davvero o ti tiro qualcosa!
Ecco ecco, ciao eh
Ad ogni modo, dicevo, li ha avuti. Ma non nella musica.
Che fai?
Creo suspence. Poi te bisogna che sparisci.
Bah.
C'è abbastanza suspence?
Guarda, qua non c'è proprio niente. Il cazzo e la merda ci sono, e basta.
Via, diavolo, VAI VIA!
Dicevo... degli eredi quel modo di comunicare basato sul non senso li ha avuti. Procedo con l'esempio:
Due anni fa, o poco più, a 8 1/2 (scritto come il film che mi piiiiiace), su la 7, scilipoti, un politico italiota, che non so se si scriva così e nemmanco me ne importa, fece un tour televisivo per risollevare la sua immagine e quella del suo "partito". Bene, è davvero un piccolo esempio ma per i modi che lo caratterizzano diviene lampante. In un'intervista disse, a non so più quale sollecitazione, che ciò di cui si parlava era, udite udite, KAFKIANO! Capito? era kafkiano. E mi sono detto: "Per Mordor e tutti i Nazgul, ma che: PER DAVVERO PER DAVVERO? quel robino lì, che non sa neanche l'italiano, che probabilmente all'inizio dell'anno legge tutti i libri di astrologia che escono - legge... guarda le figure - va in tv a dire che una cosa è kafkiana?
Parliamo di lui!
Se lo chiede anche da solo, ma che diavolo sto dicendo?!
Da wikipedia:
Mi dicono che la foto è di Gogol. Dunque, chiedo conferma, un attimo... è Gogol?
Sì
Ecco, 'ste figure di merda proprio alla fine... scappo
L'autore è fuggito
Ma guarda questo, si preoccupa pure delle figure di merda dopo sto post che ha scritto. Bon, allora concludo io, che ci vorrà a scrivere... Allora... hum...
Ci sono un ebreo, un negro e due suore cattoliche
Come si conclude un post, quello la mica me lo ha detto.
Fine.
Insomma, vendevano bene, no? La borghesia italiana non capiva più niente, dopo anni di canzonette squallide aveva scoperto un altro mondo, e anche un altro sistema per... Beh, ma poi ci torneremo.
Ora saltiamo agli anni 80. Cosa succede negli anni 80?
Muore la musica?
Sì, ok. Ma restiamo in italia per piacere, già faccio fatica a mettere insieme due pensieri su di noi, se poi devo fare analisi mondiali...
Ok, allora ti dico cosa è successo in Italia: è morta la musica. Anche.
Hum sì, sì, sì testa di cazzo, sì. Ma anzi no. Ta-dan. NO
Come no?
Negli anni 80 si è fatto largo un'artista degno di nota, Franco Battiato, che con un sound avanguardistico ha riscritto le regole del pop. Oddio, riscritte per lui, dato che nessuno ne ha seguito la scia. Ebbene, sai che ha fatto?
Scusa, ero già su fb. Dicevi?
Oh Sauron... dicevo, sai che ha fatto?
Chi?
Ma come chi Battiato!
Aspè che rileggo eh.... hum sì... ok, cosa ha fatto?
Battiato cantava inglese, come i Beatles.
Ok, torno su fb.
No aspetta, aspetta! ti spiego, però ora taci un po' eh, altrimenti non riesco.
Dicevo, Battiato cantava inglese. Sì. Prendiamo ad esempio un suo testo, che se non ricordo male fa così:
Lo shivaismo tantrico
di stile dionisiaco
Il senso del possesso
che fu pre-alessandrino
Ecc ecc, dalla canzone Sentimento nuevo, album La voce del Padrone. Album, per altro, vendutissimo.
Ora facciamone una breve elegia: non si capisce un cazzo. Ok?
Ok
Bene. Ovviamente, google alla mano, sappiamo cos'è lo shivaismo. Sappiamo chi è Dioniso. Sappiamo che forse, grazie a una cultura basilare, col senso del possesso pre-alessandrino allude alla cultura umana già formata. O forse non allude a niente e sono solo pillole di cultura su uno schema anacoluto. In realtà non ci importa davvero a cosa allude, ma ci importa sapere cosa capisce l'italiano medio che, nel 1981, lo ascolta.
Cosa capisce l'italiano medio che lo ascolta? Un cazzo.
Ed è felice, e l'album vende bene, vende bene come tutti gli altri album in inglese, e anche di quelli, l'italiano medio, non capisce un cazzo. Perché l'inglese non lo sa.
Da questo, dato che tutti i testi di Battiato sono simili per difficoltà e forbitezza, possiamo dedurre che chi ascoltava Battiato negli anni 80 - come chi ascoltava altra musica inglese senza sapere l'inglese - lo faceva proprio perché non capiva niente, se non appunto qualche parola qua e la.
Allora cos'è l'ascolto di una musica dove è presente una lingua che non si comprende? Cos'è quel rumore che sento ma non capisco, quel suono inintelligibile che è per me come la chitarra o la batteria? Quel suono siamo noi, quello che non comprendo posso: fare finta di capirlo o inventarlo da me.
Mi ha lasciato il ragazzo e piango disperata - tra l'altro io ti prenderei a schiaffi, guarda -, bene, allora nel cantato inglese immagino dolore e rabbia. Mangio il gelatino, fragolina e limoncello d'estate e sono felice come il mio cane? allora il cantato inglese splende come il sole. Ugualmente Battiato. Non capisco cosa diavolo sta dicendo, ma, hey!, chissenefrega, no? gli do un senso io, che problema c'è.
Quindi possiamo affermare che l'italiota medio cerca nel non-senso la propria felicità. Non solo, ma più il non-senso ci sembra profondo - come Battiato - più tale felicità ci pare vera. Ed è così, più o meno, dai tempi dei Beatles. Eccezion fatta, ovviamente, per chi l'inglese lo capisce, e capisce anche i testi di Battiato. Ma chi li capisce quelli? eppure a pensarci mi rendono felice. Perché capiscono, mica per altro.
Fin qui tutto chiaro?
A me non m'hai convinto per niente.
Bhe, ma se dovevo convincere te ti distruggevo direttamente la tastiera sulla schiena. Tu devi solo leggere e fare di sì con la testa.
Allora mi hai convinto, che sei un asino m'hai convinto.
Ok, calma. Calma. Dicevo... e poi?
Poi cosa?
No, dico, e poi? com'è finita l'avanguardia pop, quanti artisti per vendere hanno capito la sua lezione, ossia che il pubblico non deve capire - tranne i terroni che esigono concetti semplici ma anche dell'esser terrone parleremo più avanti. Nessuno, infatti Battiato in Italia non ha eredi.Ma cooome mai? troppa fatica, meglio puntare sull'ultrasemplicità che si rivela comunque fruttifera ma deprimente anche per chi ascolta? Forse, eppure degli eredi, devo dire, li ha ben avuti. Eh già.
Va be io vado via, non me ne frega niente.
Te sei, sai cosa? sei una bestia, una bestia con le corna. Ecco cosa sei. Va via davvero o ti tiro qualcosa!
Ecco ecco, ciao eh
Ad ogni modo, dicevo, li ha avuti. Ma non nella musica.
Che fai?
Creo suspence. Poi te bisogna che sparisci.
Bah.
C'è abbastanza suspence?
Guarda, qua non c'è proprio niente. Il cazzo e la merda ci sono, e basta.
Via, diavolo, VAI VIA!
Dicevo... degli eredi quel modo di comunicare basato sul non senso li ha avuti. Procedo con l'esempio:
Due anni fa, o poco più, a 8 1/2 (scritto come il film che mi piiiiiace), su la 7, scilipoti, un politico italiota, che non so se si scriva così e nemmanco me ne importa, fece un tour televisivo per risollevare la sua immagine e quella del suo "partito". Bene, è davvero un piccolo esempio ma per i modi che lo caratterizzano diviene lampante. In un'intervista disse, a non so più quale sollecitazione, che ciò di cui si parlava era, udite udite, KAFKIANO! Capito? era kafkiano. E mi sono detto: "Per Mordor e tutti i Nazgul, ma che: PER DAVVERO PER DAVVERO? quel robino lì, che non sa neanche l'italiano, che probabilmente all'inizio dell'anno legge tutti i libri di astrologia che escono - legge... guarda le figure - va in tv a dire che una cosa è kafkiana?
Parliamo di lui!
Se lo chiede anche da solo, ma che diavolo sto dicendo?!
Da wikipedia:
Il termine "kafkiano" è un neologismo della lingua italiana che indica una situazione paradossale, e in genere angosciante, che viene accettata comestatus quo, implicando l'impossibilità di qualunque reazione tanto sul piano pratico che su quello psicologico.
Un termine equivalente potrebbe essere perturbante nell'accezione freudiana: qualcosa che è estraneo e familiare ad un tempo, e risuona inquietante proprio per questa sua ineliminabile e spiazzante ambiguità.
Il termine deriva da Franz Kafka, la cui opera è ricca di situazioni di questo tipo; si pensi per esempio a Il processo, Il castello, o America.
Ma quello lì non sa neanche chi è Kafka. Ma poi come fai, non ti vergogni, sbavi anche per dire culo e...AH!
Ecco che torna il non-senso.
Chi ha detto culo?
Te guarda, te sei proprio una bestia, bisogna che ti leghi da qualche parte e basta
Chi ha detto culo?
Te guarda, te sei proprio una bestia, bisogna che ti leghi da qualche parte e basta
Era per dire, ho sentito culo eh...
STA ZITTO!
Comunque, lì torna il non-senso, non è ovvio?
Il piccolo-italiano, il borghesuccio, l'uomo-scimmia televisivo, non lo sa cosa vuol dire kafkiano, e cosa pensa? Pensa quello che penserebbe ascoltando Battiato parlando di shivaismo tantrico o che penserebbe ascoltando un qualsiasi testo in inglese che non sa, ossia: in realtà lo so (e inventa un significato - questi, poi, sono dei geni, non sanno ma sono convinti di sapere. Peggio delle donne che allattano in treno) oppure: BOOOOHH e fanno finta di niente, senza però potersi esimere dall'ammirare chi l'ha pronunciata perché "lui ne sa più di me"
Il piccolo-italiano, il borghesuccio, l'uomo-scimmia televisivo, non lo sa cosa vuol dire kafkiano, e cosa pensa? Pensa quello che penserebbe ascoltando Battiato parlando di shivaismo tantrico o che penserebbe ascoltando un qualsiasi testo in inglese che non sa, ossia: in realtà lo so (e inventa un significato - questi, poi, sono dei geni, non sanno ma sono convinti di sapere. Peggio delle donne che allattano in treno) oppure: BOOOOHH e fanno finta di niente, senza però potersi esimere dall'ammirare chi l'ha pronunciata perché "lui ne sa più di me"
E allora eccoci qui, a contemplare il non-senso della vita e l'affabulazione delle masse verso l'incomprensibile. Il che spiegherebbe anche perché la maggior parte dei dubbi girano attorno a questioni metafisiche e nessuno si chiede come funziona il pc che sta usando.
Ma come funziona questo pc?
Magia.. magia... magia...
Magia? ma, la magia...
Kafkiano... kafkiano... kafkiano...
E niente, senza mistero non mi diverto, se non mi affaccio sul muretto dell'ignoto, e sto a guardare, non mi sento apposto. Il muretto, poi, quello sta sempre lì, e l'ignoto anche, pure se non ci guardi mai. Però ci guardi, e quello che non vedi te lo inventi.
Ora mi fermo qui, perché...
Si lo sappiamo, perché sei così relativista che se stai a pensarci altri 40 secondi cambi idea su tutto.
Vero, verissimo. E ne vado fiero.
Già, se le donne si eccitassero al relativismo non faresti altro che fottere. Quanto ce l'hai lungo... il relativismo? E glielo fai vedere...
sai che crisi di panico... e che scopate!
BESTIA! Va via, guarda vai via perché stavolta davvero...
Dai che ti piacerebbe aiaiaiaiai
Abbiamo finito?
Sì.
Questo è il primo vero post. A me pare una cazzata.
Nah, poi questi leggono di tutto, è gente che si gasa con i supereroi americani, pubblico poco esigente.
Sarà, ma cos'è che dicevi di..
Di cosa?
Delle donne, lì, quelle che si eccitano col relativismo. Ma secondo te esistono?
Va be, io vado su fb. Ciao
Eh, ciao, e ora che faccio. Resto a fissare lo schermo fino al prossimo post... che situazione Kafkiana...
In memoria di Kafka, uno scrittore kafkiano.
In memoria di Kafka, uno scrittore kafkiano.
Sì
Ecco, 'ste figure di merda proprio alla fine... scappo
L'autore è fuggito
Ma guarda questo, si preoccupa pure delle figure di merda dopo sto post che ha scritto. Bon, allora concludo io, che ci vorrà a scrivere... Allora... hum...
Come si conclude un post, quello la mica me lo ha detto.
Fine.
venerdì 7 giugno 2013
Questo è un blog
Questo è il mio blog. Ce ne sono tanti ma questo è il mio. Poi non ricordo come continuava, probabilmente si picchiavano con la minchia. Questo è anche, se così si può dire, il primo blog. Lo chiedo, se si può dire, più che altro per via del fatto che scrivo da un po', e non è forse - quaderno o social network che sia - tutto un blog? Ma poi cosa vuol dire blog? Significa, letteralmente - tralasciando le spiegazioni semantiche di cui non interessa niente a nessuno -, diario in rete.
Ah! ma allora è un diario
Sì
Bene
Quindi è un diario. Ma lo si può davvero usare come tale? Oggi la gente scrive un po' di più, è vero, ma scrive cosa? scrive se stessa, ti raccontano, si raccontano. Diario dici? comunicazione solipsistica direi io. Ci si espone, insomma, ne più ne meno come un pavone ti fa vedere la coda per catturarti sessualmente.
Quindi il blog è uno strumento sessuale?
Sì
Come sei messo a figa? te lo chiedo perché se apri un blog...
Sono messo, pensa tu, che devo aprire un blog. Poi uno dice...
Cosa?
Niente, lasciamo stare. Ad ogni modo - ne userò spesso di queste intercalari letterarie, e come potrei, del resto, non abusarne? Gogol scriveva libri senza usare altro. Volevo, avrei voluto, condividerlo.
Con chi?
Con uno, che ti frega. Sei ancora qua?
Ma non cercavi figa?
La realtà è insondabile e la moltitudine che siamo trascende l'apparenza.
Ma se scrivi così che figa vuoi trovare, per piacere. Piuttosto, se davvero ti riesce di ospitare qualcuno qui, beh, fallo.
Non so come si fa. Sai dove scrivevo fino a ieri?
Dove?
Fanculo non te lo dico. Devi spa-ri-re. SPARIRE
Dai, scrivevo qui:
Sul Necronomicon?
Ecco, lo vedi? non sono capace a usarlo sto blog.
Dai retta a me, fatti aiutare. Ma poi, dimmi, di cosa parleresti qui?
Mah, ci sono tante cose. Sai cosa interessa alla gente?
Cosa?
Interessa ciò che non vede. Le analisi della realtà ad esempio. Dagli un nuovo modo di vedere le cose - o fagliele vedere per la prima volta - e quelli ti adoreranno, non potranno più farne a meno.
Quindi hai intenzioni di sfruttare l'ignoranza delle masse?
Bah, l'umanità stessa si basa sull'infilarsi in ciò che non si sa, evita questi sofismi speculari.
Va be, mi hai convinto. Io ti seguo. Fai venire anche altri collaboratori però, non vorrei annoiarmi.
Sì.
Sì cosa, tutto qui? è un blog, scrivi!
Eh, non ho più voglia.
Ma..
Dal prossimo post. dai. Cià
Ah! ma allora è un diario
Sì
Bene
Quindi è un diario. Ma lo si può davvero usare come tale? Oggi la gente scrive un po' di più, è vero, ma scrive cosa? scrive se stessa, ti raccontano, si raccontano. Diario dici? comunicazione solipsistica direi io. Ci si espone, insomma, ne più ne meno come un pavone ti fa vedere la coda per catturarti sessualmente.
Quindi il blog è uno strumento sessuale?
Sì
Come sei messo a figa? te lo chiedo perché se apri un blog...
Sono messo, pensa tu, che devo aprire un blog. Poi uno dice...
Cosa?
Niente, lasciamo stare. Ad ogni modo - ne userò spesso di queste intercalari letterarie, e come potrei, del resto, non abusarne? Gogol scriveva libri senza usare altro. Volevo, avrei voluto, condividerlo.
Con chi?
Con uno, che ti frega. Sei ancora qua?
Ma non cercavi figa?
La realtà è insondabile e la moltitudine che siamo trascende l'apparenza.
Ma se scrivi così che figa vuoi trovare, per piacere. Piuttosto, se davvero ti riesce di ospitare qualcuno qui, beh, fallo.
Non so come si fa. Sai dove scrivevo fino a ieri?
Dove?
Fanculo non te lo dico. Devi spa-ri-re. SPARIRE
Dai, scrivevo qui:
Sul Necronomicon?
Ecco, lo vedi? non sono capace a usarlo sto blog.
Dai retta a me, fatti aiutare. Ma poi, dimmi, di cosa parleresti qui?
Mah, ci sono tante cose. Sai cosa interessa alla gente?
Cosa?
Interessa ciò che non vede. Le analisi della realtà ad esempio. Dagli un nuovo modo di vedere le cose - o fagliele vedere per la prima volta - e quelli ti adoreranno, non potranno più farne a meno.
Quindi hai intenzioni di sfruttare l'ignoranza delle masse?
Bah, l'umanità stessa si basa sull'infilarsi in ciò che non si sa, evita questi sofismi speculari.
Va be, mi hai convinto. Io ti seguo. Fai venire anche altri collaboratori però, non vorrei annoiarmi.
Sì.
Sì cosa, tutto qui? è un blog, scrivi!
Eh, non ho più voglia.
Ma..
Dal prossimo post. dai. Cià
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