Abitante tipico di Civitanova Alta |
Tutte le città sono felici allo stesso modo. Le città infelici lo sono ognuna a modo suo.
Civitanova alta (ma in realtà solo Civitanova, chepperò sta in alto) non saprei cos'è.
Si tratta, qui, di un borgo medievale cinto da mura, con alcune chiese al suo interno, un paio di portali, una grossa torre al centro e tanti vicoli oscuri e stretti.
Ci vivono persone, gatti, piccioni, anziani e qualche giardino. Le persone tendono a essere pettegole e ignoranti, i gatti pisciano ovunque, mentre piccioni e anziani fanno il loro solito. Sebbene gli anziani abbiano qui un loro modo di operare. Come ad esempio non evadere mai dal borgo e compiere sempre le stesse cose. La ritualità incattivisce, le abitudini soffocano. Gli anziani del mio borgo sono straziati da una vita sempre uguale nello spazio e nel tempo: sono insomma stufi di tutto. Alcuni erano già vecchi quando sono nato.
Ma non importa. Ci sono troppe auto e troppe antenne. I mori sono arrivati anche qui ma la sera non c'è nessuno. Si sono subito abituati al Nulla. Una vecchietta mi ha detto: non sono mai uscita da questo paese.
Le chiese sono aperte ma vuote, altre ancora definitivamente chiuse per decrepitezza: cantieri ovunque perché cade tutto a pezzi e per terra è pieno di escrementi di tante bestie diverse.
Sul Pincio c'è un'enorme quercia vicino a una fontana che col vento bagna i passanti. Uno squallido distributore della benzina disabitato e qualche abituale beone che ride sempre nei bar.
Abbiamo due pizzerie: una mi è sconosciuta e so solo che ha un nome buffo, l'altra prepara pizze vergognose che piacciono a tutti. Di parrucchieri ne abbiamo ben quattro. Uno serve i maschi e rido ogni volta che ci passo davanti. Agli altri non faccio caso. Abbiamo ben novecento gatti e di quasi tutti si prende cura una vecchia pazza sorda e alcolizzata che non fa altro che blaterare su quanto siano meglio le bestie dei cristiani, e non sa mai che giorno è, e tutti i giorni te lo chiede, che giorno è oggi?
Qui un giorno vale l'altro è ci si confonde facilmente.
Il dialetto ha l'amaro in bocca e lo si sente biascicare dalle finestre aperte. Fino alle sei del pomeriggio c'è sempre un gran vento e poi di colpo cessa come se lo spegnessero. Allora c'è solo un grande silenzio. Anche le macchine smettono di passare. Gli unici rumori che si sentono qua e là sono litigi domestici di mariti che urlano contro mogli e mogli contro i figli, ma spariscono subito come se immediatamente dopo aver urlato sprofondassero non so dove.
Di notte in giro non c'è nessuno, neanche i pazzi o i solitari, che del resto devono pur esserci, ma preferiscono starsene in casa. Si incontrano solo gatti come pirati.
Nella giornata le persone sono sempre le stesse e fanno sempre le stesse cose, come in quei videogame dove personaggi programmati percorrono il medesimo percorso incessantemente. Allo stesso modo tutti sembrano muoversi su dei binari invisibili. La gente si saluta a quaranta metri di distanza in modo da potersi a voce bassa maledire, bambini ce ne sono pochi e giocano solo in casa. Una volta, la sera, gli anziani si mettevano nei vicoli ognuno con la sua sedia a parlare e parlare di tutto e specialmente di chiunque gli passasse davanti. Ora stanno in casa a rimbecillirsi di televisione, e certuni sono così sordi da mettersi a mezzo metro dallo schermo. Anche qui come in ogni maledetto comune d'Europa hanno piantato le palme. Ma c'è di peggio: non le hanno ancora bruciate. Per il resto si fa quel che si può: ovvero nulla.
Io prendo una sedia e mi metto in giardino a leggere e fare altre cose. Ma non sono davvero lì, non so neanche io dove mi trovo. E se passa qualcuno, o più d'uno, e parlano, ecco, io neanche li sento, e a meno che non mi rivolgano la parola non esisto, e se pure lo fanno non rispondo.
Perché non mi interessa niente di niente.
La sera talvolta dicono il rosario giù alla vecchia chiesa vicino alla porta del mare. Così vado, entro e mi siedo. Ci vado per assistere a qualcosa di assolutamente inutile e immutabile. Le parole... a quelle non faccio caso. Mi rasserena però vedere quei vecchi stanchi che pendono chi qua chi là ripetendo parole vuote mentre si scambiano occhiate spente.
Io non vorrei mai uscire dal mio paese, vorrei vivere per sempre dentro queste mura medievali facendo le stesse cose, vedendo le stesse persone, senza novità né cambiamenti. O forse non è vero e lo dico così per dire. Del resto è uguale.
La vecchia gattara un giorno mi ha detto "chi devo uccidere per andare in galera?".
Me, uccidi me, le ho detto. Ma è sorda, non sente proprio niente. Ha solo riso. Ride sempre quando non capisce cosa le dicono. La notte tira il cibo in modo da adunare tutti i randagi delle Marche meridionali sotto la sua finestra, che è accanto alla mia, mentre dormo o leggo e ogni rumore mi infastidisce, tanto più quello dei gatti che litigano: e allora giù secchiate d'acqua e se perdo la pazienza del tutto sono corse in giardino tirando pomodori.
Ho piantato i pomodori. Non c'è che dire proprio un bell'orto. L'anno scorso la gente si fermava a guardarli, i miei pomodori. Tre metri erano alti, pazzi di rosso! la pianta dei pomodorini tondi ne aveva perlomeno duecento. Mai visti dei pomodori così grandi, dicevano tutti.
E così corro in giardino per evitare che i gatti si avvicinino. Lì a fianco c'è una ventola da cucina sempre accesa. Ci abita, dietro quella cucina, una famiglia dell'est. Non so di dove. La ragazza è piuttosto bellina, una sera mentre riempivo l'annaffiatoio mi ha detto buonasera. Le ho risposto che, sì, 'sera. Se era il marito non lo salutavo mica. Vivo solo una volta in tutto il ciclo dell'universo, perché devo salutare pure i maschi? Poco tempo fa era venuto un piazzista che attraverso il cancello cercava di darmi la mano. Che poi io odio darla, quindi figuriamoci. Non gliel'ho mica data. Mi fa... eh ma è per educazione. Allora io sarò maleducato oppure non so, però la mano non te la do. Poi parlava e parlava ma avevo già smesso di ascoltare. Ascoltavo le campane. Qui suonano sempre per tanti motivi che non li so neanche io, non li sa più nessuno.
Su una collinetta affiancata al borgo c'è il cimitero. Un cimitero nudo e prosaico. Se decido di passeggiare di giorno vado lì. Conosco anche il custode, un tipo preciso che se potesse metterebbe i morti in ordine alfabetico. In primavera ci vado a prendere il sole. Una volta un signore mi ha detto "qui c'è tutta la storia di Civitanova alta". Non so cosa intendesse ma probabilmente aveva ragione.
Quando non ne posso più penso sempre di provare a volare dal torrione. Però non è per niente sicura come cosa, difatti mi viene in mente così e poi subito smetto di pensarci
Dalle mura si vedono il mare e le ragazze.
Questo posto è strano, stranissimo, perché ai miei occhi rimane uguale in ogni caso, persino se bevo. Mettiamo il caso che ora mi ubriachi, mi spiego? bene, in quel caso tutto cambierebbe, impressioni, emozioni, pensieri, proprio perché la mia mente è stata alterata. Ma in quel caso ciò che penso di Civitanova alta non cambierebbe. Come se questo luogo in cui vivo e di cui parlo non mi riguardasse davvero ma fosse solo un incidente in cui sono rimasto intrappolato.
Un giorno morirò e mi porteranno sulla collina. Le cose qui non cambieranno, saranno sempre le stesse, sole e stanche, finché un terremoto non rimescolerà tutto, città e cimitero, coi vivi sottoterra e le tombe spalancate sotto il sole.
Stanotte alle quattro mi ha svegliato un tuono mostruoso. Parlo di quel tipo di risveglio talmente improvviso da farti sedere sul letto a occhi sbarrati. Non riuscivo a capire dove fosse caduto, se appena al di là della finestra o direttamente in casa. Ho sentito dei movimenti di sotto, altri si sono alzati. Nell'ascoltarli mi sono subito riaddormentato. Ho sognato che il tuono aveva scavato una fossa in giardino e da quella fossa usciva una nebbia densa e scura, che lentamente strisciava verso la casa.
Non ho idea di cosa vivesse in quella nebbia.
Mi sono alzato a guardarla dalla finestra e altre luci si accendevano tutt'intorno nel cortile per osservarla. Probabilmente Civitanova alta ne sarebbe stata inghiottita una volta per tutte, con le sue vecchie mura, i gatti malaticci e i rosari eterni di vecchiette barcollanti.
Sarebbe stato certamente così se un altro tuono terribile non mi avesse svegliato rubandomi al sonno. Questo era meno forte, il temporale si stava allontanando, fuggiva via come un sogno.
Al mattino tutto era come prima.
Krystal de Boor
RispondiElimina