L'esistenza necessita di un ulteriore slancio verso il disastro, un deciso salto di qualità verso il peggio. Così com'è, non riesce a farsi detestare da tutti. Ma cosa dico detestare, intendevo capire. Sempre bilanciata da qualche piccola gratifica quotidiana, da dannosi picchi di euforia, la sua vera consistenza sprofonda nel vago e nell'incomprensibile, un'essenza dilaniante e disperata.
Certo, ci sono alcuni che già non vogliono saperne più nulla, ma non basta. Per una totale diserzione alla vita, per la più completa abiura di ogni anelito di esistenza, ci vorrebbe un universo più crudele. Non molto, poiché è già quanto di più spaventoso possa esserci - quel che basta a evidenziare a tutti quanto raccapricciante sia, e che imprudenza consista partecipare ai suoi pasticci.
Schiaffeggiati da una sorte che ci pone totalmente a caso, in un equilibrio a dir poco precario tra coscienza e morte, tuttavia ci riesce di ingannarci sulle nostre intenzioni: il disastro definitivo non si compie mai fino all'ultimo respiro, il che ci dà tempo di tergiversare con l'assoluto. Nel frattempo ci si inganna cospirando con le nostre paure.
Sbattuti qua e là, scuoiati vivi quotidianamente, sono le pause a ingannarci, quei momenti attesi nel tempo dove possiamo sfogare i nostri istinti più bui, riemergendo alla superficie imbambolata dello svagarsi. Rinnovati per le prossime stanchezze, per nuove torture vertiginose, ci sembra che tutto sommato esistere non sia così sbagliato.
L'opposto, un perpetuo stato di leggerezza intervallato da brevi sofferenze, non appesantito dagli impegni che schiacciano individui meno agiati, consente alla mente annoiata di affacciarsi sui vuoti del futuro, di navigare nelle incertezze. Se possibile, tale condizione è persino peggiore.
La mente fatica sempre più a ricollocarsi in un contesto di serenità: ne consegue che solo degli urti violenti possono distrarla dall'ultimo vuoto che ha percepito come sua originale missione.
Così avremo una massa di speranzosi estenuati, e una minore schiera di rimbambiti allucinati. Quelli che restano divengono tetri e si spengono in qualche angolo buio.
Si salvano solo gli imbecilli patentati i quali però usano sbranarsi a vicenda. L'orrore è servito.
Eppure non basta. Ci vuole, come detto, un salto di qualità. Se bastasse, avremmo solo disperati e rimbecilliti e la speranza avrebbe lo stesso rango della preghiera. Così, purtroppo, non è.
Esiste solo una verità dai molti aspetti: la vita ci è ostile in tutti i modi, la felicità risiede solo negli sciocchi, siamo nati per soffrire.
Chiunque sostenga il contrario è un pazzo furioso. Le religioni, le ideologie, le passioni le tradizioni e financo i divertimenti: bazzecole. Quisquilie. A quale pro patrocinare un incomprensibile "meglio"?
Siamo soli nella notte. Ma come fare in modo che tutti se ne accorgano gelando di terrore nelle loro tane?
In un cosmo dove buchi neri grandi come milioni di pianeti risucchiano interi sistemi e la luce di soli lontani, c'è chi pensa a cosa fare il sabato sera. Ciò, beninteso, è comprensibile, e le cose stanno così perché per quanto immenso sia lo sgomento non è sufficiente a gettarci in uno sconforto paralizzante.
Ce ne vorrebbero, allora, di più piccoli, subdoli buchi neri che si aprono nei luoghi più disparati, qui, sulla terra, da cui uscissero fuori grossi tentacoli neri in cerca di umani per divorarli lentamente in qualche eternità sospesa tra i pozzi della notte. E questo ovunque, in strada, nelle case, sui campi, ovunque. Mi chiedo: basterebbe una cosa del genere a incupirci tutti?
Forse non basterebbe. Qualche prete troverebbe le giuste parole per descrivere i tentacoli. Qualcun'altro saprebbe metterci in guardia e poi la scienza... la maledettissima scienza, che sembra non far altro che mettere pezze sulle atrocità del mondo per non farcele vedere... la scienza ci direbbe cosa fare. No, non basta. Così, secondo me, ci vorrebbe il cancro istantaneo che uccide in dodici ore. In campagna, poi, dovrebbero esserci molti più pozzi aperti, pozzi che naturalmente i bambini trovano interessantissimi. Profondi e stretti.
Riguardo l'aborto, bene, se bastasse uno spavento qualunque per abortire, e se durante questo i bambini venissero espulsi fuori a una certa velocità e in fiamme, sarebbe abbastanza avvilente per la nostra sciocca specie incline alla sopportazione?
Tutto sommato, non basta. Si aggiungerebbero solo cause di morte. Dilagherebbe una certa propensione al fatalismo, allo stoicismo, ma nient'altro. La morte non fa abbastanza paura perché nessuno crede di dover morire a breve. È sempre vista come remota, anche in un mondo fatto di trappole assassine.
Ci vorrebbe una vita peggiore. Sì, ancora peggio di così. Non bastano le sfide, gli sciocchi umani finiscono per trovarle stimolanti e prosperarvi, servirebbe una pioggia di catastrofi estemporanee alle quali non poter dare nessuna spiegazione. Periodi lunghissimi di solitudine per quarantene a strane malattie che rendono lucidi e una totale - davvero totale - incomprensibilità con gli altri. Cadere per ore e ore nel sonno senza svegliarsi. Pietrificazione dei desideri a sedici anni. Possibile imbalsamazione dei genitali dopo i rapporti sessuali. Arti che cadono, famigliari morti che appaiono in teche di vetro nel salotto, l'istinto di fottere due volte al mese con tua nonna che ha il diabete, obesità negli anziani, anoressia nei bambini di tre anni, piogge di merda in piena estate, malattie nervose diffusissime i cui effetti sono la pazzia omicida, potenti raffreddori che durano anni, città che si sgretolano dopo due giorni di sole, insensibilità al gusto e ipersensibilità a qualsiasi odore sgradevole; e poi ancora questo, ossia se ridi ti cadono i denti, e se sbadigli lacrimi... sangue.
No, niente da fare. Non servirebbe a niente. Forse solo un repentino peggioramento del clima potrebbe scoraggiarci, anche se... ma no, nulla può. Siamo, come specie, troppo inclini a proiettare un inafferrabile miglioramento nel futuro, a crogiolarci nella speranza di un domani all'altezza dei desideri.
Siamo, insomma, indecenti e irrecuperabili. Eppure non riesco a smettere di pensare che col giusto slancio verso il peggio potremmo raggiungere quella disperazione per cui siamo fatti, ma la maggior parte degli individui sfiora soltanto.
Non c'è niente da fare. La verità è che è la mia disperazione a essere troppo grande: io non gli basto, vuole colonizzare l'intero universo. In un mondo dove strapparsi i capelli e cadere affranti in qualche antro fosse normale, la sopporterei meglio.
In questa società condannata a una banalità fosforescente, alla continui ricerca di una felicità esacerbante, non mi sento neanche più umano. Una vita senza disperazione? Un sogno.
L'umanità? uno spreco sognante.
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