giovedì 2 aprile 2015

Mutilazione e altre amenità

Il mio kit per mutilazioni 

Quando avevo sedici anni le mie capacità di socializzare erano pressoché nulle e fortemente condizionate dal profondo disagio interiore che mi divorava.
Di logica avrei dovuto escogitarmi migliore, balzare dalla corruzione umorale in cui stagnavo verso una maggiore caparbietà comportamentale. Ma non sono fatto così. Io, ecco, sono invece fatto in quest'altro modo, ossia cerco di fare il meno possibile, di farlo male - o artisticamente, come viene viene buona la prima - in attesa che gli eventi mi franino addosso.
Che siano macerie o allori poco importa. Cosa importa in fondo?
Così, adombrandomi alla ricerca di una soluzione, trovai questa: mi taglierò una gamba!
La cosa, bisogna dire, aveva un suo senso. Intanto il problema del reddito era risolto per sempre. Che forse lo stato avrebbe potuto dimenticarsi di me, poverino, senza una gamba, di uno che per recarsi da un posto all'altro doveva saltellare, che persino nello stare seduto abbisognava di reggersi ben bene con le mani? Non avrebbe potuto, assolutamente. Così avrei avuto una pensioncina tutta mia, e una cosa era risolta.
Va da se che neanche gli altri avrebbero potuto continuare a dimenticarsi di me, com'è quel detto? ah sì, Quando resti mutilato tutti si ricordano di te, già, e siccome una cosa tira l'altra, e nel trascinarmi in giro con fare gentile - grazie, grazie tante! - i miei nuovi amici mi avrebbero presentato a tante persone, alla fine mi sarei anche trovato una ragazza ( a sedici anni ne avevo un bisogno disperato), una ragazza a cui avrei potuto tranquillamente dire, per piacere, prendimi l'acqua, in estate, e la vodka d'inverno, perché dopotutto senza una gamba anche la mia pigrizia avrebbe assunto nuove giustificazioni.
Ehh, se solo a sedici anni avessi avuto il coraggio di tagliarmi una dannata gamba ora la mia vita sarebbe migliore. Oddio, non che faccia completamente schifo, cose belle ogni tanto ancora ne accadono, ma... inutile girarsi intorno, senza gamba sarebbe stato tutto diverso.
Ne parlai anche a mio padre, un giorno gli dissi "forse senza una gamba andrebbe meglio". Mi rispose che ero un imbecille. Non  ne tenni particolarmente conto, in fondo era la sua risposta standard per qualsiasi cosa. Paura del buio? Imbecille. Problemi con gli altri? Imbecille. Insicurezza e ansia? Imbecille. Non te ne tenni affatto conto. E fu anche l'ultima volta che provai a parlarne con altri.
In realtà a farmi desistere fu qualche altra idea, sicuramente più accessibile e meno dispendiosa di energie, perché dopotutto io cerco sempre di fare il meno possibile, male, in attesa che qualcosa mi frani addosso. Possibilmente quello che desidero, ma se anche viene altro cosa volete che sia, non è la stessa cosa alla fine?

A pensarci bene in quello stesso periodo in cui fantasticavo di amputarmi una gamba per accrescere la mie capacità sociali, non proprio tutto fu da buttare via. Ricordo, infatti, che mia zia, la sorella di mio padre, quello che mi dava continuamente dell'imbecille, stava per sposarsi. Beninteso lui al matrimonio non venne, la considerava una cosa da imbecilli - specie dopo il suo divorzio -, mentre tutti gli altri più o meno vi si dedicavano. Il mio compito, nella fattispecie, era di non fare assolutamente niente. Non prendere in giro gli sposi, non fare battutine, non rovinare i preparativi, non rivangare troppo il passato. Insomma, nulla di nulla,
Mia nonna, poi, neanche fossimo chissà quale famiglia dell'alta borghesia, pensò bene di preparare un rinfresco, da consumarsi esattamente la mattina del fatidico giorno, prima della cerimonia e, ovviamente, del pranzo pomeridiano.
Così non badò a spese! Per appena una ventina di persone che sarebbero venute a vedere la sposa uscire di casa acquistò centinaia di bibite, salatini, tramezzini e altre sciccherie varie da bar. Eravamo realmente invasi da ogni sorta di ben di dio, tra cui ricordo con un pizzico di commozione le dieci scatole di crodini, bevanda di cui all'epoca, prima di scoprire il dolce abbraccio materno dell'alcol, andavo ghiotto.
Il suo errore fu, probabilmente, di dotarsi di cotante scorte non uno o due giorni prima del matrimonio, ma ben due settimane, così che ebbi tutto il tempo di dedicarmici con avidità e un pizzico di crapuloneria. Al giorno stabilito sopravvivevano sufficienti salmerie da soddisfare gli anemici invitati, già sazi prima di attingere al banchetto. Ma io, sanato nella mente e nel corpo da siffatte prelibatezze, come se per due settimane avessi succhiato un morbido seno, ero completamente appagato, così tanto da non spendermi con neanche troppa cattiveria nel ricordare, agli sposi e gli ospiti tutti, che matrimoni e promesse, progetti e illusioni sulla vita a venire, altro non sono se non, appunto, illusioni, miraggi nel tempo, ma a malapena ne accennai, troppo soddisfatto com'ero da tutto quel crodino, quei tramezzini, quelle tartine preconfezionate, il bitter, le pastine (salate, odio i dolci), e poi ecc, ecc, ecc
E per quei giorni dimenticai persino di tagliarmi la gamba. Infatti alla fine non se ne fece niente.
Ma che mangiata. Ecco, quello è stato non dico il migliore ma uno dei più bei periodi.
Il periodo dei crodini che mi impedirono di tagliarmi la gamba.

Ne bevvi circa duecento in due settimane



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