Mia nonna non assomiglia manco per il cazzo a questa qui |
Si aggira per la casa una presenza strana, talmente assurda che sembra quasi irreale. Mia nonna striscia lenta fuori dalla sua tana, col gatto in braccio, farneticando parole sdrucciole, per poi sparire dietro l'angolo.
Ansimando poi torna indietro, e con fare sospettoso si guarda intorno, in cerca di qualcosa che non c'è mai stato, ma con un dubbio accennato. Poi precipita nuovamente nella sua grotta fatta dal buio e da uno schermo acceso, e io la osservo pensando: ma cosa c'è dietro?
Primo Levi ci ha ben detto che in determinate circostanze un uomo cessa di essere tale, ma mia nonna? è ancora umana?
Cos'è infondo l'uomo se non la percezione che abbiamo di noi stessi, un errore della storia, dell'evoluzione?
Oh beh, poco importa, sono le due e mia nonna è davanti alla televisione, in camera sua.
Vi si ritira appena finito il pasto. Predilige gli spazi scuri per via della depressione, e sebbene se ne lamenti ha in realtà abdicato ai rapporti umani. Infatti non sta granché bene in compagnia, esibisce un disagio quasi adolescenziale. Adottata dalla sua televisione, orfana inconsapevole dell'esistenza, vi si è arenata davanti senza porsi l'obiettivo di comprenderla. Si sposta da un canale all'altro senza soffermarsi mai troppo a lungo, ignara di ciò che vede. Ancora non senile, il suo è un ebetismo voluto, una sciocchezza desiderata.
Ma infondo è sempre stata così, superficiale e pressapochista.
Ricordo che una volta mi mandò in campeggio con un costume da bagno bianco, un paio di mutandine completamente chiare. A ogni bagno si vedeva tutto, ero in pratica un nudista. Ma è inutile ripensarci, dopotutto l'essere cresciuto con lei per via della dissolutezza dei miei genitori era una prova a cui non arrivava preparata. Incapace di badare ai suoi stessi figli sin da giovane non poteva certo riuscire ad assistere me, salvo assediarmi con una mollezza caratteriale sfociata in un soffocamento madonnineo, un elogio del dolore-amore verso la prole tipico del proletariato cristiano.
Rimpianto di tutto, esegesi del parto vivente, mia nonna è salita sulla cattedra del girarsi dall'altra parte, santa per meschinità, nobile per piccolezza.
Per parlare di mia nonna oggi, però, serve un linguaggio più sciolto, un'espressività scritta non pensata; per scrivere di mia nonna devo pensare come lei, facile e immediato!
Ora, dicevo, ha un gatto, che condivide con lei i lunghi pomeriggi densi di cupezza. Il mattino, sia chiaro, errabonda verso il cimitero. Va a trovare sua figlia, morta qualche anno fa.
Lì si scioglie in pianto, esaltando le sue doti drammatiche. Dopodiché si rifugia in casa, e inizia l'eterno calvario.
Freddie, il micio, il suo "amore piccoletto", non pesa ormai che qualche grammo. Sembra un ossario. Depresso come un dannato, Sisifo tra camera e salotto in questa piccolissima casa, mangia e vomita come in preda a una bulimia ossessiva, gonfiato come si gonfierebbe un rospo da attenzioni maniacali.
Davanti alla TV, al suo fianco, vegeta come una pianta dotata di vista; spaventato da tutto, in attesa solo di un altro pasto, vive a malapena, come in attesa di una catastrofe imminente.
Per lei è il più bel gatto del mondo, la sua stellina dorata. A vederlo provo quasi pena e mi chiedo se non sia il caso di soffocarlo col cuscino.
E tuttavia non lo faccio, sarebbe capace di spendere migliaia di euro per la sua sepoltura. In realtà anche la possibilità che si ammali è da temere: in quel caso le spese sarebbero assurde. Anche se non è da escludere una imbalsamazione. Magari fatta in casa.
Quel che posso augurarmi è che continui a vegetare ancora per un po', col suo miagolio anemico di gatto annoiato.
Il modo in cui mia nonna vede la televisione, poi, è più che mai singolare. Tra suicidio e speranza, oscilla da un canale all'altro, pendolo solitario, senza soffermarsi su niente. Osservandola pare quasi che non colga dialoghi o risate: solo osserva i visi cercando di cogliere emozioni ch'è ormai incapace di provare lei stessa. A qualsiasi stimolo reagisce scocciata, alle telefonate ribatte con fare scontroso.
Se esposta al sole si dibatte come una creatura della notte.
Prima, affacciato, guardavo il giardino e mi abbronzavo. Mi è passata dietro col gatto in braccio - lo porta a fare pipì, povera bestia - borbottando innervosita. Troppa luce! Troppo vasto il cielo che si vede dalla grande finestra. Catacombale in ogni lamento torna subito a rifugiarsi nel suo antro ammobiliato.
Le feste la fanno adirare, come tutte le persone profondamente ferite dalla vita desidera il malessere comune senza che questo, avverandosi, le dia gaudio. Non cucina né fa altro. L'immobilità è il suo dogma. Sebbene sia sana di corpo come è ancora lucida di mente. Propensione alla malattia immaginaria, dentro di se si sente tutta una lagna. Un lamento di tutte le cose le vive dentro senza avere i mezzi per esprimersi. Così lì dentro muore, imputridendosi e puzzando.
Fa una gran puzza mia nonna, e come se non bastasse cammina scoreggiando.
I problemi di udito l'hanno ulteriormente isolata e inacidita, si esprime solo con toni vocali altissimi e pretende altrettanto.
Il mio eloquio non urlato le è intollerabile, come quello di chiunque altro. Capacissima di non proferire parola per delle ore, spesso se ne esce dal nulla con le più assurde stramberie mai udite.
Ossessionata dall'ordine, cambia posto ai suo piccoli soprammobili quotidianamente, sposta mobili e crea passaggi. Nel suo salotto-casa sembra di trovarsi in un gigantesco orologio, dove giornalmente come ingranaggi le cose si spostano di qua e di là, tictaccheggiando pazze.
Atea nel profondo, bisognosa del tutto-adesso, prova talvolta a rifugiarsi nell'erosione del cristianesimo, religione che per povertà interiore le si addice, senza però trovarvi un vero conforto se non quello del pianto. Poco simpatizzante del dio morto per lei troppo complesso, e diffidente verso la vacuità del Padre eterno, si lascia ammaliare dal fanatismo esplosivo dei santi, dalla loro propensione al martirio e al dramma umano. Rivedendosi in quelle vertigini sgolate, in quel luttuoso amore verso il creato, chiude gli occhi e si finge anch'essa tale: autolapidazione interiore, rattrappimento disperato.
Ogni tanto viene una vecchina che sta di casa qui accanto. Le chiede se ha bisogno di qualcosa, ci parla un po'. Ma la tratta malissimo, la tratta come una bestia. La sua è una vecchiaia mostruosa, con le unghie e i denti, e appena può prova a sbranare qualcuno.
Sono io, come dicevo, a cucinarle, ma nulla le va mai bene. Ex cuoca in un ristorante da beoti, s'illude in cucina come in tutto il resto di aver compreso la verità più intima, ottenuto il segreto del "così va fatto!". Ma è solo un attimo, la sua incapacità nell'interessarsi a qualsivoglia cosa, eredità di una vita trascurata, unita a una depressione cullata a lungo e deflagrata con la morte di sua figlia, le impediscono di affermarlo, e dopo un attimo è lei stessa a non esserne più sicura, questo relativismo affranto.
Potrei invitare una ragazza a casa sua, portarla in salotto, spogliarla e farci di tutto, senza aver mai paura che lei possa all'improvviso uscire dalla sua stanza. Quando sta per farlo, si annuncia schematicamente allo stesso modo. Dice al gatto "andiamo", e ciò vuol dire che ha deciso di dargli da mangiare. Poi piano piano lo scuote, ci parla, si lascia andare a effusioni imbarazzanti persino per una balia russa, una nanja, (e lo dico io che ho due gatti), e piano piano, con una pigrizia incattivita, lo prende in braccio; ma non c'è dolcezza, i suoi modi sono bruschi e ansimanti. Appena esce dalla stanza, senza remore, si lamenta della troppa luce, del sole e di tutti gli astri, "cos'è tutta questa luce", bercia, trotterellando in bagno disgustata. Lì attende che il gatto faccia pipì nella sua vaschetta, poi gli dà la sua pappa. Quel povero animale, prolungamento del suo strazio, mangiucchia qualcosa, e a tal punto è atterrito che subito rifugge nella sua stanza. Neanche con la porta spalancata si azzarda a uscire di casa. Così lei lo segue. Oppure fa una merenda veloce. Mangia in piedi, mangia da incazzata. Si da fastidio da sola perché lascia briciole e macchia. La casa per lei non va abitata, va solo pulita e tenuta in ordine. Così facendo mette in ordine e pulisce se stessa, ossessionata da ciò che in lei non va senza avvertirlo.
Tornata in stanza si ributta a capofitto tra un canale e l'altro, senza che ciò - ne sono sicuro - le dia sollievo. Mi immagino faccia finta di essere lì, di parlare col tizio che parla, di giocare a quel gioco, di essere un qualcuno che ha fatto qualcosa e lo sta raccontando. Vive nella finzione di essere altrove, si sceglie un ruolo e vi si adatta.
La frase che è più spesso esclama è qualcosa che si avvicina al "non me ne frega niente", apolide del mondo tangibile dev'essersi creata un qualche paradiso fittizio in quel suo cervello esasperato.
In realtà, sebbene non a questi livelli di avvelenamento, è tutta la sua generazione che davanti alla TV vive morendo. Lei lo fa particolarmente bene, si può quasi dire che lo faccia a un livello estremo, col suo stendardo rannicchiato, prodromo di ogni rinuncia.
Ora, cosa volete, mi par di aver scritto anche troppo su mia nonna, la chiudo qui. Mi alzo, prendo un coltellaccio, entro nella sua stanza e pongo fine a questa eutanasia dilatata, che tra l'altro non ha nulla di dolce. Prima lei, poi il gatto. O forse lascio vivo il gatto. Magari con un cadavere in stanza ritrova l'appetito.
Dimenticavo. Qualche tempo fa sembrava avere un sussulto vitale. Si era innamorata del nuovo papa. Che poi mi sono sempre chiesto se si masturbi ancora, con tutti quei telefilm che vede chissà cosa le bolle in testa. Va beh, dicevo del papa. Se n'era proprio innamorata. Mi chiamava - in quel periodo ero in Liguria - per dirmi che, effettivamente, il papa era proprio un papa, mica come l'altro che non sembrava un papa, e che insomma, con quelle scarpe, quei modi di fare, era uno di noi, uno come lei.
Insomma s'era infatuata di francesco, quel gesuita mondialista maledetto. Ma io, cosa volete, le davo corda, tanto lo sapevo che non durava. Non dura mai niente con lei. Ora s'è già stufata, non gli dà più peso neanche se lo vede al telegiornale. Oddio, qualche ritorno di fiamma si vede ancora, ad esempio ha preso il suo calendario. Lo tiene nello stanzino dove dà da mangiare al gatto. Sì perché, ecco, funziona così, il gatto da solo non mangia neanche più, tra un po' bisognerà imboccarlo. E mentre aspetta che il gatto mangi, lei cosa fa, guarda il papa. Ecco cosa fa.
Ma va bene, lasciamo pure stare. Come ho detto ora prendo il coltello, e vado.
E di tutti i problemi, direi che l'amore verso il pontefice sia il peggiore.
RispondiEliminaeheh però è anche quello che ne crea meno agli altri
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