La vita dei marinai, dai vicoli stretti del porto all'ostilità del mare aperto, con un cuore mediterraneo, un mediterraneo di suoni e profumi, che s'è perso, ce la racconta De andré col suo Creuza de ma, termine che vuole significare, a esser precisi, mulattiera di mare, sebbene fosse nelle intenzioni dell'autore renderlo il più vago possibile, inafferrabile come il genovese antico di cui tutto l'album è fatto, coi suoi dittonghi e le sue riduzioni semantiche, che, come dice appunto De andré, si allunga e si accorcia a piacimento, quasi come il grido di un gabbiano.
Questa non vuole essere una recensione, attività che per altro ritengo utile solo agli sprovveduti che non hanno alcun senso critico, ma un semplice omaggio, e se vogliamo un consiglio.
Certo le fortune di un album del genere vanno ricercate in più luoghi. Da una parte, senz'altro, l'uso del genovese, con le sue cadenze ombrate, i suoi guaiti affranti, che arriva chiaro e sconosciuto alle orecchie dei più, e si ammanta di un mistero che per assonanze con l'italiano, e curiosità, si svela poco a poco. Dall'altra parte ci sono i suoni del mare di mezzo, antichi come la civiltà e vivi come le forze che si infrangono contro le sue sponde, dove ogni onda è sempre un'altra, e tutto si rincorre.
De andré dimostra, e lo dico con una certa pochezza di mezzi dato che non sono un esperto, che è un grande cantante, che la sua dote maggiore - incredibilmente - è il canto, ché dalla perfezione sembra finto, eppure pare improvvisato in un'osteria, graffiato dal sale di Genova, stregato dal vino. Poi vengono i testi, evocati dalla malinconia di chi parte per il mare, e di chi lo vede fuggire sulle onde.
Dalla vita del marinaio che sbarca sulla terra da un posto dove la luna è nuda, e la notte gli punta il coltello alla gola, e cerca per le vie del porto un po' di compagnia, ricominciando a navigare stavolta sulla barca del vino, che lo porta su questi scogli e tra le ragazze.
Scenari mediorientali dal libano, da ciò che resta dei Fenici che esplorarono il mondo antico navigando seguendo le stelle; puttane leggendarie che solo i marinai sanno sognare, con la fica piena che stilla succo dolce, e non ti lasciano più andar via; leggende saracene, la Genova che si oppose ai mori. Dove il rematore schiavo racconta al sultano che, sul fondo del mare, c'è un pesce tondo, che quando vede le ragazze brutte va sul fondo. E che sul fondo del mare c'è un pesce palla, che quando vede le belle viene a galla.
La Pittima è un raccoglitore di crediti nella repubblica genovese. Come spiega De andré nel testo, si tratta di un individuo che non ha braccia, mani o torace per fare altro mestiere, anzi è malaticcio, e per adattarsi, e su consegna di un creditore, intercetta e segue persone chiedendo ripetutamente, con cortesia, di poter riscuotere il debito, davanti alle altre genti, così che queste imbarazzate finiscono per pagare.
Ancora una celebrazione della Liguria con La domenica, tra processioni e puttane, nell'ipocrisia della cultura cattolica, e poi un addio a Genova, con le sue chiese e i suoi palazzi affacciati sul mare, come navi che stiano per spiegare le vele.
È Da a me riva, dove il pescatore che all'inizio dell'album era sbarcato a Genova dal regno del mare, se ne torna verso il tramonto nella sua barca, e come dice il proverbio "passato il monte di Portofino torno scapolo e fantino" (ragazzo). Ma salpa Genova con le sue piantine di basilico su ogni balcone e chissà quando tornerà, lasciando la sua donna, dismettendo il suo stato di disertore del mare, e lentamente vede il suo mondo sfumare lontano
DALLA MIA RIVA
Dalla mia riva
solo il tuo fazzoletto chiaro
dalla mia riva
nella mia vita
il tuo sorriso amaro
nella mia vita
mi perdonerai il magone
ma ti penso contro il sole
e so bene stai guardando il mare
un po' più largo del dolore
e son qui affacciato
a questo baule da marinaio
e son qui a guardare
tre camicie di velluto
due coperte e il mandolino
e un calamaio di legno duro
e in una berretta nera
la tua foto da ragazza
per poter baciare ancora Genova
sulla tua bocca in naftalina
Per cui, mi sembra, il testo non richiede commenti, e conclude l'album.
Dopo solo il rumore delle onde che si infrangono, come i sogni di chi lo ha navigato.
L'ascolto dell'album non è facile, specie se non si ha dimestichezza con il genovese. È però possibile trovare tracce e traduzioni in rete. Quindi buon ascolto, e buona lettura.
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