martedì 4 marzo 2014
Un lungo viaggio
I lunghi viaggi in treno sono terribili, specie se l'unica cosa che puoi permetterti sono dei lerci e rumorosi regionali, con i neon che ronzano in continuazione come se funzionassero ad api e gli zingari che passano a chiedere soldi. Ma che cazzo, pure in treno?!
Poi sono pieni di negri. Non che sia razzista, sia chiaro. Almeno non nel senso comune della parola. Però puzzano. Stateci un po' vicino a uno che viene dall'Africa, e poi vediamo. A essere tolleranti nella bambagia son buoni tutti.
Tant'è che i viaggi in regionale non finiscono mai. Si, leggi, ma dopo un po' tra il rumorio delle persone e il tranciare tran-tran-tran del treno ti ipnotizzi e vorresti solo dormire: cosa che non puoi fare, per cui ti limiti ad accasciarti esausto. Ti riposi un po', poi rileggi, parli con qualcuno... e pensi. Hai molto tempo per pensare. Quasi come quando parli con quel qualcuno in treno, e aspetti solo che sia il tuo turno per parlare, e mentre parla lui appunto pensi.
Sto treno è relativo. Forse neanche esiste.
Che poi a pensarci bene...
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C'è un momento, un bel momento, in cui non riesci a dire più niente; in cui tutto ciò che pensi muore immediatamente e rinasce in altri modi che subito muoiono: e finisci col pensare aborti di pensiero che tu credi un gran pensare, ma sono solo cose morte. Non riesci a compiere una scelta in cui tu creda davvero.
Insomma, è quel momento in cui uno ti dice bianco, un altro nero, e tu non sai più cosa siano bianco e nero, e non credi neanche al grigio. Così ti accorgi di essere diventato un relativista, perso nell'angoscia di non poter fare altro che perderti perché non hai certezze, e non credi a niente. A niente!
Per dire, l'altro giorno un mio amico, a suo modo brillante, esordisce in un discorso, che voleva forzatamente brillante, dicendomi che la casualità non esiste. Ci vuole assai poco a smontare una tesi del genere, basta dire che in tal caso si presuppone l'esistenza di un essere superno che decide per tutti ecc ecc e che il tutto si ridurrebbe a un teatrino dell'assurdo ecc ecc; eppure non ne ero sicuro. No, non della casualità di tutto, quella se non altro è l'unica certezza: no, non ero sicuro di poterglielo dire. Perché in fondo sono sempre discorsi demotivanti, e a nessuno piace sentirsi dire che è una scintilla pazza che cade nell'acqua. Inoltre aveva degli argomenti niente male, per lo più roba di fisica, e nonostante fossi abbastanza sicuro della mia opinione non me la sono proprio sentita di spacciarla per vera.
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Stazione. Questi qui appena saliti mi guardano. Hanno visto che nel sedile di fianco al mio invece che un dannato essere umano c'è la mia valigia. Ecco.. ora me lo chiede...
- è libero?
Si puttanaccia è libero, siediti pure e rincoglioniscimi parlando al cell con la tua amica o col tizio che ti scopi tra 3 2 1
Gli dico che è libero. E basta.
E dopo 20 secondi si mette a parlare al cell.
Sta bagascia. Non posso neanche più leggere, non con lei nel cervello. Qualsiasi cosa leggessi sarebbe una porcata. Però non è brutta, oddio... poi son cose relative. Basate sulla soggettività. Ossia sul nulla o quasi.
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Perché alla fine anche quell'unica certezza che ti sembra di avere si basa sul nulla.
Anche la cosa più banale, anche la banalità di un gesto, diviene terribilmente contratta: non nell'ansia di compierlo male, ma nella certezza di alimentare l'inutile che è tutto.
Difatti cos'è per me quel gesto se non il compiere il gesto in se; e in quanti modi diversi potrei compierlo! Troppi per non dubitarne in continuazione.
Se, per dire, ma solo per dire, mi impegno in qualcosa, e quel qualcosa mi piace, ci credo, si! ci credo! ecco che a un certo punto, ma diciamo pure subito, lo vedo da un altro punto di vista, e da quel punto di vista, c'è poco da fare, non ha più senso, ed ecco che subito smetto di credere in quel qualcosa, e dato che in qualcosa bisogna pur credere immediatamente provo a credere ad altro.
Provare a credere. Che è come credere di credere. Ma credere a cosa se niente ha una sua verità e tutto è interpretabile?
Ma infondo è normale, cercare di essere coerenti con se stessi è futile, e anche deprimente. E mi riferisco al fatto che pur sapendo che le cose stanno così io sotto sotto non riesco sempre a ricordarmene. Che cosa triste la coerenza, l'essere sempre se stessi ci sminuisce e ci offende. E allora si prova a essere altro, o ci si crede, e si finisce col crederci sul serio finché, appunto, non ti vedi da quell'angolino morto sul soffitto, il famoso punto di vista altro, e allora smetti subito e inizi a essere, appunto, altro. Un gioco di specchi, una galleria di riflessi che rimandano sempre a quel cristallo iridescente dai mille volti che è la psiche umana, psiche relativa, quel dado dalle mille maschere che gettiamo sui binari ciechi della vita per provare ripetutamente a sentirci qualcuno. Il dado del relativo a -.
La stupidità del relativismo, che è come decidere di fare le scale col sedere, o di uscire direttamente dalla finestra: perché? Perché tanto è uguale, è tutto uguale.
No, non tutto, ogni relativista ha il suo personalissimo modo di squartare la realtà, di macellarla sul tavolo operatorio della mente. Ma alla fine è sempre un uccidere qualcosa, un assassinarsi consapevolmente mentre subito ci si gira altrove a cercarci per ucciderci ancora con l'ennesimo dubbio, l'infinita esplorazione del reale che porta ai molti sentieri percorribili che non portano mai da nessuna parte se non ad altri sentieri. E così via, e sempre così, un Io dopo l'altro, un se stesso dopo l'altro, fino al totale annichilimento che porta alla follia, che è solo una delle tante follie e poi ne viene un'altra ancora.
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Eh..si? Si ci sono. No, ho fame (rompicojoni)
Ecco, e ora? Ancora intrappolato qui, tra l'inutilità di questo treno e questo paesaggio sempre uguale. Che palle.
E che palle ripetersi che palle da quando sono partito. Dovrebbero metterci delle camere per la masturbazione sui treni, così se entra una che ti piace lo tiri fuori e ti fai una bella sega. Poi dormi. E così via fino all'arrivo. No, scopare in treno no, con sti sedili... sedili che trasudano malattie rare. Se potessero parlare esprimerebbero lamenti e basta.
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Ad ogni modo pensavo al relativismo. Dove tutto è relativo. E allora perché scrivere un post a tema? Tanto è tutto relativo, no?
Quel tavolo è piano? Relativamente a cosa intendi per piano, a come lo vedi e alla luce che lo illumina.
Tanto vale andare a briglia sciolta. Come una meteora impazzita, come una luce atomica .
Se avessimo due soli avremmo anche due ombre, e vedremmo tutto diversamente. Non avremmo la fissa dell'unico Dio ispirataci dall'unico astro. E anche il lavorio di piccone sulla psiche partirebbe da altri presupposti.
A volte poi mi immagino di vivere in un mondo con tanti soli, soli fiochi: e avere una corona di ombre. E non una sola che, relativamente, non basta.
La verità è che sono troppo relativista per parlare del relativismo.
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E malgrado tutto è stato proprio un viaggio di merda. Di questo sono certo. A volte anche il relativismo non riesce a trovare appigli.
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Comunque ho deciso, il post sul relativismo del 2014 non lo scrivo. Ho le idee troppo confuse.
Stasera a casa solo porno.
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Salvo che sul Freccia Rossa e simili, l'esperienza del viaggio in treno è rimasta una cosa oscena come nella mia gioventù. Non che ne sia nostalgico, poi.
RispondiEliminaE non aiuta a riordinare le idee
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