domenica 9 marzo 2014

Il punto della situazione

"Buongiorno", dico a me stesso, mentre mi specchio al cesso, e mi vedo così, come sono, giallastro, con la barba arruffata, gli occhi pesanti, la bocca già incurvata in un ghigno insoddisfatto. Lo stesso ghigno di quando sono andato a dormire.
Oddio, dormire... Non posso permettermi cure dentarie, per cui ogni tanto mi faccio un viaggetto nel tunnel dell'agonia, tra carie e gonfiori sanguinanti, e passo la notte in contemplazione del dolore. Altro che dormire. Ma ieri sera, e ieri pomeriggio... Dio, credevo di impazzire!
Anzi, non dico Dio, dico Mordor, o Sauron, o Crom. Sto cercando di smettere con la mitologia cristiana adibita a intercalare. Meglio il pantheon fantasy.
Sto cercando a dire il vero di fare un sacco di cose. Ma proprio un sacco!
Intanto, mi dicono, dovrei trovarmi un lavoro.

AHAHAHAHA!
Ricostruzione al pc di come sarei se potessi andare dal dentista

Rido. Essì, certo che rido. Ma che uno che vive come me può mai aver voglia di trovarsi un lavoro?
Ma andiamo, a malapena vivo. E vivo in discesa, per inerzia. Con queste magliette che puzzano sempre di sudore, e la tentazione di fare lo sgambetto a tutti quelli che mi passano davanti.
Intanto mi alzo, come oggi, alle due del pomeriggio. O anche dopo. Cosa mangio a fare?!
Caffè e cesso. In casa non c'è nessuno. Puzza tutto di chiuso e di polvere. Su quella credenza c'è tanta polvere che ha cambiato colore, è divenuta una credenza spettrale, col suo contenuto sovrannaturale di vetri ingialliti.
Se tutto va bene, e per bene intendo che non sono così depresso da aver bisogno di dormire altre due ore, mi vesto ed esco.
Ci sono un po' di salite da fare; col caldo è terribile perché sudo molto e mi sento sempre lurido, col freddo va un po' meglio, ma dopo un po' possono pure piovere tette che tanto ti stufi di camminare.
Vado un po' qua, un po' là, in realtà da nessuna parte, poi da mia nonna dove cucino, leggo, mangio e torno a casa. A casa non c'è nessuno; oddio, ci sarebbe mio padre ma alle nove di sera dorme già, così torno col buio, mi spoglio in silenzio, e sempre zitto torno in camera, quella in cui mi sono svegliato, e ci torno con lo stesso ghigno contratto e... fine. Uso il pc, leggo, mi faccio una sega.
Questa è la mia giornata tipo. Inoltre non vado neanche molto d'accordo con gli altri esseri umani: la famiglia non mi ha preparato a intrattenere relazioni sociali, anche perché non ho avuto famiglia, e gli amici dell'adolescenza li ho persi quasi subito: insomma sono un misantropo. Per vocazione?
Diciamo per dedizione. L'allenamento rende perfetti.
Si, con qualcuno vado d'accordo. Di base le persone allegre mi danno sui nervi, preferisco caratteri crepuscolari o depressi, anticonformisti e incompresi, solitari come me. Tutta gente con cui è difficilissimo, naturalmente, gestire dei rapporti produttivi, per cui alla fine me ne sto da solo.
Che fregatura.
A volte penso che alla fine, quando sarò morto, quando tutti quelli che conosco saranno morti, qualsiasi cosa abbia fatto o abbia potuto fare non importerà più, sarà come se niente fosse accaduto.
Facile, dico io, pensarsi in quel modo. Che poi è un non-pensarsi, cioè un pensarsi non-più-esistenti. Va be, rimane il fatto che usando questa regola non dovrei fare niente, neanche scrivere questo post.
Vero, verissimo. Non dovrei scriverlo.
Non dovrei fare niente. Lasciarsi morire ignorandosi, guardare altrove per non vedersi. Lo fanno tutti. Io non posso farlo?
No, io no. Io sono maledetto, lo siamo tutti ma la mia è una maledizione più lugubre delle altre. Più che una maledizione è un ascesso pulsante.
Anche questa cosa che mi stanno tutti in odio tranne chi è abbastanza pazzo da farmi dimenticare che niente ha senso è invalidante. L'odio invece, al contrario di quanto si possa credere, non è invalidante. Anzi, è sano. Io ti odio, e nell'odiarti affermo a me, a te, e a chi mi vede odiarti, che io non sono te, tu non sei me. L'odio è un modo per distinguersi. È una targhetta di riconoscimento nella sezione visitatori della vita: se non pratichi l'odio nessuno capisce chi sei. L'odio definisce, scolpisce le persone, permette di assomigliare più a se stessi.
Se qualcuno vi dice che non dovete odiare: odiatelo.

Ma che uno come me può trovarsi un lavoro? Al massimo può studiare. A studiare, diciamocelo, son buoni tutti.
Che poi ho anche ricominciato, a studiare dico.
Tranne quando ho mal di denti, ovvio. In quel caso l'unica cosa che mi riesce è fissare il muro. Dopo un po' quel muro inizia a brillare, dopodiché vedo oltre quel muro e oltre ancora. Vedo una brughiera di erba spazzata dal vento, e penso: "sono spacciato".
Non ho neanche la forza di ubriacarmi.
Si potrebbe quasi dire che esisto come espansione dei miei dolori.
Prima ero in fiera, una di quelle di fiere dove vendono vestiti, salsicce, cipolle, formaggi, piadine che odorano di petrolio e altra roba ancora. Sono passato vicino a un banchetto che aveva le braciole cotte sulla carbonella, avevano quell'odore che risveglia i morti, quell'odore di necromanzia,  di stregoneria tenebrosa avviluppata nel fumo nero, e non le ho potute mangiare perché... va be perché avevo mal di denti. Si, dico sempre quello.
Il fatto è che ho male anche adesso ed è difficile pensare ad altro. Nei film americanoidi scimmiottano spesso la scena di un tizio che parla al telefono mentre un'altra tizia gli fa una fellatio. Lui si trova a dover articolare parole mentre gode, così che queste verranno distorte dal piacere, suonando dilatate, affannate, instabili.
Bisogna immaginare che mi stia accadendo la stessa cosa ma al contrario, invece del godimento c'è un dolore parassitario che al pari di una grossa zecca succhia e rode la mia guancia; invece delle parole è il pensiero a dilatarsi, probabilmente cerca di fuggire altrove, e la resistenza si fa affannata, l'equilibrio mentale instabile.
Grazie a Lugburz non mi telefona nessuno. Sarebbe sconvolgente.
Le bustine XXX non fanno più nulla, dovrò ripiegare sugli oppiacei.
Una volta ero messo così male, tra denti e depressione, che devo essermi preso 120 gocce di xanax, antidolorifici e un paio di birre. Poi mi sono messo a leggere Lovecraft.
Era estate. Ogni dieci minuti mi addormentavo, sognavo vortici d'incubo e nere sfere di tenebra ai confini dell'universo, poi mi svegliavo e riprendevo a leggere. Chiamo quel periodo "estate gotica". In effetti lo è stata.
Proprio un bel periodo.

La mia ultima ragazza

Ieri sera, per dire, non volevo cenare. Ero saturo di antidolorifici e come un viaggiatore distratto fissavo i muri senza vedere le persone. Ero nelle lontananze del rincoglionimento.
Non volevo cenare perché, non avendo male - non troppo -, temevo me ne venisse. Tenendo conto che non mangiavo dalla sera prima, e non dormivo da 36 ore, alla vista di un po' di carne non ho saputo resistere, e con pazienza ho cenato.
Mezz'ora dopo avevo i demoni del tartaro che cercavano di consumare la parte sinistra del mio viso in una tempesta di fitte acute di dolore e ripetute vampate di calore violaceo. Avevo la febbre solo lì. Temevo di non farcela, avevo tanto male che stavo per vomitare, e tutti gli antidolorifici mi avevano scombussolato anche lo stomaco.
Sdraiato non potevo stare o mi si gonfiava tutto, seduto neanche perché in casa fa troppo caldo. Potevo starmene solo in piedi come un imbecille, ecco come un imbecille ci potevo stare abbastanza bene; ad aspettare non si sa cosa, facendo un bel niente.
Ho salito le scale, sono andato in terrazzo, e mi sono messo a guardare le stelle. Sognavo di finire dentro a una stella, di essere spazzato via da una reazione atomica, di finire in nulla, di annichilirmi nello spazio siderale. Di darmi al cosmo.
Alla fine sono rientrato. Forse inconsciamente ero partito per uccidermi; ma avevo troppo male, con la sfiga che ho mi butto dal terrazzo senza neanche crepare, e mi resterebbe il mal di denti.
Poi è passato, ma questo è il punto della situazione: non posso fare programmi, potrebbe venirmi mal di denti.


L'altro giorno ero in fila alla standa; ora non si chiama più standa, si chiama billa. Sticazzi. Alla cassa avevo un paio di cose, e siccome non è un negozio, ma una tana di coyote, la fila finiva dietro agli scompartimenti col cibo. Un luogo stretto come l'intestino. Davanti a me c'erano marito e moglie col passeggino, e mi sono infilato davanti a loro. Alla fine, lei, una nana distrutta fisicamente dalla gravidanza, mi dice che ci sono prima loro, che erano dietro la signora - quella col bel culo davanti a me -, e io dico loro che no, non è vero, c'ero prima io. La signora, quella col bel culo, si gira giusto il tempo per farmi vedere che di faccia è un abominio, e dice che è vero, c'erano prima loro, e la nana resa amorfa dal parto ribadisce pure lei che è vero, e sottolinea la presenza del bambino, che intanto piange, e mi dice che sono uno screanzato. Le dico che può passare purché non faccia troppe storie, poi per tutto il tempo li fisso. Non cercavo la lite, sia chiaro, e neanche avevo fretta. È proprio che mi va di esasperare la gente, di creare tensione e farla scontrare con la mia.
No, non è solo questo, è anche altro, è il voler portare tutti al mio stesso livello di paradosso consapevole, all'ingorgo dell'assoluto che vivo intensamente, al confine della ragionevolezza che costringe per potersi finalmente spezzare e disperdere liberamente: un'aspirazione al conflitto come unica valuta esistenziale; è un marciume assopito nel sottobosco dell'io, che macera e lo gonfia, che fermenta e l'inebria.
Probabilmente è un voler livellare gli altri alle mie personalissime insoddisfazioni. Un gioco al supposto ribasso, una folgore contro l'apatia.
Il signore delle tempeste. Col mal di denti.
Per il resto tutto ok. Mah, si fa per dire. Sto sempre meglio della media borghesia, feccia dell'umanità.
Ora, per dire, è già sera, anzi è notte. La giornata è passata così, come aver dormito. Infatti non mi ricordo niente se non brevi barlumi di luce e ombra, e grida, e mormorii indistinti. La giornata è stata come un sogno. Ma non un bel sogno, un incubo in cui ti svegli e non ti ricordi cosa hai sognato, sai solo che hai paura.
Le giornate sono tutte incubo e incubatrice di orrori paralizzanti. Da una parte ci stai tu, dall'altra loro. In mezzo il mal di denti. Leggermente a sinistra quelli che portano in giro il figlio col passeggino: attaccatevelo addosso come fanno le scimmie che siamo già troppi in sto paese!
A destra colline spoglie, irte di selvatico. L'italia è un paese prevalentemente montuoso, quelle sono ovunque. No, siamo troppi, sinceramente i figli ve li dovete tenere in braccio o non-ci-stiamo. Scopate di meno, datevi alle parafilie.
Da qualche parte in alto dev'esserci anche qualcosa di bello, ma per ora si lotta quaggiù nel ragnarok disarmato della quotidianità.

I miei programmi per il futuro

I programmi per il futuro sono di non aver alcun futuro. Non intendo vivere nella tensione del divenire, e a cadere nel tempo sono bravi tutti, e che ci vuole! Lo stare fermi, invece, il vivere scevri dalla superstizione della temporalità, il semplice percepirsi come in trasformazione, non riesce a tutti. Pensare al futuro è un condannarsi all'ansia di ciò che sarà, un proiettarsi fuori di se per andare a spiare le nostre aspettative.
Credi in Dio? Chiedigli cosa ne pensa delle tue aspettative.
Se non ci credi sai da te cosa pensarne.
Io poi non credo a niente, figuriamoci se credo al fantasma del futuro.








Nessun commento:

Posta un commento