lunedì 23 gennaio 2017

Sorella Morte



Sorella Morte lasciami il tempo
di terminare il mio testamento

De andré

Sorella Morte: portami via. Ma no, non adesso. Ma che che discorsi, è ovvio che non intendessi adesso.
Quando?
Hum, tra un po'. Mica si può morire così, all'improvviso. Uno, prima, ecco, uno prima deve avere, come dire, almeno il tempo di pensarci. A cosa? ma alla Morte. A cosa sennò.
Pensarci in-ten-sa-men-te. Fino a perdersi, a sfiorare l'ultimo buio. impazzendo.
Come sarà quell'attimo prima di finirci dentro? e il mentre?
E chissà se c'è un modo migliore, uno peggiore, o persino un'età più adatta.
Di sicuro è meglio non nascere.
Ma se proprio dovessi scegliere, se mi fosse stato dato di farlo, allora, certamente, sorella Morte avrebbe dovuto mietermi da bambino: perché da bambino cosa ne vuoi capire. Quell'attimo sull'orlo del baratro non lo hai mai immaginato, al non-essere non hai ancora avuto modo di pensare. E la Morte arriva così, come un gioco, un lungo sonno, e se ti dicono che stai per andare in cielo con Dio ci credi, ci credi tanto da immaginarti come dev'essere stare lassù, con Dio al centro e gli altri angeli tutt'intorno, e tu lì, senza ben capire a far cosa, né come o in che modo - ma ci credi.
Chi arriva all'adolescenza è perduto per sempre. La vita quasi nello stesso momento ti pone davanti tutte le atrocità di cui è composta e tu sei finito. Poi c'è anche gente che decide di integrarsi lo stesso e si costruisce un personaggio per vivere serenamente il proprio spazio sociale. Quelli finisco anche peggio.
Allora sorella Morte portali via. Prendi tutti i bambini e portali con te prima che capiscano. Sotto la tua ala nera verso il dolce sonno del mai più. Portale via tutte le giovani vite, in ogni parte di questo oscuro mondo. Come un crepuscolo danzante falli di ghiaccio con la tua luce cerea, e che non se ne senta più parlare.
Da adulti è tutto diverso, quando ci si accorge di cos'è la vita ormai è troppo tardi persino per ammazzarsi. E allora... e allora niente, si sopporta. Ognuno va illudendosi per le vie come può. Come meglio gli riesce. Di sorella Morte si ha paura, la sua voragine eterna spaventa, toglie il fiato, a pensarci certi cambiano anche colore, passano dal rosso spavaldo a un bianco colmo d'orrore, e poi trasaliscono in singhiozzi. Eh no, ormai è decisamente troppo tardi per morire senza pensarci credendo a Dio e ai suoi angeli batuffolosi.
Forse, dopo l'infanzia, un altro momento buono è quello della senilità. Non a caso dicono si torni un po' bambini. Il cervello si indebolisce, gli occhi sono sempre sull'orlo del pianto e si è stufi di vivere, si è stufi praticamente di tutto. A parte gli acciacchi, i dolori, ho sempre notato come le persone di una certa età sembrano tendere alla pazzia, la pazzia propria di chi non ne può più di esistere. Se vivessimo fino a duecentocinquanta anni dovrebbero legarci e tenerci sedati fino all'ultimo respiro o commetteremmo delle stragi inaudite, la vita ci avrebbe così tormentato da creare delle terrificanti esplosioni di odio e di rifiuto per tutto ciò che esiste.
Gli stessi anziani avessero un po' più di forza sarebbero una calamità sociale, e i giovani dovrebbero temerli in ogni luogo. Ma, così come stanno le cose, da anziani sorella Morte ci coglie meglio se siamo un po' annebbiati. Allora Morte prendili tutti i vecchi stanchi e affannati, e portali via, in altri vuoti, per l'eterno mai più esserci, amen.
E io? io non voglio morire. Ma vorrei anche non essere mai nato. Come trovare un equilibrio?
Non c'è, non si trova manco a morire. O giusto in quel modo.
Eppure vorrei, più di ogni altra cosa, esser morto da bambino. Non me ne sarei accorto, Morte mi avrebbe preso per mano e saremmo andati là dove già mi sento: da nessuna parte, a fare quello che mi riesce meglio: nulla, nell'unica misura temporale che non avverto effimera: l'eterno.
Tanto a cosa serve tutto il resto?



Però vuoi mettere assaporare il trapasso ascoltando i disperati lamenti di Bach? Quello un bambino non può farlo, né il vecchio rimbecillito. Forse - forse - qualcosa per cui è valsa la pena uscire vivi dall'infanzia c'è. Ma cos'è, in fin dei conti, se non un livello superiore di comprensione verso l'orrore supremo che ci circonda e ci avviluppa in questo grottesco angolo di universo.
Che differenza, dopotutto, tra un imperatore filosofo e il contadino schiavo della sua terra?
A separarli solo la potenza delle loro elucubrazioni, l'intensità con cui si disperano: goffa e inadeguata quella del contadino; ricercata, nobile quella del sovrano.
Ci si eleva al solo scopo di sprofondare da un'altezza maggiore in qualche abisso, lo stesso in cui l'uomo elevato attende sgomento di cadere.
Quanto mi piacerebbe ora leccare un gelato e dimenticarmi di tutto.
L'altro giorno una ragazza mi ha detto "Penso di avere un problema, non sopporto i bambini". Naturale, le ho risposto, nessuno li sopporta, sono dei rompicoglioni terrificanti. Solo un'abominazione come il cristianesimo può spingere le persone ad amarli interessandosi di loro.
Non è solo il casino che fanno, assolutamente no. C'è altro. Sappiamo che sono ancora ignari di tutto. Nessun lugubre pensiero ha ancora sfiorato i loro crani.
È come trovarsi davanti un uomo di fede: non è tanto il suo folle credo a infastidirci quanto piuttosto sapere che egli non percepisce di stare scivolando verso il buio senza che qualcosa in particolare della sua vita abbia senso per l'universo circostante. Io ne sono terribilmente conscio e questo pesa su tutto ciò che faccio, lui no. Mica è giusto.
Quanto vale per il fedele vale anche per i bambini. Troppo all'oscuro di tutto galleggiano sulla vita. A consolarci solo il saperli un giorno adolescenti, se tutto andrà male.
Ma come sempre Bach un po' mi ha rilassato. Ora mi sento peggio. Questo è un periodo davvero terrificante, la mia depressione se fosse misurabile in gradi sarebbe un inferno di fiamme, e quest'anno in particolare sta peggiorando. Non c'è una causa specifica, è il tutto.
Non è normale che sostenga certe teorie. Si è mai sentito qualcuno che vuole la morte di tutti i bambini perché non debbano entrare nelle sofferenze della vita? Eppure, parola mia, lo è. È normale, è giusto. Certamente è malato. Di sicuro io sto male.
Ma che posso farci, cosa fare?
Alcuni sapientoni mi hanno detto: sei così tetro che trascini nella tetraggine chi ti vuole bene. Forse hanno ragione. Naturalmente avere ragione in simili faccende non conta assolutamente nulla. Si tratta di vani esercizi di retorica. Ma se anche fosse una ragione sensata? che potrei farci, quali rimedi all'esistenza, nessuna cura per la crocefissione quotidiana. Solo qualche fiaba nera con cui cullarmi.
Soltanto un po' di poesia del male.
Ma ormai anche il più piccolo dei rimedi mi sembra impossibile. La parola che ho sempre sulla punta della lingua è "incredibile", direi solo quella. Incredibile!
Giro giro tondo
casca il mondo
casca la terra
tutti giù per terra
Tutti i bambini conoscono questa filastrocca. È una filastrocca terrificante e bellissima.
Non so come continuare, vorrei scrivere ancora un po' ma non mi va più, non saprei cos'altro dire. Posso mettere un pezzo e rilassarmi un po'.


Che meraviglia. Cioran ha scritto che dopo certi adagi non si può più imputridire. Come dargli torto.
Musica dal profondo, dalla notte, dal pianto, se l'umanità avesse un'unica tomba nei suoi pressi si ascolterebbe sempre un adagio di Bach.
A me, Bach, non mi fa mica bene. Mi fa solo stare peggio. Ho parlato con altri depressi e costoro dicono che per reagire alla loro depressione preferiscono ascoltare musica energica, che dia carica, che spinga.
Ma io non ho bisogno di nessuna spinta, non voglio andare da nessuna parte. Mi piace stare qui, sul fondo, al buio, e, adagio, scivolare, e vedermi farlo, giù, da qualche parte, senza grandi lamenti, e a chi mi dà la mano lo porto con me, che tanto nel buio c'è spazio.

Non corretto.

1 commento:

  1. Sì, bisogna pensarci e prepararsi, e, come disse Troisi (che , guarda caso, non si può negare che sia morto), mo' m'o segno....

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