giovedì 25 febbraio 2016

Tele d'insonnia




Tic tac, tic tac... Il tempo è morto, anche lo spazio è morto. In questa penombra che osservo con occhi abituati al buio - sicché ogni cosa sembra il suo fantasma - ci siamo solo io e i miei pensieri, e forse ci sono solo loro. Anch'essi, come il resto, morti.
Morti diverse che non trovano pace, morti che tutto sanno e tutto contengono, omnicomprensive, insonni.
Nell'angolo nero in alto a destra c'è il covo dei ragni che tristi tessono i ricordi; un'impressione sbagliata (come tutte, del resto), un bacio dato solo col pensiero, l'attimo che mi condannò alla vita, quello che infine me ne strappò... e da tutto questo ormai mi separano i secoli sempre uguali: da quanto dura questa oscurità?
Ricordo che quando esistevo non ero mai felice, ricordo che un momento prima di precipitare qui ho pianto. O forse volevo piangere, ma non trovai nulla che mi costrinse a farlo, sebbene ne sentissi il bisogno.
Lei era al mio stesso tavolo, inutile descriverla. Mi guardava e io guardavo lei. Mi ha sorriso, o almeno credo. Comunque qualcosa in lei rideva. Poi se n'è andata in qualche segreto. Un momento dopo era nel letto di un altro, forse un amico, forse lo era stato. Facendo finta di non averla vista sotto le coperte mi avvicinai a lui per chiedere un consiglio, dopodiché i nervi cedettero e fuggì affranto.
Ora, chi mi si avvicina, è il ragno. Stavo sognando?
Di nuovo fisso il soffitto annerito e le sue fuliggini danzanti. C'è un'altra ragazza che conosco, mi dice che si è innamorata di qualcuno. Quel qualcuno è sposato. Lei decide di uccidersi, e decide di farlo l'ultimo dell'anno, nel mio congelatore. Non so cosa dirle, la lascio fare: perché impedire una cosa così naturale? Ma non ne ho il coraggio, o forse ne sono ammaliato, e poco dopo la mezzanotte apro lo sportello e le dico che forse non dovrebbe farlo. Ha le sopracciglia congelate, le labbra viola, lo sguardo opaco. Esce, e ripreso il colorito va a festeggiare. Io la guardo, mi si avvicina, e invece è il ragno.
Stavo ancora sognando?
La finestra si affaccia sul mondo dei lampioni come un'alba sfinita, e come in una tomba tutto tace. Sono morto. Diecimila anni fa non mi riuscì di amare né di credere a niente, eppure non desideravo altro. Ora sono qui in un momento che non sta accadendo, mi strappo i capelli, agonizzo, penso che non c'è più niente, solo io sono rimasto, in questa tenebra, ad attendere di disperdermi.
Il mondo non esiste più, ora la stessa finestra si affaccia su di un'altra. Tutto è spento e io accendo un lume. Ora di là viene una luce, e io mi sposto per guardare, e da lì qualcuno guarda me.
Poi mi sorprendo a sognare e non appena me ne accorgo rieccomi qui, nella notte, quella vera, o una delle tante. Non è ancora quella definitiva.
Per chi penso queste cose? Lo faccio senza rendermene conto, eppure non c'è più nessuno con cui parlare. Penso ancora alla ragazza coi capelli corvini che mi spia dal lenzuolo. Ai suoi occhi neri. Ma infondo uno sguardo non è una promessa, una risata non è un contratto. E dopotutto non stavo sognando? E ora? Mi piacerebbe svenire, precipitare, cadere all'indietro come un treno fermo in stazione, dopo una strana sera, che inizia a retrocedere, nella nebbia. Ma sì, ora ricordo, non sono morto, ho solo inciampato in qualche ragnatela, e sento anche... a cosa serve spiegare?
Ancora questa mania del respirare, dell'essere, mentre tutti si dormono addosso, ed è come se fossero - loro sì - morti, e io, all'improvviso, immobile, mi ricordo di essere vivo, ma è così buio, fuori e dentro, che non ne sono più sicuro. Anche il regno dei lucori là fuori s'è spento.
Se solo potessi svanire, tutto è così stanco, tutto ha bisogno di arrendersi.
Penso per un po' a qualcosa che mi dà pena, immalinconito cado nel sonno.
E ancora buio, ancora Lei, e poi i ricordi, ed ecco il ragno.

domenica 21 febbraio 2016

A occhi chiusi






Chiudi gli occhi che ti bacio
ma domani devo lasciarti...

È una vecchia canzone dei Beatles, ci pensavo stamattina mentre andavo in giro. Se n'è sbucata fuori dal nulla e mi è entrata in testa. Ma il portafoglio? mi tasto subito la tasca. Da quando l'ho perso in un'estate di qualche anno fa ho l'abitudine di controllare con-ti-nua-men-te.
Non c'è. Guardo nello zaino. Non c'è. Cazzo. Dunque: sono stato in posta... dal  pizzicagnolo... alla crai... Ah! era a sinistra. Non ce lo metto mai, chissà com'è che... Va be', l'importante è che ci sia.
Ho come l'impressione che la gente oggi sia vestita a festa, sono tutti così eleganti. Che poi a pensarci bene sono io che faccio schifo, al solito ho gli abiti con cui ho dormito. Mamma mia, che disastro.
Ho dormito poco stanotte, chissà che faccia ho. Ma sì, che mi frega, posso mica badare a 'ste cose. A cosa mi debba realmente interessare, se devo dirla tutta, non l'ho ancora capito.
Ad ogni modo torno a casa. Devo tagliare la trippa. Ah! che bella trippa che mi ha dato il macellaio, piena di reticoli come piace a me. La faccio a listarelle, i pezzi più sottili li lascio interi. Impozzarli nel sughetto è un piacere. A sto giro, però: in bianco. Trito cipolle carote e sedano, faccio rosolare, poi alloro e salvia, peperoncino, un po' di brodo e avanti con la cottura. Mi siedo e aspetto. Blop blop blop. Senti come borbotta, è scontrosa... e domani devo lasciarti, e darò tutto il mio amore a te. Ancora la musichetta in testa. Na na na, trippa: chiudi gli occhi che ti bacio, Trippa. Ma domani sappi che dovrò lasciarti. No! non insistere, le cose devono andare così. Già. Un po' di sale. Tutto il mio amore, du du dum, lo darò a te. L'insalata, ti lascio, la taglio, ti bacio!
Bon, basta così, preparo l'insalata. Certo che le canzoncine del cazzo quando ti si infilano in testa sono una malattia. Affettiamo cipolla carota pomodoro e insalata. Sale e un'innaffiata di aceto nero, quanto mi piace l'aceto nero. È l'oscurità di Morgoth. Olio. Poco ma buono.
La trippa canticchia pure lei, ora si sta asciugando, fa plup plup pupsh. Lingue lovecraftiane. Hum, è ancora dura, aggiungo un po' d'acqua. Non mi piace frollata dal troppo cuocere, ma neanche croccante. Una via di mezzo. Tipo come quando tutto cade in macerie e tu tra l'impazzire o l'addormentarti scegli di far finta di niente. La via in mezzo.
Devo anche tagliarmi i capelli, che rottura di palle assurda. Non li sopporto i parrucchieri, ma ho già provato a fare da solo ed è venuto fuori un disastro. Vabbè vah, ci vado il mese prossimo. Procrastinare è un'arte. Oh cristo, m'è venuto in mente che tra neanche tre mesi è di nuovo estate. Un'altra rottura di coglioni mica da ridere. Caldo e sudore. Meglio non pensarci. Ma a cosa devo pensare? No dico, seriamente, su cosa dovrei concentrarmi? Tutto questo è ovviamente un esercizio di distrazione, un vaniloquio sul nulla. C'era, o mi pare ci fosse, qualcosa a cui non pensare, è che ora a forza di non pensarci ho dimenticato cosa fosse. Finalmente qualcosa che mi riesce. Assolutamente sì, fuori discussione che sia stato un successo.
La trippa è pronta. La mangio stasera. Ora non ho fame, dev'esserci un po' di stracciatella avanzata da ieri, mi finisco quella che basta e non mi serve altro. Ma tu guarda che roba che danno in televisione la mattina, come fa la gente a vedere certi programmi? Certo bisogna essere proprio disperati. Fermi un attimo però, io sono disperato ma non ce la faccio comunque a vederli. Servirà anche qualcos'altro allora, una disperazione ulteriore, della demenza. C'arriverò.
E ora che ho fatto in parte quello che dovevo fare, e non ho intenzione di fare altro, mi sdraio da qualche parte, e chiudo gli occhi. Mi torna in mente la musichetta ma la scaccio subito. Reset. Ne evoco un'altra. È un rumore di vento misto a pioggia, qualcosa rimbomba. Fa freddo, ed è notte. Qualcuno sta battendo sopra una cassa, sembra che la stia inchiodando. Nella cassa ci sono io. Pam pam pam! Quindi è così che ci si sente quando ti ci infilano. Bene, era anche l'ora, non se ne poteva più. Eccomi qui, ora ci sono, e tra un attimo, un istante, non ci sarò mai più. Devo trovare un ultimo pensiero, qualcosa che... ma cosa importa. È buio ma ci vedo, me ne sto qui spalancato sull'abisso e non cado, non cado, ancora non cado... chiudi gli occhi che ti bacio, domani ti lascio... No! che palle!
Maledetti Beatles, stavo benissimo laggiù infondo al nulla. Pazienza, comunque penso che resterò a occhi chiusi ancora per un po'. Solo un altro po'.

domenica 7 febbraio 2016

Alberto Angela è una merda





La cultura, il sapere cose, non piace a tutti, a certuni viene persino a noia, ma a chi piace, per necessità o per passione, va di cercarlo un po' ovunque, persino in luoghi che, di questi tempi, non sembrano particolarmente adatti a diffonderlo. Uno di questi è la TV.
Fra i tanti o pochi programmi che si occupano di diffusione culturale ne potrei elencare diversi, ma mi soffermerò ora su uno di essi, o meglio, su un personaggio ad essi legato, cioè l'alberto angela qui già - ahimè - esposto in foto.
A me alberto angela sta sul cazzo, si muove come un orango che prende a schiaffoni la nebbia ed è così narcisista da darmi la nausea. Nulla contro i narcisisti, s'intende, ma lui non ha ritegno. Poi, diciamolo, ha proprio la faccia da posacenere che ti viene voglia solo di spegnergli cose roventi addosso. Intendiamoci, di gente così ce n'è a bizzeffe senza che debba scomodare proprio lui, eppure gli riesce di eccellere con noncuranza in una qualità ben specifica, ossia fingersi e venir percepito come intellettuale senza esserlo.
Mi imbatto, di tanto in tanto, su pagine, in rete, che ne celebrano la grandezza, lasciando intendere che lui, l'alberto angela, sarebbe , dicono, l'esempio di come gli italiani dovrebbero essere. In realtà egli è l'esempio di come gli italiani sono, senza idee e impersonali. Nei suoi orribili programmi fatti da filmati comprati un tanto al chilo dalla TV inglese o americana, e nelle ospitate, l'alberto mai, e dico mai, che s'avventuri a esprimere la sua opinione su alcunché, tanto che sembrerebbe proprio non averne alcuna. In aggiunta al mestiere dello spiegare, ma sarebbe più adatto definirlo presentare o introdurre un argomento, non porta altro. Al di là di una studiata parvenza d'entusiasmo, parrebbe quasi uno che, per così dire, ha la testa vuota.
Ma come? mi si presenta come punto d'arrivo del genere umano un personaggio che non si esprime su nulla?
Ma come? lo si sventola quale intellettuale quando in vita sua non ha mai esibito una critica, accompagnato un argomento con un suo convincimento personale?
Ma per questo andava bene anche un presentatore qualsiasi.
Che equivoco dannoso, quanti danni fa alberto angela! Il messaggio che gli esplode tutt'intorno è questo: idee e convinzioni non servono. E ancora: la diffusione culturale non necessita di alcuna interpretazione, la si può recitare a memoria come una guida turistica qualsiasi, e questo egli è, di volta in volta, guida turistica o conoscitore di luoghi in cui introduce il suo povero telespettatore, stordendolo di ovvietà preconfezionate. La fase finale della cultura mass-mediatica, un prodotto che non approfondisce né permette di riflettere su niente che non siano le immagini e le vuote parole che le accompagnano.
Allora, dico io, non è forse peggio, molto peggio alberto angela - intorno al quale, tra l'altro, s'è diffuso uno strano culto sessuale, per cui diverse donne vorrebbero giacervi affianco; perché mai? perché non ha idee personali e ha la stessa espressione sia che parli delle allergie primaverili o della musica di Bach, cioè quel suo sorriso ebete? -, dicevo, appunto, non è forse molto peggio alberto angela dell'ultimo fra gli imbecilli che ci rincorrono dalla televisione?
Da questi ultimi non ci si aspetta null'altro che una vuota evasione, mentre davanti ad alberto angela il pubblico meno accorto rischia di perdersi in colossali ambizioni di chissà quale miglioramento culturale, quando invece ottiene lo sesso vuoto sopracitato, che a lui pare chissà cosa, e non è altro che l'ennesima esercitazione a non pensare.
Allora scopatevi alberto angela o, a seconda della vostra inclinazione, fatelo presidente della repubblica, o quel che vi pare; ma, per piacere, fate sì che non si occupi più di diffusione culturale, perché come diceva qualcuno di cui ora non ricordo il nome, l'intellettuale è essenzialmente un insoddisfatto che, tradito dalla realtà, si ingegna di raccontarla per come esso la percepisce, attraverso lo strumento della critica e della reinterpretazione, e non un manichino col copione, cotonato, e, diciamola tutta, pure raccomandato, sennò col cazzo che stava lì, il che beninteso è la sua colpa minore.

Quindi, in conclusione, se la cultura, la storia, l'arte, sono le massime espressioni dell'umano, in splendore o in atrocità, esse vanno raccontate da chi ciò lo ha compreso nella sua interezza e parimenti si fa carico di spiegarlo agli altri con mezzi adeguati. In questo per me consiste la diffusione di ciò che è bello o che è stato, e il personaggio quivi descritto non mi pare appropriato.
Naturalmente tutto ciò non ha alcun senso, e sperare in checché sia è vano.

Scritto e non riletto.