sabato 3 ottobre 2015
La danza degli spettri
Siamo tutti malati. A chi fan male l'ossa, a chi i reni; certuni si fiaccano per una data ernia che ne piega i movimenti. Altri, ben eretti, hanno una tregenda nel cervello. Alcuni si sciolgono in pianto davanti agli altari del nulla. Certi altri si piangono dentro, inondandosi di disperazione.
Chi passa per strada ha un tumore che dorme tra il collo e il cuore. La signora affacciata alla finestra invidia la libertà degli uccelli, il loro morire quand'è ora. Quel diciottenne ha il fegato a pezzi e lo sguardo da camposanto.
Vicino alla fontanella si abbevera un giovincello in brachette corte e pallone in mano: lo attende un auto e il suo cervello sull'asfalto. E anche la rondine che vola, vola in alto presto non saprà più farlo, prenderà come ultima casa una siepe, un cantuccio ben riparato, e lì stropicciando gli occhi si stuferà di vivere. Il vecchietto che passa col bastone sta già cadendo per le scale coi femori al vento e lo sguardo insanguinato; sua moglie si piegherà di dolore: morirà due anni dopo davanti a una televisione, senza i piedi, divorati dal diabete.
Il grasso pizzicagnolo porta su e giù i sacchi della spesa per i borghesi del rione; ha già il cuore stanco, gli esploderà per una partita di pallone. Ma c'è di peggio! conosco un tizio che per un nonnulla, la perdita di un amore, s'è lasciato andare e l'hanno trovato impiccato a un chiodo.
Quella stessa mattina poi morì il prete del villaggio. Non fu trovato genuflesso davanti all'altare, ma ancora dritto sul gabinetto e lo sforzo fatale dipinto in volto. La sua perpetua lo seguì da lì a breve, incancrenita dal bere.
Il signorotto del luogo, cogli occhi galleggianti nel grasso, non sarà il corpo a tradirlo, ma un vaso caduto in basso. Incredula la vedova non può darsi pace: quale avverso destino!, griderà, ereditando soldi e casa; ma se li godrà poco, tra un amante e l'altro mentre si pettinava le restò una ciocca di capelli in mano, da lì a pochi giorni stringendo le coperte sbarrò gli occhi e rese l'anima al cuscino. Strane malattie guatano l'essere umano.
Sotto gli alberi del Pincio passeggia mano dietro la schiena la bella figura di un giovanotto, ma ahimè, qualcosa lo divora da dentro, come uno squalo nel ventre di una balena. Sul letto di morte ne rimarrà sì e no lo scheletro, la lucina sul comodino proietterà sul muro l'ombra di un cadavere mal sepolto. I suoi amici strappandosi i capelli si dispereranno, ambendo tutti al titolo di più addolorato: se solo sapesse quello che più urla che il motorino lo porterà a torcersi il collo da lì a un anno, farebbe altrimenti. Se ne andrebbe stizzito.
Passa la domenica mattina l'arrotino ad affilare lame e lucidare metalli; ma le curve per il borgo sono ardue, e rovesciandosi diventerà tutt'uno coi suoi strumenti. A vederne la scena, meravigliato, un contadino tornerà a casa scrollando la testa senza sapere neanche lui perché: il ritmo delle stagioni lo ha troppo ipnotizzato. La morte verrà a coglierlo in un letto ormai troppo stanco per rendersene conto, e tutti diranno: lui si che era buono! Il più convinto di tutti la sera torna a casa e mette la mano sulla figlioletta mentre dorme; ma sua moglie che gli vive accanto lo sa, e così un bel giorno un incendio divampa e fa di tutti e tre delle cosine nere e striminzite, che persino a metterle nelle bare sembra di fare un danno: il becchino, calandoli nella fossa si ripete da sempre: a me quando?
Lì a fianco nella cappella una turba di anziani ha lo sguardo fisso verso una salvezza a portata di mano - dice il prete -, di fuori un ragazzino urla "non ha senso un cazzo!".
Dentro si ripete, giaculatoria del vuoto: gloria al padre e al figlio, e allo spirito santo, com'è ora e in principio, nei secoli dei secoli amen. Poi escono e in lugubre fila ognuno di loro getta uno sguardo nostalgico all'eterno riposo che dorme lì accanto, domandandosi: perché sono invecchiato?
A pochi metri il becchino getta l'ultima spalata di terra. Poi apre il fiaschetto di vodka e se ne concede un sorso abbondante. Tra sei mesi sentirà un dolorino insistente al fianco: non c'è niente da fare - gli diranno - tre mesi al massimo. Allora giù altra vodka, fino a dimenticarsi di esistere: fino a dimenticare persino la morte. Ecco, il nirvana, la pienezza del vuoto, il fondersi con le stelle.
È morto ubriaco, dirà l'infermiere diurno che lo ha trovato. Lo coprirà con un velo. Poi uscendo si porterà via la sua fiaschetta mezza vuota di vodka.
I pazzi - che troppo pensano - stanno a guardare, prendono nota. Loro sembra non debbano mai morire. Al mondo, sono già morti. Per gli altri, pure. Non essendoci altro da fare che osservare il decomporsi altrui, scrivani dell'atroce, salute!
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