Ho provato a vedere big bang theory, il telefilm sui nerd. Ho provato perché, dopo aver raccolto qua e là testimonianze idolatranti, e avendo io un vago ricordo della serie - ne vidi alcuni episodi anni fa -, ho deciso che, magari, lo avevo giudicato male. O con troppa fretta. Ed essendo io stesso in parte un nerd volevo chiarire la questione.
Così l'altra sera ho acceso deliberatamente la tv su un canale merdaset - Crom perdonami - e ho iniziato a vederne un episodio.
Tanto per cominciare mi do delle arie per la mia apertura mentale che mi porta sempre a indagare bene prima di esprimere un giudizio. Dopodiché non ce l'ho fatta.
A vederlo intendo. Cioè, era impossibile.
Io ero ben disposto, sia chiaro, è solo che... cioè... risate finte? le ri-sa-te-fin-te?
Male, neanche 10 secondi ed ero lì lì per spegnere tutto e andare altrove.
Poi mi sono detto, "massì, magari... no no ora me ne vado"
E me ne stavo già andando quando arriva in scena quello che credo essere uno dei massimi protagonisti, credo sheldon qualcosa. Sono rimasto a vedere se per caso facesse ridere, "e le risate campionate infondo potrebbero servire a chi certe battute non le capisce", mi dicevo. Anche se la scusa proprio non reggeva.
C'era lui, un paio di ragazze, altri nerd. I nerd in questa serie non sono nerd, sono malati mentali o sfigati cronici. Lui, sheldon, parlava schifato a un'altra ragazza. Neanche lei era nerd, era semplicemente una stronza. Non so chi fosse.
Lui, sempre sheldon, è chiaramente omosessuale. Non s'è mai visto che a un nerd non piaccia la figa. Parlava di fisica come si parla di panini, e credo abbia buttato nel discorso un paio di riferimenti ai giocattoli lego e a dei videogame, con aria saccente, dopodiché blaterava riguardo a del cibo. Ero ESTERREFATTO da tanto qualunquismo. Cioè, che cazzo... no ma, aspè... che cazzo è questa roba?! cosa sta dicendo questo piccolo stronzetto con quel muso da cane?!
La mia faccia era tipo, boh, tipo così -- > ò_ò
Un altro nerd mediava fra i due, con citazioni nerd. Credo cercassero di essere cinici. Questi, parola mia, non sanno cosa sia il cinismo.
Tra l'altro credo che anche lui fosse gay. O almeno lo sembrava.
La ragazza stronza rispondeva con frasette stereotipate delle peggio lesbiche. Aveva degli occhiali come Mario Carotenuto
e parlava del suo ciclo e di cosa dovesse mangiare per...boh, non lo so, non stavo già più seguendo.
Non ho spento subito, no. Sono rimasto a vedere ancora un po'. Ho voluto trovare dei motivi per cui non mi piacesse che andassero oltre il buon gusto e il mio snobbismo.
Certo doppiato in italiano rende meno. Ma quanto può cambiare, i soggetti sono sempre quelli, i dialoghi restano comunque - censura o resa minore in italiano che sia - dei guazzabugli irrilevanti dove si cerca in maniera grottesca di mischiare cultura nerd e scienza, finendo per creare dei veri e propri pazzi, perché oh, intendiamoci, la serie potrebbe benissimo chiamarsi "Matti da legare".
Tutto qui.
Tempo fa dissi a una mia mia amica, amante del telefilm Streghe, che quel telefilm altro non era se non una banalissima serie adolescenziale dove i temi portanti erano il trovarsi un ragazzo e interagire socialmente. Con la differenza che il falso tono magico-goticheggiante attirava gli insoddisfatti e i depressi, nonché gli alternativi. E come quello molti altri.
Bene, big bang theory non è altro che un telefilm alla friends - anch'esso aberrante - dove si cerca attraverso stereotipi e citazioni a raffica di attirare un pubblico che si è stufato di essere depresso. Ma il pubblico è sempre lo stesso, i contenuti dei programmi anche.
Il mio consiglio è: da evitare come una malattia venerea. Come quasi tutto quello che viene dagli stati uniti di 'mmerica.
lunedì 28 ottobre 2013
giovedì 10 ottobre 2013
I maghi erranti - Racconto secondo - Il Necromante dei Cudralas (parte prima)
1
Oltre il grande bosco di Rath, nelle terre centrali dei vecchi imperi, su di una pianura impervia si srotolava un sentiero poco battuto, tra erbacce scure e sassi dalla strana forma.
Di tanto in tanto i due logori viandanti potevano, volgendo lo sguardo a oriente, scorgere tra le colline brulle le lontane vette dei Cudralas, i monti selvaggi, covo di immonde orde di briganti ed eremi dalla nomea mistica, in una convivenza quanto mai paradossale.
Il più alto dei due viaggiatori, ammantato da un nero mantello, coperto il capo da un cappuccio verde scuro e una larga sciarpa bluastra avvolta sulla bocca, puntava di tanto in tanto lo sguardo verso le montagne, come se in quei lontani orizzonti si aspettasse di scorgere un segno.
L'altro pellegrino, cinto da un'ampia veste giallastra e grandi stivaloni color ruggine, lo seguiva dappresso, più intento però a far qualcosa, come dei gesti guidati dalla voce, con bocca e dita; uno strano lavoro di coordinazione che, al più ingenuo dei villici come al più acuto dei mercanti nemediani, non sarebbe sfuggito, né avrebbe condotto ad altra conclusione se non quella di stare osservando un mago alle prese con i suoi rituali.
Come espulsa dal terreno, al passaggio dei due qua e là ogni tanto spuntava un'esile montagnola sconquassata, accolta da un sommesso ridere del più giovane - l'apprendista mago dalla veste larga color giallo antico - e da un grugnito infastidito dell'oscuro viandante, che per un attimo veniva strappato dal suo contemplare le distanze del cammino e si ritrovava a inarcare le ciglia verso il suo divertito compagno.
- In nome di tutti i demoni esterni, la vuoi piantare di esercitarti mentre siamo in viaggio? Queste terre sono già abbastanza tristi senza il logorio dei tuoi incantesimi.
- Ma maestro Goterius, avete udito voi stesso le parole di Terricus il geomante, per migliorare la mia manipolazione della terra debbo esercitarmi.
- Puah! ma se non fai altro da quando siamo fuggiti ai troll di caverna oltre la cava abissale; abbiamo attraversato la regione delle vecchie foreste con te che attiravi con le tue spire argillose ogni dannato lupo da lì ai grandi laghi, e non sei ancora riuscito ad affinare la tua mira! Guarda, lo vedi quel salice laggiù? circondalo di spire, se ne sei capace.
Subito Tiberius, il geomante, piegatosi verso terra posò il palmo destro al terreno formulando arcane litanie, e repente una dozzina di acuminate spire rocciose emersero dal suolo circondando il salice distante un tiro d'arco.
- Bene, era ora - esclamò Goterius. - Dato che sei migliorato puoi darmi tregua dai tuoi allenamenti fino a sera.
- Non trovate incredibili i miei progressi, Maestro? Certo, nulla in confronto alle vostre arti oscure, ma sono sicuro che se il vecchio Terricus mi vedesse ne sarebbe meravigliato.
- Sì, sì. Come vuoi. Tutta questione di predisposizione. L'elemento terra ti è enormemente affine, mentre a quanto pare non lo è a me, che infatti non ho su di esso alcun controllo.
- Non abbattetevi Maestro, nella città di Miralago sul Durbok, il grande mare interno, i più grandi saggi dell'elemento liquido diffondono il loro sapere, e a noi saranno aperte le vie dell'idromanzia.
Goterius fece un'espressione scettica, si guardò ancora una volta intorno e poi rispose.
- Lo so bene, per questo ci stiamo andando - detto questo si scoprì il capo sciogliendo la pesante sciarpa che gli cingeva il viso, rivelando un'espressione corrucciata, sull'orlo dell'ira.
- Ho fame e l'orizzonte sta imbrunendo - disse osservando il giorno morente oltre le lontane colline orientali - presto sarà buio. Prepariamoci per la notte raccogliendo legna e acqua. Al cibo penserò io.
- Come volete. - detto ciò Tiberius si incamminò verso un boschetto di larici per far legna.
Goterius si comportò altrimenti. Trovato uno spiazzo adatto vi si accomodò per studiarne i dintorni. Dopodiché fu già sera, e alzandosi nella penombra crepuscolare si diresse verso lo scorrere del ruscello, cinto sempre con maggior incombenza dalle ombre che si piegavano intorno.
Era già calato il suo elemento quando entrambi si trovarono al luogo designato con acqua e legna. Poi fu notte.
2
- Se questa carne è cotta io sono un monaco di Ashur - sbraitò Goterius scuro in volto, mentre il suo compagno di viaggio (e ancora formalmente allievo) finiva di cuocere il suo pezzo di coniglio.
- Capisco Maestro, ma con un fuoco così basso...
- Fuoco più alto di così non se ne può fare, te l'ho detto! Queste selve pullulano di predoni longariani. Il confine dell'impero centrale - disse indicando le montagne a oriente - dista tre giorni a cavallo, per razziare le città sulla costa del mare interno le loro compagnie attraversano queste valli.
- Ma maestro - così si pose un interessato Tiberius -, i liberi regni oltre i passi non vigilano i loro confini?
- Taci! La montagna non ha padroni in quella regione, le vette dei Cudralas ospitano alcuni monasteri ascetici e niente altro, persino i maghi dell'aria che cercavamo si sono spostati altrove, e dire che la zona è famosa per i suoi forti venti.
- E come sopravvivono i monaci disarmati?
- Facendosi gli affari loro e commerciando con i villaggi barbarici. Erbe da fiuto e tessuti dei monaci sono rinomati e richiesti da questa e dall'altra parte dei Cudralas.
Mentre Goterius raccontava di quelle regioni orientali qualcosa dalle pianure ai margini a est del loro cammino si illuminò, prima dirigendosi verso la grande quercia dove i due erano accampati, per poi ridirigersi a ovest in direzione del mare interno. Luci nella notte correvano a grande velocità, come torce portate da folli creature in marcia che data la velocità si spostavano probabilmente su robusti cavalli.
- Guarda - disse Goterius mentre indicava la scia di fuoco nella notte - sono senz'altro predoni longariani che forzano il viaggio con tappe notturne. Avranno fretta di giungere presso il mare interno. Ho sentito che i corsari che ne infestano le acque siano in qualche modo in combutta con loro. L'imperatore Aziz Barash, che domina i regni a sud delle regioni del Durbak, ha il suo bel da fare per tenere a bada quelle bestie. La città di Miralago potrebbe benissimo essere già in mano ai razziatori o abbandonata.
- Ma se così fosse non è pericoloso recarvisi? - domandò intimorito Tiberius
- No, pusillanime. Inoltre i longariani non si servono di maghi in battaglia, non praticando alcuna arte se non quella dell'acciaio e della cupidigia. Se dovessimo imbatterci in loro sarà più facile che ci offrano un ingaggio piuttosto che ci attacchino. E ora, per Issuar il tenebroso, dormiamo, domani ci attende un lungo viaggio.
Allo stanco brillio delle braci morenti scese anche il silenzio.
--
Era giorno già da alcune ore, e un pallido sole, offuscato da veloci nubi spinte dai venti, faceva breccia qua e là sul manto erboso delle valli, creando l'impressione che le pianure di quei luoghi fossero immerse in acque oceaniche da cui la luce filtrava ondulata. Su di un campo ancora umido per la rugiada, dove la terra si presentava molle mentre le punte erbose al vento erano già asciutte liberando l'odore del verde, due strambi figuri, uno nero e uno ne giallo ne marrone, ma una via di mezzo, correvano come se avessero alle spalle l'inferno e tutte le sue oscenità, mentre, a quanto pare, scorgendo più da lontano e dall'alto la scena a inseguirli non era alcun demone, ma un serraglio di cavalieri cinti da larghe sete ed elmi appuntiti, con retine metalliche a celarne i visi e ricurve sciabole dalla punta uncinata. Qui e là spuntava qualche alabarda.
- Figli di cani randagi, non sanno riconoscere un mago da una spia!
- Maestro a breve ci saranno sopra, dobbiamo affrontarli
- Seguimi e fammi pensare. Laggiù andrà bene, là! - lo strattonò per la veste puntando il dito contro un rialzo nel terreno cosparso da macigni e rocce appuntite - mettiamoci con le spalle verso la forra e difendiamoci!
Durante la mattina erano scivolati silenziosamente lungo la pista che seguivano da oltre tre giorni, quando una vedetta longariana li aveva scorti nella sua guardia. A un timido saluto dei due fece fischiar frecce e partire urla, e da ogni direzione altre sentinelle a cavallo piovvero verso di loro. Poco dopo stavano correndo con metà della cavalleria leggere longariana alle spalle, tanto che Goterius si chiese se quel buono a nulla del suo apprendista, durante la notte, non avesse avuto la splendida idea di strisciare nel loro accampamento mettendosi a cantare come un grillo per adirarli, proprio come Tiberius si pose il dubbio se il suo Maestro non fosse per caso rivale di qualche loro capitano.
Quando giunsero sul rialzo del terreno dove avevano deciso di difendersi restava loro più sgomento che fiato, appiattiti contro il terreno argilloso vedevano venirsi incontro venti cavallerizzi indemoniati brandenti ora ogni sorta d'arma.
- Per Issur delle ombre, sembrano proprio decisi a macellarci! cerca di bloccarli con le tue spire, io certo non posso affrontarli tutti ma se mi riesce di intimorirli potrebbero desistere
Come provato più volte Tiberius si chinò sul terreno pronto a evocarne il potere, appiattendo la sua mano sul pietrisco umido. Da parte sua Goterius era intento a concentrarsi su quello che sembrava essere il capitano dei soldati a cavallo, un grosso armigero brandente una picca ben infossato nella sua testa di rana. Entrambi erano semi accecati dal sole pomeridiano, che ora ne turbava il guardo come un dispetto del cielo.
Prima che Tiberius avesse tempo di evocare qualsivoglia materia dal terreno, o Goterius decidere l'obiettivo della sua arte oscura, scatti vibranti fendettero l'aria, e come tutt'uno il serraglio dei cavallerizzi ondeggio sbandando. Subito altre note secche si udirono all'intorno e il grosso elmo del capitano a cavallo fu bucato da parte a parte trascinandosi il resto del corpo sotto gli zoccoli delle altre bestie. Poi fu una pioggia di frecce che parevano levarsi da ogni albero o siepe intorno alla forra, tanto che in pochi secondi l'intero reggimento si trovò sbaragliato e in piena ritirata tra il rumore di aria forata dai dardi e i secchi lamenti del metallo forato. Senza ben capire cosa stesse accadendo, Goterius e Tiberius assistettero immobili alla battaglia tra le ignote forze e i loro inseguitori, ritrovandosi - pronti com'erano alla pugna - a vederli sgomberare il campo fuggendo da dove erano venuti, sbigottiti e sorpresi, gettandosi in ritirata nel sole che accecava la loro vista.
Dopodiché alti uomini armati si fecero loro incontro
- Siete stati fortunati a fuggire in questa direzione. - Disse un arciere graduato vestito di una calzamaglia verde e brandelli di stoffa color delle foglie morte. Un logoro cappuccio grigio gli parava il capo dal sole del tardo mattino. - Attendevamo quei vermi a cavallo da ieri sera, il fatto che si siano convogliati in un'unica colonna per inseguirvi ci ha permesso di sgominarli senza perdite. Io sono Lord Asker, capitano degli arceri di Mirolago sul Durbok. Siete in pellegrinaggio verso il santuario del Durbok?
- A dire il vero siamo adepti delle arti arcane. Io sono Goterius, mago oscuro. Il ragazzo, invece..
- Per Mitra, perché non vi siete difesi? - lo interruppe l'alto arciere, che toltosi il cappuccio aveva rivelato un portamento nobile adornato da un'ispida barba rossiccia - vi avrebbero denudati e fatti a pezzi!
- Ci stavamo proprio accingendo a...
- Bene bene, capisco. Per fortuna eravamo qui. Ma venite, pellegrini o, come dite - e qui ebbe a sorridere - adepti delle arti arcane. Stiamo tornando in città e potete unirvi a noi. Una volta lì potrete recarvi dove volete, sempre che quei cani di montagna non riescano a incendiarla stanotte - detto questo sbraitò una grassa risata e con l'arco a tracolla si incamminò verso il distaccamento.
- Andiamo Maestro, sarà un cammino sicuro unendoci a loro
Goterius, abbattuto e inespressivo, si rassegnò agli eventi e seguì la colonna di arcieri, con la vaga impressione che Azathoth, signore del caos, si fosse da poco risvegliato in qualche punto indefinito del cosmo con l'intento di contrariarlo.
- Prima che sia notte saremo in città - disse loro uno dei pochi arcieri a cavallo che prese poi le redini del cavallo e volò in avanscoperta.
3.
La città di Mirolago sul Durbak, oltre che principale porto del mare interno e crocevia mercantile di tutte le carovane dell'impero meridionale, è famosa e conosciuta per la scuola dei maghi azzurri, potenti tra gli stregoni che dominano l'acqua. Oltre al grande tempio di Lungheacque gli aspiranti idromanti costituivano una corporazione dominante nella regione, tanto che il senato imperiale aveva delegato al capo di questi, l'arcimago Rachel, la gestione della città e la difese delle rotte commerciali - di terra e di mare - dall'assalto fitto di predoni e corsari dei regni che condividevano le coste del Durbak. La vicinanza con le vette dei Cudralas, e quindi con la frontiera orientale aperta sui liberi regni, avevano fatto della guarnigione di stanza a Miralago una legione scelta di schermidori e arcieri fenomenali, e dei loro capitani idromanti, l'ultimo baluardo contro la barbarie dell'est, per esperienza e furia combattiva.
A poca distanza dalle mura argentate della cittadella, il capitano degli arcieri Lord Asker, smessi i panni del condottiero si era rivelato un uomo acculturato e di buona creanza, che nelle ultime battute della marcia spiegava chiaramente la situazione ai nostri avventurieri.
- Servo come capitano negli arcieri di Durbak da sette anni e sono il figlio del vecchio generale. Non possiedo alcuna arte magica ma conto di elevarmi al più presto alla guida dell'intera legione. Quando il governatore Rachel vuole un lavoro ben fatto manda me. Non che i suoi idromanti non ne siano all'altezza, sia chiaro, ma conosco bene la regione e per guidare gli arcieri imperiali serve strategia e sangue freddo. Non siamo un corpo pesante e puntiamo tutto sull'agguato. La vittoria di oggi fa parte di una lunga serie di sconfitte inflitte a quei dannati predoni longariani.
- Suppongo dunque che le rotte commerciali siano ormai al sicuro - gli si rivolse Goterius
- Ahimè, no. O meglio, nonostante le perdite inflitte al nemico gli attacchi si fanno sempre più frequenti, specie da quando Xatherl, il lercio necromante che guida i longariani, ha stretto alleanza col corsaro Morgath, figlio immondo generato dal putridume del mare. Ci pressano tosto e con veemenza, e nonostante gli sforzi compiuti dalla capitale - Lindor dalle guglie dorate dove regna l'imperatore - a fatica copriamo, noi arcieri e gli schermidori guidati dagli idromanti, la regione e le sue carovane. Sul mare non possono indebolirci poiché gli idromanti permettono una certa superiorità, ma se gli attacchi di terra continueranno a colpire le fattorie e i depositi saremo costretti a tentare noi stessi una sortita per far desistere il nemico, o rischiamo di trovarci a dover affrontare un assedio senza i mezzi per sostenerlo.
- Non capisco - continuò Goterius - come possono dei briganti mettere sotto scacco la più prospera città delle marche orientali? godono dell'appoggio di qualche Re barbaro oltre i Cudralas?
- A quanto pare il loro signore ha unificato le tribù delle regioni montane. E sì, sospettiamo che almeno un paio di regni forniscano, se non milizie, armi e addestratori. Quello Xatherl, inoltre, scende personalmente in battaglia, ed è riuscito finora a decimare i nostri migliori condottieri, compresi alcuni fra i migliori idromanti presenti in città.
- Le arti oscure di questo necromante sono quindi così elevate da farne una spina nel fianco dell'impero, per Issuar, io stesso pratico la sua arte e ne vorrei sondare la forza.
- Potremmo affrontarlo noi stessi - disse Tiberius
Un esplosione roboante investì Goterius al punto da indurlo alla difesa, e dopo un lungo latrato si ripeté con maggior chiasso. Lord Asker stava ridendo così forte da far temere, a chi lo stesse osservando, che si sarebbe letteralmente spaccato in due.
- Sì muove con un intero reggimento di morti che lo seguono come una marea oscura, persino Rachel il biondo lo teme, e tale è la sua forza e la paura che diffonde che nessuno nella valle di notte chiude occhio. I maghi lucenti di Lindor sono impegnati chissà dove sul fronte occidentale, e la capitale ci ha fatto sapere che, in un modo o nell'altro, dobbiamo sbrigarcela da soli. Ma vedo che siamo prossimi ad arrivare, stasera potrete ristorarvi e ripulirvi dalla polvere che avete addosso. Se siete in cerca di compagnia venitemi a cercare, alloggio alle baracche dei soldati lungo le mura, chiedete di me! - ciò dicendo si allontanò verso la colonna con un gran sorriso in volto, stropicciandosi la rossa barba.
- Che ne pensate Maestro, sarà così potente questo Xatherl?
- Non lo so ma intendo scoprirlo. Ora, per tutti i demoni della notte, appena giunti in città cerchiamo una locanda a buon mercato e diamoci una ripulita. Il tuo odore potrebbe far lacrimare un drago di granito dei monti neri.
La locanda Burrascosa era il ritrovo più a buon mercato della città. Vasta e fumosa ospitava ogni tipologia di viaggiatore, dai mansueti e freddi mercanti di spezie dell'oriente ai burberi e beoni cacciatori delle praterie. In un intrico di tavoli scuriti dal tempo e grossi focolari per illuminare gli ambienti Goterius e Tiberius si fecero strada fino al bancone, dove assiso come un avvoltoio ingobbito dal tempo se ne stava il locandiere a scrutare la marmaglia umana imprecante che si rifocillava nel vasto salone.
- Uomo, vorremmo due comode stanze per la notte e della birra scura a buon mercato - disse Goterius al locandiere
- Certo - rispose il grasso oste - e io vorrei giacere con l'imperatrice e le sue figlie in età da marito - detto ciò, un avvinazzato logoro al bancone, che a prima vista sembrava una muffa del luogo, si riscosse e gorgogliando roco strozzò una risata.
- Che intendete, possiamo pagare - lo ammonì Goterius
- Non lo metto in dubbio - disse l'oste - ma la locanda è piena. E piene sono le stalle. Dovrete cercare altrove, sempre che non vogliate dormire tra i maiali.
Un'altra risata esplose dall'ubriaco, questa volta interrotta dalla mano sicura di Goterius, che prendendolo alla gola lo alzò sopra il bancone fissandolo negli occhi. - Cosa ridi lurido berciante, vuoi che ti sprofondi nella tenebra dove dormono i figli della notte?
- Hei - lo apostrofò il locandiere, scuotendosi dal suo torpore d'immobilità - non so che intenzione hai ma non voglio magia in questa locanda. Potevi dirlo che sei un mago, il governatore ha messo a disposizione degli alloggi per ogni stregone che voglia arruolarsi nella milizia. Pagano bene e avrete accesso al tempio del mare. Sempre che questo ragazzino che ti porti dietro sia anch'esso un adepto.
- Può scommetterci signore. sono nientemeno che...
- Andiamo! - sbraitò Goterius - sono stanco e non intendo perdere tempo in chiacchiere.
Una guardia fuori dalla taverna indicò loro gli alloggiamenti per i miliziani.
Mentre si incamminavano Tiberius espresse alcune considerazioni.
- Devono essere con l'acqua alla gola per arruolare maghi erranti, ci hanno fatto entrare nei quartieri militari senza nemmeno perquisirci. Se fossimo delle spie a quest'ora potremmo agire liberamente.
- Evidentemente necessitano di volenterosi disposti a combattere, e in fondo perché no. Se davvero avremo libero accesso al tempio del mare - e questo vuol dire svelarne le arti - non potremo che guadagnarci.
- Ma si ricordi Maestro che una volta nella milizia ci toccherà combattere
- Sciocchezze, ci sarà un addestramento iniziatico, e ovviamente chiederemo di poter incontrare Rachel l'arcimago. Sono sicuro che avremo tutto il tempo per addestrarci com'era nostra intenzione. Ecco, quella dev'essere la tenda degli ufficiali, arruoliamoci e chiariamo la nostra posizione. Saranno certo ben disposti verso un prode mago oscuro come me.
- Chi è il più alto in grado? - chiese Goterius alle guardie che presidiavano il tendone
- Il sergente ora non c'è - rispose un soldatuccio che aveva tutta l'aria di essere finito lì per caso - ascolterò io per lui.
- Vogliamo prestare servizio presso la milizia. Io sono Goterius, necromante e mago nero. Lui è un geomante alle prime armi, Tiberius.
- Bene, ponete una firma qui e qualcuno verrà a mostrarvi gli alloggi.
- Per Issur, e se fossi una spia? la vostra sicurezza fa davvero pena.
- Se lei fosse una spia quel mago dietro di lei - disse indicando alle spalle dei due - me lo avrebbe già comunicato
Dietro di loro stava un uomo allampanato, dai capelli corvini e gli occhi di un azzurro intenso. Alto e dal profilo scheletrico.
- Un sensitivo dunque! - disse Goterius
- Sensitivo? sono Rik, adepto delle acque. Non possiedo il dono delle visioni ma vi ho osservati da quando siete entrati in città, così come osserviamo chiunque. Non che ne avessi particolare bisogno, si intende, siete entrati con Lord Asker e questo già vi qualifica.
- Capisco. Dunque, i nostri alloggi? - riprese come infastidito Goterius
- Eccoveli, sono tutti vostri, comodi e accoglienti. Seguite Rik che sarà la vostra guida.
Detto ciò i tre maghi si incamminarono verso le baracche prossime alle mura.
Sotto il torrione nord si alzavano piccole tende illuminate da fuochi intorno al perimetro, alcune delle quali occupate da agitati sognatori. Spire di fumo si levavano dalle finestrelle.
- Potete sistemarvi qui - disse Rik, il sensitivo delle acque, indicando due tende tra le più lerce e deplorevoli. - Più avanti se meritevoli potrete condividere le camerate della legione.
Detto ciò senza aggiungere altro se ne tornò indietro.
Appena fu abbastanza lontano Goterius espresse il suo parere riguardo alla sistemazione ottenuta.
- Dannato muso di cane figlio di una stirpe malsana di cani randagi, è forse questa la sistemazione destinata ai maghi che difendono l'impero? - e continuando gli improperi lanciò il suo fagotto dentro una delle tende e ci infilò il naso per sondarne gli odori.
Si addormentò poco dopo, borbottando per la puzza e per i sassi nella schiena, mentre un meno provato Tiberius restò ancora un po' a scrutare la volta stellata, cercando di leggervi dei segni che si rivelarono presto sbiaditi, poi confusi, e infine scivolarono anch'essi nel sonno. Quando anche Goterius smise di borbottare fu nuovamente silenzio.
4.
Il giorno seguente si alzarono di buona leva, sotto un cielo plumbeo che irradiava le stradine acciottolate di una fine pioggerella; Goterius e Tiberius si incamminarono verso la gilda dei maghi miliziani. Una decina di individui sedevano annoiati nella penombra in un grande tendone arredato con sfarzosi tappeti dalle intarsiature misteriose, intenti a studiare le indicazioni di un giovane mago azzurro al centro della struttura.
- Ben giunti - proseguì il giovane mago, probabilmente un idromante del tempio, appena scorto i nostri - sedete e prestate attenzione, stavamo appunto iniziando a dare indicazioni riguardo il da farsi.
Tutti seduti che furono iniziò l'esplicazione dei fatti.
- Probabilmente siamo tutti qui, se altri volontari dovessero aggiungersi più avanti provvederete voi stessi a rimpinguarli di informazioni. Naturalmente più avanti, una volta penetrati nella disciplina militare, ci si aspetterà da voi maggiore puntualità. Ma sarò franco: ai maghi arruolati nella legione diamo modo di non essere frustrati. - Udito ciò Goterius, se possibile, divenne più tetro - Detto ciò sono qui per sondare le vostre capacità, uno per uno mi direte le vostre caratteristiche e ciò che sapete fare, e in qualità di supervisore degli ufficiali vi affiderò al ruolo che riterrò opportuno. Quanti di voi non dovessero dimostrarsi abili al combattimento saranno sistemati nei quartieri citeriori della città o, eventualmente, come guardia rurale.
- La paga? - esclamò un tipo scuro in volto, dai polsi cinti da sfarzosi bracciali si sarebbe detto un mago delle rune.
- La paga sarà decisa in base al vostro ruolo, al quale sarà aggiunta un'indennità per ogni scontro armato a cui parteciperete.
- Bene - rispose sogghignando il tetro figuro, mentre si passava nervosamente da una mano all'altra delle piccole rune -, non chiedo di meglio.
Presero quindi a presentarsi uno per uno finché non fu il turno di Goterius.
- Il mio nome è Goterius, necromante di Raat e mago oscuro
- Di che livello? - chiese l'idromante
- Di grande livello! ma se volete sapere la classificazione del mio ordine, bhè, allora è la terza
- Non un grande mago, dopotutto - rispose l'idromante. - Anche il nostro avversario è un necromante egli stesso, ma pare ben oltre le soglie dell'umano, egli ha infatti la fama di una creatura divina. Sai aprire i cancelli?
- Le porte della notte non sono accessibili come le polle d'acqua che usa il vostro ordine, ma ne possiedo i segreti fino a vederne gli oscuri spiragli materializzarsi nel nostro mondo. Anche l'assenza di luce mi è affine.
- Bene. Ma certo non sei adatto a grandi azioni sul campo, a meno di non servire a distanza nelle compagnie di arcieri. Dato che conosci Lord Asker servirai con lui - e gli consegnò il gagliardetto del corpo degli arcieri, due frecce parallele che fendevano l'aria. - Il tuo compagno, invece, che arte maneggia?
- Tiberius dei boschi silvani, eccellenza. Geomante e alchimista.
- Un geomante, molto interessante - gli si rivolse entusiasta il vagliatore sorridendo sardonicamente - Hai già usato la tua arte in battaglia?
- Abbiamo combattuto strada facendo con le creature dei boschi che tutto odiano. E sulle vette rupestri, presso le rovine di Cristallia, ho ucciso personalmente un grande troll glabro di caverna.
- Allora non dovresti aver fatica ad infilzare qualche aborrito morto vivente che serra le fila di Xatherl. Schermidori, terza compagnia. Servirai sulle mura e presso le ronde nelle campagne. - E anche a lui fu consegnato il contrassegno da indossare sulle vesti. Una grossa daga poggiata su di una barbuta azzurra.
Assegnati gradi e mansioni i maghi arruolati uscirono per sistemarsi nei loro corpi, proprio mentre una fitta pioggerella riprendeva a cadere nei dintorni del quartiere militare.
- Ricordati Tiberius di non osare, siamo qui solo per metterci alla prova con l'idromanzia. Certo non voglio mandare la mia anima nei regni di Theseidon combattendo questa insulsa guerra contro dei briganti. E penso neanche tu. Cerchiamo di restare in servizio finché non ci sarà concesso di recarci al tempio.
- Bene Maestro, lo terrò presente. - E subito si recò alle mura.
Goterius invece accese la grande pipa nera e, osservando il movimento di truppe andare e venire dalla città, considerò se non fosse in programma una qualche sortita contro il nemico, sortita che lo stesso Lord Asker aveva profetizzato come incombente per piegarne l'audacia. Poi anch'egli prese la via per l'acquartieramento degli esploratori e degli arcieri, scorrendo coi proprio pensieri le varie eventualità che potevano presentarsi.
5.
In un nebbioso fine giornata un pugno di uomini addobbati di varie tonalità di verde strisciavano sulla dorsale di una spoglia collina, con gli archi ben fissati sulla schiena e dei piccoli coltelli dal manico in legno cinti alla vita. In mezzo a loro, ugualmente vestito ma con movimenti meno scattanti, Goterius si muoveva goffamente cercando di tenere il ritmo, conservando nel suo abbigliamento un manto scuro intorno al viso per proteggersi dal debole sole.
- Ci siamo, ecco il guado del Sicara, il fiume che giunge dai Cudralas. E quelle sono le vedette longariane.
- Le vedo capitano, e ora?
- Già, e ora, Lord Asker? Tra quelli sulle zattere e gli esploratori per la brughiera devono essere almeno un centinaio, e noi siamo in sei - disse Goterius
- Dici bene - rispose Lord Asker - ma abbiamo un mago, non è così?
- Certo, un mago lordo di fango che striscia come un verme. E tutto per cosa? per non poter far niente.
- E questo lo chiami niente, Goterius? in quanto necromante dovresti avere mente assai più fine. Se sorvegliano i guadi si preparano certo a un'incursione, e ora che lo sappiamo possiamo meglio accoglierli nella valle
- Puha, sciocchezze. Sarebbe bastato mandare uno dei miei corvi
- E dovrei fidarmi di un corvo mandato da te? ma allora tanto varrebbe correre nudi verso Xatherl e farla finita.
Goterius sbuffo pesantemente e poi aggiunse - Ad ogni modo è prudente aspettare che sia notte, muovendoci ora una vedetta potrebbe scorgerci.
- Infatti è proprio quello che faremo, e se necessario torneremo verso il Durbak strisciando come vermi delle sabbie
Per le brughiere si sentì arcigno un urlo di richiamo, seguito da un prolungato silenzio che sembrava evocato dal crepuscolo incombente.
- Sì chiamano tra loro, certo stanno creando una ragnatela di sentinelle. Ma non vedo maghi, buon per noi e per la nostra ritirata - disse Asker
- Proprio così - aggiunse Gotherius -, attendiamo che il sole se ne vada e scivoliamo via senza far rumore.
Proprio mentre recitava queste parole un lungo sibilo, come il verso di un uccello da preda, scivolò sulle loro teste, e guardando in alto videro un volatile gigantesco volare in cerchio sopra di loro, gemendo e lanciando richiami d'allarme.
- Dannazione, quell'uccellaccio maledetto deve fungere da osservatore per qualche pastore di bestie, avremmo dovuto essere più accorti, ci scopriranno!
Immediatamente nella vallata risuonarono quasi all'unisono lunghi richiami soffiati da corni, ai quali seguirono urla, imprecazioni e subito l'intero schieramento longariano si proiettò con sguardi colmi di intenzioni alle rocce dietro cui osservavano gli esploratori.
- Sanno che qui c'è qualcuno, abbiamo grosso modo due triti d'arco di vantaggio. Non hanno cavalli tranne quelli dei capitani e alle nostre spalle c'è un bosco. Togliamoci immediatamente da qui e infiliamoci tra gli alberi, in profondità cercheremo un riparo senza che altri volatili possano scorgerci.
Immediatamente il gruppo si getto nella macchia.
Correndo in mezzo alle fronde Goterius malediva la sua deprecabile attività di spione, maledicendo altresì gli uccellacci che urlavano sopra.
- Hanno maghi pastori a quanto pare, non li semineremo facilmente. - disse ancora - Lasciate che provi qualcosa.
- Prova pure, ma in fretta per Mitra - gli rispose Asker -, ci saranno addosso a breve.
Immediatamente Goterius fece come il gesto di abbracciare l'aria tutto intorno, e soffiando parole sottili si inginocchio toccando il terreno col palmo della mano. Dal punto toccato sprigionò un disegno che completandosi da solo andò a creare un cerchio stellare sulla nuda terra. Dopodiché i contorni iniziarono dapprima a illuminarsi di rosso acceso, poi a vorticare e infine una porta si aperse. Ne uscirono dei grossi ragni neri.
- Questi sono dei Lug, della progenie di Lugabur, l'immondo ragno che tesse i mondi. Saltano e corrono veloci. Uccideranno le bestie dei nostri inseguitori.
- Capitano, lord Asker - urlò un ranger di vedetta - arrivano!
- Spero che il tuo espediente regga, mago nero. E ora corriamo via come i tuoni dell'orizzonte.
Detto questo ripresero a scappare.
6
La foresta era battuta palmo a palmo, ma i longariani armati di picche potevano usare solo i loro sensi per cercare i ranger; infatti i ragni Lug avevano praticamente divorato ogni animale si fosse messo sulle tracce della squadriglia di lord Asker, dando non poche grane anche ai briganti.
Nel sottobosco dove si erano acquattati, in uno sterpeto infossato, i Durbakiani di Mirolago attendevano la notte quasi in silenzio.
- Davvero ottimi quei ragni Mago nero, se non fossero orridi come tutto quello che esce dai vostri empi portali potrei quasi ringraziarli.
- Essi servono Lugabur ma sono esseri pensanti, non come i ragni di questo e altri mondi. Tra poche ore svaniranno perché la materia di cui sono fatti non dura a lungo nella nostra dimensione. Ma fino ad allora creeranno scompiglio.
- Potresti, in caso di bisogno, evocarne ancora? - chiese lord Asker
- Non ci sarà tale bisogno, a breve sarà notte e col buio vi guiderò senza timore. Di notte viaggeremo fra le ombre.
- Signore, anche il nostro nemico Xatherl è un necromante - disse un arciere appiattito al suolo -, forse che anch'egli è in grado di percepire l'attività di chi usa la sua arte?
- È possibile - rispose Goterius -, ma dovrebbe trovarsi non troppo lontano. Tuttavia senza quel richiamo non ne saremmo usciti così facilmente.
- No, certo, e ora guardate lì - intervenne lord Asker
Alla fine del guardo degli esploratori nascostisi, e tutto intorno, le milizie longariane si ritiravano dal bosco, ormai rassegnate a un nemico già lontano. Intanto le prime ombre danzavano tra i rami e il cielo a occidente s'incendiava come esploso. Nel lugubre pallore del crepuscolo un lieve venticello iniziò a spirare dalle vette lontane, e in quel momento, e non prima, Lord Asker diede il segnale di rimettersi in marcia verso Miralago.
Intanto proprio a Miralago, sulle mura in basalto affacciate alla campagna circostante la ronda pomeridiana attendeva il cambio da quella serale, mentre gli immobili guardiani vedevano le prime stelle accendersi.
- Allora Tiberius, raccontaci, com'è viaggiare con questo mago nero, com'è che si chiama?
- Goterius - rispose Tiberius con un certo tono enfatico -, e non è poi così male. Insieme abbiamo lasciato Raat la tetra capitale delle regioni a sud della catena dei Cudralas per viaggiare, e viaggiando imparare a migliorare la nostra arte. Io ho fatto grandi progressi, mentre il mio compagno, Goterius, li potrà fare.
- Spero che tu sia davvero un grande mago, Tiberius. Queste mura non reggeranno se le legioni di Xatherl ci attaccheranno tutte insieme.
- Sono qui anche per comprendere l'elemento idrico, e solo a Mirolago sul Durbak un mago può iniziare quella via.
- Vuoi forse apprendere l'arte delle piante, che si ottiene unendo terra e acqua? - gli chiese proprio Rik, il sensitivo idromante che comandava la ronda.
- Perché no. Nella terra, poi, sono solo all'inizio, ma conto di fare progressi rapidamente.
- Vedremo cosa si può fare, l'arcimago Rachel apprezza la fusione degli elementi. Lui stesso governa oltre alle acque anche l'aria che corre.
- Un signore del temporale! - esclamò Tiberius -, Potente tra i maghi.
- Solo lui potrebbe sconfiggere Xatherl, aspettiamo solo l'occasione propizia
- A proposito di occasioni - fece loro notare un balestriere poggiato al merlo - ecco il cambio, possiamo andare a mangiare e bere qualcosa in taverna.
- Se quella è una taverna, disse Rik, allora io sono Tuthapikkar l'alchimista celeste. Legno marcio e birra annacquata. Andiamo piuttosto alla collina delle giovani erbe, dove i giovani di Mirolago scoprono di essere o meno dotati alle arti idromantiche. In questi giorni le prove vanno avanti giorno e notte, così che anche tu Tiberius possa cimentarti con una di esse, e in caso essere iniziato ai rituali.
- Non saremo puniti se ci allontaniamo dalle caserme? - Chiese Tiberius.
Rik sorrise.
- Come ti ho detto, qui, si cerca di non frustrare i maghi. Sono una grande risorsa.
Detto ciò si incamminarono.
7
Il gruppo di Goterius, capeggiato da lord Asker l'arciere, si faceva velocemente strada attraverso le pianeggianti terre che dal ponte sul fiume Sicara portavano alle campagne di Miralago. Nella notte silenziosa fluttuavano come spettri, e l'arte tenebrosa di Goterius sembrava trasportarli di ombra in ombra. Poi le due guide del gruppo, seguiti dagli esploratori, presero a parlare.
- Come si comporterà l'arcimago Rachel sapendo che i longariani, e quindi Xathral, si preparano a spostare un grosso contingente al di là del Sicara per minacciarvi?
- Difficile dirlo. Certo i soldati non ci mancano, ma come ho già detto a te e al tuo amico sono le sue legioni di morti che ci intimoriscono. È come se dopo ogni battaglia lui tirasse fuori un esercito dal nulla, ma in realtà non viene dal nulla: sono i morti della battaglia stessa. Si alzano e riprendono a combattere. E davanti a simili magie evitiamo ogni battaglia in cui ciò possa accadere, o dove sia presente Xathral.
- Capisco - rispose pensieroso Goterius -, conosco bene l'arte della riesumazione. Eppure..
- Cosa? parla Nero - disse ansimando Asker mentre correva nella notte
- Eppure per fare ciò deve creare un legame tra se e il mondo oscuro, il che vuol dire che a parte la sua guardia personale rimane indifeso. Forse un gruppo scelto lo potrebbe abbattere proprio in quel momento.
- Dimenticatelo. Non è mai sul campo di battaglia. Se ne sta su qualche rupe a osservare. E poi agisce.
- Sì, so bene come agiscono i necromanti riesumatori. E i maghi della capitale splendente, i maghi di Akbarlas dalle guglie splendenti, nido della civiltà Mediana, cosa fanno?
- Essi, ti dirò, si battono contro i non-umani dell'ovest, e tale tenzone non ne permette l'impiego su questo fronte. Così che dobbiamo vedercela da soli, anche se allo stremo delle forze.
- Eppure io ti dico - disse Goterius con uno sguardo particolarmente severo - che ogni necromante ha un suo punto debole: l'enorme dispendio di energie. Ne so qualcosa, dato che per questo ho scelto un apprendista, ma ormai dovrei dire compagno, Tiberius, molto diverso. molto più....
- Nello stesso momento sulla collina delle giovani erbe, a Miralago -
- Come dovrei fare, adepto? - disse Tiberius
- Semplice, immergi le mani nell'acqua e pronuncia la formula che vedi scritta davanti a te. Sai leggere in Mnimarico, vero?
- Posseggo la sua lettura
- Allora pronuncia l'esondazione delle polle palustri, e deflagra quel contenitore. Se riesci noi ti...
E non finì neanche la frase che non il contenitore, ma tutta l'acqua delle vasche allineate salì in cielo con tanta forza da sembrare evaporata sotto un alito di drago.
- Per Mitra e per gli antichi che dormono infondo al mare! - esclamò l'adepto d'acqua -, mai vista tanta affinità in un novizio, anche se le vasche erano già infuse per rendere l'acqua più governabile è un risultato inaspettato; decisamente puoi recarti al tempio del mare di Durbak, e con grandi aspettative per giunta.
Tiberius sorrise.
- Mio padre era un mago silvestre, ma mia madre adoperava la magia delle fonti, per cui...
- Per cui sei un diavolo delle terre e delle fonti - esclamò Rik -, un futuro mago governatore delle piante. Da bere per tutti, che oggi qui in collina si fa strada un generale arcano!
E la folla esultò in preda a grande emozione e tutti andarono a festeggiare.
Poi la città sembrò adagiarsi in quella calma apparente, dove le ronde vegliavano e chi non era al fronte gozzovigliava in attesa di presagi oscuri. Fu in questa calma apparente che gli esploratori tornarono, con notizie lungamente attese.
Lord Asker andò a fare rapporto a Rachel, mentre Goterius riposava tra le ombre. Tiberius saputo del suo arrivo si recò da lui per raccontargli quanto accaduto, e - Maledetto dotato di una stirpe fortunata - esclamò Goterius -, che sapessi giostrarti con la geomagia ben venga, ma che anche le acque volessero baciarti non mi va giù! Con Rik muso di cane che ci ha sistemato in un pollaio di pezza poi! Per caso sai anche volare? Perché in tal caso puoi andartene nei cieli di Flaffirk il falco dei venti e imparare anche a soffiare sul mondo!
- Suvvia Maestro, e compagno, non vi adirate. Vorrà dire che appresa anche quest'arte viaggeremo con minor timore, e più forti. E forse anche voi potreste essere affine all'elemento idrico.
- Sarà - sospirò Goterius -, ma ora vai, lasciami riposare. Quei dannati arcieri sanno solo strisciare, e se non mi faccio un bagno finirò per essere scambiato per un golem di Terricus.
Così entrambi si separarono per la notte, e il primo giorno come ufficiali maghi dell'esercito di Miralago, affacciata sul mare interno di Durbak, meta di pellegrini mistici e mercanti dell'impero centrale, si risolse in una grande stanchezza e in rilassanti meditazioni su ciò che avrebbero dovuto fare. E mentre nelle locande si ballavano danze di gioia, e i nuovi adepti idromanti indossavano le maschere del sole che ride sull'acqua, simbolo di speranza e fiducia, da est soffiavano venti di guerra.
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mercoledì 9 ottobre 2013
I maghi erranti - racconto primo - La cava abissale
1. Goterius
-Passami la fiaccola, non vedo niente!
- Maestro, mi dia il tempo di accenderla
- passala così com'è che la accendo io!
Detto questo l’uomo semi immerso nell'oscurità trasse a se l’ingombrante ceppo di legno secco e con un breve cenno delle mani e forse qualcos'altro lo portò verso di se, lo agito brevemente e questo si accese.
Il ragazzino esile, al lucore esitante ma immobile della fiamma opaca, si illuminò dei suoi vent'anni scarsi, tirò su una borsa di cuoio rifinito a dovere, di quelle che usano i fabbri ferrai imperiali, e accuratamente imboccò il sentiero cavernoso dietro quello che, a tutti gli effetti, si sarebbe detto essere il suo maestro. Il maestro, appunto, di nero vestito e incappucciato come ad affrontare una lunga marcia invernale, nonostante l’ampiezza del tunnel roccioso dove si trovavano a camminare si guardava bene dall'ergersi in una postura eretta, e anzi proseguiva piego e guardingo, come se da un momento all'altro mani di tenebra o rocce appuntite dovessero piombare dall'abisso tetro che li sovrastava. Avanzando con la torcia strettamente impugnata nella mano sinistra, teneva questa abbassata dietro il suo corpo magro, creando così, per chi se lo fosse visto venire incontro, una buia figura senza viso proiettata dalla luce che seguiva il tutto come uno stanco alone diafano.
Nel nero pertugio che li ospitava tutto era immobile, come un mare d’ombra che attenda un’alba insperata. Solo a sprazzi si faceva strada nell'etereo nulla che li adornava una calda corrente debolissima, ricordo erroneo del calore lasciato in superficie, o il respiro dormiente di qualche essere abissale.
-Passami la fiaccola, non vedo niente!
- Maestro, mi dia il tempo di accenderla
- passala così com'è che la accendo io!
Detto questo l’uomo semi immerso nell'oscurità trasse a se l’ingombrante ceppo di legno secco e con un breve cenno delle mani e forse qualcos'altro lo portò verso di se, lo agito brevemente e questo si accese.
Il ragazzino esile, al lucore esitante ma immobile della fiamma opaca, si illuminò dei suoi vent'anni scarsi, tirò su una borsa di cuoio rifinito a dovere, di quelle che usano i fabbri ferrai imperiali, e accuratamente imboccò il sentiero cavernoso dietro quello che, a tutti gli effetti, si sarebbe detto essere il suo maestro. Il maestro, appunto, di nero vestito e incappucciato come ad affrontare una lunga marcia invernale, nonostante l’ampiezza del tunnel roccioso dove si trovavano a camminare si guardava bene dall'ergersi in una postura eretta, e anzi proseguiva piego e guardingo, come se da un momento all'altro mani di tenebra o rocce appuntite dovessero piombare dall'abisso tetro che li sovrastava. Avanzando con la torcia strettamente impugnata nella mano sinistra, teneva questa abbassata dietro il suo corpo magro, creando così, per chi se lo fosse visto venire incontro, una buia figura senza viso proiettata dalla luce che seguiva il tutto come uno stanco alone diafano.
Nel nero pertugio che li ospitava tutto era immobile, come un mare d’ombra che attenda un’alba insperata. Solo a sprazzi si faceva strada nell'etereo nulla che li adornava una calda corrente debolissima, ricordo erroneo del calore lasciato in superficie, o il respiro dormiente di qualche essere abissale.
Dopo molto avanzare, sia questo pianeggiante, in leggera discesa, o decisamente verso il basso – ma mai verso la luce del sole – il ragazzino minuto, che chiameremo Tiberius, non tanto preoccupato dei pericoli verso cui marciavano, ma piuttosto del pasto rimandato da, come usava dire, “solo i demoni della guerra sanno quanto”, iniziò dapprima a trascinare gli stivali in pelle morbida sul suolo pietroso, a bofonchiare qualcosa, a sospirare borbottando, e infine, davvero affamato, sfiorò un lembo della manica reggente la torcia sussurrando qualche parolina stentata.
– Maestro, maestro Goterius, che ne direste, maestro, se ci fermassimo a fare un piccolo pasto, anche solo un po’ di pane con quella carne che ci ha dato il vecchio Balzac nella sua fattoria rupestre. E perché, un goccino di quel liquorino che, beh, in questo schifo di grotta dove ci siamo infilati non ci starebbe mica male. No, maestro?
Goterius dapprima non diede segno di aver udito il benché minimo suono, ma da lì a poco, non si può dire se perché desideroso anche lui di riposo o perché la strada presentasse un bivio che richiedeva tempo per essere risolto, senza aprir bocca, e appoggiando la torcia ad una cavità nel muro, si sedette a gambe incrociate e, con un gesto di mano, indicò a Tiberius che poteva sondare il borsone peloso alla cerca di vettovaglie e liquori.
- Vedrete, poi avanzeremo senz'altro meglio – ripeteva Tiberius, mentre Goterius fissava adombrato e scuro in volto le due gallerie che si aprivano dinnanzi a loro, cercando un qualche motivo per prendere quella delle due che volgeva ancora più in basso, da cui sembrava venire in lontananza rumore di acque, o l’altra, che almeno inizialmente proseguiva pianeggiante, e da cui alcun suono sembrava giungere: solo un’impronta aerea si levava impercettibile ai sensi, l’unico dei quali ad esserne sfiorato era, in minuscola parte, l’odorato, o qualcosa che impegnava in pari modo odore e tatto. Come l’emanazione spirituale di una rabbia dormiente.
Mangiarono in silenzio.
– Maestro, maestro Goterius, che ne direste, maestro, se ci fermassimo a fare un piccolo pasto, anche solo un po’ di pane con quella carne che ci ha dato il vecchio Balzac nella sua fattoria rupestre. E perché, un goccino di quel liquorino che, beh, in questo schifo di grotta dove ci siamo infilati non ci starebbe mica male. No, maestro?
Goterius dapprima non diede segno di aver udito il benché minimo suono, ma da lì a poco, non si può dire se perché desideroso anche lui di riposo o perché la strada presentasse un bivio che richiedeva tempo per essere risolto, senza aprir bocca, e appoggiando la torcia ad una cavità nel muro, si sedette a gambe incrociate e, con un gesto di mano, indicò a Tiberius che poteva sondare il borsone peloso alla cerca di vettovaglie e liquori.
- Vedrete, poi avanzeremo senz'altro meglio – ripeteva Tiberius, mentre Goterius fissava adombrato e scuro in volto le due gallerie che si aprivano dinnanzi a loro, cercando un qualche motivo per prendere quella delle due che volgeva ancora più in basso, da cui sembrava venire in lontananza rumore di acque, o l’altra, che almeno inizialmente proseguiva pianeggiante, e da cui alcun suono sembrava giungere: solo un’impronta aerea si levava impercettibile ai sensi, l’unico dei quali ad esserne sfiorato era, in minuscola parte, l’odorato, o qualcosa che impegnava in pari modo odore e tatto. Come l’emanazione spirituale di una rabbia dormiente.
Mangiarono in silenzio.
2. Tiberius
- Cantatemi una canzone maestro, o indicatemi come pensare, che qui, che gli scheletri delle lande dell’est ci colgano in fallo, avanziamo da mezza giornata e ora voi mi sembrate incerto sul da farsi; se quel buco nero alla cui base nasce un fiume tenebroso o l’altro, che avanza tra funghi velenosi e puzzo di petrolio, e che il diavolo infernale mi colga se non si butta anch'esso in qualche voragine senza fondo.
Detto questo Tiberius diede un altro morso alla carne secca e pensò bene di togliersi uno stivale per grattarsi un piede, cosa che, malgrado la gravità della situazione, situazione per lo meno da lui percepita come grave, non trovò modo di rimandare, così che proprio mentre Goterius sembrava uscire dal tunnel austero della sua pensierosità, e accennare risposta, Tiberius prese a grattarsi di così gran sollievo la pianta del piede da emettere un lungo e appassionato ululato di piacere, facendo sembrare l’appena risvegliata profondità della voce del suo maestro come un plauso a tanta pignoleria nel ripulirsi ben bene le estremità inferiori.
- Cantatemi una canzone maestro, o indicatemi come pensare, che qui, che gli scheletri delle lande dell’est ci colgano in fallo, avanziamo da mezza giornata e ora voi mi sembrate incerto sul da farsi; se quel buco nero alla cui base nasce un fiume tenebroso o l’altro, che avanza tra funghi velenosi e puzzo di petrolio, e che il diavolo infernale mi colga se non si butta anch'esso in qualche voragine senza fondo.
Detto questo Tiberius diede un altro morso alla carne secca e pensò bene di togliersi uno stivale per grattarsi un piede, cosa che, malgrado la gravità della situazione, situazione per lo meno da lui percepita come grave, non trovò modo di rimandare, così che proprio mentre Goterius sembrava uscire dal tunnel austero della sua pensierosità, e accennare risposta, Tiberius prese a grattarsi di così gran sollievo la pianta del piede da emettere un lungo e appassionato ululato di piacere, facendo sembrare l’appena risvegliata profondità della voce del suo maestro come un plauso a tanta pignoleria nel ripulirsi ben bene le estremità inferiori.
- E mai possibile cane lascivo che tu stia sempre a grattarti o masticare?! Che ti colga una peste fulminea, dannata scimmia che non sei altro! E poi, che vai dicendo! Io so benissimo dove andare, tireremo diritto nel tunnel dove crescono i funghi minerali, e se vuoi sapere il perché, beh, ma perché è ovvio!
- Sarà anche ovvio Maestro, e io sarò anche un cane, ma voi è da un pezzo che vi grattate la fronte, e parola mia che sembrate nient’affatto deciso.
- Sciocchezze – tirò corto Goterius – ora raccogli i tuoi stracci e rimettiamoci in marcia. Prima troveremo l’antro dell’eremita geocentrico e prima apprenderemo quanto ha da dirci. – Così detto, alzatosi con una qual certa eleganza, ravvivò le fiamme con gesto di stizza e senza voltarsi si immerse nel tunnel centrale, sparendo tra le sue fauci silenti, e lasciando dietro di se la perdizione dell’assenza di luce. Immediatamente Tiberius gli si gettò appresso, ripetendo tra se e se che questa volta la situazione puzzava, “e che io sia dannato se questo posto non puzza per davvero!”.
- Sarà anche ovvio Maestro, e io sarò anche un cane, ma voi è da un pezzo che vi grattate la fronte, e parola mia che sembrate nient’affatto deciso.
- Sciocchezze – tirò corto Goterius – ora raccogli i tuoi stracci e rimettiamoci in marcia. Prima troveremo l’antro dell’eremita geocentrico e prima apprenderemo quanto ha da dirci. – Così detto, alzatosi con una qual certa eleganza, ravvivò le fiamme con gesto di stizza e senza voltarsi si immerse nel tunnel centrale, sparendo tra le sue fauci silenti, e lasciando dietro di se la perdizione dell’assenza di luce. Immediatamente Tiberius gli si gettò appresso, ripetendo tra se e se che questa volta la situazione puzzava, “e che io sia dannato se questo posto non puzza per davvero!”.
3.
Alla fioca luce della fiamma alchemica creata da Goterius, ora di un colore celeste acceso per meglio scorgere le asperità della via ignota, si affacciavano come demoni scrutanti le alte volte del soffitto arcaico, incombenti giganti rocciosi in attesa dell’obliato risveglio. Il ventre umido della terra produceva silenzi dilatatisi nel tempo, come echi di niente diffusi nelle ere ancestrali di quel luogo. A ogni passo sulla roccia granitica Goterius proiettava la sua acutezza nello sforzo di rivelarsi alla vista l’indizio al centro della sua cerca, mentre Tiberius, dimentico di ogni avidità, temeva le potenze nascoste in quel luogo, continuamente impegnato nel cogliere strani rumori e oniriche presenze.
- Ormai dovremmo essere nelle vicinanze dell’eremo, dove il vecchio della terra custodisce l’arte nascosta della geomagia. Egli mi rivelerà, come premio d’averlo trovato nel ventre delle montagne, le formule arcane che servono a completare il mio addestramento.
- E se così non fosse, Maestro? – obiettò Tiberius – Insomma, questo eremita noi neanche lo conosciamo, potrebbe benissimo star cenando, o in qualsiasi modo si chiami un pasto in questa notte eterna, e di conseguenza scacciarci malamente. Inoltre la diplomazia non è il suo forte, bisognerà che ci parli io; perché, vede…
- Taci! – sbraitò Goterius, con un viso così acceso da emanare una luce propria nella fioca galleria – Egli si trova qui per attendere chi cerca il sapere, non per mangiare o dormire. Inoltre io servo l’ordine segreto dei maghi neri, e con tali credenziali sarò accolto come se fossi alla corte di un re del grande Nord.
- In tal caso, Maestro, - aggiunse Tiberius, assumendo un’aria perplessa e rivolgendosi – causa l’infittirsi dell’oscurità dovuto all'indebolirsi della fiamma – verso il muro, in tal caso Maestro non fiato più.
- Va bene, ora smettila di parlare con i muri e seguimi, non servirà rinvigorire la luce dei cercatori, ho scorto alcuni sigilli di protezione indicanti la prossimità di un grande potere. Siamo dunque giunti, preparati a incontrare il geoeremita e stai bene attento a non recargli offesa.
- Come vuole maestro. – Rispose Tiberius, continuando a pensare tra se stesso: “con i muri, eccerto, perché parlare a Goterius è forse diverso? Lo sa Mitra cosa ci aspetta in fondo a questo tunnel scavato da chissà quali creature striscianti, sarà meglio preparare la polvere.”
Alla fioca luce della fiamma alchemica creata da Goterius, ora di un colore celeste acceso per meglio scorgere le asperità della via ignota, si affacciavano come demoni scrutanti le alte volte del soffitto arcaico, incombenti giganti rocciosi in attesa dell’obliato risveglio. Il ventre umido della terra produceva silenzi dilatatisi nel tempo, come echi di niente diffusi nelle ere ancestrali di quel luogo. A ogni passo sulla roccia granitica Goterius proiettava la sua acutezza nello sforzo di rivelarsi alla vista l’indizio al centro della sua cerca, mentre Tiberius, dimentico di ogni avidità, temeva le potenze nascoste in quel luogo, continuamente impegnato nel cogliere strani rumori e oniriche presenze.
- Ormai dovremmo essere nelle vicinanze dell’eremo, dove il vecchio della terra custodisce l’arte nascosta della geomagia. Egli mi rivelerà, come premio d’averlo trovato nel ventre delle montagne, le formule arcane che servono a completare il mio addestramento.
- E se così non fosse, Maestro? – obiettò Tiberius – Insomma, questo eremita noi neanche lo conosciamo, potrebbe benissimo star cenando, o in qualsiasi modo si chiami un pasto in questa notte eterna, e di conseguenza scacciarci malamente. Inoltre la diplomazia non è il suo forte, bisognerà che ci parli io; perché, vede…
- Taci! – sbraitò Goterius, con un viso così acceso da emanare una luce propria nella fioca galleria – Egli si trova qui per attendere chi cerca il sapere, non per mangiare o dormire. Inoltre io servo l’ordine segreto dei maghi neri, e con tali credenziali sarò accolto come se fossi alla corte di un re del grande Nord.
- In tal caso, Maestro, - aggiunse Tiberius, assumendo un’aria perplessa e rivolgendosi – causa l’infittirsi dell’oscurità dovuto all'indebolirsi della fiamma – verso il muro, in tal caso Maestro non fiato più.
- Va bene, ora smettila di parlare con i muri e seguimi, non servirà rinvigorire la luce dei cercatori, ho scorto alcuni sigilli di protezione indicanti la prossimità di un grande potere. Siamo dunque giunti, preparati a incontrare il geoeremita e stai bene attento a non recargli offesa.
- Come vuole maestro. – Rispose Tiberius, continuando a pensare tra se stesso: “con i muri, eccerto, perché parlare a Goterius è forse diverso? Lo sa Mitra cosa ci aspetta in fondo a questo tunnel scavato da chissà quali creature striscianti, sarà meglio preparare la polvere.”
4.
Come predetto da Goterius arrivarono alla fine di quello che pareva un tunnel infinito, e per la precisione facendosi largo in un piccolo spazio scarsamente illuminato da strane pietre ardenti di propria vita, semi sommerso in una grigiastra vegetazione appiccicosa. Il terreno era divenuto soffice e tiepido, e le periodiche correnti d’aria calda, traversanti le distanze desolate di quella via, emergevano direttamente dal putridume ribollente che macchiava quell'aula immonda: e grandi bolle ne rifluivano, scoppiando di lamenti mentre sprigionavano miasmi soffocanti.
- Certo dev'essere un grand'uomo questo eremita dei sassi - Esclamò Tiberius - , per vivere in cotanta bellezza. Per non parlare poi della puzza. Ma che magnifica puzza.
Come sua abitudine Goterius si girò, tentando senza celarne l’intenzione di incenerirlo con lo sguardo. E ora che la tenebra avvolgente s’era dipanata il suo viso era finalmente visibile. Un grande naso adunco, dai contorni pigri, se ne stava appollaiato su un faccione dai tratti arcigni. Due grandi sopracciglia nere sormontavano come pellicce boreali la profondità dello sguardo erudito del Mago oscuro, e la pelle, bianca come il sale, se ne fluiva lenta verso il mento pronunciato, come fiumi magmatici argentei senza l’intenzione di cadere dal volto. Tutto questo, e molto ancora , sembrava creare un mago dalla possanza esasperata. Non fosse che, e Tiberius ben lo sapeva, dietro tale severità si nascondeva un animo non privo di gentilezza, poco incline all'uso della forza o dell’inganno. Ma non per questo l’ambizione di emergere nella propria arte era meno marcata.
- Ora fai silenzio e ascolta – parlò Goterius, col suo miglior tono basso e calmo, preannunciatore di sciagura – Da qui in poi inizia l’antro magico dell’eremita. Chiudi quel postribolo imperiale che hai al posto della bocca e seguimi. - Repente estrasse un bastone guida dal nero mantello e iniziò a tastare la palude fetida, per scovare la via.
Non fecero in tempo a percorrere neanche pochi metri che una voce dall'alto li fermò:
- Cosa volete, e chi siete? – si senti un vocione roco venire da tutt'intorno
Entrambi alzarono lo sguardo verso la misteriosa voce proveniente dalle profondità di quel luogo, e poi tutto fu rumore. Un grosso lampo verde balzò da dietro la duna argillosa che ospitava quel gran vocione, zigzagò nell'aria per poggiarsi proprio ai piedi di Goterius, e da quell'urto ne nacque all'istante un grosso fungo. I due non fecero in tempo a muoversi che un altro grosso lampo verde sbucò fuori dallo stesso punto, per scindersi in volo in più parti e cadere, con un rumore viscido e fangoso, intorno ai due attoniti esploratori; e in ogni luogo ove cadeva ne veniva fuori un gran fungo.
- Parola mia Maestro che questo qui vuol farci diventare funghi. Mettiamoci al riparo e pensiamo al da farsi. Ma al riparo per Mitra!
- Certo chiunque sia – ribatté Goterius -, o la sua magia vuol solo intimorirci o non sa cosa sia una buona mira. Mostrerò io a questo vigliacco cosa siano le arti arcane
E per pronta risposta un grosso fungo gli sbocciò proprio sul naso. Così che, a una velocità che della magia aveva a malapena i contorni, come se l’idea di acquattarsi nell'ombra fosse sua, prese per una manica Tiberius e si trascinò dietro un grande masso muschioso.
- Vi assicuro che questo fungo vi dona Maestro, chissà se e velenoso
- Taci e passami la polvere!
Tiberius, previdente di natura, ne aveva già un sacchetto pronto all'uso, e in un baleno Goterius fu di nuovo in piedi pronto a esibire la sua arte
- Rafandal gothel clurus! – recitò con voce tuonante, per poi gettare una manciata di polvere verso il luogo da cui venivano i lampi verdi. Il soffitto fu illuminato a giorno, e due grandi saette si gettarono verso il bersaglio deflagrando nelle profondità dei monti come gli spasmi del pianeta nelle ere dimenticate. Poi fu silenzio, e i due, rimessisi al sicuro, da dietro due grossi funghi, terzo dei quali era il nuovo naso di Goterius, osservavano la scena per cogliere il minimo movimento.
Dopo un tempo che parve lunghissimo la voce rispose da lontano. Fiutando una certa puzza di bruciato.
- Rinsavite sciocchi e mostratevi, siete nella dimora del geoeremita Terricus, e le guardie da me erette in queste aule hanno l’ordine di fermare ogni intruso. Chi siete, dunque, e cosa fate in casa mia?
- Io sono Goterius - rispose prontamente il mago - adepto nero della capitale di questo regno. A lungo ti ho cercato per queste vie tortuose, per divenire adepto nella tua arte e ammirarne la grandezza.
Dopo queste parole, dette con una gran voce tanto poderosa che ne sembravano due sovrapposte, dalla penombra nebbiosa della palude interna strisciarono fuori dapprima un golem di fango e pietra, e appresso questo un omino di una certa età avvolto in una mantellina di cuoio esausto e vesti impiastricciate.
- E io sono Terricus – disse l’omino – vieni dunque e sii benvenuto mago nero dalla capitale. Quello che vuoi sapere io posso insegnare. Certo che - aggiunse poi - con i tuoni ci sai fare.
Come predetto da Goterius arrivarono alla fine di quello che pareva un tunnel infinito, e per la precisione facendosi largo in un piccolo spazio scarsamente illuminato da strane pietre ardenti di propria vita, semi sommerso in una grigiastra vegetazione appiccicosa. Il terreno era divenuto soffice e tiepido, e le periodiche correnti d’aria calda, traversanti le distanze desolate di quella via, emergevano direttamente dal putridume ribollente che macchiava quell'aula immonda: e grandi bolle ne rifluivano, scoppiando di lamenti mentre sprigionavano miasmi soffocanti.
- Certo dev'essere un grand'uomo questo eremita dei sassi - Esclamò Tiberius - , per vivere in cotanta bellezza. Per non parlare poi della puzza. Ma che magnifica puzza.
Come sua abitudine Goterius si girò, tentando senza celarne l’intenzione di incenerirlo con lo sguardo. E ora che la tenebra avvolgente s’era dipanata il suo viso era finalmente visibile. Un grande naso adunco, dai contorni pigri, se ne stava appollaiato su un faccione dai tratti arcigni. Due grandi sopracciglia nere sormontavano come pellicce boreali la profondità dello sguardo erudito del Mago oscuro, e la pelle, bianca come il sale, se ne fluiva lenta verso il mento pronunciato, come fiumi magmatici argentei senza l’intenzione di cadere dal volto. Tutto questo, e molto ancora , sembrava creare un mago dalla possanza esasperata. Non fosse che, e Tiberius ben lo sapeva, dietro tale severità si nascondeva un animo non privo di gentilezza, poco incline all'uso della forza o dell’inganno. Ma non per questo l’ambizione di emergere nella propria arte era meno marcata.
- Ora fai silenzio e ascolta – parlò Goterius, col suo miglior tono basso e calmo, preannunciatore di sciagura – Da qui in poi inizia l’antro magico dell’eremita. Chiudi quel postribolo imperiale che hai al posto della bocca e seguimi. - Repente estrasse un bastone guida dal nero mantello e iniziò a tastare la palude fetida, per scovare la via.
Non fecero in tempo a percorrere neanche pochi metri che una voce dall'alto li fermò:
- Cosa volete, e chi siete? – si senti un vocione roco venire da tutt'intorno
Entrambi alzarono lo sguardo verso la misteriosa voce proveniente dalle profondità di quel luogo, e poi tutto fu rumore. Un grosso lampo verde balzò da dietro la duna argillosa che ospitava quel gran vocione, zigzagò nell'aria per poggiarsi proprio ai piedi di Goterius, e da quell'urto ne nacque all'istante un grosso fungo. I due non fecero in tempo a muoversi che un altro grosso lampo verde sbucò fuori dallo stesso punto, per scindersi in volo in più parti e cadere, con un rumore viscido e fangoso, intorno ai due attoniti esploratori; e in ogni luogo ove cadeva ne veniva fuori un gran fungo.
- Parola mia Maestro che questo qui vuol farci diventare funghi. Mettiamoci al riparo e pensiamo al da farsi. Ma al riparo per Mitra!
- Certo chiunque sia – ribatté Goterius -, o la sua magia vuol solo intimorirci o non sa cosa sia una buona mira. Mostrerò io a questo vigliacco cosa siano le arti arcane
E per pronta risposta un grosso fungo gli sbocciò proprio sul naso. Così che, a una velocità che della magia aveva a malapena i contorni, come se l’idea di acquattarsi nell'ombra fosse sua, prese per una manica Tiberius e si trascinò dietro un grande masso muschioso.
- Vi assicuro che questo fungo vi dona Maestro, chissà se e velenoso
- Taci e passami la polvere!
Tiberius, previdente di natura, ne aveva già un sacchetto pronto all'uso, e in un baleno Goterius fu di nuovo in piedi pronto a esibire la sua arte
- Rafandal gothel clurus! – recitò con voce tuonante, per poi gettare una manciata di polvere verso il luogo da cui venivano i lampi verdi. Il soffitto fu illuminato a giorno, e due grandi saette si gettarono verso il bersaglio deflagrando nelle profondità dei monti come gli spasmi del pianeta nelle ere dimenticate. Poi fu silenzio, e i due, rimessisi al sicuro, da dietro due grossi funghi, terzo dei quali era il nuovo naso di Goterius, osservavano la scena per cogliere il minimo movimento.
Dopo un tempo che parve lunghissimo la voce rispose da lontano. Fiutando una certa puzza di bruciato.
- Rinsavite sciocchi e mostratevi, siete nella dimora del geoeremita Terricus, e le guardie da me erette in queste aule hanno l’ordine di fermare ogni intruso. Chi siete, dunque, e cosa fate in casa mia?
- Io sono Goterius - rispose prontamente il mago - adepto nero della capitale di questo regno. A lungo ti ho cercato per queste vie tortuose, per divenire adepto nella tua arte e ammirarne la grandezza.
Dopo queste parole, dette con una gran voce tanto poderosa che ne sembravano due sovrapposte, dalla penombra nebbiosa della palude interna strisciarono fuori dapprima un golem di fango e pietra, e appresso questo un omino di una certa età avvolto in una mantellina di cuoio esausto e vesti impiastricciate.
- E io sono Terricus – disse l’omino – vieni dunque e sii benvenuto mago nero dalla capitale. Quello che vuoi sapere io posso insegnare. Certo che - aggiunse poi - con i tuoni ci sai fare.
5. Terricus
Una nebbia ottenebrante scendeva a coprire le cose, come se in quel luogo scarsamente illuminato le notti della superficie fossero sostituite da un sudario gassoso. Dentro una piccola capanna, divisa in due stanze e appoggiata a un grosso albero grigiastro, sedevano tre persone, una delle quali intenta a fumare una grossa pipa così di gusto da credere che fosse proprio lui a creare l’alone nebbioso. Le altre due tacevano come in attesa di qualcosa, mentre sullo sfondo un esserino sembrante l’emanazione corporea di quel luogo era tutto intento a metter qualcosa sul fuoco, levarne altre e tagliuzzare tronchetti.
- Presto il mio golem palustre ci servirà del buon cibo, intanto ristoratevi e fumate
- Ti ringrazio Terricus – rispose Goterius – la tua ospitalità ci onora, e più onore ancora mi darebbero i tuoi segreti.
- Non ora! Non adesso! – eruppe Terricus – prima dobbiamo riposare, riposare e nutrirci.
Tiberius e Goterius si guardarono in viso, ovviamente non come due complici, né come due che si trovino per un attimo a provare la stessa emozione: Goterius era semplicemente incollerito per la reazione soddisfatta di Tiberius alle parole dell’eremita, e Tiberius, appunto, si guardava bene dal nasconderlo e anzi, adagiatosi più vicino al fuocherello prese a stiracchiarsi con tanto piacere da sembrare si fosse persino dimenticato dell’odore marcescente di quanto vi bruciava dentro.
Poco dopo il golem fangoso si avvicino al centro della stanza, con i suoi occhietti verdi e la sua andatura dinoccolata, recando con se diverse ciotole adagiate su un vassoio di pietra, alcune tazze e delle piante essiccate. Poi si fece da parte, sparendo chissà dove.
Dopo il banchetto frugale Terricus si accese un’altra pipa ancora più grossa della precedente, e toltesi le scarpine di erbe intrecciate si adagiò su una fascina di rametti mollicci. Sembrava molto avanti con l’età. Sotto gli occhi gonfi aveva una protuberanza rossastra che un tempo doveva essere stato un naso, e la sua boccaccia tutta storta da un lato mentre parlava si apriva talmente poco da dare l’impressione che ci tenesse qualcosa pronto a scappar via
- Come mi avete trovato?
Goterius finì di pulirsi la bocca con un panno da viaggio e diede un’occhiata di sbieco all'interlocutore, dopodiché rispose: - Abbiamo seguito le antiche mura di Cristallia che partono dalle pendici del monte Vector. Da lì i contadini rupestri delle alture ci hanno indicato il luogo delle rovine. Una volta giunti nelle macerie delle vecchie città montane trovare l’ingresso del tunnel oscuro non è stato facile. Alcuni predoni del sud erano accampati nelle praterie adiacenti, loro ci hanno dato qualche indizio raccolto nell'aver precedentemente esplorato la zona. Ovviamente l’intenzione iniziale da parte loro era un’altra, ma dopo il mio intervento sono scesi a più miti trattative.
Intanto Tiberius mangiucchiava ricordandosi le terribili mazzate prese da quei ladroni, e come il ritrovamento del tunnel fosse stato del tutto casuale.
– Una volta imboccata la via buia giungere fino a qui non è stato semplice - continuò Goterius - , più volte ho avuto il presagio che delle creature ci osservassero, e come sai al limitare della palude interna il tuo servitore ci ha aggrediti. Mi chiedevo a proposito quando se ne andrà questo fungo dal mio naso – e nel dire questo controllò bene che Tiberius non osasse sghignazzare.
- Le creature che avete presagito nel tunnel sono reali. I figli della terra hanno sempre fame, ma il vostro fuoco li intimorisce – questa fu la risposta di Terricus, che ignorò completamente il naso del mago nero.
- Per le vette immacolate, di che creature si tratta? Certo se dobbiamo riattraversare quel posto sarà bene saperne di più – chiese preoccupato Tiberius
- Credevo fossi troppo impegnato a ingozzarti per preoccuparti della tua vita – disse girandosi Goterius –, ma in effetti saperne di più non ci nuocerebbe. Anzi, se come dite voi essi sono pericolosi…
Terricus si fece silenzioso.
- Ne parleremo quando verrà l’ora. Ora ditemi, Goterius, pensate di essere in grado di apprendere la mia scuola?
- Maneggio già gli elementi e qualche magia oscura, ma solo l’arte della terra è davvero efficace contro l’acciaio degli uomini venuti da est, e io certo posso ottenerne la sapienza.
- Se davvero è come dite mostratemi cosa sapete fare, dopodiché giudicherò.
Quindi Goterius, senza nessuna preparazione che non fosse quella di alzarsi in piedi, allungo una mano, e dal nulla innanzi a lui si formò una sfera nerissima vorticante nell’aria. – Questa è Moloka, la sfera dei maghi neri. L’assenza di luce può vincere ogni elemento, te lo dimostro. Strinse quindi il pugno con evidente sforzo, mentre allo stesso tempo la sfera pareva rimpicciolirsi, e proprio mentre il piccolo golem di fango e pietra rientrava con altre ciotole Goterius aprì velocemente il palmo schiudendo tutte le dita all’unisono, azione che proiettò la sfera oscura fuori dalla finestrella rotonda della capanna facendola deflagrare contro un robusto masso addormentatosi eoni orsono nel centro della palude. Un rumore distorto e sordo fece seguito, rincorso a breve distanza da quello dello stesso masso che cadeva molti metri più in la in tanti pezzi.
- Stupefacente, non c’è che dire. Ma ditemi, nero tra i maghi, perché un già così valente stregone ha bisogno proprio della mia arte per combattere nelle guerre degli umani?
- Questo perché la magia oscura è assai dispendiosa, dominare il vuoto tenebroso richiede grande sforzo e nell'arco di molti minuti non ne potrò creare un’altra simile. Mentre la terra si manipola con meno sforzo e ugualmente buca anche le corazze forgiate dai fabbri della gente bassa.
- Ciò che dici è vero – si trovò d’accordo Terricus – e messosi in ginocchio appoggio una mano per terra pronunciando con le labbra praticamente serrate una breve formula sconosciuta, e subito un onda calda avvolse il terreno percorrendolo in ogni sua fibra, per sbucare come una spira rocciosa acuminata qualche metro in la, trafiggendo nel centro un vecchio calderone arrugginito.
– Governare le rocce come armi, come vedi, non ti sarà facile, e anche la magia che sfrutta il regno vegetale non è da meno, poiché pretende l’elemento che fu dei mari. – Dopodiché si rimise a sedere riavvolgendosi nella mantellina. – Devi anche sapere che non tutti sanno governare le magie degli elementi, e essere in grado di manipolare l’assenza di luce e i suoi portali non implica che idro e geo ti ubbidiranno.
Goterius si fece pensoso anch'esso, e per un po’ non rispose. Poco dopo stringendo il pugno guantato di nero si volse all’eremita e con gli occhi socchiusi affermò che – voi avete ragione – e con sguardo fermo più che mai aggiunse – ma lasciate che io provi, il talento non mi manca, e questo aiutante che mi porto appresso, Tiberius – dicendo questo lo indicò come si indica al dispensiere un sacco di patate – questo aiutante conosce per certo entrambe le arti, poiché figlio di un mago silvano di Oltrebosco.
A queste parole Terricus non aggiunse altro, e alzatosi sulle corte gambine chiamò a se il golem e fece cenno ai due maghi erranti di seguirlo.
- Presto il mio golem palustre ci servirà del buon cibo, intanto ristoratevi e fumate
- Ti ringrazio Terricus – rispose Goterius – la tua ospitalità ci onora, e più onore ancora mi darebbero i tuoi segreti.
- Non ora! Non adesso! – eruppe Terricus – prima dobbiamo riposare, riposare e nutrirci.
Tiberius e Goterius si guardarono in viso, ovviamente non come due complici, né come due che si trovino per un attimo a provare la stessa emozione: Goterius era semplicemente incollerito per la reazione soddisfatta di Tiberius alle parole dell’eremita, e Tiberius, appunto, si guardava bene dal nasconderlo e anzi, adagiatosi più vicino al fuocherello prese a stiracchiarsi con tanto piacere da sembrare si fosse persino dimenticato dell’odore marcescente di quanto vi bruciava dentro.
Poco dopo il golem fangoso si avvicino al centro della stanza, con i suoi occhietti verdi e la sua andatura dinoccolata, recando con se diverse ciotole adagiate su un vassoio di pietra, alcune tazze e delle piante essiccate. Poi si fece da parte, sparendo chissà dove.
Dopo il banchetto frugale Terricus si accese un’altra pipa ancora più grossa della precedente, e toltesi le scarpine di erbe intrecciate si adagiò su una fascina di rametti mollicci. Sembrava molto avanti con l’età. Sotto gli occhi gonfi aveva una protuberanza rossastra che un tempo doveva essere stato un naso, e la sua boccaccia tutta storta da un lato mentre parlava si apriva talmente poco da dare l’impressione che ci tenesse qualcosa pronto a scappar via
- Come mi avete trovato?
Goterius finì di pulirsi la bocca con un panno da viaggio e diede un’occhiata di sbieco all'interlocutore, dopodiché rispose: - Abbiamo seguito le antiche mura di Cristallia che partono dalle pendici del monte Vector. Da lì i contadini rupestri delle alture ci hanno indicato il luogo delle rovine. Una volta giunti nelle macerie delle vecchie città montane trovare l’ingresso del tunnel oscuro non è stato facile. Alcuni predoni del sud erano accampati nelle praterie adiacenti, loro ci hanno dato qualche indizio raccolto nell'aver precedentemente esplorato la zona. Ovviamente l’intenzione iniziale da parte loro era un’altra, ma dopo il mio intervento sono scesi a più miti trattative.
Intanto Tiberius mangiucchiava ricordandosi le terribili mazzate prese da quei ladroni, e come il ritrovamento del tunnel fosse stato del tutto casuale.
– Una volta imboccata la via buia giungere fino a qui non è stato semplice - continuò Goterius - , più volte ho avuto il presagio che delle creature ci osservassero, e come sai al limitare della palude interna il tuo servitore ci ha aggrediti. Mi chiedevo a proposito quando se ne andrà questo fungo dal mio naso – e nel dire questo controllò bene che Tiberius non osasse sghignazzare.
- Le creature che avete presagito nel tunnel sono reali. I figli della terra hanno sempre fame, ma il vostro fuoco li intimorisce – questa fu la risposta di Terricus, che ignorò completamente il naso del mago nero.
- Per le vette immacolate, di che creature si tratta? Certo se dobbiamo riattraversare quel posto sarà bene saperne di più – chiese preoccupato Tiberius
- Credevo fossi troppo impegnato a ingozzarti per preoccuparti della tua vita – disse girandosi Goterius –, ma in effetti saperne di più non ci nuocerebbe. Anzi, se come dite voi essi sono pericolosi…
Terricus si fece silenzioso.
- Ne parleremo quando verrà l’ora. Ora ditemi, Goterius, pensate di essere in grado di apprendere la mia scuola?
- Maneggio già gli elementi e qualche magia oscura, ma solo l’arte della terra è davvero efficace contro l’acciaio degli uomini venuti da est, e io certo posso ottenerne la sapienza.
- Se davvero è come dite mostratemi cosa sapete fare, dopodiché giudicherò.
Quindi Goterius, senza nessuna preparazione che non fosse quella di alzarsi in piedi, allungo una mano, e dal nulla innanzi a lui si formò una sfera nerissima vorticante nell’aria. – Questa è Moloka, la sfera dei maghi neri. L’assenza di luce può vincere ogni elemento, te lo dimostro. Strinse quindi il pugno con evidente sforzo, mentre allo stesso tempo la sfera pareva rimpicciolirsi, e proprio mentre il piccolo golem di fango e pietra rientrava con altre ciotole Goterius aprì velocemente il palmo schiudendo tutte le dita all’unisono, azione che proiettò la sfera oscura fuori dalla finestrella rotonda della capanna facendola deflagrare contro un robusto masso addormentatosi eoni orsono nel centro della palude. Un rumore distorto e sordo fece seguito, rincorso a breve distanza da quello dello stesso masso che cadeva molti metri più in la in tanti pezzi.
- Stupefacente, non c’è che dire. Ma ditemi, nero tra i maghi, perché un già così valente stregone ha bisogno proprio della mia arte per combattere nelle guerre degli umani?
- Questo perché la magia oscura è assai dispendiosa, dominare il vuoto tenebroso richiede grande sforzo e nell'arco di molti minuti non ne potrò creare un’altra simile. Mentre la terra si manipola con meno sforzo e ugualmente buca anche le corazze forgiate dai fabbri della gente bassa.
- Ciò che dici è vero – si trovò d’accordo Terricus – e messosi in ginocchio appoggio una mano per terra pronunciando con le labbra praticamente serrate una breve formula sconosciuta, e subito un onda calda avvolse il terreno percorrendolo in ogni sua fibra, per sbucare come una spira rocciosa acuminata qualche metro in la, trafiggendo nel centro un vecchio calderone arrugginito.
– Governare le rocce come armi, come vedi, non ti sarà facile, e anche la magia che sfrutta il regno vegetale non è da meno, poiché pretende l’elemento che fu dei mari. – Dopodiché si rimise a sedere riavvolgendosi nella mantellina. – Devi anche sapere che non tutti sanno governare le magie degli elementi, e essere in grado di manipolare l’assenza di luce e i suoi portali non implica che idro e geo ti ubbidiranno.
Goterius si fece pensoso anch'esso, e per un po’ non rispose. Poco dopo stringendo il pugno guantato di nero si volse all’eremita e con gli occhi socchiusi affermò che – voi avete ragione – e con sguardo fermo più che mai aggiunse – ma lasciate che io provi, il talento non mi manca, e questo aiutante che mi porto appresso, Tiberius – dicendo questo lo indicò come si indica al dispensiere un sacco di patate – questo aiutante conosce per certo entrambe le arti, poiché figlio di un mago silvano di Oltrebosco.
A queste parole Terricus non aggiunse altro, e alzatosi sulle corte gambine chiamò a se il golem e fece cenno ai due maghi erranti di seguirlo.
6.
- Ora concentrati sul terreno sotto la tua mano e infondi la magia per comandarlo – Inginocchiato accanto Tiberius il vecchio eremita recitava i passi del suo insegnamento, mentre poco più in la Goterius, confuso nelle nebbie miasmatiche di quel luogo, osservava tetramente come un grande felino corrucciato.
Dopo diversi giorni di addestramento nella valle sommersa era evidente l’incapacità di Goterius nell'esercitare il potere della terra; al contrario Tiberius era da subito apparso in grado, una volta recitate le dovute formule, di sprigionarne il potere con assoluta naturalezza.
Alto, magrissimo e dall'espressione assente, l’apprendista errante proveniva da una terra boscosa oltre i confini degli imperi centrali, nel suo sangue scorrevano generazioni di maghi silvani, e benché fosse all'inizio di un addestramento che sarebbe durato anni ogni cosa lasciava presagire la sua futura grandezza.
- Rilascia la presa e il tuo volere fusosi con la terra si compirà in base alla magia usata - diceva lui Terricus
E immediatamente una grossa spira di roccia appuntita emerse poderosa dal terreno, lanciandosi come un dente della terra verso l’alto a una velocità devastante. Ma lontano dal bersaglio di almeno 4 metri, e leggermente inclinata.
- No, no! Manda la tua volontà verso il bersaglio e mantieni la mente sgombra da ogni pensiero
- Nel recitare la formula fatico a tenere in mente il bersaglio - disse Tiberius - e la vista in questo luogo non mi è da grande aiuto. A malapena vedo voi maestro eremita, eppure siete a qualche passo.
- Sì sì va bene – bofonchiò Terricus con lo sguardo rivolto a sondare le nebbie. Ora riproviamo con un bersaglio più grande. – Vieni qui golem, infilati laggiù e sta fermo vicino a quel palo.
- Non possiamo restare qui per sempre – li interruppe Goterius –, in questo luogo non ho più nulla da fare, e qualsiasi esercizio può essere svolto alla luce del sole.
- Il ragazzo ha bisogno della mia guida Goterius, e della tua per ripercorrere il tunnel. Porta pazienza e..
- Ho avuto fin troppa pazienza, oggi stesso lascerò questo luogo nefasto. Se le vie della terra non attraversano il mio fato allora spingerò la mia conoscenza verso altre arti occulte. E questo cammino inizierà appena sarò uscito da questo inferno roccioso.
- Il mio maestro deve seguire la sua via – intervenne Tiberius – e dopotutto ora, con le formule da me imparate, qualsiasi luogo può essere la mia palude, e ogni mio ricordo l’eremita che guida i miei gesti. Saggio Terricus, mi avete introdotto alla magia, ma il Nero è la mia guida, e poi senza di lui non riuscirei mai a tornare in superficie.
Il vecchio si incupì a queste parole, da anni non giungevano aspiranti geomanti - specie di così dotati come l'apprendista di Goterius - e le ansie accumulate in una vita sotterranea avevano avuto sfogo attraverso la guida del giovane inesperto.
- E sia! Dirò a golem di prepararvi delle erbe da mangiare lungo il viaggio. Ma siate prudenti, ciò che ha temuto il fuoco una volta non lo farà per sempre.
Dopo aver recuperato ognuno i suoi averi Tiberius e Goterius consumarono un breve pasto, inconsapevoli di che ora fosse nel mondo sovrastante. Terricus li istruì ancora una volta sulle presenze che abitavano la parte rocciosa del tunnel, e con pochi gesti furono pronti a partire.
Il muto golem e l’eremita sbuffante li condussero fino ai confini delle pozze sotterranee, dopo le quali un grande mantello di ombra scese sulla via, che allontanandosi dalla piccola oasi illuminata si perdeva in dimensioni desolate. Tiberius si girò un’ultima volta, e i bagliori baluginanti lontani dietro di loro parvero schiacciati nella gigantesca morsa di una mano d’ombra, così stretta da farne un puntino, e poi nulla più.
- Spero riescano a uscire da questo luogo – mormorò Terricus –, io non ne sono mai stato capace.
Alto, magrissimo e dall'espressione assente, l’apprendista errante proveniva da una terra boscosa oltre i confini degli imperi centrali, nel suo sangue scorrevano generazioni di maghi silvani, e benché fosse all'inizio di un addestramento che sarebbe durato anni ogni cosa lasciava presagire la sua futura grandezza.
- Rilascia la presa e il tuo volere fusosi con la terra si compirà in base alla magia usata - diceva lui Terricus
E immediatamente una grossa spira di roccia appuntita emerse poderosa dal terreno, lanciandosi come un dente della terra verso l’alto a una velocità devastante. Ma lontano dal bersaglio di almeno 4 metri, e leggermente inclinata.
- No, no! Manda la tua volontà verso il bersaglio e mantieni la mente sgombra da ogni pensiero
- Nel recitare la formula fatico a tenere in mente il bersaglio - disse Tiberius - e la vista in questo luogo non mi è da grande aiuto. A malapena vedo voi maestro eremita, eppure siete a qualche passo.
- Sì sì va bene – bofonchiò Terricus con lo sguardo rivolto a sondare le nebbie. Ora riproviamo con un bersaglio più grande. – Vieni qui golem, infilati laggiù e sta fermo vicino a quel palo.
- Non possiamo restare qui per sempre – li interruppe Goterius –, in questo luogo non ho più nulla da fare, e qualsiasi esercizio può essere svolto alla luce del sole.
- Il ragazzo ha bisogno della mia guida Goterius, e della tua per ripercorrere il tunnel. Porta pazienza e..
- Ho avuto fin troppa pazienza, oggi stesso lascerò questo luogo nefasto. Se le vie della terra non attraversano il mio fato allora spingerò la mia conoscenza verso altre arti occulte. E questo cammino inizierà appena sarò uscito da questo inferno roccioso.
- Il mio maestro deve seguire la sua via – intervenne Tiberius – e dopotutto ora, con le formule da me imparate, qualsiasi luogo può essere la mia palude, e ogni mio ricordo l’eremita che guida i miei gesti. Saggio Terricus, mi avete introdotto alla magia, ma il Nero è la mia guida, e poi senza di lui non riuscirei mai a tornare in superficie.
Il vecchio si incupì a queste parole, da anni non giungevano aspiranti geomanti - specie di così dotati come l'apprendista di Goterius - e le ansie accumulate in una vita sotterranea avevano avuto sfogo attraverso la guida del giovane inesperto.
- E sia! Dirò a golem di prepararvi delle erbe da mangiare lungo il viaggio. Ma siate prudenti, ciò che ha temuto il fuoco una volta non lo farà per sempre.
Dopo aver recuperato ognuno i suoi averi Tiberius e Goterius consumarono un breve pasto, inconsapevoli di che ora fosse nel mondo sovrastante. Terricus li istruì ancora una volta sulle presenze che abitavano la parte rocciosa del tunnel, e con pochi gesti furono pronti a partire.
Il muto golem e l’eremita sbuffante li condussero fino ai confini delle pozze sotterranee, dopo le quali un grande mantello di ombra scese sulla via, che allontanandosi dalla piccola oasi illuminata si perdeva in dimensioni desolate. Tiberius si girò un’ultima volta, e i bagliori baluginanti lontani dietro di loro parvero schiacciati nella gigantesca morsa di una mano d’ombra, così stretta da farne un puntino, e poi nulla più.
- Spero riescano a uscire da questo luogo – mormorò Terricus –, io non ne sono mai stato capace.
7.
Marciavano da un paio d’ore quando qualcosa rotolo a breve distanza davanti a loro. Subito Goterius fece divampare la fiamma a grande altezza per indagare le tenebre, mentre Tiberius, ora più sicuro nei suoi mezzi, piegato in avanti ascoltava il terreno. Il fuoco abbagliante rivelò un’apertura laterale molto profonda, mentre più in la le rocce proiettavano ombre tremolanti che scacciate dalla luce fremevano per riunirsi, come fossero un unico essere scomposto in più parti.
- Nello scendere in questi luoghi non avevo notato questa apertura, voi maestro?
Goterius non disse niente, abbassò l’intensità della fiamma esploratrice e si aggiustò il mantello.
- Proseguiamo, ma teniamoci pronti con le arti. Ho avvertito qualcosa prima, anche se adesso qui non vi è più nulla.
Così avanzarono rapidamente nel tunnel roccioso, veloci nello stretto e con maggiore prudenza nei tratti dove si allargava. Spinti dal desiderio di evadere da un così incombente luogo, e spronati da una paura silente che li accerchiava – seppure finora motivata da semplici impressioni – e ne aumentava il passo costantemente. Più avanti, nel punto in cui i lati della caverna si sfioravano creando uno stretto pertugio, i loro visi furono addolciti da una fresca corrente d’aria in corsa verso le profondità interne, come risucchiata da un poderoso stomaco situato oltre le paludi abissali già vistate.
Entrambi poterono vedere distintamente nelle loro menti, seppure ancora lontani dall'uscita, i campi da cui quell'aria proveniva, traendone nuova linfa e desiderio di giungere all'aperto.
- Ancora un’ora di marcia e saremo fuori – disse poco dopo Goterius – Ricordi il sentiero che porta al lago? Se il sole è già tramontato ci dirigeremo lì a passare la notte, in caso contrario ci spingeremo fino al passo montano e oltre ancora. Non voglio sostare a lungo tra queste montagne.
- Ricordo il sentiero. Ma dite, maestro, non vi sembra di essere seguito da qualcosa?
- Certo che sì, qualcosa che davvero non ho idea da dove sia uscita. Da te.
- Non scherzate su di me, in fondo ora sono un geomago, no? o almeno lo diventerò. Ma io intendevo altro, come se…
- Sì, so cosa intendi. Anche io ho avuto la tua stessa impressione. Ma questo luogo inganna i sensi, e inoltre tra poco ne saremo usciti. Qualsiasi cosa abiti entro queste mura, se avesse un po’ di cervello, ci avrebbe attaccato negli spazi profondi, dove i cunicoli laterali ci avrebbero confuso e smarrito per sempre.
- Lo penso anche io maestro, eppure sarà meglio sbrigarsi davvero. Se anche mi inganno sarò tranquillo solo altrove. – E senza dire altro si inerpicarono nell'ultimo tratto in salita con aumentato fervore.
Ansimanti giunsero infine in cima al tratto finale dell’arrampicata, dove l’ingresso circolare sorretto da colonne scolpite nella roccia si apriva in un pallido mattino già scorto da alcuni minuti. Attraversato di corsa il pavimento composto da blocchi di granito perfettamente incastrati, opera di una civiltà da tempo scomparsa in quella parte del mondo, senza esitare si spinsero fuori ad abbracciare l’aria aperta, e l’alto cielo sulle loro teste.
- Il sole è appena sorto, non c’è tempo per riposare dunque, questi luoghi sono battuti da lestofanti di ogni sorta - disse Goterius col viso rivolto verso l’alto. Poi, come già stanco del calore solare, si avvolse la testa nel grande cappuccio e fece gesto di seguirlo.
- Certo per lui grotta o cielo devono essere la stessa cosa – pensò Tiberius – che non fece in tempo ad aprir bocca prima che qualcun altro lo facesse per lui
- Nello scendere in questi luoghi non avevo notato questa apertura, voi maestro?
Goterius non disse niente, abbassò l’intensità della fiamma esploratrice e si aggiustò il mantello.
- Proseguiamo, ma teniamoci pronti con le arti. Ho avvertito qualcosa prima, anche se adesso qui non vi è più nulla.
Così avanzarono rapidamente nel tunnel roccioso, veloci nello stretto e con maggiore prudenza nei tratti dove si allargava. Spinti dal desiderio di evadere da un così incombente luogo, e spronati da una paura silente che li accerchiava – seppure finora motivata da semplici impressioni – e ne aumentava il passo costantemente. Più avanti, nel punto in cui i lati della caverna si sfioravano creando uno stretto pertugio, i loro visi furono addolciti da una fresca corrente d’aria in corsa verso le profondità interne, come risucchiata da un poderoso stomaco situato oltre le paludi abissali già vistate.
Entrambi poterono vedere distintamente nelle loro menti, seppure ancora lontani dall'uscita, i campi da cui quell'aria proveniva, traendone nuova linfa e desiderio di giungere all'aperto.
- Ancora un’ora di marcia e saremo fuori – disse poco dopo Goterius – Ricordi il sentiero che porta al lago? Se il sole è già tramontato ci dirigeremo lì a passare la notte, in caso contrario ci spingeremo fino al passo montano e oltre ancora. Non voglio sostare a lungo tra queste montagne.
- Ricordo il sentiero. Ma dite, maestro, non vi sembra di essere seguito da qualcosa?
- Certo che sì, qualcosa che davvero non ho idea da dove sia uscita. Da te.
- Non scherzate su di me, in fondo ora sono un geomago, no? o almeno lo diventerò. Ma io intendevo altro, come se…
- Sì, so cosa intendi. Anche io ho avuto la tua stessa impressione. Ma questo luogo inganna i sensi, e inoltre tra poco ne saremo usciti. Qualsiasi cosa abiti entro queste mura, se avesse un po’ di cervello, ci avrebbe attaccato negli spazi profondi, dove i cunicoli laterali ci avrebbero confuso e smarrito per sempre.
- Lo penso anche io maestro, eppure sarà meglio sbrigarsi davvero. Se anche mi inganno sarò tranquillo solo altrove. – E senza dire altro si inerpicarono nell'ultimo tratto in salita con aumentato fervore.
Ansimanti giunsero infine in cima al tratto finale dell’arrampicata, dove l’ingresso circolare sorretto da colonne scolpite nella roccia si apriva in un pallido mattino già scorto da alcuni minuti. Attraversato di corsa il pavimento composto da blocchi di granito perfettamente incastrati, opera di una civiltà da tempo scomparsa in quella parte del mondo, senza esitare si spinsero fuori ad abbracciare l’aria aperta, e l’alto cielo sulle loro teste.
- Il sole è appena sorto, non c’è tempo per riposare dunque, questi luoghi sono battuti da lestofanti di ogni sorta - disse Goterius col viso rivolto verso l’alto. Poi, come già stanco del calore solare, si avvolse la testa nel grande cappuccio e fece gesto di seguirlo.
- Certo per lui grotta o cielo devono essere la stessa cosa – pensò Tiberius – che non fece in tempo ad aprir bocca prima che qualcun altro lo facesse per lui
- E così è qui che vi eravate infilati, cane di un mago col tuo aiutante cencioso – Un uomo alto e robusto, vestito dentro una robusta armatura a scaglie e un elmo squadrato che lasciava intravedere solo la bocca, agitava il pugno da sopra una grande quercia poco distante dallo spiazzo dove gli avventurieri erano usciti al sole, e appena se ne scese altri sgherri del suo pari si fecero largo tra le verdi siepi che circondavano quel luogo.
- Sapevo appena vi ho visto girare da queste parti che eravate due pazzi - aggiunse ancora quello che sembrava proprio un capitano dei briganti di quelle zone - ma rifugiarsi addirittura nella grotta senza fondo, tana di abominevoli creature, fa di voi due perfetti esempi di matti da legare. Ma ora non pensiamoci più, dico bene ragazzi? – e con gran vocioni assai poco rassicuranti gli altri ladroni innalzarono un gran baccano ed estrassero dei coltellacci. Anche se nel dire questo il gigante in armatura era parso piuttosto nervoso, tanto da tralasciare alcuni dettagli, o non notarli affatto.
- Come ti dicevo prima che fuggiste, quegli stivali che hai mi donerebbero molto, perché non lasci che li provi? - riprese a berciare il capo-brigante
- Ho paura che dovrai essere un po’ più convincente di cosi, cane randagio dei monti, per prenderti in miei stivali – e subito Goterius, allontanandosi di qualche passo da Tiberius, si avvicinò alla parete di modo da avere le spalle coperte e, alzata la mano e sussurrata una litania oscura formò una sfera nera che lanciò verso il più vicino dei ladroni, che ne fu sradicato da terra per piombare addosso a uno dei suoi fratelli ladri, con il ventre sfondato e gli occhi bianchi rivolti al cielo, mentre l’aria si contorceva deformandosi e strappando pezzi di tessuto dai due scagliati indietro – Non farli avvicinare, Tiberius!
Tiberius che aveva ripetuto tra se e se le formule da poco apprese, da quando avevano lasciato l’eremo fino all'incontro con i briganti, ora ricordava a malapena chi fosse, e l’unica cosa che gli riuscì di fare fu estrarre una manciata di polvere magica e gettarla contro gli assalitori. Lo fece senza recitare alcuna formula.
- Rafandal gothel clurus! – disse Goterius rivolto alla pugna tendendo l’altra mano, ancora appoggiato al muro, e immediatamente due grosse saette fecero sprofondare l’apertura davanti il tunnel in un caos di luce e rumore, finiti i quali due briganti giacevano carbonizzati in terra, mentre Tiberius strisciava biascicando parole confuse verso l’ingresso.
Tossendo per il gran polverone il capo dei lestofanti sguainò la sua scimitarra possente.
– Portatemi quei due maghi da osteria o vi metto tutti allo spiedo.
E ancora confusi e barcollanti per l’accaduto gli sgherri si fecero avanti.
- Sapevo appena vi ho visto girare da queste parti che eravate due pazzi - aggiunse ancora quello che sembrava proprio un capitano dei briganti di quelle zone - ma rifugiarsi addirittura nella grotta senza fondo, tana di abominevoli creature, fa di voi due perfetti esempi di matti da legare. Ma ora non pensiamoci più, dico bene ragazzi? – e con gran vocioni assai poco rassicuranti gli altri ladroni innalzarono un gran baccano ed estrassero dei coltellacci. Anche se nel dire questo il gigante in armatura era parso piuttosto nervoso, tanto da tralasciare alcuni dettagli, o non notarli affatto.
- Come ti dicevo prima che fuggiste, quegli stivali che hai mi donerebbero molto, perché non lasci che li provi? - riprese a berciare il capo-brigante
- Ho paura che dovrai essere un po’ più convincente di cosi, cane randagio dei monti, per prenderti in miei stivali – e subito Goterius, allontanandosi di qualche passo da Tiberius, si avvicinò alla parete di modo da avere le spalle coperte e, alzata la mano e sussurrata una litania oscura formò una sfera nera che lanciò verso il più vicino dei ladroni, che ne fu sradicato da terra per piombare addosso a uno dei suoi fratelli ladri, con il ventre sfondato e gli occhi bianchi rivolti al cielo, mentre l’aria si contorceva deformandosi e strappando pezzi di tessuto dai due scagliati indietro – Non farli avvicinare, Tiberius!
Tiberius che aveva ripetuto tra se e se le formule da poco apprese, da quando avevano lasciato l’eremo fino all'incontro con i briganti, ora ricordava a malapena chi fosse, e l’unica cosa che gli riuscì di fare fu estrarre una manciata di polvere magica e gettarla contro gli assalitori. Lo fece senza recitare alcuna formula.
- Rafandal gothel clurus! – disse Goterius rivolto alla pugna tendendo l’altra mano, ancora appoggiato al muro, e immediatamente due grosse saette fecero sprofondare l’apertura davanti il tunnel in un caos di luce e rumore, finiti i quali due briganti giacevano carbonizzati in terra, mentre Tiberius strisciava biascicando parole confuse verso l’ingresso.
Tossendo per il gran polverone il capo dei lestofanti sguainò la sua scimitarra possente.
– Portatemi quei due maghi da osteria o vi metto tutti allo spiedo.
E ancora confusi e barcollanti per l’accaduto gli sgherri si fecero avanti.
- La polvere, presto! – urlò Goterius -
- Mestro, dove siete – Goterius gli stava proprio davanti – non la trovo, è finita!
E le lame già ridevano mortifere davanti agli occhi di Tiberius quando qualcosa uscì dalla caverna.
Un grosso Troll abissale completamente bianco e glabro fece saettare i suoi maligni occhi rossi agitando i suoi artigli affilati sugli uomini che aveva davanti, facendone brandelli. Emettendo un urlo terrificante si lanciò poi verso il capo banda e i suoi uomini rimasti attoniti a osservare la scena.
- Per il regno del caos! Un troll abissale affamato – esclamò Goterius, come il suo spaventato compagno appiattito contro i lati dell’ingresso. Leviamoci da qui prima che ci veda.
- Indietro, indietro! – balbettò il grande capo banda, prima che la sua testa se ne volasse via e continuasse a muovere la bocca. – Via di qui! – fecero coro gli altri, e tra urla e scalpitii si ributtarono tra la macchia verde, ognuno per se, come tante anime disperse dal vento.
Il grosso troll ne inseguì un paio e sparì anche lui tra le fronde.
- Presto, leviamoci come saette – detto ciò Goterius tirò su Tiberius per una spalla e lo trascinò verso le pendici del monte, dove un bosco di aghiformi si arrampicava in alto. – Prima che finisca la sua caccia dobbiamo sparire, sbrigati buono a nulla di un geomante.
Mentre salivano verso il bosco sospeso tra la valle e le cime, in un tappeto di erbacce e fiori di campo, si voltarono a osservare la scena e a occhi sgranati osservavano la feroce creatura inseguirli a gran velocità, inzuppata di sangue su tutta l’oscenità del suo corpo muscoloso, che sul bianco acceso della sua pelle creava un terrificante vessillo demoniaco.
- Dannazione! La polvere!
- È finita maestro, l’ho persa tutta poco fa
- Usa le geomagia mentre cerco di chiamare a me le oscure forze!
La creatura era a poco meno di 20 metri, e subito Tiberius, tremante come le piante spostate dall’avanzata di quel Troll abissale, si chinò avanti tastando il terreno
- Usa le spire!
- Spira spiralis terricus! – Ma non successe niente, anzi, non è esatto. Poco più in la una pigna cadde rotolando su delle foglie secche.
- Maestro non riesco!
- Ak tak niagh tieppis! – rombò Goterius, mentre l’aria intorno alla sua persona friggeva in rivoli tenebrosi, e una mano artigliata spirgionante una luce violacea uscì da un’oscura porticina creatasi dalla terra innanzi a loro, afferrò con gran forza la zampa del troll e lo fece inciampare.
- Non ho forze per aprire il portale dei neri spazi esterni più di così, colpiscilo ora che è trattenuto dal demone del portale!
E Tiberius nuovamente piegato in avanti poggiò la mano in terra e recitò la formula, cercando di ricordare il più lucidamente possibile gli insegnamenti del geoeremita: visualizza il bersaglio nella tua mente, fonditi con la terra, sprigiona la sua forza attraverso di te.
Provò a farlo con l’immonda bestia davanti agli occhi, che tra grida d’altri mondi fendeva l’aria e offendeva il creato, protendendosi rabbioso per sfuggire alla morsa venuta da altre dimensioni.
E poi Tiberius lo fece.
- Spira spiralis terricus!
Una grossa spira argillosa si slanciò dal terreno penetrando nelle carni oscene del troll abissale, poi si divise in tre spaccandone l’addome e facendone due parti, che fluttuarono per un po’ nel vuoto per poi ricadere in terra. Una pozza di sangue bluastro iniziò ad allargarsi, e il silenzio cadde come un velo antico in quell'isola di follia nel mare erboso della foresta.
La creatura dilaniata era ora immobile.
- L’ho ucciso, l’ho ucciso con la geomagia!
- Sembrerebbe di sì, Tiberius. Sembrerebbe proprio di sì. Ora vieni, prima che ne escano altri sarà meglio allontanarsi.
- Ma... dove? - chiese ancora incredulo Tiberius
- Ho sentito che oltre queste vette vive un altro eremita esperto nelle magie aeree. Certo sarà meglio aspettare un po’ prima di arrivarci, ma del resto il viaggio non sarà breve, e prima di raggiungerlo questo maledetto fungo sarà sparito dal mio naso.
Senza ulteriore indugio si gettarono nel bosco adiacente, allontanandosi in fretta dal luogo della loro prima battaglia.
- Mestro, dove siete – Goterius gli stava proprio davanti – non la trovo, è finita!
E le lame già ridevano mortifere davanti agli occhi di Tiberius quando qualcosa uscì dalla caverna.
Un grosso Troll abissale completamente bianco e glabro fece saettare i suoi maligni occhi rossi agitando i suoi artigli affilati sugli uomini che aveva davanti, facendone brandelli. Emettendo un urlo terrificante si lanciò poi verso il capo banda e i suoi uomini rimasti attoniti a osservare la scena.
- Per il regno del caos! Un troll abissale affamato – esclamò Goterius, come il suo spaventato compagno appiattito contro i lati dell’ingresso. Leviamoci da qui prima che ci veda.
- Indietro, indietro! – balbettò il grande capo banda, prima che la sua testa se ne volasse via e continuasse a muovere la bocca. – Via di qui! – fecero coro gli altri, e tra urla e scalpitii si ributtarono tra la macchia verde, ognuno per se, come tante anime disperse dal vento.
Il grosso troll ne inseguì un paio e sparì anche lui tra le fronde.
- Presto, leviamoci come saette – detto ciò Goterius tirò su Tiberius per una spalla e lo trascinò verso le pendici del monte, dove un bosco di aghiformi si arrampicava in alto. – Prima che finisca la sua caccia dobbiamo sparire, sbrigati buono a nulla di un geomante.
Mentre salivano verso il bosco sospeso tra la valle e le cime, in un tappeto di erbacce e fiori di campo, si voltarono a osservare la scena e a occhi sgranati osservavano la feroce creatura inseguirli a gran velocità, inzuppata di sangue su tutta l’oscenità del suo corpo muscoloso, che sul bianco acceso della sua pelle creava un terrificante vessillo demoniaco.
- Dannazione! La polvere!
- È finita maestro, l’ho persa tutta poco fa
- Usa le geomagia mentre cerco di chiamare a me le oscure forze!
La creatura era a poco meno di 20 metri, e subito Tiberius, tremante come le piante spostate dall’avanzata di quel Troll abissale, si chinò avanti tastando il terreno
- Usa le spire!
- Spira spiralis terricus! – Ma non successe niente, anzi, non è esatto. Poco più in la una pigna cadde rotolando su delle foglie secche.
- Maestro non riesco!
- Ak tak niagh tieppis! – rombò Goterius, mentre l’aria intorno alla sua persona friggeva in rivoli tenebrosi, e una mano artigliata spirgionante una luce violacea uscì da un’oscura porticina creatasi dalla terra innanzi a loro, afferrò con gran forza la zampa del troll e lo fece inciampare.
- Non ho forze per aprire il portale dei neri spazi esterni più di così, colpiscilo ora che è trattenuto dal demone del portale!
E Tiberius nuovamente piegato in avanti poggiò la mano in terra e recitò la formula, cercando di ricordare il più lucidamente possibile gli insegnamenti del geoeremita: visualizza il bersaglio nella tua mente, fonditi con la terra, sprigiona la sua forza attraverso di te.
Provò a farlo con l’immonda bestia davanti agli occhi, che tra grida d’altri mondi fendeva l’aria e offendeva il creato, protendendosi rabbioso per sfuggire alla morsa venuta da altre dimensioni.
E poi Tiberius lo fece.
- Spira spiralis terricus!
Una grossa spira argillosa si slanciò dal terreno penetrando nelle carni oscene del troll abissale, poi si divise in tre spaccandone l’addome e facendone due parti, che fluttuarono per un po’ nel vuoto per poi ricadere in terra. Una pozza di sangue bluastro iniziò ad allargarsi, e il silenzio cadde come un velo antico in quell'isola di follia nel mare erboso della foresta.
La creatura dilaniata era ora immobile.
- L’ho ucciso, l’ho ucciso con la geomagia!
- Sembrerebbe di sì, Tiberius. Sembrerebbe proprio di sì. Ora vieni, prima che ne escano altri sarà meglio allontanarsi.
- Ma... dove? - chiese ancora incredulo Tiberius
- Ho sentito che oltre queste vette vive un altro eremita esperto nelle magie aeree. Certo sarà meglio aspettare un po’ prima di arrivarci, ma del resto il viaggio non sarà breve, e prima di raggiungerlo questo maledetto fungo sarà sparito dal mio naso.
Senza ulteriore indugio si gettarono nel bosco adiacente, allontanandosi in fretta dal luogo della loro prima battaglia.
martedì 8 ottobre 2013
L'errore
1
Bicchieri era una ragazzo tranquillo, un poco testardo ma tranquillo. A volte, Bicchieri, scadeva nel fanatismo, in una qual certa ossessione per le cose: era quello che si suol dire un passionale. Detto ciò, e fatta un'alzatina di spalle, restava pur sempre un giovanotto tranquillo. In un appartamentino piccolo ma accogliente, ricevendo visite e recandosi a lavoro, esisteva tranquillamente in quella che potremmo definire, sempre che nessuno se ne dolga, una vita tranquilla.
Aveva un padre e una madre ma in questa storia non hanno parte. Aveva anche, in un certo senso, un cane. Un cane in carne e ossa che egli teneva come un figlio, che in tutto e per tutto girava per casa scodinzolando e mordicchiando cose. Ma anch'egli - il cane - in questa storia non avrà parte.
Parliamoci chiaro: l'unico che ha un ruolo in questa storia è Bicchieri. Ma è un ruolo sbagliato.
E così usciva, come escono di solito le cose, e andava in giro come una persona, tra amici e Re del quartiere, e parlava ora con questo e ora con quest'altro sempre sorridendo e annuendo con la testa, ma con in testa niente. Perché era un po' come se qualcosa non funzionasse.
Perché - aggiungo -, vedete, Bicchieri aveva nonostante tutto un problema di fondo, ossia gli restava difficile ben addentrarsi nel mondo. Faticava, diciamo, ad avere una normale rete di relazioni socio-umane. Ma non solo. Bicchieri faceva letteralmente una fatica dannata anche solo per riuscire a trovare interessanti gli altri. Insomma, voi direte: forse era troppo intelligente!
No, dico io: era solo un disadattato. Del resto l'intelligenza, se è superiore, fa si che ci si integri ovunque, comunque, e non si perda mai di vista la realtà delle cose. E la realtà delle cose è che sono maledettamente relative e brevi, cosicché una persona intelligente non possa esimersi dal buttarcisi.
Ora, come detto, Bicchieri era poco propenso a buttarsi, e di fatto se ne stava laggiù, nell'angolino delle cose accennate, vestito di ombre e borbottante.
Si diceva sempre che "magari un giorno...", e poi niente, nell'angolino. Tra le ombre, come un qualcosa, appunto, di sbagliato.
Una mattina d'estate si svegliò quasi infreddolito, aperse le imposte per osservare un cielo diafano, impallidito. E la realtà delle cose, ora, sembrava irreale, di quell'irrealtà che si coltiva nei sogni e nelle speranze. La città taceva salvo una sottile onda di tutto, come se un fischio magnetico emanasse dalle cose per non darla vinta al silenzio.
Si vestì e usci' per strada.
2
Sulla lunga prospettiva del marciapiede i viandanti erano come immobilizzati da un evento mostruoso, tanto che la prima reazione di Bicchieri fu di chiedersi se non fosse successo qualcosa e disse, impaurito, "magari è morto il Re!", ma poi si ricordò che un Re non c'era, né c'era forse mai stato, e in definitiva non gliene era mai interessato niente, e così riprese a camminare per capire, e si spinse oltre verso la fermezza innaturale delle genti vicine, e fece: "signori, cosa avete, cosa fate che non vi muovete?!", ed erano un uomo e una donna sulla trentina con bimbo nel passeggino in bella vista, e così com'erano stavano. Fermi. Zitti. E anzi, a sentir bene, e anche Bicchieri ascoltava ora con più attenzione, qualcosa pareva che dicessero. "Come dice, signora...?"
Ma non diceva proprio niente, solo apriva la bocca e usciva del fiato, come un lamento esausto o il rumore di un sonno accaldato. Neppure gli occhi osavano guardare, né si giravano né sembravano mettere a fuoco alcunché. E l'uomo uguale. Il bimbo, poi, niente, come se non ci fosse neanche.
Cosa succede, che avete? è successo qualcosa...
E via così, chiedendolo al prossimo e al prossimo ancora, e tutta la via, tutta la prospettiva geometrica del viale, tutto il carnaio delle persone vestite giaceva uguale e simile nel loro appena fiatare e non dire niente. Immobili, assenti, inermi.
E Bicchieri credette di impazzire.
Gira, gira la città, nelle sue luci e nei colori
girano anche gli orrori che sono nelle luci e nei colori
Vai, vai a spasso tra la gente
rechiamoci al corso e alle bancarelle
Andiamo al mercato che urla
al porto umido
Ai portici oscuri
giriamo ovunque
Come una ruota senza meta
che evita le buche sparse ovunque
Ma prima o poi si cade, si prende una buca
allora ci si ferma in attenzione, e ci si rende conto che siamo persi
E dopo aver girato tutti i luoghi che conosceva, tutte le strade e le piazze, i negozi e le vie, vide che ogni cosa era né più né meno come l'aveva avvertita fin dall'inizio: ferma e sospirante. E si chiese "non sarà una malattia?", o qualcosa del genere, del resto cosa volete che si chiedesse. Si è senz'altro chiesto qualcosa di simile, o forse no. Chi lo sa, volete che sappia qualcosa? Sciocchi.
E Bicchieri girava come girano le ruote senza senso dell'universo, intrappolato nel suo non capire. E pensava... ormai forse non pensava più, era nella fase in cui l'istinto sopraffatto dalla paura ci fa regredire a un'unica cosa, che si muove e avverte il presente nello stesso tempo. Così lui si muoveva elettrico per la sua città che era impazzita. E poi semplicemente toccò un seno, due, mangiò gratis a una bancarella, prese un paio di scarpe da una vetrina e fece sesso con la commessa.
Bicchieri capì che poteva fare quello che voleva come voleva, che l'umanità si era fermata di colpo come colta da una grande, un'enorme stanchezza che le lasciava spazio solo per restare in piedi ed emettere un flebile alito di vita cozzante sulle corde vocali. E lo fece senza più chiedersi cosa stesse succedendo o se fosse impazzito. Bicchieri si divertì come non aveva mai fatto. Si diverti per assenza. Degli altri.
E la giornata passò. Curvo con delle cose in mano e molte altre in testa s'era seduto su una panchina lontano dal corso in cui si era divertito, a ridosso del mare.
E poi successe, tutto ricominciò a muoversi, tutto si riaccese come prima, e come se niente fosse le persone ripresero il loro moto da un luogo all'altro continuando a fare quanto abbandonato prima dell'inconoscibile evento. E Bicchieri restò lì, improvvisamente terrorizzato - anche maggiormente di prima - che qualcuno potesse scoprire cosa aveva fatto, o peggio che nella loro immobilità lo avessero visto e ora sapessero.
Così si alzò di scatto e fuggì a casa. Vi restò per il resto del giorno.
La mattina dopo si alzò come sempre, sicuro che ciò che in precedenza era accaduto, ossia quello che stiamo raccontando, fosse un sogno. Uscì e andò a lavoro, e infatti tutto era come sempre, uguale e indistinto. I giovani ridevano, gli adulti parlavano: i vecchi sognavano cose al di la di un confine spaventoso, e tacevano. Le donne sbattevano i loro sederi dove capitava e spingevano i già rivoltevoli cuccioli della specie dentro astronavi opulente.
E Bicchieri lavorò e si riposò, poi lavorò ancora. In fondo faceva un bel lavoro, ma ciò nel racconto non trova posto. Poi accadde ancora, e tutto come intrappolato sotto un sudario di stanchezza si fermò, riprese l'immobilità delle cose antiche, e le persone - le donne, i vecchi, i giovani - smisero di vivere le loro sciocche vite e presero parte al ballo dell'immobilità sospirante. E furono solo rochi respiri, un rutto qua e la, i fischi delle piante. Le piante, si rese conto ora Bicchieri, stavano urlando.
Che fare? - "Cosa farò?"
Agì.
Ieri era durato un paio d'ore, oggi avrebbe fatto tutto in un'ora. Così tornò a divertirsi, con la commessa e con altre due, alla bottega dei sapori e in un negozio di elettronica, facendo in modo di sbrigarsi - era infatti costantemente insicuro - e portare a casa quanto voleva rubare. Ancora qualche toccatina in giro e poi, lontano dal luogo dei suoi misfatti, sedette ad aspettare. Come si aspettava allo scadere delle due ore tutto tornò come prima, proprio come se il tempo che noi intendiamo si fosse fermato e l'universo si fosse preso una pausa. "E gli aerei?" - pensò - "le navi e chi nuota in mare, e poi chi guidava in autostrada o correva per la sua vita, cosa ne è di tutti loro? Forse che ciò accade solo in questa piccola città dove vivo?"
Pensando questa e altre cose camminò lentamente verso casa, ben pasciuto di carne e altri averi agognati che aveva ottenuto.
Il giorno dopo non andò a lavorare.
3
Attese.
Alla solita ora tutto si fermò. Questa volta prese principalmente dei soldi. Trovava ancora attraente l'immobilità delle donne, era pur sempre una novità, ma questa volta non ci badò. Prese tutti i soldi che riuscì a trovare. Nel giro di un'ora era praticamente ricco, così andò direttamente a casa e cominciò a sognarsi. Affacciato alla finestra aspettò che tutto tornasse a scorrere nel fiume delle cose. E tutto, all'ora opportuna, tornò a scorrere.
Ora iniziò a fare piani.
Sì sarebbe comprato questo e quello, poi magari una bella casa e ci sarebbe andato a vivere. Ma non nella sua città, no no, quella per lui era ormai maledetta. Altrove. Molto, molto lontano. Abbastanza lontano da dimenticarsi le facce assenti e mugolanti degli immobili, che sognavano svegli, come lui, di essere altrove. E forse era davvero così.
Poi un giorno lo vide. Stava facendo il suo solito giro per raccogliere soldi e belle donne quando gli parve di cogliere con la coda dell'occhio un oggetto in movimento, lassù, alla fine del lungo viale alberato. Quando guardò non c'era nulla.
"Mi sarò ingannato" si disse, e per quel giorno non ci pensò più.
Quando poi se lo trovò davanti sotto un porticato in ombra, alto, che veniva verso di lui, non ebbe più dubbi.
- Chi sei? - disse - cos'è questo? - aggiunse, come se sentisse il bisogno di chiedere spiegazioni a quella cosa che gli veniva incontro.
Poi l'essere gli si parò davanti, nero e lucente ma... con dei difetti, difetti percepiti da sensi che Bicchieri non sapeva di avere, come se trovasse in quella cosa un errore che non dovrebbe esistere. E poi sparì, lasciandolo nuovamente solo.
Confuso e impaurito fuggì a casa e li restò senza più uscire per diverso tempo.
Si chiedeva cosa fosse quell'essere nero, e certo non era immobile. Ma dopotutto la realtà aveva già perso ogni parvenza logica da quando si era come fermata e proseguiva a turni, e forse era già pazzo e non ci badava. Tanto che uscì. E lui era lì, ad aspettarlo. In mezzo a una piazza, sotto delle fronde lucenti e gemme di sole che colavano a picco lui era lì.
- Chi sei? - gli chiese ora con più sicurezza.
- Io sono l'errore. Sono un errore.
- Di cosa parli?
- In questo mondo si è generato un errore, uno sforzo della mente. Lui pensava a questo pianeta e la sua mente per rilassarsi ha iniziato a generare errori. Quando tutto si ferma è un errore. Quando appaio io è un altro errore.
- Di cosa parli, quale sforzo?
- Il pensatore di mondi compie sforzi di enormità. A volte la sua mente troppo stanca si rilassa e nascono gli errori.
Bicchieri credeva a tutto, perché non crederci in fondo.
- E lui...
- Sì, lui è stanco - disse l'essere nero indicando il cielo
- Dio?
- Chiamalo come vuoi. Credo stia impazzendo.
- Perché io non mi fermo?
- Anche tu sei un errore Bicchieri, tu sei come me e non lo sai proprio perché sei un errore. Sparirai appena le cose torneranno a posto e ti sembrerà di essere sempre stato a casa. Ma tu non hai una casa, sei un punto nero nella sfolgorante mente del pensatore. Come me.
- Ma sono io, Bicchieri, sono sempre stato qui. Solo che ora succede quella cosa, quella in cui tutti si fermano. Ho forse sbagliato ad approfittarne?
- Non avresti potuto fare altro Bicchieri. Presto, molto presto, le ore in cui tutto si ferma inizieranno ad allungarsi. Poi a tornare indietro. Infine non ci sarà più ripresa. Questo perché lui è vecchio e la sua mente vacilla. Alla fine di tutto, poi, morirà, e tutto questo con lui.
- Ma cosa siamo noi? - chiese Bicchieri - forse che siamo i sogni di un sognatore, fantasmi astratti?
- Sono un errore come te, non lo so.
- Eppure conosci lui. Sai cose che io non so.
- Questo perché mi è già successo.
- Già successo? vuoi dire che...
- Non voglio dire niente - e così dicendo sparì
Bicchieri restò immobile a fissare il punto dov'era quella cosa nera. Cosa avrebbe fatto ora sapendo che era tutto un sogno, solo un sogno, un lungo e strano sogno...
E poi si svegliò. Era una mattina d'estate e un cielo livido, con una chiazza pallida lì dove sarebbe dovuto apparire il sole. Uscì per andare a lavoro. Tranquillamente.E nella città c'era uno strano silenzio, come se tutto si fosse bloccato.
Avvicinandosi a due persone che spingevano una carrozzina le percepì immobili, e come ansimanti.
Lui è stanco
Continua a fare errori
Dov'è che li compie, in questo o in quel mondo?
Troppi bicchieri ha bevuto l'autore, e così s'è sbagliato
o tutto il resto è sbagliato
E ricomincia l'errore
Da capo
Bicchieri era una ragazzo tranquillo, un poco testardo ma tranquillo. A volte, Bicchieri, scadeva nel fanatismo, in una qual certa ossessione per le cose: era quello che si suol dire un passionale. Detto ciò, e fatta un'alzatina di spalle, restava pur sempre un giovanotto tran-n-n-n-n@@@quillo...
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