martedì 9 ottobre 2018

Pensieri precipitati









L'uomo, questo pendolo oscillante tra Dio e le puttane.


Ascoltate l'eternità! su tutto volteggia una nota macabra.


Quando siamo stanchi ogni cosa è più... facile. Pensare sembra non essere più una necessità. E neanche agire. Persino il Tempo pesa di meno.
Purtroppo il riposo ci porta in dote una rinnovata partecipazione alle cose. Se solo ci si potesse procurare una stanchezza inesauribile. Una spossatezza definitiva di tutte le intenzioni...


Ma guardate l'uomo, una creatura a tal punto maledetta che basta la gentilezza di un suo simile per renderlo scettico.


Come zanzare inebetite ci aggiriamo attorno alla luce di un... pozzo. Se solo la mano di un Dio misericordioso si abbattesse a schiacciarci una volta per tutte. E invece dall'infinito non giungono che soffietti.


Tutti i politici falliti diventano storici. Resta in loro la passione per l'assurdo.


Il latino, la lingua di Roma, la tonalità di Marte, degradato dai cristiani a blaterio senile su Dio.


Il vuoto accecante che si scorge andando col pensiero oltre la nostra morte...


La Storia è la malattia della Fine. Quando una civiltà è agli sgoccioli ripercorre le proprie tappe con ossessione. Come il malato nell'agonia rivede tutta la sua vita, così una civiltà che muore analizza il suo cadavere nel tempo.
Lo storico? un becchino dei secoli.


Alla verità preferisco la propaganda di guerra. Una qualsiasi.


La musica non si adatta alla vita. La ricopre soltanto. Aleggia intorno e in alto come un Dio chiassoso e ispirato. Come l'anima non si appoggia a nulla, eppure sostiene tutto.


Il progresso porterà a una catastrofe così grande che per sopportarla bisognerà scrivere una nuova bibbia. Questa volta senza traccia di speranza al suo interno.


Il Ragnarok ci evita. Ogni giorno è una battaglia finale mancata.


La ragione è l'esilio dorato di ogni vitalità.


La nostra civiltà è sommersa dalla merda dei piccioni eppure c'è gente che si ingegna a sfamarli. L'uomo si capisce dalle piccole cose.


L'unico modo di salvaguardare una tradizione è isolandola.


Dietro la polemica c'è sempre una paura che in silenzio non riusciamo a sopportare.


Il paradigma di come per me bellezza e tristezza siano collegate è la montagna. Che meraviglioso spettacolo! eppure non c'è nulla di più avvilente di una stalla per vacche a un passo dal cielo.


L'alpinista: un ragno sgraziato intrappolato tra nuvole e ghiacciaio. Quale enorme, inarrivabile gesto se una volta giunto sulla cima... si gettasse! Invece, mistica al contrario, decide di tornare verso il basso. La grandezza dell'ascesa ormai è perduta.
Colpevole di aver resistito alla vertigine del vuoto, lo scalatore si insinua nuovamente tra le altre bestie. Ci vuole un bel coraggio nel guardare in viso un montanaro dopo aver spiato i paraggi di Dio.


La cosa che più ci avvicina a Dio, il momento in cui siamo tutt'uno con lui, è lo sbadiglio. Una stanchezza senza fine pare commuoverci: ahinoi, un istante dopo siamo di nuovo sulla terra, quell'attimo di stordimento celeste convertito in sonnolenza. L'occhio lucido riflette ancora il miraggio di una luce appena intravista. Ma si è trattato solo di un attimo; niente più del buio, ormai, dietro le palpebre.


L'assolutismo è il preambolo di tutte le autodistruzioni.


La filosofia è una religione senza imbecilli.


La prima versione di un Dio è quella buona. Quella umana, praticamente osservata in natura. Quando si giunge a una sua idea perfetta, a svelarne i misteri, il Dio muore. E l'uomo resta solo con le sue miserie rinnovate.


Quale piacere nella parola No, nel negare e negarsi agli altri. Una semplice sillaba ci illude di poter cancellare l'universo e rimediare in qualche modo a questa catastrofe.


Ci si stupisce davanti all'inciviltà di certi popoli. Ci si indigna persino. Eppure è davanti alla civiltà che bisognerebbe sbigottire, poiché essa sola è eccezionale. Un'eccezione quasi inspiegabile.


Si può accettare l'ottimismo solo a patto che non se ne parli troppo.


L'ottimista fa lo stesso lavoro del teologo: cerca l'aspetto positivo del Vuoto.


Essere così volubili da cambiare colore sotto al sole.


Dio è solo un'idea con cui confrontarsi. La più lontana. Al di là di esso le maree del vuoto e della notte. Al di qua, anche.


Invidio chi vive vicino a un bosco, posto ideale dove smarrire per un poco sé stessi. Non a caso dove l'uomo prospera si incontrano solo mucchietti di alberi isolati. Tutto si riduce a una radura più o meno spettrale.


Quando per puro caso ci si imbatte in un camposanto - le cui fattezze sono riconoscibili al primo sguardo - avvertiamo un cedimento interiore  e qualcosa in noi si ritira. Dura solo un momento, nel quale però abbiamo tutto il tempo (orrido sguardo) di immaginare i suoi abitanti. E noi fra loro.


L'esperienza luminosa di pensare alle stelle durante un orgasmo. Unendo così l'infinito del cosmo allo sbrodolamento delle carni.


Non vi è alcun dubbio che l'uomo si sia specializzato nei deliri organizzati. Praticamente dacché la storia è documentata non ha fatto altro.


Invece di restaurarle ci ostiniamo a vivere tra macerie salvaguardate. Pezzi di muri, colonne spezzate, archi solitari. Tutto ciò è oltremodo decadente e insano. Hitler in visita a Roma disse che il colosseo andava usato, oppure andasse al diavolo. Parere eccentrico? è possibile visto il personaggio. Eppure sono convinto che i simulacri del mondo antico non giovino all'umore.
In alternativa, beata quella civiltà che non ha mai ceduto alla tentazione di eternità insita nella pietra. Limitandosi al legno non si incappa nella megalomania di resistere ai secoli.


Del romanticismo ci è giunta solo la superstizione. Il novecento lo ha totalmente esorcizzato dalla vita reale. Che rabbia non poter precipitare dentro l'ingenuità salubre di un duello per onore o in un ideale sconsiderato. Ah! si ha nostalgia di tutto. Anche di una morte eroica. Anche della tisi!


Senza dolore non avremmo di che riempire la notte.






In conclusione.

Per buona parte della mia vita sono stato nazista*. Forse la più importante, fino a dieci anni. Naturalmente non ne comprendevo le idee, ma le uniformi tedesche erano la cosa più bella del mondo.
Invero non riuscivo a spiegarmi come avessero potuto vincere la guerra eserciti vestiti da operai e pescatori.
Da grande, semmai ho desiderato fare qualcosa, era essere una SS. Mentre i miei amici blateravano di calcio io, pistola giocattolo alla mano, cercavo ebrei dietro i cespugli. Guardavo film di guerra sperando sempre che la Germania vincesse. Vedendo Hitler nei documentari avevo esplosioni di vitalità innaturali. Volevo urlare contro la vita come lui.
Quando mio padre iniziò a dire che intendeva cambiare macchina ricordo le mie pressioni isteriche affinchè comprasse un carro armato.
A dieci anni vidi Schindler's List... spaccandomi dalle risate. Pensavo: cosa può esserci di più bello dello sparare in testa a un ebreo?
Subito dopo scoprii l'orrore. Prima il cinema. Poi la letteratura. La passione della mia vita era decisa.
La febbre di guerra sopita, trasferita al soprannaturale. Avevo bisogno di terrori più grandi per andare avanti.
Ma non si passano i primi anni di vita nella follia impunemente. Ancora oggi i campi di concentramento mi divertono.
Vedere un ebreo sopravvissuto mi fa dubitare di tutto: come ha potuto uscirne? Resta per me, la shoah, un massacro... incompiuto. Una wehrmacht irreale marcia ancora nei miei pensieri.
Che stupefacente errore della natura i ricordi.


*L'autore non è nazista, non odia gli ebrei.


martedì 29 maggio 2018

Piccole anime





Da bambino i miei interessi non erano simili neanche tanto così a quelli dei miei amichetti. In realtà di amichetti non ne avevo proprio.
Dunque vediamo, mi piaceva l'orrore, la guerra e ammazzare animali. Nel caso ci fosse tra chi legge qualche bella ragazza facilmente impressionabile voglio subito dire che fare fuori animali è una fase passata. Quindi NON SONO UN MOSTRO. A meno che non vi piacciano i mostri, s'intende.
Ora, se c'avete creduto, andiamo avanti.
Dicevo, fare il male serve a capire cos'è il male. Specie da piccoli. Altrimenti come lo riconosci?
Certe cose è meglio farle subito e poi lasciarle stare per sempre. O finché non servono.
Io ammazzavo animali. E mi piaceva proprio, oh sì, ci pensavo appena sveglio, formando i miei tormentosi piani a occhi sbarrati nel letto.
Ad esempio i miei cimiteri, quello delle lucertole, hum, quello dei piccioni, e quello dei cani. No, i cani non li ammazzavo. Troppo grossi e mi avrebbero scoperto. Ma li facevo seppellire tutti nello stesso punto e ogni tanto andavo a trovarli. Sempre avuto voglia di scavare là sotto... chissà, forse l'ho pure fatto e non mi ricordo.
Quello delle lucertole era il più abitato. Un ossario più che altro. Vi posso assicurare che  catturarle  non era semplice ma lo sperimentare sempre nuovi modi di torturarle e ucciderle forniva la motivazione necessaria. Bruciate vive, gonfiate d'acqua con un ago, paralizzate da colpi sapientemente dosati, schiacciate, date in pasto alle formiche con gli arti rotti (poi ammazzavo pure le formiche, quelle troie), soffocate in un barattolo e così via. Ricordo che la loro muta agonia aveva espressione solo negli occhi. A un certo punto li chiudevano come a evocare la morte, a supplicarla. Non funzionava mai e tutto il dolore del mondo continuava a tormentarle.
Gli uccelli solitamente li annegavo nelle loro vaschette d'acqua. Ricordo la vicina con l'allevamento di piccioni e di quanto si lamentava. Non che si arrabbiasse, quello non lo ha mai fatto. Diceva solo a mia madre che "sta strage bisogna pur che finisca". Piccioni del cazzo. C'era un grosso barile di ferro in un cortile che bazzicavo, lo riempivo di acqua e terra fino a creare un inferno di fango e poi ce li spingevo dentro con un bastone. Chissà quanto ne mandavano giù prima di rendere la vita al nulla. Stessa cosa coi pulcini. Poi lasciavo tutto a marcire per giorni finchè esasperati dalla puzza i vicini venivano a pulire. Mi odiavano, uno in particolare penso mi avrebbe volentieri frustato se non peggio.
Si era messo in casa una qualche zoccola dell'est che amava coltivare rose. Un cassonetto dell'umido arrivato dalla polonia buono neanche a tirargli i sassi. Ma a lui piaceva così ecco una valanga di rose piantate ovunque. Bianche, rosse, gialle, c'erano ovunque spine e rose di merda. Quando mi avanzava un po' di tempo ammazzavo pure quelle chè ogni assassinio fa esperienza, tagliavo tutto, porcamadonna ogni volta glielo sbudellavo quel cazzo di giardino da cicciona polacca maledetta. E lei giù a dirmi "ma che bel bambino" e "porta una rosa a mamma tua" e puttanate del genere. Allora le ho ucciso il gatto. Era uno di quei mici-troia che si fanno toccare da tutti come le peggio ragazze-cagne, tanto per restare nella zoologia, passivo come le stesse, e pure brutto. Tenevano una credenza in garage il tipo e la polacca, probabilmente perchè, ormai, in casa ci entrava solo lei: così ho schiaffato quel gatto in un cassetto e ce l'ho chiuso dentro.
Il giorno dopo sono tornato a vedere ed era ancora vivo, aveva cagato in quei 20 cm di spazio che aveva. Ho chiuso e sono tornato dopo un po', non so quanto. Di roba da ammazzare ce n'era sempre tanta e avevo il mio bel da fare.
Insomma che quando sono tornato era stecchito, annegato nell'odore della sua merda, sepolto vivo in un cassetto e morto pazzo per il terrore dopo essersi distrutto le unghie sul legno per provare a uscire. E quell'immonda grassona a chiamarlo dappertutto, e micio di qui, e micio di qua, e dove sei andato, e alla fine manco per sentirla gliel'ho buttato tra le rose. Sembrava un cristaccio peloso crocefisso tra le spine. E puzzava di merda.
Io, beninteso, non me ne sono certo restato lì ad aspettare che mi accusassero, e via! a giocare da tutt'altra parte. Dopodichè qualcuno deve aver trovato e rimosso il gattaccio morto e sospettato di me, visto che la cicciona ributtante non mi diceva più bel bambino e il garage - che avevo lasciato pieno di merda - da quel giorno lo trovai sempre chiuso.
Poi vennero nuovi vicini al piano di sotto con un cane enorme. E che potevo fargli? ogni tanto una bastonata mentre dormiva gliela davo ma poi bisognava scappare fino alla fine della catena. E per dio non ho mai capito come si ammazza un cane con un'unica bastonata. Devo dire che per fortuna la bambina padroncina del cane forniva un rimedio soddisfacente.
Per essere così piccola aveva già una serie impressionante di tic nervosi tutti da osservare. Inoltre sua madre non faceva altro che lavarla e lasciarmela nuda davanti. Erano terroni e probabilmente si aspettava che la mettessi incinta per farmela sposare. I terroni fanno così. Ma è durata poco, tempo qualche mese e abbiamo cambiato casa.
Che altro dire, se un inferno esiste tutte le bestie che ho ucciso sono lì sottoforma di  piccolo demone ad aspettarmi per avere vendetta, anche se in fondo si stanno già vendicando. A volte la notte è a causa loro se non dormo.
E allora stringo forte gli occhi come quelle lucertole e il cuore mi batte infranto perché la vita è dolore e anche alla più piccola anima spetta il suo tormento.

domenica 18 marzo 2018

Orizzonti




Ho sognato una ragazza bellissima, pallida e senza età. Ci trovavamo in un canale cementificato, come quelli che da uno squallido entroterra conducono l'acqua al mare.
Di solito questi canali sono bassi e maleodoranti. Nel sogno, invece, l'acqua era profonda e nera, e l'aria odorava di gelo invernale. La ragazza si trovava al centro del canale, con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo rivolto verso l'alto. Senza fretta affondava.
Ho provato in tutti i modi a salvarla, ma lei lentamente, inesorabilmente, andava giù.
Poco prima di svegliarmi l'ho vista affondare nelle nere acque, e i suoi occhi erano aperti.
Fine del sogno.
Avevo già fatto un sogno simile un anno fa, ma in quel caso gli occhi erano chiusi. Occhi aperti, occhi chiusi, poco importa. Quel che  importa è che io, qualsiasi cosa rappresenti, se la mia anima o un ricordo, quella ragazza non la voglio più vedere.
Quindi me ne sono andato al mare. Un po' di aria fresca, di acque lontane, di pietre e sabbia ho pensato potessero farmi bene. Il mare da me non è granché, a nord c'è un monte che si affaccia alle onde come una nave gigantesca ancora in cantiere ma che già vuole salpare, a sud si stendono vuoti spazi, interrotti solo da qualche casa decolorata dal sale.
Le case vicino al mare non hanno bisogno di niente. Poniamo il caso che decida di costruire una mia abitazione sulla spiaggia, ebbene, quattro mura di calce bianca, un tetto piatto e una porta di legno chiaro, ed è una villa. Cosa manca? Vicino al mare tutto è bello, persino le case senza tetto né finestre, persino i pescherecci corrosi dalla ruggine nelle acque multicolori del porto.
Se poi al mare si accosta una bellezza, allora bisogna considerare l'idea di distogliere lo sguardo, ché se si è sensibili ci si può pure ammalare.
Per contro, più ci si allontana dal mare - suprema bellezza naturale e simbolo dell'anima - e più si sente l'esigenza di abbellire l'ambiente.
La montagna presa a piccole dosi mi piace. Certo, dipende dalla compagnia, ma da solo non mi sentirei di restarci più di due giorni. Ed è impossibile non notare che, sebbene si innalzi, e sia talvolta pura, le manca qualcosa. Altrimenti non si spiegherebbe la cura maniacale con cui i montanari addobbano case e strade.
Andate in un qualsiasi comune alpino e troverete migliaia di fiori su ogni terrazzo, case celesti, gialle, rosse e verdi, facciate pitturate, imposte di legno pregiato, grondaie barocche, giardinetti impeccabili, strade tirate a lucido, pulizia ospedaliera e fontane, fontanelle, sorgenti e vasche d'acqua cristallina. Persino le foglie sugli alberi paiono più ordinate, e quando il vento cala dalle vette esse si muovono all'unisono, seguendo la misteriosa disciplina dei monti. Non ho mai visto una merda per terra in montagna. E se ci fate caso, se guardate attentamente, vedrete che anche la gente sembra più ordinata, come se sentisse l'esigenza di adeguarsi con l'ambiente. La gente in montagna non urla neanche!
Ma se la montagna è così bella perché ha bisogno di una così splendida organizzazione?
Già, perché? mi piacerebbe chiederlo alla ragazza del sogno, ma lei non parla e non sa niente. E poi devo smettere di pensarci.

Vicino al mare, come dicevo prima, va bene tutto. Le località marittime più belle che ho visitato non avevano nulla se non l'essenziale per l'esistenza. Anche un rudere fa la sua figura, e le persone sembrano non aver bisogno di niente. Il mare basta per ogni cosa, non serve altro.
Se provo a immaginare una città alpina trasportata sulla costa, vedo solo un grande spreco di energie. Guardando le onde che si rincorrono l'un l'altra e l'immenso orizzonte che sopra vi si spalanca, non ho bisogno di altre bellezze. Inevitabilmente i fiori appassiranno, i muri diverranno scoloriti, e lentamente apparirebbero tapparelle di plastica al posto delle elaborate finestre in legno. Perché poi scomodarsi a piantare alberi meravigliosi quando persino una palma mantiene la sua dignità desertica se posta vicino alla spiaggia? non vi è nessun motivo di farlo. Ogni abbellimento è superfluo.
Vicino al mare tutto scompare.
Logicamente mi viene da pensare che ai monti manchi qualcosa, altrimenti chi li abita non si sarebbe dato tanto da fare per abbellirli. Ma cosa?
Certo le cime sono affascinanti, ma per quanto? Io, da turista, le ho potute tollerare, come dicevo, per non più di 48 ore, poi tutto diviene soffocante, ci si sente circondati da un'oppressione fatta di rocce, lo sguardo - libero di vagare quando osserva il mare - non può spaziare se non salendo in alto, intrappolato com'è nelle valli, e una volta lassù, su quella che sembra la cima del mondo, non ha confini, ma tutto è uguale; venendo a mancare la separazione tra terra e acqua, lassù ogni cosa è terra che si è elevata, creste innevate e foreste che si arrampicano fin dove possono arrivare. Eppure tutto questo non rilassa se non per pochi attimi soltanto: poi quello che desideriamo è scendere in ogni gola che sfioriamo con lo sguardo, negli anfratti ombrosi dove il sole non può spiare. E nei sentieri che scuri attraversano i boschi.
Forse vale solo per me, ma della montagna mi interessa quel che non si vede, ciò che è nascosto dietro una ripida parete o in fondo a un burrone, l'invisibile, l'ignoto che da sempre attende di essere svelato, ma che seppure lo raggiungessi ce ne sarebbe subito un altro. Strano labirinto senza percorso la montagna, millantatrice di misteri. Ma se dopotutto sono le profondità a interessarci, come trovarne in un luogo che, non a caso, viene definito tetto del mondo.
Sull'attico di Dio troveremo solo false profondità, tutt'al più un tiepido slancio verso l'infinito, prontamente interrotto dalle cime lontane.

Il mare, dicevo, basta a se stesso. Il tempo scorre e lui scorre col tempo. Mi piace immaginare che prima o poi si riprenderà tutte le terre emerse, livellando monti e colline. Le sue profondità, al contrario della montagna, le tiene ben celate dietro la sua superficie ondeggiante: a noi il compito di immaginarle. Immaginazione, ecco dov'è la differenza. Davanti alle onde, a un tramonto, a un gabbiano che torna al porto per dormire, io divento quelle onde, quel tramonto, quel gabbiano, e col pensiero mi immergo nelle acque come se scendessi dentro me stesso.
Laggiù, sul fondo dell'esistenza, la superficialità delle vette è bandita, e la mia anima si dilata in quell'immenso abisso marino.
Se poi mi giro e sono sbadato, scopro di essere seduto su uno scoglio (pensate che orrore gli scogli senza mare, così i monti, scogli giganti) ad osservare le maree, e sotto di me, in un nero anfratto dove le acque sbattono rissose, la ragazza sognata sprofonda ancora e ancora, senza che io mai possa salvarla. E sia.
Lontano, sulle acque inargentate dal sole, una barca scivola estranea come se nulla esistesse. Mentre la guardo mi sembra di sparire.

sabato 3 febbraio 2018

Luci nella memoria




Frammenti dal Diario del paziente 1633, iniziato in data 30 ottobre 2017

Il genere umano è finito, spazzato via.
Una strana cometa, come quella di tante tradizioni magiche, era uscita dall'eterna notte che separa le galassie chissà quanti miliardi di anni prima, e aveva percorso spazi interminabili di vuoto fra i bagliori del cosmo fino alla periferia della Terra.
Lì la sua luce spettrale, irradiata da un nucleo di mistero, aveva spento gli umani. In pochi istanti erano tutti morti, dissolti nel nulla come sogni al risveglio. In tutto il pianeta.
Questo la cometa mi ha detto. [...]

[...] Io... io non ero morto affatto. Non sono morto. E neanche la mia amica. Oddio, non è neanche un'amica, stavamo solo comprando una pizza; devo averle chiesto qualcosa, o lei a me, ci siamo guardati: poi il resto dell'umanità non c'era più.
È davvero successo? sembra proprio di sì. La meteora uscita dal buio di strane regioni ha risparmiato solo noi due, dandoci allo stesso tempo la consapevolezza immediata di quanto accaduto. Fuori una macchina senza più conducente andava a sbattere contro un muro.
Mangiando la pizza in silenzio pensavamo a cosa fare.
- Quindi è proprio finita? - Dissi io.
Lei non rispose niente, continuava a mangiare la pizza. Poi senza parlare fece con le dita il gesto di camminare e uscì dal locale. Sapeva già tutto. [...]

[...] Finii la pizza e attesi che lei finisse la sua. Ma non disse niente, così parlai ancora io. Non ricordo esattamente i nostri dialoghi, c'è come una nebbia... Ma era qualcosa del genere:

- Sembra che sia successo davvero, sono tutti morti. Questo vuol dire che posso prendere un'altra pizza anche se non ho soldi. Ma probabilmente vuol dire anche che sarà l'ultima pizza calda che mangerò in vita mia. O forse l'ultima pizza in assoluto. Non so se mi segui.

Lei ora guardava in basso. Sorrideva. E poi disse le sue prime parole: - Voglio una birra.
Queste le ricordo perfettamente. Almeno così mi pare.
Per le due ore successive girammo la città. Prendevamo tutto quello che volevamo, lei si cambiò d'abito quattro o cinque volte mentre bevevo un whisky da novanta euro seduto sul tettuccio di un'auto di lusso. Ma entrambi probabilmente pensavamo la stessa cosa, e cioè che se eravamo rimasti soli avremmo dovuto restare sempre insieme. E saremmo stati gli ultimi. Lei ragionava su cosa fare e dove andare, io su altre cose più astratte, come l'avanzare delle bestie selvatiche nelle città che sarebbe certo avvenuto, o se la cometa non avesse per noi uno scopo preciso. Così la presi e la portai vicino a me dicendole qualcosa.

- A te la cometa ha detto altro?
- Cosa intendi - rispose, facendosi seria.
- Tornerà? a me ha detto solo di proteggerti, nient'altro.
- Forse tornerà. Non dobbiamo fare altro che aspettarla.
Non sapevo cosa dire. Decisi di chiederle cose che non mi interessavano davvero, ma certamente sentendo le sue risposte avrei capito qualcosa.
- Non ti dispiace per le persone che hai perduto?
- Non avevo nessuno. E tu?
- Io - le dissi - sono un po' dispiaciuto. Ma sono anche contento di essere vivo, e qui, e con te, e forse neanch'io avevo nessuno.
Non ricordo le parole precise, ma sicuramente erano queste. [...]

[...] Poi iniziò a piovere e in quel momento capimmo che sarebbe stata una lunga notte. Dormimmo insieme e l'alba ci trovò ancora svegli. Pioveva ancora e faceva freddo. Ci alzammo dalle decine di coperte stese per terra in un  negozio per tornare a prendere la pizza. Qualche casa andava a fuoco, e qua e là si aggiravano gruppetti di cani inquieti. Un numero insolitamente grande di uccelli solcava i cieli, affollandone le rotte, i fili e tutti i davanzali visibili.
La pizza era fredda come quelle strade, ma il cibo non mancava.

- Cosa faremo? intendo oggi e per i prossimi giorni e mesi - le chiesi.
Lei era sempre sicura di tutto, sembrava l'organizzatrice di questa apocalisse impossibile. Mi disse che avremo girato, cercato il cibo che preferiamo, bevuto, cantato e dormito ancora insieme, che del resto non c'era nessun altro con cui dormire o parlare, e che quindi dopo un po' avremmo smesso di dormire insieme e di parlare, fino ad allontanarci, perdendoci di vista, e così sarebbe finita la specie umana. Chiarì subito che non voleva un figlio. Questa cosa mi dispiacque, ma neanche io ne volevo.
Aveva ragione su tutto, su ogni singola cosa. [...]

[...] Un giorno provai a capire se sapeva qualcosa della cometa.
- D'accordo, dici bene - le dissi - ma perché siamo rimasti proprio noi due? e cos'era quella cometa che ci ha comunicato di aver fatto sparire tutti gli altri?
- Non c'è un motivo, e poi hai davvero bisogno di spiegazioni?
Aveva ancora ragione. Non ricordo esattamente le parole ma grossomodo erano quelle. Mi arresi e non pensai più. Tutto quello che volevo era andare in giro con lei per le vie vuote del mondo. Girammo tutto il giorno in cerca di caramelle alla ciliegia per lei. Mentre io volevo cuocere della pancetta. Verso sera dappertutto andò via la corrente e ci rifugiammo in una villetta vicino al mare. Parlammo per ore, di tutto, mentre fuori il rumore delle onde spingeva le nostre parole verso l'oceano dell'eternità.
Forse ci amavamo. Di sicuro non ci sentivamo soli.
Quella notte non sentii neppure per un attimo la mancanza del resto dell'umanità. Ed ero grato a quell'oscuro Dio-Cometa di averla fatta sparire, di aver fatto scomparire tutti tranne lei.
Fuori dal buio profumato dove ci trovavamo il vento urlava per entrare. Ma restò fuori ad agitarsi, mentre si intrufolò la consapevolezza che, se tutto era finito, il motivo per esistere c'era ancora ed era lì, tra le mie braccia.
Volevo svegliarla per dirle che anche se c'eravamo solo noi due in tutto il mondo non ci saremmo mai stufati di parlare e stare insieme, e pensando a questa cosa mi addormentai guardandola.
Mi svegliai a mattino inoltrato ed ero solo. [...]

[...] Quanto tempo è passato? non conto più i giorni, e giorni e mesi sono ormai concetti inapplicabili. Persino le ore non significano più niente. Tutto il tempo da quando sono rimasto solo fino al momento della mia morte ha il nome di Solitudine. Quando sarò morto tutto questo finirà.
Lei è esistita! io la ricordo. È esistita per forza. Quanto vorrei rivederla. Il cibo scarseggia e devo spostarmi sempre più lontano. Spero di andare dov'è andata lei. [...]

[...] Trovato molte scorte. Strana malattia mi consuma. Scrivo solo nel caso che lei... non le ho mai chiesto il nome... trovi e legga. Lei che si trova da qualche parte. Non ricordo cosa ci siamo detti o se mi ha rivelato il suo nome, ma esiste. O esisteva e non esiste più, come tutti quanti.
Esisti?

Tutte le bestie rimaste sono ostili. Spesso devo difendermi da cani affamati. [...]

[...] Il tempo è un uragano che strappa via tutto. I brevi ripari che troviamo sono abbracci rubati al vento. Non ho un posto dove andare. [...]

[...] ...ho la febbre. Non so cosa mi prende. C'era qualcosa che cercavo di ritrovare... ma la mia mente è così stanca... Penso che mi sdraierò sotto questo tiepido sole primaverile pensando a dolci cose.
Forse sto sparendo anche io. Ma se lei mi stesse ancora cercando... lei... chi era lei?
Ora che ho dimenticato sto meglio.



Profilo medico

Il dottore che si è occupato di comprendere la patologia del paziente di cui abbiamo letto estratti del diario, ha cercato innanzitutto di capire il perché di questa fuga dalla realtà per rifugiarsi in un mondo disabitato. O meglio, abitato solo dai suoi desideri. Cibo e bevande gratuite, solitudine e quella che potrebbe essere una figura femminile ideale o pseudo tale. E il modo confuso in cui ha provato a ordinare i suoi pensieri negli ultimi tre mesi, scrivendoli.
A questo totale abbandono della ragione si aggiunge l'insolita perdita della ragazza, avvenuta dopo pochi giorni dall'inizio del delirio e che tanto spazio ha nei suoi scritti caotici. Il paziente crede di rimanere solo persino nella sua follia, e in questa solitudine mentale autoinflitta arriva a maturare l'idea del suicidio.
Idea mai raggiunta. Il paziente è morto nel sonno davanti alla finestra. Apparentemente per sospensione della respirazione.
Come se qualcosa nella sua psiche lo avesse lentamente soffocato.
Sulla base delle visite effettuate e sull'analisi dei suoi scritti ritengo si possa archiviare il caso come una grave forma di alienazione dalla realtà riuscita solo in parte.
Incapace ormai di gestire i propri sogni, il paziente 10600 è volato con la mente in un mondo ideale, dove con una artificiosa invenzione romantica ha potuto abbandonarsi alla morte.
Se l'intento iniziale fosse quello di rifugiarsi in un'utopia, o di morire, non mi è chiaro.

Il medico curante Dottor ********


giovedì 11 gennaio 2018

Attraverso lo specchio


scritto il 10/12/17

Mattino

Mi sveglio. Mi siedo. Che palle. Vado in bagno e mi erigo davanti allo specchio: che barba che ho, fa schifo, faccio proprio schifo. Ossignore ma tu guarda che faccia che mi ritrovo, e devo vederla tutte le mattine. Che stronzo, Alex sei proprio uno stronzo, e ora sparisci, sciacquati il muso e vai via.
Acqua a dodici gradi sottozero, in maglietta estiva e mutande. Mi mette una tristezza vedermi in mutande... eh sì caro mio, ti stai proprio rammollendo, ancora pochi anni e sarai flaccido come l'ascella di una vecchietta.
E che fiato... a vent'anni non mi puzzava così tanto al mattino. È come se qualcosa, dentro, si stesse decomponendo. Va be' tanto non devo baciare nessuno...
La diceva sempre mia madre questa cosa del bacio. Lei è ligure e ha sempre fatto il pesto con un sacco di aglio dentro. E quando poi quell'odore che persino i vampiri temono rifluiva su su verso la bocca, commentava sempre con un "tanto non devo baciare nessuno". Solo che non era vero.
Io, invece, è ufficiale che non devo farlo, quindi se voglio posso mangiare anche una merda.
Ma per ora mi faccio il caffé.

Ci vuole tempo... più lo guardi e più ci mette. Quasi quasi mentre aspetto piscio, prima per lo spavento me ne ero dimenticato. Non faccio in tempo neanche a... che viene su. Il caffé. Borbotta.
Si lamenta. Oh, eccoci qui. Io e la mia moka da cinque euro comprata dai cinesi dei cinesi, che disastro, ed è così tutte le mattine. Il beccuccio è fatto male, quando lo versi il caffé cola sui bordi, fuori dalla tazzina, sulle dita, per terra, un macello, un macello! Fa pure schifo questa brodaglia, sa di fango. Mi brucio la lingua, la gola, riesco a bruciarmi anche una mano, urlo e intanto mi scappa ancora da pisciare! E mi accorgo che ho freddo. Ho ancora sonno. Ho pure fame. Se qualcuno mi vedesse ora, qui, in piedi, a guardare il caffé versato, a bocca aperta, in mutande, tremante, mi sparerebbe. Subito. Verrebbe istintivo farlo.
Ma io non me la prendo mica se mi sparate. Ecco, vedete... lo capisco. Sissignore. Anzi, mi fa pure piacere. Così mi risparmio le feste. Le feste?! oddio perché c'ho pensato...
Non sono pronto. Non sono pronto per nessuna cosa, né per alzarmi né per le feste e neanche per uscire.
No io non soffro il freddo, faccio due passi e sto già bene. Oddio, bene... Bene è una parolona. Diciamo che non tremo. Metto su due cose al volo e via, chiavi portafoglio e sono già in strada, si va a correre. No, a essere onesto non proprio a correre: a camminare. Stamattina cammino. Piano, un po' in salita e un po' in discesa, verso il cimitero - qui non c'è altro -, respiro ghiaccio e soffio fuori fumo e catarro. Questa schiena mi fa morire. E anche le gambe si sono un po' atrofizzate, si vede che ieri ho oziato pesantemente.... Alex ma che palle, cammina e zitto!
Cammino.

Pomeriggio

Mi sono alzato tardi quindi sono passate solo poche ore. In compenso, in queste due ore, mi sono già stufato. Oh no, ci risiamo. Vorrei che fosse già sera per andare a dormire. No, così non va bene, ormai erano mesi che non mi succedeva. Non posso permettermi di sprofondare nuovamente nell'apatia, servono stimoli, energie nuove! sì, sì! la televisione? No la televisione no. Allora cosa? un libro? no basta libri ieri ho letto tutto il giorno. Ecco sì, ci sono. Mi faccio un caffé. Un altro.
Viene su mentre sto pisciando ovviamente, fa schifo e la moka da cinque euro lo versa di nuovo fuori. Ma allora... un attimo, faccio una prova. Ora esco di nuovo e vado... al cimitero. Ma allora è vero! sono in trappola! ecco cos'è, finisco a fare sempre le stesse cose, per questo non riesco a darmi una svegliata.
No così non va bene. no.ferma.stop.
Ricomincio dall'inizio: Pomeriggio
Piove, fa freddo. Mi gira il cazzo. Sono triste. Fumo davanti alla finestra come un coglione e guardo la pioggia... dove finisce tutta quest'acqua che cade? ogni buco ne beve litri e litri, scivola sulle superfici, cade sui fiori come su la merda, la pioggia ama tutto e tutti. Un piccione infreddolito si fa stretto e diventa una tana. Come sono lucide le tegole, se quel piccione fosse vanitoso ci si potrebbe specchiare. Sciocco, sciocco piccione.
Maledetti piccioni! (agito un braccio)
No io non sto bene. Impossibile che sia già dicembre, gli ultimi due mesi sono stati un gorgo nero e ora è arrivato natale e non so cosa fare. Che cosa fare? Vorrei andare in guerra! sì!
C'erano due tipi di soldati una volta: i poveri e i delusi in amore. Se amavi una ragazza, e lei ti schifava, te ne potevi andare a fare la guerra, così non ci pensavi. Comodo no?
Ma io manco in guerra posso andare, sia maledetto l'utero caprino della madonna!
E allora che devo fa? mi rilasso, nel senso che mi lascio proprio andare. Mi do al dialetto, sommo cedimento alla volgarità: ma che me frega. Mi gratto pure, ohh.
No no devi tenerti Alex, tieniti. Stai su. Non me lo dice nessuno quindi me lo dico da solo. Le feste non sono così male, tutti felici e scemi, con quelle luci per strada...le luci! oddio!  e ci sono ancora quei piccioni bastardi, andate via bestie! (agito il pugno sopra la testa).
Fermi, muti, non mi cagano neanche i piccioni.
Devo pensare a qualcosa di bello, subito! penso a... a... no quello no, ecco sì, mi è venuto in mente il culo di pamela prati, incredibile. Che poi non aveva neanche un bel culo. Non so proprio come funzioni il mio cervello... ecco, ora ho pensato a... Badoglio... porcodio ma proprio Badoglio?! chissà poi com'è ma a guardarlo non è neanche lui: è Vittorio Emanuele III senza baffi! Pazzesco. Quando se li mette è il Re, quando li toglie è Badoglio. Che inferno, sono le sei ed è subito sera.

Sera

Alla sera cambia tutto. Cambio anche io. I tetti si fanno scuri, si accende qualche luce nel cielo. Non mi ricordo cosa ho fatto oggi. Fuori nevica e qui, davanti al fuoco, me ne sto comodo a leggere un libro; la mia ragazza è di là a preparare la cena. Finisco di montare questo lego di star wars da 800 euro e vado in salotto.
Seeh. Invece no: piove, ho i termosifoni e sono solo come quel lestofante di Cristo sul Golgota. Di là c'è solo mia nonna che rantola per aver fumato quarant'anni, e stasera mangerò pane e prosciutto.
Qui non è cambiato proprio niente, altroché. Mi pare persino peggio del mattino.
Però ho visto accendersi le stelle, ehhhh, la mia anima è salva. Per i prossimi due minuti è salva.
Bah, niente poesia in questo post, niente cose profonde, solo insoddisfazione e ansia. Ho l'ansia, il mondo mi mette ansia. La gente mi fa venire l'ansia. Avere ansia mi fa venire altra ansia e fumo queste.. sigarette?! oh su! le sigarette hanno una loro interezza fino alla fine, queste cartine mosce che mi faccio da solo si disfano dopo tre tirate, il filtro non regge e se non sto attento prendono fuoco. E come picchiano sui polmoni, ho la metà del fiato che avevo due anni fa.
Ma sì che sarà mai!
Devo essere una persona banale, se tocco due tette starò meglio. Non ho bisogno di altro, bastano due tette, o due chiappe. Stessa cosa, sempre adipe è. Se le chiappe avessero i capezzoli sarebbe una bella lotta, ma così non c'è partita, vincono le tette tutta la vita. Certo che alle donne un paio di tette nella schiena non starebbero male, eh!
Banalità ci vuole! Ora quasi quasi mi faccio una sega.


Ho provato a concentrarmi sulla pornostar ma pensavo ad altro... Avevo in testa immagini ben precise, ricorrenti. Anche questo non va bene, devo proprio formattare il cervello.
Forse mi devo drogare.
No, sono un coglione ma non cadrò mai nella droga, e anzi devo smettere di usare anche le droghe leggere che uso, come l'alcol o quell'orribile zucchero raffinato in una petroliera che uso. Perché la mente è la cosa più bella che abbiamo e i pensieri sono luce. HAHAHA non c'avrete mica creduto, non mi drogo solo perché non sono capace, nel senso che non avendolo mai fatto... è come quando un ragazzo arriva vergine a trent'anni: vorrà scopare, quello sì, ma non avendolo mai fatto non ne sarà ossessionato. Almeno credo. Io stessa cosa con la droga.
Mi devo perdere di vista. Basta frequentarmi: ci vuole gente nuova. Con me ho chiuso.

Di cosa stavo parlando? mi sono addormentato. Ah sì, stavo scrivendo per non pensare. A volte lo faccio. Scrivere per non pensare? curiosa come cosa, un po' come dire "correre senza sudare". Ma io ci riesco, sono talmente abituato a scrivere che posso farlo anche solo con le scorie dei miei pensieri. Immaginatevi il cervello che si ripulisce di tutto lo schifo che ha dentro - e io ne avrei un gran bisogno. Ora sto scrivendo con quello sporco lavato via dall'acqua. Quel nero rivolo che cola via dalla mia mente...
Sono qui
solo
davanti alla notte
e al dolore
Preso e ora via! tutti i pensieri giù. In testa non c'è più niente.
Non ho fame non ho sete non ho sonno non sto bene né male ho capito tutto e non ho capito niente: mi piacciono le stelle morenti perché illuminano il cielo di morte.
Mi sto addormentando. Il mondo scivola via, non mi opprime più. Tutto vagheggia perdendo i suoi contorni, poi... poi non lo so. Nel senso che non ho un solo ricordo di me che mi addormento.
È come se la memoria si fermasse qualche secondo prima di cadere nel sonno, per non darci neanche la soddisfazione di poter descrivere quel dolcissimo momento in cui tutto sparisce. Non mi ricordo di essermi addormentato neanche una volta, in compenso tutte le mie insonnie sono indelebili.
È puttana la memoria. Eccome se lo è, oh sì, una gran troia.
Dov'ero? ah sì: Tutto vagheggia perdendo i suoi contorni, poi... buio.